Il concordato stragiudiziale attestato realizzato da un trust

22 Luglio 2013

Il risanamento di un'impresa si ottiene predisponendo un serio piano di ristrutturazione, ma perché questo possa essere realizzato è necessario che i suoi creditori abbiano fiducia nella ripresa e vi cooperino, non solo sopportando sacrifici, ma conservando la finanza corrente e concedendone di nuova, e mantenendo i rapporti di fornitura di clientela. E l'impresa può recuperare la loro fiducia se alla sua guida vi è un management di gradimento dei creditori che sopportano in maggiore misura il sacrificio del risanamento, che possano controllare, indirizzare e al limite guidare. L'interesse dei creditori non è solo satisfattivo, ma anche partecipativo, e la crisi può essere un'ottima occasione per una razionale allocazione delle risorse.
Il piano del concordato stragiudiziale attestato realizzato da un Trust: effetto segregante e concessione dei poteri ai creditori che stimolano la loro cooperazione per il risanamento dell'impresa

Il risanamento di un'impresa si ottiene predisponendo un serio piano di ristrutturazione, ma perché questo possa essere realizzato è necessario che i suoi creditori abbiano fiducia nella ripresa e vi cooperino, non solo sopportando sacrifici, ma conservando la finanza corrente e concedendone di nuova, e mantenendo i rapporti di fornitura di clientela. E l'impresa può recuperare la loro fiducia se alla sua guida vi è un management di gradimento dei creditori che sopportano in maggiore misura il sacrificio del risanamento, che possano controllare, indirizzare e al limite guidare. L'interesse dei creditori non è solo satisfattivo, ma anche partecipativo, e la crisi può essere un'ottima occasione per una razionale allocazione delle risorse.

Il legislatore della riforma ne è stato consapevole, e nel riformare il concordato preventivo ha aperto le porte all'autonomia privata, ma ha affidato all'iniziativa del solo imprenditore la formazione e la gestione del piano, sotto il controllo (di legalità) del Tribunale, affidandone l'approvazione a una maggioranza virtuale di creditori - i non votanti si presumono consenzienti (v.

d.l. 18.10.2012,

n. 179

, convertito con

legge 7.12.2012

,

n. 221

) - ; più di recente gli ha consentito, con il cd. concordato di continuità, di segregare il patrimonio della sua impresa destinandolo alla soddisfazione dei creditori, e per frenare la caduta dell'occupazione, di presentare la proposta in bianco, per consentirgli, nel tempo necessario di elaborare e concordare il piano, di porre il suo patrimonio al riparo dalla aggressione dei creditori, una nuova forma di amministrazione controllata che sembra favorire il prolungamento dell'agonia dell'impresa piuttosto che la ripresa.

Il nuovo modello di concordato s'ispira al chapter eleven, ma risente delle radici dirigistiche della legge nella quale è stato innestato; non ha né ha recepito la parte più qualificante, il Trust, che con la cooperazione dei creditori gestisce la crisi, separando il momento giurisdizionale della tutela dei diritti da quello gestionale della ristrutturazione dell'impresa. L'assenza in questo secondo momento dei creditori è il limite del concordato preventivo, al quale si può ovviare con il concordato stragiudiziale realizzato da un Trust.

Il concordato stragiudiziale, prima della riforma, era tollerato; come si legge nella Relazione alla legge del 1942, il concordato (giudiziale) era un beneficio che solo il Tribunale poteva concedere all'imprenditore onesto e sfortunato .

Il concordato stragiudiziale era realizzato con negozi collegati dal motivo lecito del salvataggio dell'impresa, che talora penetrava nella struttura negoziale come condizione, ma i suoi atti esecutivi erano esposti al rischio della revocatoria fallimentare e della bancarotta.

Con la riforma, il salvataggio dell'impresa è divenuta una causa negoziale: prima con gli accordi di ristrutturazione, divenuti poi una forma attenuata di concordato preventivo, ma principalmente con il piano attestato ai sensi dell'

art. 67,

comma 3

, lett. d) l.

fall

. , è possibile stipulare atti esonerati dalla revocatoria fallimentare (art. 67, comma 3, lett. d) cit.) e dalla bancarotta (

art. 217-bis l.fall

.), al pari degli atti di composizione della crisi omologati ai sensi dell'art. 12

l

. n. 13/

20

12

e dei finanziamenti autorizzati ai sensi dell'

art. 182-

quinquies

l. fall

.

