Le problematiche di natura fiscale connesse alla nuova disciplina della chiusura del fallimento

Alessandro Ireneo Baratta
22 Febbraio 2016

L'obiettivo del presente contributo è proporre una serie di spunti di riflessione emergenti dalle modifiche normative recentemente introdotte in ordine alla chiusura delle procedure fallimentari. Le regole in questione determinano una pluralità di criticità applicative che è importante analizzare e discutere anche al fine di avviare un dibattito sulle possibili soluzioni operative .
Le novità legislative

L'obiettivo del presente contributo è proporre una serie di spunti di riflessione emergenti dalle modifiche normative recentemente introdotte in ordine alla chiusura delle procedure fallimentari. Le regole in questione determinano una pluralità di criticità applicative che è importante analizzare e discutere anche al fine di avviare un dibattito sulle possibili soluzioni operative .

Come è noto, la

legge 6 agosto 2015 n. 132

che ha convertito il

DL 27 giugno 2015 n. 83

, modificando l'art. 118

l.

f

all

., ha stabilito che la chiusura della procedura di fallimento nel caso di riparto finale di cui al n. 3 della suddetta norma, non è impedita dalla pendenza di giudizi, rispetto ai quali il curatore può mantenere la legittimazione processuale anche nei successivi stati e gradi, ai sensi dell'

art. 43 l.

f

all

..

Poiché in tale caso, successivamente alla chiusura del fallimento, matureranno una serie di costi di natura processuale (compensi in favore dei legali, registrazione delle sentenze, integrazione del compenso del curatore), la norma precisa che le somme necessarie per le spese future nonché le somme incassate saranno trattenute dal curatore secondo quanto previsto dall'

art. 117, comma

2

, l.f

all

..

Viene altresì stabilito che, dopo la chiusura del fallimento, le somme ricevute dal curatore a seguito di provvedimenti definitivi sono fatte oggetto di riparto supplementare tra i creditori.

Il legislatore ha pertanto voluto affermare che:

  1. la pendenza dei

    giudizi non è di ostacolo alla predisposizione ed attuazione del riparto finale ed alla conseguente chiusura del fallimento a norma dell'

    a

    rt. 118,

    comma

    1

    , n. 3, l.f

    all

    .;

  2. la disposta chiusura del fallimento non è causa di improcedibilità di tali giudizi;

  3. la prosecuzione di questi ultimi, nonostante la cessazione della procedura fallimentare, avviene nel contraddittorio del curatore e nell'interesse, pertanto, della massa.

La dottrina, fino ad oggi, ha rilevato per lo più le conseguenze sotto il profilo civilistico e procedurale dell'approssimazione della norma in esame, nonché delle sue improprietà tecniche e lessicali, tali da renderne aleatoria la tracciatura del perimetro applicativo (MONTANARI M., La recente riforma della normativa in materia di chiusura del fallimento: primi rilievi, relazione presentata al convegno Le misure urgenti in materia fallimentare, svoltosi a Milano in data 22-23 settembre 2015).

Le principali problematiche di natura fiscale

In questa sede non ci si vuole soffermare su un aspetto di primaria importanza quale quello dell'applicabilità di tale norma non solo in pendenza di ordinari giudizi di cognizione, ma anche in pendenza di procedure esecutive (BROGI R., Il

D.L. 83/2015: tutte le novità in materia fallimentare

, in Quotidiano giur., 6 agosto 2015), ma si vuole porre brevemente l'accento sulle problematiche di natura fiscale che detta norma inevitabilmente comporta.

Nel caso di chiusura del fallimento in pendenza di giudizi, si aprono scenari con numerose problematiche derivanti dai conseguenti adempimenti di natura fiscale a carico del curatore. Ci si riferisce in particolare:

  1. all'eventualità, tutt'altro che remota, che le somme che devono essere incassate a seguito di favorevole esito del contenzioso siano soggette a fatturazione (come ad esempio lo svincolo di ritenute a garanzia relative ad un contratto di appalto dove tali importi vengono definiti solo all'esito del contenzioso);

  2. agli adempimenti fiscali del curatore quale sostituto d'imposta così come stabilito dall'

    art. 23, comma 1, del DPR 29 settembre 1973 n. 600

    nel testo in vigore dal 4 luglio 2006 (

    articolo 37, comma 1 del DL n. 223 del 2006

    ) che annovera espressamente tra i sostituti d'imposta il curatore fallimentare ed il commissario liquidatore.

