L'affitto d'azienda nelle procedure di concordato preventivo: aspetti problematici e criticità applicative

Alessandro Ireneo Baratta
09 Marzo 2016

L'affitto d'azienda nelle procedure concorsuali è stato disciplinato solo a partire dalla riforma della legge fallimentare del 2006. Sono tutt'ora dibattute alcune questioni, tra le quali assume particolare rilevanza quella relativa ai rapporti tra l'affitto d'azienda e il concordato in continuità. Gli Autori intendono proporre una serie di spunti di riflessione, emergenti dagli orientamenti di dottrina e giurisprudenza, in merito alla questione della riconducibilità o meno della prosecuzione dell'attività dell'impresa mediante lo strumento dell'affitto d'azienda alla disciplina prevista dall'art. 186-bis l.fall.
Introduzione

La disciplina dell'istituto dell'affitto dell'azienda all'interno delle procedure concorsuali è stata introdotta solo a seguito della riforma della

legge fallimentare

del 2006.

Fino ad allora, infatti, l'affitto di azienda costituiva esclusivamente una prassi operativa dei Tribunali che vi ricorrevano allorquando, per difficoltà funzionali, non era possibile procedere all'esercizio provvisorio dell'attività aziendale e, contestualmente, l'interruzione repentina della stessa poteva costituire la causa della dispersione di una serie di valori attinenti al patrimonio tecnologico, organizzativo e relazionale dell'azienda consolidati nel corso degli anni e difficilmente recuperabili. Del resto, è noto che gli intangibles, se da un lato rappresentano i fattori principali alla base del vantaggio competitivo, dall'altro, sono soggetti a rapido depauperamento nel caso di cessazione dell'attività imprenditoriale.

Prima della riforma del 2006, la linea seguita dal legislatore era caratterizzata da una insufficiente sensibilità giuridica verso l'azienda come bene in quanto tale, vale a dire come insieme di cespiti e valori suscettibili di un'autonoma e specifica valutazione nell'ambito di una procedura concorsuale, come invece in seguito è stato compreso e recepito dalla nuova disciplina fallimentare.

In passato, l'istituto aveva incontrato una vera e propria

resistenza da larga parte della dottrina, la quale considerava il processo fallimentare, per la sua natura, prettamente esecutivo e dunque incompatibile con qualsiasi attività di amministrazione accessoria. Il legislatore della riforma ha incentivato, invece, le forme di gestione dell'azienda affidata a terzi, le quali consentono di porre in essere attività di conservazione del patrimonio senz'altro utili, se non necessarie, ad una più proficua collocazione dell'azienda stessa nella successiva fase di liquidazione dell'attivo.

La recentissima miniriforma della

legge fallimentare

(

L. 6 agosto 2015, n. 132

), mutuando le regole pratiche di alcuni tribunali, ha poi introdotto l'art. 163-bis, il quale disciplina il procedimento di cessione ed affitto di azienda anche nel concordato preventivo.

A seguito della citata

L. 6 agosto 2015, n. 132

, il dibattito sul “concordato in continuità aziendale”, già instauratosi a seguito della riforma del 2012, è divenuto, dunque, di ancora più grande attualità, soprattutto in merito alla

funzione che l'affitto di azienda riveste nella qualificazione del tipo di concordato presentato dal debitore e ciò in considerazione di quanto previsto dal novellato

art. 160 l. f

all

.,

il quale, come noto, stabilisce che, nei concordati liquidatori, il proponente deve assicurare il pagamento di almeno il 20% dell'ammontare dei crediti chirografari.

Orbene, poiché detta norma, per espressa disposizione legislativa, si applica unicamente ai cosiddetti concordati liquidatori (rectius: non in continuità), ma non ai concordati in continuità aziendale di cui all'

art. 186-

bis

l.f

all

., ai fini dell'ammissibilità della proposta concordataria la funzione dell'affitto di azienda nella qualificazione della tipologia di concordato non può che assumere grande rilevanza.