Detto piano, se è oggetto di un Trust, segrega, al pari di quello del concordato di continuità, il patrimonio del debitore vincolandolo alla soddisfazione dei creditori, e accorda preferenza ai crediti di scopo; inoltre attribuisce loro una garanzia reale sul valore dell'impresa, come nei patrimoni destinati di cui agli

artt. 2447-

bis

c.c.

, e il potere di indirizzo, di controllo e al limite di gestione, senza escludere l'intervento del Giudice, al quale tutti gli interessati possono rivolgersi per tutelare i loro interessi, ai sensi dell'

art. 2645-

ter

c.c.

. E - fatto ancor più rilevante - può essere gestito da un management di fiducia dei creditori .

Il Trust suscita diffidenza non solo perché dai meno esperti è considerato uno strumento esotico dei paradisi fiscali, senza avvertire che nel nostro sistema deve il riconoscimento alla trasparenza e all'utilità sociale del fine, ma anche perché l'imprenditore è restio a condividere il timone anche quando la nave affonda, ed è più propenso ad abusarne, come accaduto con il fondo patrimoniale, a usarlo per ritardare la dichiarazione di fallimento piuttosto che utilizzarlo per salvare la sua impresa; infine lo rende poco appetibile l'Agenzia delle Entrate che, in contrasto con l'unanime opinione della giurisprudenza e della dottrina, assoggetta il conferimento non liberale nel Trust all'imposta dovuta per la donazione. Imposta che, tuttavia, non dovrebbe essere gravosa, ove si consideri che la base imponibile, il valore del conferimento, è dato dalla differenza fra il valore dell'azienda e l'onere reale del soddisfacimento dei creditori e della restituzione del residuo al disponente (dell' azienda risanata), detraibile ai sensi dell'

art. 2, comma 49, d.l.

n. 262/06

, per cui ad arricchirsi è semmai il disponente se recupera l'impresa risanata, piuttosto che il Trustee.

Se l'Agenzia delle Entrate valutasse che la sostanza del fenomeno non è dissimile dall'affitto di azienda, ove l'affittuario, al pari del Trustee, può acquistare la proprietà delle merci e di altri beni aziendali con l'obbligo di restituire il controvalore all'affittante all'esito dell'affitto, avvertirebbe che il conferimento in un Trust di ristrutturazione non comporta alcun trasferimento di ricchezza e andrebbe assoggettato a tassa fissa .

L'utilità sociale come causa forte e la fattibilità del piano come causa concreta del concordato realizzato da un Trust

Il concordato stragiudiziale realizzato da un Trust è stato analizzato nello studio (n. 161-2011/1) del Consiglio Nazionale del Notariato, approvato dalla Commissione studi d'impresa il 1° marzo 2012, dal titolo Note sul Trust istituito da imprese in crisi (in funzione liquidatoria), che ha esattamente considerato che l'imprenditore lo istituisce per risolvere i problemi economici della sua impresa, altrimenti non avrebbe ragione di istituirlo, e ha fatto propria la giurisprudenza che lo ritiene valido se liquidatorio di un'impresa in crisi e invalido se liquidatorio di un'impresa insolvente; per poi dedurre che il notaio, cui è vietato dall'art. 28 della sua legge professionale ricevere atti nulli, prima di rogare l'atto istitutivo deve controllare lo stato di salute dell'impresa.

È opportuno al proposito effettuare alcune precisazioni. L'insolvente non è tenuto a richiedere solo il proprio fallimento (

art. 6 l. fall

. novellato ), ma può invece chiedere il concordato, in quanto l'

art.160 u.c. l.fall

. parifica a questi fini l'insolvenza alla crisi, dal che si deduce che l'insolvente può realizzare anche un concordato stragiudiziale, e che se intende eseguirlo con un Trust, lo strumento solutorio è valido se ha l'effettiva capacità di soddisfare i creditori, in difetto della quale difetterebbe l'utilità sociale che ne giustifica l'istituzione (arg. ex art. 2445-ter c.c.).

