Riflessioni sul concordato con continuità dopo il D.L. 83/2015

Daniele Fico
09 Febbraio 2016

Le recenti novità apportate dal D.L. 83/2015 hanno accentuato il favor del legislatore verso il concordato con continuità rispetto a quello liquidatorio, destinato con ogni probabilità ad un'auspicata abolizione, o comunque ad una diversa configurazione, rendendo necessaria, allo stesso tempo, una chiara definizione del concetto di continuità aziendale. L'Autore, dopo aver esaminato la disciplina speciale del concordato in continuità, si sofferma sulla riconducibilità dell'affitto di azienda all'ambito applicativo dell'art. 186-bis l. fall. e sull'impatto delle nuove disposizioni relative alla percentuale minima di soddisfacimento dei chirografari ed alle proposte concorrenti sul concordato con continuità.
Concordato in continuità, liquidatorio e misto

Come noto, il concordato con continuità aziendale ha trovato regolamentazione nel nostro ordinamento con il

D.L. 22 giugno 2012, n. 83

, convertito con modificazioni dalla

L. 7 agosto 2012, n. 183

, attraverso gli artt. 186-bis e 182-quinquies, comma 4 (ora comma 5),

l

.

fall

. (

L. Stanghellini, Il concordato con continuità aziendale, in Fall., 2013, 1225, in particolare nota 14;

M. Fabiani, Diritto fallimentare. Un profilo organico, Bologna, 2011, 610 ss.; C. Esposito, Il piano del concordato preventivo tra autonomia privata e limiti legali, in Le nuove procedure concorsuali, a cura di S. Ambrosini, Torino, 2008, 543). In particolare, ai sensi del primo comma dell'art. 186-bis, lo stesso opera quando il piano di concordato prevede:

a)

la prosecuzione dell'attività d'impresa da parte del debitore;

b)

la cessione dell'azienda in esercizio;

c)

il conferimento dell'azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione.

Il concordato con continuità (detto anche di risanamento) si

fonda, quindi, su un piano aziendale che prevede la prosecuzione dell'attività d'impresa al fine del superamento della crisi e del recupero della solvenza del debitore e

rappresenta un'alternativa al concordato con cessione dei beni semplicemente liquidatorio (senza continuazione dell'attività)

.

A queste due tipologie di concordato preventivo nella prassi se ne aggiunge una terza, nota come concordato misto, caratterizzato dalla coesistenza di una componente di continuità aziendale ed una liquidatoria.

Sulla definizione di tale forma di procedura concordataria non vi è unanimità di vedute. Secondo alcuni studiosi, infatti, il concordato si definisce misto quando alla prosecuzione dell'attività si affianca

la cessione a terzi dell'azienda in esercizio o il suo conferimento in una o più società (

F. Lamanna, Che cos'è e quando è configurabile il cd. concordato “misto”?, in ilFallimentarista.it, 16 settembre 2015; R. Amatore, Il concordato c.d. misto ed i limiti di compatibilità con il concordato con continuità aziendale e il concordato liquidatorio, in ilFallimentarista.it, 4 luglio 2014)

; secondo altri, invece, quando alla prosecuzione dell'attività aziendale si affianca la liquidazione

dei beni estranei al perimetro aziendale e non funzionali alla prosecuzione dell'attività medesima (

Trib. Roma 31 luglio 2015

, decr., con nota critica di L. Campione, Concordato in continuità con cessione dei beni: è necessario nominare un liquidatore giudiziale?, in ilFallimentarista.it, 5 novembre 2015;

Trib. Roma 22 aprile 2015, n. 17

, decr., in ilFallimentarista.it, 15 settembre 2015;

Trib. Nola 23 settembre 2014

e

Trib. Ravenna 19 agosto 2014

).

Tale opinione, tuttavia, a parere di chi scrive non è scevra da critiche dal momento che,

trovando la sua ratio nello stesso

art. 186

-bis

l

.

fall

. - che consente infatti al proponente di prevedere la liquidazione di beni non funzionali - parrebbe più propriamente potersi considerare come una delle modalità di esecuzione della proposta di concordato con continuità aziendale.