L'affitto di azienda

costituisce un'operazione di natura straordinaria mediante la quale un'impresa (locatore) attribuisce a un'altra (affittuario) il diritto alla gestione di un'azienda o ramo d'azienda contro il pagamento di un corrispettivo, comportando di fatto l'affidamento della gestione dell'impresa a terzi.

Gli orientamenti della giurisprudenza e dalla dottrina in materia sollecitano una serie di spunti di riflessione

in merito alla questione della riconducibilità o meno della prosecuzione dell'attività dell'impresa mediante lo strumento dell'affitto d'azienda alla disciplina prevista dall'

art. 186-

bis

l.fall

.

Cenni alle diverse tesi formulate dalla dottrina e dalla giurisprudenza di merito

La dottrina (D. GALLETTI, La strana vicenda del concordato in continuità e dell'affitto di azienda, in ilFallimentarista.it,03.10.2012,; F. DI MARZIO, Affitto di azienda e concordato in continuità, in ilFallimentarista.it, 15.11.2013; F. LAMANNA, La

legge fallimentare

dopo il “Decreto Sviluppo”, Il Civilista, n. speciale 3/2012) ed in seguito anche la giurisprudenza di merito (Tribunale Terni, decr. 28.01.2013, decr. 02.04.2013; Tribunale Milano decr. 28.11.2013;

Tribunale

Busto Arsizio decr. 01.10.2014

) hanno ritenuto, in una prima fase, incompatibile l'affitto di azienda con il concordato in continuità aziendale in base a due considerazioni.

La prima si basa su un'interpretazione di tipo letterale-logico della norma, rilevando che il legislatore, nel definire l'ambito di applicazione della stessa, considera unicamente la cessione ed il conferimento dell'azienda in esercizio quali ipotesi di continuità indiretta.

Il Tribunale di Terni, infatti, con decreto del 12.02.2013 ha ribadito che l'

art. 186-

bis

l.f

all

. risulta circoscritto alle sole tre ipotesi di prosecuzione dell'attività d'impresa da parte del debitore, cessione dell'azienda in esercizio e suo conferimento in una società anche di nuova costituzione, con esclusione invece dell'affitto di azienda, pur se previsto in funzione della successiva cessione di azienda.

La seconda considerazione invocata a supporto della tesi dell'incompatibilità dell'affitto di azienda con il concordato in continuità è relativa al rischio d'impresa che incombe direttamente sull'affittuario e non sul debitore. I creditori sociali sopportano l'alea riconducibile alla gestione fintanto che l'azienda è condotta dall'imprenditore in concordato. Conseguentemente, nel caso in cui il contratto di affitto di azienda sia stato stipulato prima della presentazione della domanda, il rischio di impresa non graverà sui creditori, mentre nel caso di stipula nel corso della procedura, i creditori sarebbero soggetti a tale alea solo sino al momento della sottoscrizione.

A sostegno della tesi della dottrina, si è pronunciata anche la giurisprudenza di merito (

Tribunale di Terni, decr. 02.04.2013

) che ha rilevato come, nell'affitto di azienda, il vero soggetto che prosegue l'attività di impresa è l'affittuario, sebbene ciò non comporti la cessazione dell'attività da parte dell'affittante, il quale, oltre agli adempimenti marginali necessari al mantenimento della qualifica imprenditoriale, si limita di fatto a percepire i canoni pattuiti. E' stato altresì osservato che la presenza di un contratto di affitto di azienda stipulato prima del deposito della domanda o prima dell'omologazione del concordato preventivo esclude la continuità aziendale poiché non può contemplare l'esercizio dell'impresa come elemento di acquisizione del fabbisogno per il soddisfacimento dei creditori (Tribunale Busto Arsizio, decr. 01.10.2014).