Detta norma in verità disciplina gli atti di destinazione, che, per usare una espressione di Lupoi, sono un frammento del Trust, ma un frammento qualificante, e prevede che se hanno per oggetto immobili vanno stipulati per atto pubblico, quando per la trascrizione sarebbe stata sufficiente la scrittura privata autenticata, per il fatto che il legislatore ha demandato al notaio il controllo dell'utilità sociale. Infatti, mentre per i negozi dispositivi atipici è sufficiente che siano giustificati da uno scopo lecito, gli atti di destinazione necessitano di una causa “forte”, di concezione bettiana, per cui l'obbligo del notaio del controllo della fattibilità ha una duplice fonte legislativa, l' art. 28 legge notarile e l'art. 2445-ter c.c.

Il notaio non dispone dei necessari strumenti di indagine, per cui è prudente che pretenda che vi sia l'attestazione ai sensi dell'

art. 67,

comma 2, lett. d) l.fall

., attestazione che esonera gli atti che eseguono il piano dalla revocatoria e dalla bancarotta semplice (

art. 217-

bis

l.fall

.).

La non fattibilità del piano rende il Trust nullo per il vizio genetico della causa; se sopravviene, lo rende inefficace per un difetto della causa che opera ex nunc, ma sono salvi gli atti compiuti dal Trustee. E tanto la nullità che l'inefficacia possono essere fatte valere dai creditori, anche incidenter tantum, nel corso del procedimento esecutivo (v.

Trib. Reggio Emilia,14 maggio 2007

).

Il Trust istituito per sottrarre i beni alla liquidazione fallimentare o anche solo per ritardare la dichiarazione di fallimento, oltre che nullo, è abusivo, e se aggrava il dissesto, è un atto di bancarotta semplice.

Il Trust è un'evoluzione della cessione dei beni prevista dall'

art. 1977 ss. c.c.

, che non può essere congruamente utilizzata quando il mezzo per soddisfare i creditori non è la vendita di beni, ma la gestione, anche liquidatoria, di un'azienda, che il Trust può gestire con la responsabilità limitata al valore del patrimonio destinato.

I poteri dei creditori e i diritti del curatore fallimentare

I creditori dell'impresa, con l'istituzione del Trust, ne divengono beneficiari e come tali hanno il diritto di ricevere dal Trustee quanto loro dovuto o quanto concordato con il disponente, senza tuttavia perdere il credito verso costui.

Se il Trustee non estingue il debito del disponente , costui è esposto al fallimento, il Trust incapace di realizzare lo scopo per il quale è stato istituito si estingue e il curatore acquisisce alla massa i beni conferiti.

L'estinzione, la perdita di efficacia del vincolo

che giustifica causalmente anche il conferimento, fa venir meno anche l'effetto traslativo dei beni al Trustee, per cui non vi è necessità di alcuna sentenza costitutiva quale quella che accoglie la revocatoria fallimentare.

Il conferimento non può essere neanche oggetto della revocatoria ordinaria, perché ha la funzione di soddisfare, nella misura eventualmente concordata, tutti i creditori, senza operare preferenza alcuna, per cui neanche astrattamente potrebbe alterare la par condicio. Se fosse privo di questa causa concreta sarebbe invalido.

Il Trust di ristrutturazione o di liquidazione, per essere tale, deve poi prevedere nell'atto istitutivo che i creditori siano componenti del collegio dei beneficiari, al quale va attribuito il potere di indirizzo, di controllo e di gestire il piano, ed eventualmente di sostituire il Trustee del quale perdano la fiducia, come nel chapter eleven; e per effetto della destinazione i creditori divenuti beneficiari acquistano la garanzia reale sul valore dell'impresa conferita, analoga a quella che vantano sui patrimoni destinati ex art. 2447-bis ss..