La differenza, a ben vedere, non è di poco conto, in quanto la non corretta configurazione della procedura concordataria origina dubbi in relazione alla disciplina da applicare - quella speciale

ex

art. 186-

bis

e

182-

quinquies,

comma 5, l

.

fall

. o quella di cui all'art. 182; l'eventuale applicazione della percentuale minima di soddisfacimento dei creditori chirografari ex art. 160, comma 4; quella inerente alle proposte concorrenti; nonché sulla necessità della nomina del liquidatore giudiziale.

Nel concordato con continuità aziendale, infatti, il “piano può prevedere anche la liquidazione dei beni non funzionali all'esercizio dell'impresa”, ma è il debitore a dover procedere alla loro liquidazione ed al pagamento dei creditori in misura in ogni caso superiore a quella che potrebbe loro derivare dalla liquidazione dell'intero patrimonio della società (

Trib. Milano 1 marzo 2014

, decr., in ilFallimentarista.it

).

Nel concordato liquidatorio, al contrario, in virtù della cessione dei beni ai creditori le operazioni anzidette sono svolte dal liquidatore giudiziale nominato ai sensi dell'

art. 182 l

.

fall

.

Sulla questione, per la prevalente giurisprudenza di merito, al fine di individuare le norme da applicare in presenza di concordato misto, è necessario verificare se le operazioni di dismissioni previste, ulteriori rispetto all'eventuale cessione dell'azienda in esercizio, siano o meno prevalenti in termini quantitativi e qualitativi, rispetto al valore dell'azienda che permane in esercizio, anche se per mezzo di cessione a terzi (

Trib. Pistoia 29 ottobre 2015

, in ilFallimentarista.it, 25 novembre 2015, con nota critica di C. Ravina, Concordato preventivo: prime applicazioni delle nuove disposizioni di cui al

d.l. 83/2015

;

Trib. Roma 24 marzo 2015

,

Trib. Vercelli 13 agosto 2014

e

Trib. Mantova 19 settembre 2013

)

.

In tale circostanza, infatti, non sembrano esservi alternative all'adozione della teoria della prevalenza, cioè “di quel criterio ermeneutico che, nel caso di contratto misto, conduce all'applicazione della disciplina dello schema negoziale tipico al quale siano riconducibili gli elementi prevalenti, senza peraltro escludere ogni rilevanza giuridica di quelli ulteriori”.

Le differenze tra la disciplina del concordato con cessione dei beni ed il concordato con continuità aziendale sono state ulteriormente accentuate con le recenti disposizioni introdotte dal

D.L. 27 giugno 2015 n. 83

, convertito dalla

L. 6 agosto 2015, n. 132

, concernenti la percentuale minima di soddisfacimento dei chirografari nella misura del venti per cento, imposta per il solo concordato liquidatorio, e la possibilità di sottrarsi al rischio di una proposta concorrente, proponendo ai chirografari una percentuale di soddisfacimento attestata al trenta per cento per il concordato con continuità, a fronte del quaranta per cento del concordato con cessione dei beni, che evidenziano il favor del legislatore verso il concordato con continuità rispetto a quello liquidatorio (

M. Vitiello, Concordato con continuità e liquidatorio dopo la riforma: elementi critici e proposte de iure condendo, in ilFallimentarista.it, 15 ottobre 2015; D. Galletti, Speciale decreto n. 83/2015 – Le proposte concorrenti nel concordato preventivo: il sistema vigente saprà evitare il pericolo di rigetto?, in ilFallimentarista.it, 15 settembre 2015).

La disciplina speciale del concordato con continuità

La disciplina del concordato in continuità si applica indistintamente a tutti i casi nei quali l'imprenditore in crisi prosegua nella sua attività d'impresa, sia nell'ipotesi in cui la gestione sia diretta a tempo indeterminato, che nell'ipotesi in cui la gestione, comunque diretta, sia funzionale al mantenimento dei valori in funzione di una cessione dell'azienda, realizzabile anche attraverso il conferimento in una o più società (sulla possibilità di continuità aziendale in presenza di affitto di azienda, v. infra par. 3).

