Concordato preventivo e “infalcidiabilità” dell'IVA

15 Gennaio 2016

Sembrerebbe ormai incontestabile l'intangibilità del credito IVA di cui l'Erario è titolare nei confronti dell'impresa in crisi che, pertanto, neppure in sede concordataria potrebbe mai subire falcidia alcuna.
Premessa

Sembrerebbe ormai incontestabile l'intangibilità del credito IVA di cui l'Erario è titolare nei confronti dell'impresa in crisi che, pertanto, neppure in sede concordataria potrebbe mai subire falcidia alcuna.

Copiosa, infatti, è la giurisprudenza, di legittimità e di merito, pronunciatasi in tal senso, i cui principi ispiratori, peraltro, sono stati di recente recepiti anche dall'

Agenzia delle Entrate nella circolare 6 maggio 2015, n. 19/E

.

Perfino quei Giudici che si erano “azzardati” ad affermare il contrario, hanno ben presto avvertito l'esigenza di “adeguarsi alla linea interpretativa della Corte di Cassazione”.

Ciononostante, ancora oggi, sul punto permangono considerevoli incertezze ed il decreto pronunciato il 26 maggio scorso dal Tribunale di Rovigo (

Trib. Rovigo, 26 maggio 2015

, ivi

) offre lo spunto per evidenziare le criticità della questione.

Come noto, la tesi secondo cui una proposta concordataria, sebbene formulata senza ricorrere allo strumento della transazione fiscale, potrebbe essere accolta se e solo se preveda sempre un pagamento integrale del credito IVA di cui l'Erario è titolare nei confronti dell'impresa si fonda essenzialmente su due considerazioni:

  • la qualificazione dell'IVA in termini di risorsa finanziaria propria dell'UE;

  • l'applicabilità dell'

    art. 182-ter l.

    fall

    . anche a fattispecie diverse dalla transazione fiscale, in ragione della dichiarata natura “sostanziale” di tale norma.

Analizzandole partitamente, si cercherà di vagliare le problematicità di tali assunti.

Sulla (im)possibilità di considerare l'IVA una risorsa finanziaria propria dell'UE

Come ricorda il Giudice Rovigiano, la non falcidiabilità dell'IVA parrebbe dipendere da “un (asserito) principio comunitario di inderogabile tutela dell'esazione del tributo indiretto, quale risorsa comunitaria, esclusa dalla disponibilità dello Stato”.

L'Erario, dunque, non potrebbe votare a favore di una proposta concordataria che preveda un pagamento soltanto parziale del credito IVA poiché ciò equivarrebbe ad un'inammissibile rinuncia (seppure parziale) ad un'imposta che, in quanto risorsa finanziaria propria dell'UE, sarebbe sottratta alla libera disponibilità degli Stati membri i quali non potrebbero, perciò, legittimarne la remissione (

Corte di Giustizia UE, 17 luglio 2008, causa C-132/06

), pena la violazione della disciplina che impone loro di garantirne una riscossione effettiva (G. La Croce, “Il credito erariale IVA tra orientamenti U.E. e arresti della Cassazione”, in Fall., 2012, 153 e ss

).

Una tale affermazione è però smentita se sol si consideri che:

1) sono le Istituzioni europee ad escludere l'IVA dal novero delle risorse finanziarie proprie dell'UE.

Infatti, già nel corpo della “Relazione esplicativa della convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee”, del 26 maggio 1997, l'attuale Consiglio dell'UE escluse dalle predette risorse “le entrate provenienti dall'applicazione di un'aliquota uniforme alla base imponibile IVA negli Stati membri, non essendo l'IVA una risorsa propria riscossa direttamente per conto della Comunità”.

Nella “Risoluzione del Parlamento europeo del 29 marzo 2007 sul futuro delle risorse proprie dell'Unione europea” si legge, inoltre, che l'IVA “non può considerarsi a tutti gli effetti una risorsa propria dell'Unione” trattandosi, piuttosto, di “uno strumento puramente statistico per calcolare il contributo di uno Stato membro” che, pertanto, non ha alcun legame con quanto riscosso da ciascun Paese presso il contribuente e, anzi, opera a prescindere dall'effettiva esazione dell'imposta da parte dei singoli Stati (Trib. Pescara, sent. 2 dicembre 2008).