A differenza che nel concordato di continuità, ove il piano è ritenuto fattibile da una maggioranza virtuale di creditori, e quindi imposto ai non votanti ed ai dissenzienti, il piano del Trust non può essere imposto ai creditori, per cui non è fattibile se non può soddisfare i creditori regolarmente o nella misura concordata. Dal che si può dedurre che la sua fattibilità si fonda sulla disponibilità dei creditori forti, che guidano il collegio dei beneficiari, a finanziare il processo di risanamento, e che la sua fattibilità è verificata sul campo, e non da esperti con il controllo di legalità del Tribunale. Se il Trustee non adempie, è palese che é incapace di realizzare lo scopo

La giurisprudenza dei Trust liquidatori e di ristrutturazione

La giurisprudenza, in linea di principio, riconosce il Trust liquidatorio, e talora si spinge (v.

Trib. Reggio Emilia, 27 agosto 2011

) a ritenerlo meritevole di tutela (si trattava in quel caso oltretutto di un Trust autodichiarato) anche se istituito per favorire la liquidazione armonica di una società. Concetto che va chiarito, poiché il disponente non può comprimere i diritti dei creditori inibendo loro l'esercizio dell'azione esecutiva per realizzare armonicamente i suoi interessi o per realizzare meglio quelli dei suoi creditori; può istituirlo quando sussiste l'utilità sociale, perché può soddisfarli con l'attuazione di un piano in difetto del quale sarebbe insolvente e dunque in quanto previene l'insolvenza fonte di un danno sociale .

Il Trust non è alternativo né alla liquidazione volontaria di una società, fase non eliminabile, né alla liquidazione fallimentare. é

abusivo se istituito per cancellare una società dal registro delle imprese, al fine di far decorrere l'anno entro il quale l'imprenditore può essere dichiarato fallito, come giustamente ritenuto dal Tribunale di Bolzano, con provvedimento 17 giugno 2011.

La giurisprudenza del Tribunale di Milano è stata particolarmente attenta a reprimere l'abuso, ed è per tale ragione che ha distinto fra Trust liquidatori d'imprese in crisi e insolventi, ma ha ritenuto che per evitare abusi sarebbe sufficiente una clausola di salvaguardia, che preveda il fallimento come causa di estinzione del Trust, obbligando il Trustee a consegnare i beni al curatore fallimentare .

Sul fatto che il trust possa istituirsi anche quando l'impresa è insolvente, se capace di soddisfare i creditori, ho già accennato. Vorrei invece soffermarmi su questa clausola, a mio avviso del tutto inutile perché non fa che prendere atto di un effetto naturale.

Il giudice della sezione distaccata di Legnano del Tribunale di Milano (8 gennaio 2009), ritiene che la “costituzione di un Trust con funzione liquidatoria … è idonea a tutelare l'interesse dei creditori medesimi, soprattutto ove lo scopo istitutivo del Trust sia quello di operare la liquidazione in modo più ordinato ed efficace, realizzando la conservazione del valore dell'impresa in funzione del miglior realizzo nell'interesse dei creditori sociali e dei soci del disponente”, ma che è valida solo se contiene l'accennata clausola di salvaguardia.

Il Tribunale di Milano (29 ottobre 2010) ha poi precisato che l'art. 15 della Convenzione dell'Aja pone “un limite … all'operatività del Trust nel caso di sovrapposizione tra la disciplina di questo e la gestione legale dell'insolvenza”; che la “materia fallimentare esclude … che la disciplina della separazione patrimoniale del vincolo di destinazione dei beni possa sopravvivere alla disciplina del fallimento del conferente”, nel qual caso i beni, “anche se oggetto del Trust, saranno assoggettati alla disciplina del fallimento”, e ha aggiunto che il Trust liquidatorio, per essere valido, deve contenere “clausole che ne limitino la operatività nel caso d'insolvenza conclamata, in modo da restituire i beni comunque alla procedura inderogabile”, in difetto delle quali “il mezzo giuridico per ripristinare la situazione conforme alla disciplina convenzionale è la declaratoria di nullità dell'atto istitutivo del Trust”.

La necessità della clausola è stata poi ribadita dal Tribunale di Milano con i provvedimenti del 30 luglio 2009, del 17 luglio 2009, del 22 ottobre 2009, e dalla Corte di Appello di Milano con sentenza 29 ottobre 2009, e più di recente anche dal Tribunale di Mantova, con decisione 18 aprile 2011.