Il concordato con continuità presuppone, quindi, la prosecuzione dell'attività imprenditoriale da parte del debitore nel corso della procedura, con la conseguente imputazione del rischio di impresa al debitore medesimo - attraverso una gestione diretta a tempo indeterminato o attraverso una gestione funzionale alla futura cessione o conferimento della medesima, volta comunque alla massimizzazione del valore di realizzo o del risanamento dell'azienda con maggiori prospettive di soddisfacimento dei creditori.

Per tale ragione, il legislatore richiede che il piano debba contenere anche un'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi alla prosecuzione dell'attività d'impresa, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura (

art. 186-

bis,

comma 2, lett. a, l

.

fall

.), nonché l'attestazione del professionista che la prosecuzione dell'attività d'impresa prevista nel piano concordatario sia funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori (

art. 186-

bis,

comma 2, lett. b, l. fall

.).

La ratio del secondo comma, lett. a), dell'art. 186-bis, è quella di fornire ai creditori adeguata evidenza, anche da un punto di vista economico e patrimoniale, delle conseguenze della continuità aziendale, al fine di consentire loro di valutare l'ammontare delle risorse destinate a tale scopo e, quindi, sottratte, almeno in una prima fase, all'immediato soddisfacimento dei

creditori.

Con riferimento al disposto di cui al secondo comma, lett. b), invece, l'attestatore dovrà acclarare che i proventi relativi all'attività caratteristica o, in alternativa, l'incasso derivante dalla collocazione dell'azienda in funzionamento sul mercato, sono tali da consentire di corrispondere ai creditori un importo maggiore rispetto a quello che, verosimilmente, riceverebbero in presenza di un concordato liquidatorio. In tale ottica, il settimo comma del sopra citato art. 186-bis stabilisce che, qualora nel corso di una procedura concordataria con continuità aziendale l'esercizio dell'attività imprenditoriale cessa o risulta dannosa per i creditori, senza che si proceda a variare il piano e la proposta in senso liquidatorio, il tribunale provvede alla revoca della procedura ai sensi dell'

art. 173

l. fall

.

Altra peculiarità del concordato con continuità è rappresentata dalla possibilità di prevedere nel piano - fermo quanto disposto dal secondo comma dell'

art. 160

l. fall

. - una moratoria fino ad un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione (art. 186-bis, comma 2, lett. c).

In tale circostanza, il legislatore chiarisce che i creditori muniti di cause di prelazione non hanno diritto di voto evidenziando, implicitamente, che tale diritto spetta comunque in presenza di moratoria superiore all'anno (

In questo senso M. Fabiani, Riflessioni precoci sull'evoluzione della disciplina della regolazione concordata della crisi d'impresa (appunti sul

d.l. 83/2012 e sulla legge di conversione)

, in Ilcaso.it, II, 303/2012).

La disposizione anzidetta, come osservato da recente giurisprudenza di merito, ha natura eccezionale e si giustifica con la peculiarità, tipica del concordato in continuità, della prosecuzione dell'attività commerciale, la quale giustifica il sacrificio degli interessi dei creditori prelazionari.

Per tale ragione, la moratoria non è applicabile al concordato liquidatorio nel quale vige, al contrario, il principio generale che impone al debitore di prevedere l'immediata cessione dei propri beni con effetto dalla data di omologazione del concordato (

Trib. Rovigo 15 maggio 2015).

A tal fine, è stato osservato che il richiamo al secondo comma dell'art. 160 “segna con chiarezza la distinzione tra moratoria e falcidia”: quest'ultima, infatti, attiene al quantum del soddisfacimento (che relativamente ai creditori privilegiati deve essere integrale, sempre però nei limiti della capienza del bene sul quale insiste la garanzia, stimato nella prospettiva della liquidazione fallimentare); la moratoria, a sua volta, attiene al tempo dell'adempimento.

La moratoria non deroga, tuttavia, all'

art. 55 l

.

fall

., richiamato per il concordato preventivo dall'

art. 169, comma 1, l

.

fall

. (

Trib. Milano 30 ottobre 2014

), motivo per cui gli interessi continuano a maturare anche nel periodo di dilazione, pur divenendo esigibili soltanto al termine del medesimo.