Infine, la Commissione per i bilanci del Parlamento europeo, nel “Documento di lavoro sulla risorsa propria basata sull'imposta sul valore aggiunto”, del 19 giugno 2012, ha chiarito che “L'IVA non è più una risorsa propria autentica. Concepita inizialmente come fonte di una vera e propria entrata del bilancio dell'UE, attualmente la risorsa propria IVA sembra essere un'altra forma di contributo nazionale. Inoltre, il gettito IVA non è destinato direttamente al bilancio dell'UE, bensì costituisce un trasferimento dalle tesorerie degli Stati membri”.

Peraltro, a conferma del fatto che l'IVA non trovi posto tra le risorse finanziarie proprie dell'UE, si consideri che, nel 2008, il Legislatore, modificando il testo dell'

art. 182-

ter

l. fall

., ha aggiunto all'indecurtabilità delle risorse finanziarie proprie dell'UE l'ulteriore previsione dell'infalcidiabilità dell'IVA. Ebbene, se l'IVA fosse davvero una risorsa finanziaria propria dell'UE, che bisogno avrebbe avuto il Legislatore di inserire nel corpo della suddetta disposizione una puntualizzazione assolutamente pleonastica?

2) In secondo luogo, a prescindere se sia corretto o meno ricomprendere l'IVA nel novero delle predette risorse, non si potrebbe comunque predicarne l'infalcidiabilità invocando le pronunce (

Corte di Giustizia UE del 17 luglio 2008, causa C-132/06 e dell'11 dicembre 2008

, causa C-

174/07

) della Corte di Giustizia UE che hanno sancito il divieto per gli Stati di introdurre normative che consentano loro di rinunciare all'esazione o all'accertamento del tributo in questione (Corte di Giustizia UE, sent. 17 luglio 2008, causa C-132/ 06), pena la violazione della disciplina europea che gli impone “di adottare tutte le misure legislative e amministrative al fine di garantire che l'IVA sia interamente riscossa nel suo territorio”.

Vagliandone attentamente le argomentazioni, infatti, ci si avvede di come, in realtà, i Giudici lussemburghesi ravvisino una violazione della disciplina europea solo laddove lo Stato acconsenta ad una “rinuncia generale, indiscriminata e preventiva ad ogni attività di accertamento e verifica in materia di IVA”, in assenza di “una valutazione caso per caso delle circostanze” (sent.

Corte di Giustizia UE, 17 luglio 2008, causa C-132/06

).

Non anche, dunque, se (proprio come nel concordato preventivo) tale rinuncia non sia il risultato di un'aprioristica ed indistinta abdicazione alla riscossione del credito IVA (E. Stasi, “L'infalcidiabilità dell'IVA nel concordato preventivo alla luce della pronuncia della Corte costituzionale”, in Fall. 2015,

44; G. Falsitta, “Giustizia tributaria e tirannia fiscale”, Milano, 2008, 319).

Tant'è che anche per la Commissione UE, disposizioni del tipo di quelle dettate in materia di accertamento con adesione o di conciliazione giudiziale, permettendo di “transigere” le controversie tributarie sulla base di una valutazione caso per caso e/o dietro pagamento di una parte del tributo, non violano i principi di cui alla VI Direttiva e, perciò, sono pienamente legittime (G. La Croce, “Il credito erariale IVA tra orientamenti U.e. e arresti della Cassazione”, in Fall., 2012, 153 e ss

).

3) Infine, è bene evidenziare che in sede concordataria non sarebbe neppure configurabile una vera rinuncia in senso proprio.

Infatti, come precisa il Tribunale di Rovigo, “manca una disposizione del diritto tout court, essendo il risultato falcidiante l'effetto di una votazione e della imposizione del principio maggioritario”.

Lo Stato, dunque, come ogni altro creditore concordatario, non rinuncerebbe a recuperare l'imposta, ma, soggiacendo anch'esso alle regole generali del concorso ed al trattamento previsto dalla norma sull'ordine dei privilegi, non potrebbe che essere tacitato nei limiti della capacità patrimoniale del debitore e subire, perciò, gli effetti di una decisione che non dipende affatto dalla propria volontà, ma da una graduazione espressamente fissata dal legislatore.