Si sono sviluppati, nel corso del tempo, anche orientamenti che non condividono la tesi dell'incompatibilità dell'affitto di azienda con il concordato in continuità aziendale (L. VAROTTI, Appunti veloci in tema di riforma della

legge fallimentare

del 2012, in Il Caso.it,25.10.2012). Essi trovano fondamento nell'elemento oggettivo della prosecuzione dell'attività dell'impresa che prescinde dal soggetto investito delle funzioni di governo. Secondo tali impostazioni, l'elemento rilevante ai fini della continuità di cui all'

art. 186-

bis

l.f

all

. è che l'azienda sia in esercizio, indipendentemente dal fatto che il complesso produttivo sia gestito direttamente dal debitore o indirettamente da un terzo (Tribunale Bolzano, decr. 27.02.2013).

E' stato osservato che l'affitto di azienda può rientrare nel perimetro di applicabilità della disciplina del concordato in continuità aziendale poiché rappresenta un mero strumento giuridico ed economico finalizzato ad evitare la perdita di efficienza e funzionalità dell'apparato produttivo in vista di una successiva cessione in favore di terzi (

Tribunale

Bolzano, decr. 10.03.2015

). In altre parole, secondo tale orientamento, l'affitto che persegue la finalità di continuare l'attività d'impresa altro non è che uno strumento volto a giungere alla cessione o al conferimento della stessa senza il rischio di perdita degli intangibles che un suo arresto produrrebbe in via irreversibile; pertanto, rappresenta uno strumento funzionale alla conservazione dell'impresa ed al miglior soddisfacimento del ceto creditorio.

La giurisprudenza di merito ha altresì affermato che, anche nell'ipotesi di previsione dell'affitto come elemento del piano concordatario in continuità, il rischio di impresa continua a gravare, seppure indirettamente, sul soggetto in concordato e che l'andamento dell'attività incide anche sulla fattibilità del piano (

Tribunale

Cuneo, decr. 31.10.2013

). I rischi che ne discendono sono quelli dell'inadempimento dell'affittuario al pagamento dei canoni di affitto e dell'eventuale prezzo di cessione nonché della possibile mala gestio dell'affittuario con conseguente riduzione del valore sia dei beni materiali che dell'avviamento.

Le criticità sotto il profilo aziendalistico

Le considerazioni formulate nei paragrafi precedenti evidenziano che non vi sono posizioni univoche in ordine alla compatibilità delle operazioni di affitto e successiva alienazione dell'azienda con le statuizioni normative di cui all'

art.186-

bis

l. f

all.

Se si analizza il tema in una prospettiva economico-manageriale, non si può non rilevare che l'affitto seguito da una successiva vendita difficilmente può essere assimilato a una situazione di continuità. Al riguardo, è opportuno osservare che la formulazione di una valutazione corretta sull'argomento presuppone la necessità di esaminare il contenuto del contratto in essere. Molto spesso, gli accordi sono caratterizzati da durata dell'affitto breve, canoni erogati in conto prezzo e opzione d'acquisto esercitabile dall'affittuario. In tale fattispecie, il contratto presenta una struttura assimilabile a una vendita rateale con la quale il proprietario concede all'affittuario la possibilità di un pagamento dilazionato del prezzo.

I canoni di locazione denotano un livello più alto di quello che sarebbe normalmente legato alla mera utilizzazione dell'azienda come complesso di beni e servizi organizzati giacché incorporano anche una quota di prezzo di vendita. In una situazione di vendita rateale nella quale l'alienante (società in concordato) consente all'acquirente (società affittuaria) di saldare il prezzo tramite il pagamento di una somma periodica definita canone di locazione è difficile sostenere che si tratti di continuità. Il venditore, infatti, potrebbe non svolgere più alcuna attività limitandosi al mero incasso dilazionato del prezzo.