Altro elemento caratterizzante il concordato con continuità è la prosecuzione dei contratti con la pubblica amministrazione. Ai sensi del terzo comma dell'art. 186-bis, infatti, fermo restando quando disposto nell'

art. 169-

bis

l

.

fall

., i contratti in corso di esecuzione alla data di deposito del ricorso, anche se stipulati con pubbliche amministrazioni, non si risolvono per effetto dell'apertura della procedura; sono inefficaci eventuali patti contrari. In particolare, l'ammissione alla procedura di concordato preventivo non impedisce la continuazione di contratti pubblici qualora l'esperto attesta la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento.

Il quinto comma dell'art. 186-bis precisa, altresì, che l'ammissione al concordato preventivo non impedisce la partecipazione a procedure di assegnazione di contratti pubblici, quando l'impresa presenta in gara: a) la relazione di un professionista in possesso dei requisiti previsti dall'

art. 67, comma 3, lett. d),

l. fall

., che attesti la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto; b) la dichiarazione di altro operatore in possesso dei requisiti di carattere generale, di capacità finanziaria, tecnica, economica, nonché di certificazione, richiesti per l'affidamento dell'appalto, il quale si è impegnato nei confronti del concorrente e della stazione appaltante a mettere a disposizione, per la durata del contratto, le risorse necessarie all'esecuzione dell'appalto ed a subentrare all'impresa ausiliata nel caso in cui questa fallisca nel corso della gara ovvero dopo la stipulazione del contratto, ovvero non sia per qualsiasi ragione più in grado di dare regolare esecuzione all'appalto.

In ogni caso, successivamente al deposito del ricorso, la partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici deve essere autorizzata dal tribunale, previo parere del commissario giudiziale, ove nominato; in mancanza di tale nomina, provvede il tribunale (art. 186-bis, comma 4).

In presenza di concordato con continuità, infine, è consentito il pagamento dei debiti pregressi, a condizione che siano strategici per l'attività d'impresa, cioè necessari per la prosecuzione della medesima.

L'

art. 182-

quinquies

, comma 5, l

.

fall

., infatti, consente al debitore che presenta domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo, anche con riserva, di

chiedere al tribunale l'autorizzazione, assunte se del caso sommarie informazioni, a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi, se un professionista in possesso dei requisiti suddetti attesta che queste prestazioni sono essenziali per la prosecuzione dell'attività d'impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori.

L'attestazione del professionista non è comunque necessaria per pagamenti effettuati fino a concorrenza dell'ammontare di nuove risorse finanziarie che vengano apportate al debitore senza obbligo di restituzione o con obbligo di restituzione postergato alla soddisfazione dei creditori.

Senza dubbio la disposizioni di cui al quinto comma dell'art. 182-quinquies rappresenta un'importante deroga al principio della

par condicio creditorum nell'ambito del concordato, poiché permette di pagare alcuni creditori concorsuali prima del tempo previsto ed al di fuori dei riparti (

R. Amatore, L. Jeantet, Il nuovo concordato preventivo, Milano, 2013, 298. In giurisprudenza, v.

Trib. Modena, 15 dicembre 2012

, decr); deroga che trova giustificazione con la difficoltà di proseguire per altra via nell'attività d'impresa se non si assicura il pagamento anche dei debiti anteriori per forniture di beni e servizi di importanza fondamentale per il mantenimento dell'azienda in

esercizio.

La disposizione anzidetta interviene, di fatto, in una duplice direzione: da un lato, limitando la possibilità del pagamento alle sole prestazioni essenziali per la prosecuzione dell'attività d'impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori; dall'altro, rendendo possibile l'anzidetto pagamento nel

periodo intercorrente tra la presentazione della domanda ed il decreto di ammissione ed estendendo, peraltro, almeno astrattamente, la possibilità di presentare la richiesta anche nel caso in cui il debitore abbia depositato una domanda di ammissione con riserva (

Trib. Modena 22 ottobre 2012

, decr.

Per

Trib. Milano 22 dicembre 2014

)

.

Continuità aziendale diretta e continuità indiretta: la questione dell'affitto di azienda

Tra le questioni maggiormente dibattute, in considerazioni anche delle sue implicazioni di ordine pratico, va senza dubbio annoverata quella inerente alla riconducibilità dell'affitto d'azienda all'ambito applicativo dell'

art. 186-

bis

l

.

fall

., posto che tale disposizione, accanto alla fattispecie della c.d. continuità diretta (cioè la prosecuzione dell'attività ad opera del medesimo imprenditore in crisi), non fa alcuna menzione di questa ipotesi (c.d. continuità indiretta), citando soltanto la cessione di azienda in esercizio e il suo conferimento.