Senza contare, poi, che, spesso, grazie all'approvazione del concordato, l'Erario ha la possibilità di massimizzare il proprio soddisfacimento, ottenendo più di quanto non incasserebbe in sede di procedura esecutiva individuale o fallimentare.

Conseguentemente un suo eventuale voto favorevole ad una proposta concordataria che contempli la falcidia del credito IVA non potrebbe mai integrare gli estremi di una rinuncia volontaria allo stesso, non essendo di certo possibile rinunciare a ciò che mai si incasserà.

Peraltro, accettare una somma minore ma di sicuro incasso, anziché persistere nel perorare una pretesa giuridicamente fondata ma di incerto realizzo è una decisione senz'altro più aderente al principio di economicità dell'azione amministrativa imposto dall'

art. 97 Cost.

che consente di massimizzare le risorse acquisibili per lo svolgimento dei compiti istituzionali dello Stato (Trib. Verona nell'

ordinanza 10 aprile 2013

).

Per concludere sul punto, mutuando le parole dell'Avvocato generale Eleanor Sharpston, è possibile affermare che “l'obbligo della riscossione effettiva non può essere assoluto” e, pertanto, “Il costo e la probabilità di riscossione devono essere valutati in rapporto alle entrate potenziali”.

Tant'è vero che, di recente, anche la Corte di Cassazione ha riconosciuto come “La stessa "irrinunciabilità" dei crediti tributari è, del resto, posta in crisi da disposizioni come l'articolo 17-bis nel corpo della legge 546/1992 … secondo cui la Amministrazione nel formulare la sua eventuale proposta di mediazione deve aver "riguardo all'eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell'azione amministrativa"; cioè, sembrerebbe alla eterna massima "pochi maledetti e subito", che induce a rinunciare ad una pretesa giuridicamente fondata, ma di incerto incasso, accettando una somma minore ma di sicuro incasso” (

Cass., sent. 1 luglio 2015, n. 13542

, ivi).

Sarebbe, dunque, alquanto paradossale considerare contraria ai principi europei una soluzione che, rispetto allo scenario fallimentare, consentirebbe all'Erario di massimizzare il gettito IVA.

Sulla (im)possibilità di applicare, in ogni caso, l'art. 182-ter l. fall. alla proposta di concordato preventivo in ragione della (asserita) natura sostanziale della norma in questione

Sul punto, il Tribunale di Rovigo richiama la sentenza 30 aprile 2014, n. 9541, con la quale la Corte di Cassazione ha ribadito il principio di diritto (Corte di Cassazione in occasione delle sentenze “gemelle” nn. 22931 e 22932, pronunciate il 4 novembre 2011) secondo cui “la disposizione, che esclude la falcidia concordataria sul capitale dell'IVA, ha natura eccezionale e attribuisce al credito un trattamento peculiare ed inderogabile; ne consegue che la sua portata sostanziale si applica ad ogni forma di concordato, ancorché proposto senza ricorrere all'istituto della transazione fiscale, attenendo allo statuto concorsuale del credito IVA”.

Tuttavia (tralasciando che dalla qualificazione dell'

art. 182-

ter

l. fall

. quale norma di “natura eccezionale” dovrebbe derivarne l'inapplicabilità, per analogia, a fattispecie diverse da quelle in cui la previsione stessa è collocata (M. Fabiani, “Dai principi generali alla falcidiabilità di tutti i creditori tributari”, in Ilcaso.it;

Trib. Benevento, decr. 25 settembre 2014

), se la regola che impone di pagare l'IVA in misura integrale fosse realmente una norma di carattere sostanziale e non processuale (asseritamente dettata da motivazioni afferenti la peculiarità del tributo in questione e per ciò stesso applicabile estensivamente anche oltre i confini della transazione fiscale), non si spiegherebbe, allora, né perché il Legislatore l'abbia introdotta nel corpo dell'

art. 182-

ter

l.fall

. anziché in quello (che sarebbe stato il più congeniale contesto) dell'art. 160 (M. Fabiani, “La falcidiabilità di tutti i crediti tributari e l'equivoco della lettura della Cassazione”, in Fall. 2014, 266), né per quale motivo il credito Erariale in questione non riceva un analogo “trattamento peculiare ed inderogabile” anche in sede di procedura esecutiva ordinaria, o in sede fallimentare (ove è pacificamente falcidiabile) (

Trib. Varese, sent. 30 giugno 2012

e

Trib. Como, sent. 29 gennaio 2013

, in ilFallimentarista.it).