Va immediatamente chiarito che tanto le norme interne che la convenzione dell'Aja non consentono la gestione privata dell'insolvenza, ma questo divieto non può essere tutelato con la accennata clausola. Se il Trust non ha una concreta causa satisfattiva è nullo ab origine, tanto che vi sia o che non vi sia la clausola. Il successivo fallimento, come ritenuto dal Tribunale meneghino con l'ordinanza (cautelare) del 16 giugno 2009, è causa di scioglimento del Trust, analogamente a quelle ipotesi negoziali la cui prosecuzione sia incompatibile con la dichiarazione di fallimento. La clausola non fa altro che prendere atto degli effetti naturali della nullità o dell'inefficacia, in virtù delle quali i beni rimangono o rientrano nella disponibilità del debitore e quindi del suo curatore.

Il Tribunale di Mantova con la sentenza testè citata ha deciso che se il trust viene istituito “quando l'impresa si trova già in stato di insolvenza (ed avrebbe pertanto dovuto accedere agli istituti concorsuali)”, esso “è incompatibile con la clausola di salvaguardia di cui all'articolo 15, lett. e) della convenzione dell'Aja del 1 luglio 1985”. Ed ha aggiunto che “un Trust attuato in tale situazione costituisce un atto privatistico che mira a sottrarre agli organi della procedura concorsuale la liquidazione dei beni in assenza del presupposto sul quale poggia il potere dell'imprenditore di gestire il proprio patrimonio, ossia che l'impresa sia dotata di mezzi propri. Se così non fosse, a qualunque imprenditore insolvente che intende evitare il fallimento potrebbe essere consentito lo spossessamento di tutti i propri beni mediante conferimento in Trust rendendolo non aggredibile dei creditori. In questo caso, la causa in concreto perseguita dal disponente si pone in contrasto con le norme di cui agli articoli 13 e 15, lett e), della citata convenzione che comporta la nullità dell'atto istitutivo del Trust e comunque la nullità dell'effetto segregativo che ne scaturisce. Lo scopo di protezione dichiarato dal Trust costituisce pertanto non un mezzo di tutela del patrimonio nell'interesse dei creditori bensì un abusivo utilizzo del Trust finalizzato a sottrarre il disponente alla legislazione concorsuale italiana e quindi un atto negoziale in frode alla legge ex art. 1344 c.c., in quanto mira a realizzare effetti (la sottrazione del patrimonio dell'imprenditore insolvente ai creditori) ripugnanti per ordinamento giuridico italiano”.

E anche il Tribunale di Mantova ha conseguentemente subordinato la validità del Trust alla accennata clausola – si legge che “il trust cd. liquidatorio istituito quando l'impresa si trova in stato di insolvenza può armonizzarsi con l'art. 15 della Convenzione dell'Aja 1 luglio 1985 … esclusivamente alla condizione che contenga clausole che ne limitino l'operatività in caso d'insolvenza e che prevedono la restituzione agli organi della procedura concorsuale dei beni conferiti in Trust. In difetto di tale previsione, l'atto istitutivo del trust deve ritenersi affetto da nullità in quanto diretto ad eludere norme imperative che presiedono alla liquidazione concorsuale”.

Ma se, come ha rilevato dal Tribunale di Milano, il Trust che non è fattibile realizza una “liquidazione atipica … nella sostanza distrattiva dei beni sociali”, allora il Trust è invalido o inefficace indipendentemente dall'esistenza della clausola. E se l'inefficacia è successiva, i beni rientrano automaticamente nella sfera di disponibilità del disponente e quindi del curatore fallimentare, senza la necessità di alcun atto di ri-trasferimento. Ai fini della pubblicità sarà sufficiente che il curatore annoti la sentenza dichiarativa di fallimento quale evento risolutivo del Trust.

E' possibile invece che nell'atto istitutivo sia inserita la clausola che preveda che in caso di fallimento il Trust continui ad operare come Trust “nudo”, nel qual caso il curatore può utilizzarlo, in alternativa all'esercizio provvisorio e all'affitto di azienda.