Al riguardo, secondo una tesi, sarebbe opportuno distinguere l'affitto “fine a se stesso”, cioè l'ipotesi di prosecuzione dell'attività aziendale per mezzo dell'affittuario senza tuttavia prevedere contestualmente un obbligo di acquisto a suo carico entro un dato termine, da quello propedeutico al trasferimento dell'azienda o di un ramo della medesima.

Il primo non rientrerebbe nel perimetro della fattispecie in esame, come si evince, peraltro, dallo stesso tenore letterale del più volte menzionato art. 186-bis (Trib. Avezzano 22 ottobre 2014 e Trib. Patti 12 novembre 2013). Diversa, invece, sarebbe l'ipotesi di affitto prodromico alla cessione del complesso aziendale, nella duplice forma sia di contratto la cui stipulazione rappresenti un elemento del piano concordatario (in quanto tale di futura realizzazione), sia di contratto pendente all'epoca del deposito del ricorso di cui all'

art. 161 l

.

fall

.

Sulla riconducibilità dell'affitto di azienda nel perimetro applicativo del concordato in continuità si conoscono opinioni diametralmente opposte.

Secondo un orientamento, il concetto di continuità aziendale va inteso in senso oggettivo e, dunque, ben può sussistere anche in presenza di procedure concordatarie che conducono alla dissoluzione dell'imprenditore e comportano il travaso dell'azienda a terzi, purché l'azienda in sé e per sé non venga meno. La nozione di continuità aziendale ricomprenderebbe, pertanto, sia la fattispecie della continuità diretta dell'attività in capo all'imprenditore, sia quella della continuità indiretta.

In tale ottica, l'affitto di azienda stipulato prima della presentazione della domanda di concordato, come quello da stipularsi in corso di procedura concordataria non sarebbe, nel caso in cui vi sia la previsione di successiva cessione dell'azienda in esercizio, di ostacolo all'applicabilità della disciplina tipica del concordato in continuità, essendo l'affitto un mero strumento giuridico ed economico finalizzato proprio ad evitare una perdita di funzionalità ed efficienza dell'intero complesso aziendale in vista di un suo successivo passaggio a terzi (

Trib. Bolzano 10 marzo 2015

;

Trib. Roma 24 marzo 2015

ò;

Trib. Vercelli 13 agosto 2014

;

Trib. Cuneo 29 ottobre 2013

;

Trib. Mantova 19 settembre 2013

;

Trib. Monza 11 giugno 2013

, in ilFallimentarista.it).

Per i sostenitori di questa teoria, la riconducibilità dell'affitto di azienda al concordato in continuità troverebbe peraltro conferma nello stesso primo comma dell'art. 186-bis, che fa espresso riferimento ad un piano che preveda la “cessione dell'azienda in esercizio, sempre che il debitore sottoscriva un contratto di affitto di azienda, con impegno irrevocabile di acquisto, prima della presentazione della domanda di concordato, ovvero in pendenza di procedura (previa autorizzazione del giudice delegato ai sensi dell'

art. 167 l

.

fall

.), prevedendo, nella proposta, che il pagamento dei creditori avvenga con le risorse derivanti dai canoni corrisposti dall'affittuario in pendenza di procedura e dalla vendita dell'azienda a seguito dell'omologa (A. Maffei Alberti, Sub art. 186-bis, in Commentario breve alla legge fallimentare, diretto da A. Maffei Alberti, 2013, 1328; M. Arato, Il concordato preventivo con riserva, Torino, 2013, 149; A. Patti, Il pagamento di debiti anteriori

ex

art. 182-

quinquies,

4° comma, legge fall
. in favore dell'affittuario in continuità aziendale, in Fall., 2014, 196).