Non sarebbe, infatti, più ragionevole, da un lato, supporre che, proprio in virtù del dato sistematico, un tale onere in capo al debitore sorga solo laddove egli abbia voluto avvalersi dei vantaggi conseguenti all'attivazione della transazione fiscale e non anche allorché abbia deciso di formulare, unicamente, una proposta di concordato preventivo la cui procedura, regolata dagli

artt. 160 ss. fall

., come noto, non contempla alcun obbligo di tacitazione integrale del credito IVA? Laddove, invece, si pretendesse di estendere i limiti di cui all'

art. 182-

ter

l. fall

. anche ad ipotesi di concordato preventivo privo di transazione fiscale, non si attribuirebbe, forse, una “connotazione illogica al sillogismo fondante espresso dalla stessa Suprema Corte, ovvero la non vincolatività dell'istituto ri-chiamato nell'ipotesi di concordato” (decreto

26 maggio 2015, del Tribunale di Rovigo

)?

Avrebbe senso attribuire al debitore la facoltà di formulare una proposta concordataria con o senza transazione fiscale se poi entrambe le soluzioni lo costringessero a sopportare, comunque, i medesimi oneri? (G. Andreani, “L'infalcidiabilità del credito iva nel concordato preventivo senza transazione fiscale”, in "Corriere tributario", n. 36/2014, 2795 e ss ). E, infine, non si rischierebbe per caso di frustrare la ratio sottesa alla stessa riforma della

Legge Fall

. il cui obiettivo era proprio quello di riconoscere alla disciplina del concordato preventivo una sempre maggiore flessibilità, al fine di favorire quanto più possibile la soluzione della crisi di impresa? Un'interpretazione focalizzata sulla natura sostanziale dell'

art. 182-

ter

l. fall

., infatti, non trasformerebbe l'istituto della transazione fiscale in un limite invalicabile alla soluzione della crisi di impresa piuttosto che in un'opportunità per l'imprenditore in crisi, che, a quel punto, potrebbe ricorrere allo strumento del concordato preventivo solo avendo una capienza sufficiente a pagare integralmente il debito IVA?

Per altro verso, se non fosse contestabile il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte, secondo cui le peculiarità che caratterizzano l'IVA ne impediscono un diverso trattamento a seconda del tipo di procedura esecutiva nell'ambito della quale concorre per la sua soddisfazione, allora per quale motivo se l'Erario, ad esempio, è creditore di un imprenditore non fallibile, tale imposta, essendo soggetta alla graduazione dei privilegi prevista dall'

art. 2778 c.c.

(che la colloca al 19° posto), verrebbe pagata solo dopo l'integrale soddisfacimento dei crediti di rango anteriore, mentre in sede concordataria essa assurge improvvisamente a rango di credito “superprivilegiato”?

A questi e ad altri interrogativi si spera possa finalmente dare risposta la Corte di Giustizia che, interpellata dal Tribunale di Udine (

Trib. Udine, ord. 28 novembre 2014

(udienza 30 ottobre 2014), in ilFallimentarista.it), sarà chiamata a decidere se “sia ammissibile una proposta di concordato preventivo che preveda … il pagamento soltanto parziale del credito dello Stato relativo all'IVA, qualora non venga utilizzato lo strumento della transazione fiscale e non sia prevedibile per quel credito – sulla base dell'accertamento di un esperto indipendente e all'esito del controllo formale del Tribunale – un pagamento maggiore in caso di liquidazione fallimentare”.

Il presente contributo è risultato vincitore del bando per la prima Borsa di Studio indetto dall'Associazione Veronese dei Concorusalisti (AVC).

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