Il Tribunale di Reggio Emilia, con provvedimento 14 marzo 2011, ha ritenuto valido il Trust “che abbia il dichiarato scopo di agevolare il raggiungimento di eventuali accordi stragiudiziali di ristrutturazione dei debiti e/o il risanamento dell'esposizione debitoria”, individuando il terreno nel quale può dare i migliori frutti, specie se, come suggerito nel presente scritto, realizza un piano attestato ai sensi dell'

art. 67,

comma 2, lett. d), l. fall.

Tanto il Trust liquidatorio che quello di ristrutturazione vanno modellati, specie quanto ai tempi della segregazione, sui corrispondenti concordati giudiziali, recependo la giurisprudenza in materia.

Infine, il Trust potrebbe anche essere esecutivo di un concordato preventivo. I casi esaminati dalla giurisprudenza sono numerosi e hanno normalmente ad oggetto l'apporto da parte di terzi delle risorse destinate ad adempiere l'onere concordatario e sono condizionati all'omologazione. Sono operazioni nelle quali l'imprenditore, per assicurare la continuità aziendale, concede in affitto la sua azienda ad un affittuario, che promette di acquistarla una volta che il concordato sia stato omologato, e l'imprenditore stesso o un terzo conferiscono a un Trust le risorse ulteriori necessarie per adempiere all'onere concordatario (v. Trib. Parma, 3 marzo 2005; Trib. Napoli 19 novembre 2008).

Il Trust potrebbe costituire anche l'onere di un concordato giudiziario, il mezzo per assegnare l'azienda a quei creditori che aderendo alla proposta concordataria si siano obbligati a soddisfare coloro che non hanno voluto o potuto accettare la datio in solutum.

Il Trust liquidatorio e la cessio bonorum (osservazioni alla sentenza del Tribunale di Reggio Emilia 2 maggio 2012)

Le riflessioni che precedono consentono di leggere criticamente, ma anche di trarre utili spunti, dalla recente sentenza del

Tribunale di Reggio Emilia 2 maggio 2012

, secondo la quale “la circostanza che un imprenditore insolvente possa gestire la crisi dell'impresa attraverso la cessio bonorum prevista dagli

articoli 1977 seguenti c.c. e quindi attraverso contratto tipico previsto dall'ordinamento, che altro non è che una mera esplicazione dell'autonomia contrattuale …. consente di escludere che la disciplina dell'insolvenza dettata dalla legge fallimentare debba considerarsi inderogabile”.

Da ciò ha dedotto “l'inapplicabilità al Trust istituito per la gestione dell'insolvenza dell'art. 15 della Convenzione dell'Aja”, del principio della inderogabilità delle norme poste “a protezione dei creditori in caso di insolvibilità”. Ed ha aggiunto, per quel che concerne i “rapporti fra trust fallimento, … che il fallimento del disponente (originariamente in bonis al momento dell'istituzione) non può incidere sull'atto di Trust che ha già definitivamente spiegato ed esaurito i suoi effetti”, perché “nel diritto di Trust … il disponente «esce di scena» e una vicenda successiva attinente a settlor non può determinare effetti sulla vita del Trust, tanto meno assurgendo a causa sopravvenuta di invalidità dell'atto istitutivo”.

Il Trust di ristrutturazione o di liquidazione non è alternativo o elusivo della cessio bonorum, ma ne costituisce un'evoluzione utilizzabile quando la soddisfazione dei creditori non potrebbe che avvenire attraverso la gestione o la liquidazione dell'azienda, perché, come accennato, consente di gestirla con la limitazione della responsabilità al patrimonio destinato. Entrambi sono strumenti con funzione solutoria, e se non la assolvono, il debitore non è liberato dalla sua obbligazione .

Ma dedurre da ciò che il debitore esca di scena con la cessione dei beni o con il Trust ne corre. Se essi non assolvono alla funzione solutoria il debitore che non è liberato dal suo debito (per la cessione v. l'

art. 1984 c.c.

), se fallibile, rischia il fallimento.

Il che non esclude che il Trust, come la cessione, possa essere configurato come una datio in solutum, come concordato remisssorio stragiudiziale (v. per la cessione l'

art. 1984 c.c.

, che prevede il patto contrario), nel qual caso da mezzo per adempiere si identifica con l'adempimento.

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