Del resto, lo spartiacque cui ricorrere è di tipo oggettivo, non soggettivo: quello che conta è che l'azienda sia in esercizio (non rileva se ad opera dell'imprenditore medesimo o di un terzo), tanto al momento dell'ammissione alla procedura di concordato preventivo, quanto all'atto del suo successivo trasferimento, apparendo in tale circostanza incontestabile che il rischio d'impresa continui a gravare, seppure indirettamente, sul soggetto in concordato e che l'andamento dell'attività incida, in ultima analisi, sulla fattibilità del piano.

All'interno di tale orientamento si contraddistingue una corrente dottrinaria che, tuttavia, reputa in continuità esclusivamente l'affitto di azienda successivo alla domanda di concordato (o, benché anteriore, con effetto successivamente alla domanda, in conformità alle regole della procedura) e non anche l'ipotesi di affitto anteriore alla domanda, poiché “non sembra questa, obiettivamente, la fattispecie considerata dal legislatore nel dettare la norma, specie là dove essa postula la necessità di indicare i costi e i ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività, nonché le risorse finanziarie necessarie e le relative modalità di copertura”.

Secondo un orientamento giurisprudenziale e dottrinale più rigoroso, invece, tale fattispecie integra, di fatto, un concordato liquidatorio e non rientra nella figura del concordato con continuità neppure come ipotesi di “cessione dell'azienda in esercizio”, dal momento che l'espressione “in esercizio” va interpretata nel senso che l'azienda debba rimanere nella gestione del debitore sino alla fase esecutiva del piano di concordato (cioè quella successiva all'omologa) in cui verrà ceduta per l'appunto “l'azienda in esercizio” (

Trib. Busto Arsizio 1 ottobre 2014

; Trib. Arezzo 27 febbraio 2015;

Trib. Ravenna 29 ottobre 2013

;

Trib. Terni 28 gennaio 2013

. Trib. Ravenna 28 aprile 2015).

La continuità aziendale, pertanto, andrebbe intesa come continuità diretta, con conseguente esclusione nel perimetro applicativo della norma dettata dall'

art. 186-

bis

l. fall

. dell'affitto d'azienda oggetto del patto di concordato. A tale conclusione si giungerebbe sia per l'argomento testuale di cui al primo comma dell'articolo citato; sia perché in questa ipotesi non si ha trasferimento di proprietà (F. Lamanna, La legge fallimentare dopo il decreto sviluppo, Milano, 2012, 58; R. Amatore, Concordato con continuità aziendale e requisiti di ammissibilità, in ilFallimentarista.it, 6 settembre 2013); sia, infine, per la mancanza di riferimento all'affittuaria al terzo comma del medesimo art. 186-bis, laddove sono menzionate come beneficiarie della continuazione dei contratti con la pubblica amministrazione soltanto le società cessionarie o conferitarie dell'azienda (

Trib. Pordenone 4 agosto 2015

, in ilFallimentarista.it.).

Le suddette considerazioni, unitamente al fatto che la principale conseguenza dell'attività in svolgimento, e quindi della continuità aziendale, è rappresentata dal rischio d'impresa che continua a gravare sul debitore, ossia prestatore di equity e sui creditori, ossia prestatori di capitale di credito, mentre in presenza di affitto d'azienda tale rischio ricade esclusivamente sull'affittuario, hanno indotto attenti studiosi a considerare incompatibile il concordato in continuità con l'affitto d'azienda (F. Lamanna, Ancora sulla incompatibilità fra affitto di azienda e concordato con continuità aziendale, in ilFallimentarista.it, 18 giugno 2015; D. Galletti, La strana vicenda del concordato in continuità e dell'affitto di azienda, in ilFallimentarista.it, 3 ottobre 2012; F. Di Marzio, Affitto d'azienda e concordato in continuità, in ilfallimentarista.it, 15 novembre 2013).

Il concordato in continuità dopo il D.L. 83/2015

La configurazione di un concordato preventivo “in continuità” o meno oggi, dopo l'entrata in vigore del già citato

D.L. 83/2015

, è diventata ancora più rilevante, non solo per stabilire - come chiarito in precedenza - se si tratta di applicare la disciplina speciale di cui agli

artt. 186-

bis

e

182-

quinquies,

comma 5, l

.

fall

., ma anche per definire se il debitore sia o meno vincolato ad assicurare il pagamento ai chirografari di almeno il venti per cento.