Come è noto il curatore, nei casi di chiusura di cui ai numeri 3 e 4 dell'art. 118

l.f

all

., deve chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese e deve provvedere alla cessazione della partita Iva.

La chiusura della procedura, infatti (circolare ministeriale n. 26 del 22 marzo 2002), integra una fattispecie di cessazione dell'attività

ex art. 35 comma 4

del DPR 633/72

, anche nel caso di ritorno in bonis del soggetto fallito. Il curatore dovrà pertanto procedere alla presentazione della dichiarazione di cessazione dell'attività entro 30 giorni dal decreto di chiusura della procedura di fallimento di cui all'

art. 119 l.f

all

., e sarà tenuto all'adempimento di tutti gli altri obblighi connessi all'applicazione del tributo, compresa la presentazione della dichiarazione annuale, negli ordinari termini di legge.

Relativamente agli obblighi di fatturazione, ma anche di ricezione di fatture, appare di tutta evidenza che una volta cancellata la società dal registro delle imprese, e dopo aver provveduto agli adempimenti conseguenti di natura fiscale (cessazione dell'attività, presentazione delle dichiarazioni fiscali) che rappresentano degli obblighi a carico del curatore, lo stesso non potrà né provvedere all'eventuale emissione di fatture, né potrà procedere alla ricezione delle stesse (come ad esempio le fatture dei legali che hanno patrocinato la società nel corso del contenzioso), stante la chiusura della partita Iva della società fallita e la sua estinzione a seguito della cancellazione dal registro delle imprese.

L'orientamento dell'Agenzia delle Entrate (

risoluzione n. 232/E del 20 agosto 2009

) è quello di ritenere che non si possa procedere alla chiusura della partita Iva fintanto che non avviene la riscossione del credito, atteso che, per i rapporti creditori pendenti, oggetto di un procedimento giudiziario in corso, la riscossione risulta ragionevolmente possibile.

Il curatore si trova pertanto in una situazione per la quale deve procedere alla cancellazione della società dal registro delle imprese ed alla cessazione della partita Iva a seguito della chiusura del fallimento, ma si trova soggetto ad eventuali sanzioni derivanti dall'inosservanza di norme di natura fiscale in quanto impossibilitato ad emettere e ricevere fatture.

Non meno problematiche appaiono le conseguenze derivanti dagli obblighi facenti capo al curatore quale sostituto d'imposta. Ci si riferisce, in particolare, al versamento delle ritenute per i compensi pagati ai professionisti che, dopo la chiusura del fallimento, hanno prestato la propria attività per i giudizi in corso (spese legali, eventuali CTU et al.), nonché agli adempimenti conseguenti ad eventuali riparti supplementari laddove si prevedano somme da distribuire in favore di dipendenti e professionisti non ancora soddisfatti.

In tale caso il curatore, anche a distanza di anni dalla chiusura del fallimento, dovrà procedere ai conseguenti obblighi di versamento delle ritenute fiscali, al rilascio della certificazione unica (CU) in favore degli ex dipendenti, nonché alla presentazione della dichiarazione dei sostituti di imposta relativamente ad una società cancellata dal registro delle imprese e pertanto estinta nonché cessata anche ai fini fiscali, trovandosi di fatto impossibilitato ad adempiere compiutamente agli obblighi di natura tributaria stabiliti dal legislatore.

Ulteriori criticità

Sono state altresì ravvisate ulteriori criticità (MANCINELLI S., Brevi note sulla chiusura delle procedura fallimentare in pendenza di giudizi, in IL CASO.it, 26 ottobre 2015) aventi risvolti anche di natura fiscale quali:

  1. l'esistenza di un conto corrente bancario del fallimento, che dovrebbe rimanere acceso nonostante la chiusura della procedura, la cancellazione della società dal registro delle imprese e la cessazione della partita Iva e del codice fiscale;

  2. la permanenza dell'indirizzo di posta elettronica certificata della procedura che dovrebbe restare attivo nonostante il curatore debba procedere alla cancellazione della società dal registro delle imprese e le conseguenti problematiche connesse alla fatturazione del relativo costo da parte del gestore.

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