Quanto detto può essere ulteriormente argomentato considerando la situazione di due società distinte:

  • Alfa, che ha concesso in affitto l'azienda a un terzo con canone mensile periodico di Euro 100, durata 12 mesi e prezzo complessivo di Euro 1.500 (saldo finale Euro 300);

  • Beta, che deve incassare un credito di Euro 1.500 da un terzo in un orizzonte temporale di 12 mesi tramite pagamenti mensili di Euro 100 per i primi 11 mesi e di 400 l'ultimo mese.

Le società hanno un credito verso un terzo di Euro 1.500 da incassare secondo le medesime tempistiche. Se si ipotizza che entrambe non abbiano altre attività, la situazione di Alfa e Beta è la medesima. Che la società Beta si trovi in uno stato di liquidazione è difficilmente negabile; per tale motivazione, non possono esservi dubbi sul fatto che anche A sia in una situazione analoga.

In base a quanto precedentemente osservato, se la società Alfa che ha stipulato un contratto affitto di durata 12 mesi con pagamento dei canoni in conto prezzo e attribuzione alla controparte della facoltà di esercitare l'opzione d'acquisto presentasse una domanda di concordato preventivo, essa - in un'ottica economico-aziendale - dovrebbe essere qualificata di natura liquidatoria. Tuttavia, si potrebbero prospettare una serie di criticità in termini di differente trattamento dell'anzidetta proposta concordataria rispetto a quella presentabile da un'altra società Gamma che avesse intenzione di continuare direttamente l'attività anziché concedere l'azienda in locazione. Infatti, Gamma potrebbe essere ammessa alla procedura di concordato di continuità ex art. 186-bis

l. f

all.

con il beneficio di non garantire un livello di adempimento minimo ai creditori chirografari.

Viceversa, Alfa - in virtù di quanto stabilito dall'

art. 160 l. f

all.

così come recentemente modificato dalla

L. 6 agosto 2015 n. 132

- dovrebbe assicurare un grado di soddisfacimento ai creditori chirografari di almeno il venti per cento. In altre parole, sarebbe più tutelata una società che continua direttamente l'attività rispetto a un'altra che ne trasferisce l'esercizio a terzi. Tale disparità di trattamento non è facilmente comprensibile. Se si analizza la questione dal punto di vista dell'esigenza di favorire la conservazione dei valori delle aziende e della tutela occupazionale, le situazioni di Alfa e Gamma non sembrano dissimili. L'unica differenza, infatti, deriva dal soggetto che svolge l'attività.

Si potrebbe sostenere che la tutela dell'occupazione non è uno degli obiettivi delle norme che regolano il funzionamento del concordato. Ed infatti, l'

art.186-

bis l. f

all.

richiede all'attestatore che la procedura di concordato preventivo di continuità sia idonea a garantire il miglior soddisfacimento dei creditori. In altre parole, sembra che l'impianto normativo del concordato sia orientato a perseguire prioritariamente finalità privatistiche piuttosto che pubblicistiche, come accade in altre procedure (es. amministrazione straordinaria). Tuttavia, anche in un'ottica privatistica, non pare vi siano motivazioni particolari a sostegno dei concordati con continuità diretta rispetto a quelli nei quali è previsto l'affitto con successiva cessione dell'azienda a terzi.

Conclusioni

In conclusione, è possibile affermare che le procedure di concordato nelle quali è previsto un affitto dell'unica azienda di proprietà del proponente con incasso di canoni di locazione in conto prezzo e facoltà del conduttore di esercizio dell'opzione d'acquisto, presentano caratteristiche economico-sostanziali tipiche della liquidazione, in quanto il locatore si limita ad un incasso rateale del prezzo di vendita già stabilito nel contratto. Tuttavia, ciò pone dei problemi di disparità rispetto ad altre situazioni nelle quali l'imprenditore continua direttamente l'attività e, quindi, non è soggetto ai vincoli di soddisfacimento minimo delle pretese dei creditori chirografari stabilite dall'

art. 160 l. f

all.

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