Con l'intento di evitare abusi nel ricorso alla procedura di concordato e, comunque, effetti eccessivamente penalizzanti per i creditori, il novellato

art. 160, comma 4, l

.

fall

. (non applicabile, per espressa volontà legislativa, al concordato con continuità), richiede il rispetto della soglia minima del venti per cento per il soddisfacimento dei creditori chirografari.

Al riguardo, è stato affermato come l

'esenzione del concordato con continuità da tale limite corrisponda ad una logica di “mera incentivazione normativa della ristrutturazione aziendale in sé, di matrice politica”: non è infatti esentato soltanto il piano in continuità soggettiva e diretta, in considerazione di una sua presunta maggiore difficoltà, ma qualsiasi forma di concordato “che porti a non disgregare il compendio aziendale che aspiri a restare in esercizio, anche se trasferito a terzi” (D. Galletti, E' ancora attuale dopo la riforma “d'urgenza” il tractatus misteriosoficus delle sezioni unite?, in ilFallimentarista.it, 23 settembre 2015).

Sulla questione giova osservare che la reintroduzione di una percentuale minima potrebbe provocare un uso distorto dell'istituto, facendo “passare” come in continuità piani concordatari che altrimenti lo sbarramento del venti per cento potrebbe impedire, lasciando come unica alternativa praticabile per quei debitori il fallimento.

Secondo una giurisprudenza di merito, che tra le prime (almeno tra quelle, ad oggi, edite) ha fornito una interpretazione delle novità introdotte dal citato

D.L. 83/2015

, per “necessaria simmetria sistematica” la predetta regola generale sulla soglia minima del venti per cento determina un riflesso anche sulla percentuale minima di accesso al concordato in continuità che, seppure non vincolato dalla soglia legale di accesso,

deve comunque essere formulata non in termini di previsione, ma di

assicurazione della percentuale di soddisfazione; percentuale che, in ogni caso, non potrebbe essere inferiore al 5% dell'ammontare dei crediti chirografari.

La disposizione sopra menzionata deve comunque essere coordinata con quanto previsto dal novellato

art. 161, comma 2, lett. e),

l. fall

., nel quale, con riferimento al contenuto del piano, è stato aggiunto un inciso finale che precisa: “in ogni caso la proposta deve indicare l'utilità specificamente individuata che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore”.

Sotto il profilo interpretativo, il termine “utilità” pare doversi intendere come qualsiasi vantaggio suscettibile di valutazione economica e, quindi, con riferimento al concordato con continuità, a benefici “assai diversi dal denaro e dall'attribuzione di beni in natura” (come, a titolo esemplificativo, la prosecuzione di rapporti commerciali con determinati fornitori, la salvezza dalla revocatoria di atti altrimenti destinati alla declaratoria di inefficacia, e così via”); l'espressione “ciascun creditore”, a sua volta, come riferita a ciascuna categoria di creditori.

Le differenze tra concordato in continuità e concordato liquidatorio apportate dal

D.L. 83/2015

non si limitano, tuttavia, alla disposizione di cui all'

art. 160, comma 4,

l. fall

. Soltanto con un piano di concordato con continuità, infatti, è possibile sottrarsi al rischio di una proposta concorrente, attraverso la proposizione ai chirografari di una percentuale di soddisfacimento, attestata dal professionista nominato dal debitore, non inferiore al trenta per cento, a fronte del quaranta per cento previsto nel caso di concordato liquidatorio (

art. 163, comma 4,

l. fall

., come innovato dall'

art. 4 D.L. 83/2015

).

In relazione a questo nuovo istituto risulta opportuno evidenziare, in primo luogo, il venire meno nel concordato preventivo del monopolio del debitore nella legittimazione alla presentazione di una proposta da sottoporre all'approvazione del ceto creditorio ed alla omologazione da parte del tribunale, con i conseguenti interrogativi a carattere generale sulla natura giuridica di tale procedura. Avvenuta l'omologazione di una proposta proveniente dal creditore concorrente, infatti, non vi è più margine per parlare di concordato preventivo in termini di accordo tra debitore e creditori, dal momento che il debitore non è parte dell'accordo medesimo che coinvolge il creditore proponente e la massa dei creditori (

G. D'Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, in Fall., 2015, 1163 ss.)

.

In secondo luogo, relativamente al presupposto oggettivo delle proposte di concordato concorrenti, occorre rilevare che la responsabilità del superamento della soglia è rimessa alla severità dell'attestatore che, quindi, svolge anche una funzione di certificatore della percentuale di soddisfacimento minima, e non – a differenza di quanto prescritto dal quarto comma dell'art. 160 (in tema di percentuale di soddisfacimento minima dei chirografari) - alla idoneità del debitore di “assicurare” il suo raggiungimento.

A questo proposito, si può discutere in relazione a se il Tribunale debba limitarsi alla verifica dei requisiti minimi della relazione di attestazione

ex

art. 161, comma 3, l

.

fall

., o se, come pare lecito ritenere, abbia poteri di controllo più ampi, con la conseguenza che, laddove il commissario giudiziale nella relazione

ex

art. 172 l

.

fall

. ritenga non fattibile il raggiungimento della soglia minima sopra citata, risulterebbe integrato il presupposto oggettivo ed il Tribunale ben potrebbe ammettere proposte di concordato concorrenti (F. Lamanna, La miniriforma (anche) del diritto concorsuale secondo il decreto “contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: un primo commento. Parte II, in ilFallimentarista.it, 29 giugno 2015).

Sul tema, giova infine far presente che attenta dottrina si è posto l'interrogativo relativo a se il “competitor possa in concreto formulare una proposta concorrente di concordato con continuità aziendale, intesa come tale in senso stretto”, anche al fine di usufruire dei particolari benefici che i sopra citati

artt. 186-

bis

e

182-

quinquies

, comma 5, l

.

fall

., attribuiscono in questo caso al debitore, per poi concludere negativamente, in considerazione dello stesso tenore dell'art. 186-bis che espressamente presuppone che sin dall'inizio della procedura concordataria, “oltre che nella fase post-omologa, l'impresa sia gestita dal debitore proponente” (F. Lamanna, Le nuove proposte concorrenti: è configurabile un concordato con continuità aziendale del creditore competitor? A quali limiti è soggetta la sua proposta?, in IlFallimentarista.it, 23 ottobre 2015).

Conclusioni

Le recenti innovazioni legislative hanno evidenziato sicuramente l'accentuarsi di un atteggiamento di favor per il concordato con continuità, con conseguente indebolimento di quello con cessione dei beni, tipologia concordataria destinata ad un'auspicata abolizione, o comunque ad una diversa configurazione.

L'asimmetria creata a vantaggio del concordato in continuità, primo vero e potente “incentivo” per tale tipologia di concordato, “con repentina inversione di rotta rispetto all'impianto sistematico di fondo del 2012, che lo vedeva semmai come un rischio potenziato da circondare di cautele, aumenterà l'appetibilità di talune interpretazioni operative volte a dilatarne i confini ben al di là di quanto una ricostruzione sistematica laica sembrerebbe consentire” (D. Galletti, Speciale decreto n. 83/2015 – Le proposte concorrenti nel concordato preventivo: il sistema vigente saprà evitare il pericolo di rigetto?, 15 settembre 2015).

Tuttavia, preso atto della netta preferenza del legislatore verso il concordato di risanamento, allo stesso tempo si rende necessaria una chiara definizione della continuità aziendale - con particolare riferimento alla continuità indiretta e, quindi, alla riconducibilità dell'affitto di azienda all'ambito applicativo dell'

art.

186-

bis

l

.

fall

. - e del concordato misto che, essendo in parte con continuità ed in parte liquidatorio, dovrebbe dare luogo alla nomina di un liquidatore giudiziale, figura che mal si concilia con la continuità aziendale medesima.

In ogni caso, il livello di guardia deve essere elevato dal momento che le nuove disposizioni in tema di concordato introdotte dal

D.L. 83/2015

potrebbero far sì che molti debitori, al fine di contare sul beneficio del soddisfacimento dei creditori chirografari senza limiti di sorta, o di sottrarsi al rischio di una proposta concorrente proponendo ai chirografari una percentuale di soddisfacimento attestata al trenta per cento (in luogo del quaranta per cento), si indirizzeranno verso la presentazione di concordati definiti in continuità, ma che di fatto non lo sono.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario