Segnalazione a sofferenza alla Banca d'Italia. Lo stato attuale della giurisprudenza

Iacopo Santinelli
04 Aprile 2016

Premessi brevi cenni storici e tratteggiata la disciplina della normativa in tema di segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d'Italia, gli Autori analizzano le più recenti pronunce giurisprudenziali che si sono occupate del requisito dell'insolvenza del cliente, costituente il presupposto per la segnalazione a sofferenza, soffermandosi a valutare le possibili conseguenze della contestazione del credito da parte del cliente, nonché l'obbligo di preventiva comunicazione al cliente, da parte dell'intermediario, dell'imminente segnalazione a sofferenza.
Cenni storici

Con deliberazione del 16 maggio 1962, il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (C.I.C.R.) istituì la Centrale dei Rischi della Banca d'Italia.

La Circolare n. 139/1991 della Banca d'Italia (nel prosieguo: la “Circolare”) definisce la Centrale dei Rischi come “un sistema informativo sull'indebitamento della clientela delle banche e degli intermediari finanziari vigilati dalla Banca d'Italia” (art. 2), e cioè le banche iscritte all'albo di cui all'art. 13 D.Lgs. 385/1993 (nel prosieguo: T.U.B.), gli intermediari finanziari di cui all'art. 106 T.U.B. e le società di cartolarizzazione ex L. 130/1999.

Tale sistema informatico è aggiornato mensilmente dalle segnalazioni e dalle comunicazioni trasmesse dagli intermediari alla Banca d'Italia.

Il Governatore della Banca d'Italia, nella relazione allegata alla delibera istitutiva della Centrale dei Rischi, ha evidenziato come l'istituzione della Centrale Rischi risponda all'esigenza di arginare “i pericoli connessi” alla “moltiplicazione dei fidi”.

Essi, infatti, aggravano “le difficoltà di previsione delle perdite potenziali” in capo agli istituti eroganti, talchè il servizio centralizzato di informazione assolve al primario obiettivo di garantire la necessaria stabilità al sistema finanziario, in attuazione degli accordi sulla c.d. Stabilità Finanziaria introdotti dal Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria.

Tale esigenza è stata da sempre avvertita dal ceto bancario.

Basti pensare che in Italia il primo sistema informativo approntato dalle banche per la valutazione del merito creditizio è individuabile nello Schedario Regionale del Credito Agrario, istituito già sul finire del diciannovesimo secolo.

Successivamente, il R.D.L. 375/1936 (c.d. “Legge Bancaria”), a mezzo dell'art. 32, comma 1, lett. h), riconosceva agli enti di vigilanza in ambito bancario e finanziario il potere di assumere le cautele necessarie “per evitare gli aggravamenti di rischio derivanti dal cumulo dei fidi”.

Sulla scorta di tale disposizione, il C.I.C.R. emanò la suddetta delibera del 1962, istitutiva della Centrale dei Rischi.

Fonti e disciplina normativa

La Legge Bancaria venne in gran parte abolita dal T.U.B., attualmente vigente, il quale, in forza dell'art. 53, comma 1, lett. b) ha conferito alla Banca d'Italia il potere di adottare misure volte al contenimento del rischio di credito “in conformità delle deliberazioni del C.I.C.R.”.

La stessa norma è riprodotta all'art. 67, comma 1, lett. b) T.U.B. in tema di vigilanza consolidata, e all'art. 107, comma 2, lett. b) T.U.B. in relazione agli intermediari iscritti nell'albo speciale previsto in tale ultima disposizione.

L'art. 51 T.U.B. prevede l'obbligo in capo all'intermediario di inviare alla Banca d'Italia, con le modalità e nei termini dalla stessa stabiliti, “le segnalazioni periodiche” e “ogni altro dato e documento richiesto”.

Si vede quindi come il Legislatore si sia essenzialmente limitato, in ragione della particolare delicatezza e specificità tecnica proprie della materia, a conferire alla Banca d'Italia e al C.I.C.R. veri e propri poteri di normazione, evitando quindi di intervenire direttamente nel processo di formazione della norma.

Sulla scorta di tali poteri, la Banca d'Italia emanò, in data 11 febbraio 1991, la Circolare “Centrale Rischi. Istruzioni per gli intermediari creditizi”.

La deliberazione del C.I.C.R. del 29 marzo 1994, “Disciplina della Centrale dei Rischi. Coordinamento con le norme del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia”, completò il quadro normativo conferendo così operatività al sistema di contenimento del rischio creditizio.

La Circolare è stata periodicamente aggiornata nel corso del tempo dalla stessa Banca, da ultimo in data 29 aprile 2011 (aggiornamento n. 14).

Come si è visto, con la delibera del 1994, il C.I.C.R. affida alla Banca d'Italia il “servizio di centralizzazione del rischi creditizi”, stabilendo l'obbligo a carico degli intermediari creditizi di “comunicare periodicamente” alla Banca d'Italia, nei modi e nei termini da essa indicati, “l'esposizione nei confronti dei propri affidati e i nominativi a questi collegati” (Capitolo I, Sez. I, art. 1).

Le informazioni e i dati così assunti vengono successivamente aggregati dalla Banca d'Italia, la quale periodicamente trasmette agli istituti di credito “la posizione riepilogativa dei rischi complessivamente censiti al nome di ciascun affidatario” (Capitolo I, Sez. II, art. 2).

In particolare, “gli intermediari partecipanti sono tenuti a comunicare mensilmente alla Centrale dei Rischi tutte le informazioni di rischio della propria clientela rientranti nei limiti di censimento” (Capitolo II, Sez. 4, art. 1).

Ai sensi dell'art. 4 della delibera in commento, “i dati personali censiti dalla Centrale dei Rischi hanno carattere riservato” e possono essere comunicati a terzi dalla Banca d'Italia e dagli intermediari “secondo la procedura indicata dalla Centrale dei Rischi”.

La Banca d'Italia, nella Circolare, precisa che, “attraverso il servizio centralizzato dei rischi”, viene fornita “agli intermediari partecipanti un'informativa utile, anche se non esaustiva, per la valutazione del merito di credito della clientela e, in generale, per l'analisi e la gestione del rischio di credito”, con l'obiettivo di “contribuire a migliorare la qualità degli impieghi degli intermediari partecipanti e, in ultima analisi, ad accrescere la stabilità del sistema creditizio” (art. 2).

Riguardo all'individuazione dei rischi oggetto di censimento, la Circolare (Capitolo II, Sez. 1, art. 1) riporta quanto segue: “La Centrale dei rischi censisce informazioni di carattere individuale concernenti i rapporti di credito e di garanzia che il sistema creditizio intrattiene con la propria clientela. In particolare, sono oggetto di segnalazione i rapporti di affidamento per cassa e di firma, le garanzie reali e personali rilasciate agli intermediari in favore di soggetti dagli stessi affidati, i derivati finanziari e altre informazioni che forniscono elementi utili per la gestione del rischio di credito”.

Per ogni cliente deve essere effettuata un'unica segnalazione nella quale devono confluire tutte le posizioni di rischio in essere (Capitolo II, Sez. 1, art. 3).

Riguardo ai limiti di censimento, la Circolare (Capitolo II, Sez. 1, art. 5) prevede che l'intermediario sia tenuto a effettuare la segnalazione alla Centrale Rischi essenzialmente in due ipotesi: nel caso in cui il cliente abbia contratto (anche in qualità di garante o coobbligato ed anche in via meramente potenziale mediante l'erogazione di linee di credito, anche se non utilizzate) un'esposizione debitoria pari o superiore a Euro 30.000,00 e nel caso in cui la posizione del cliente presenti aspetti di criticità.

Con riferimento alla prima ipotesi, gli intermediari devono cumulare, con riferimento al medesimo cliente, tutte le posizioni di rischio “che fanno capo a tutte le filiali della rete nazionale e estera” (ibid.).

Con riferimento alla seconda ipotesi, la Circolare individua le situazioni critiche oggetto di segnalazione nella “sofferenza”, nell'”incaglio” e nell'”inadempimento persistente”.

La segnalazione del cliente “a sofferenza” viene effettuata dall'istituto di credito in forza di ampia valutazione discrezionale.

Infatti, l'unico limite di carattere quantitativo è costituito dalla sussistenza di una posizione debitoria superiore ad Euro 250,00 (Capitolo II, Sez. 1, art. 5, sub nota 2).

La Circolare specifica che nella categoria di censimento “Sofferenze” va ricondotta l'esposizione nei confronti di “soggetti in stato di insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili” (Capitolo II, Sez. 2, art. 1.5 comma 1).

La segnalazione “a sofferenza” richiede quindi una prognosi di insolvenza del cliente o comunque di una situazione equiparabile.

Tale prognosi dovrà essere effettuata mediante “una valutazione da parte dell'intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente” e “non può scaturire automaticamente da un mero ritardo di quest'ultimo nel pagamento del debito” (Capitolo II, Sez. 2, art. 1.5, comma 2). Inoltre, “la contestazione del credito non è di per sé condizione sufficiente per l'appostazione a sofferenza” (ibid.).

Con l'aggiornamento n. 13 del 2010 della Circolare, la Banca d'Italia ha specificato il dovere degli intermediari di “informare per iscritto il cliente […] la prima volta che lo segnalano a sofferenza” (Capitolo II, Sez. 2, art. 1.5, comma 8).

Tale aspetto verrà approfondito infra.

Ad ogni buon conto, “il pagamento del debito e/o la cessazione dello stato di insolvenza o della situazione ad esso equiparabile non comportano la cancellazione delle segnalazioni a sofferenza relative alle rilevazioni pregresse” (Capitolo II, Sez. 2, art. 1.5, u.c.).

Ciò significa che il cliente valutato “a sofferenza” che rientri della propria esposizione debitoria non avrà il diritto di ottenere la cancellazione delle segnalazioni effettuate.

Esse continueranno a risultare presso la Centrale Rischi, unicamente associate alla annotazione dell'estinzione della sofferenza.

La segnalazione ad “incaglio” concerne, invece, i “clienti in temporanea situazione di obiettiva difficoltà, che sia prevedibile possa essere rimossa in un congruo periodo di tempo” (Capitolo II, Sez. 3, art. 9, comma 3).

Pertanto la posizione a “incaglio”, a differenza di quella a “sofferenza”, non richiede la sussistenza di uno stato di insolvenza o equivalente, ma la presenza di una difficoltà del cliente a far fronte ai pagamenti, che, secondo la valutazione dell'istituto di credito, abbia natura transitoria.

Infine, dovranno segnalarsi come “inadempimenti persistenti”, i “crediti scaduti o sconfinanti in via continuativa da oltre 90/180 giorni” (ibid.).

Il sistema centralizzato dei rischi impone altresì all'intermediario di specificare se il credito originante la segnalazione sia o meno “contestato” dal debitore, dovendosi considerare contestato “qualsiasi rapporto oggetto di segnalazione (finanziamenti, garanzie, cessioni, etc.) per il quale sia stata adita un'Autorità terza rispetto alle parti (Autorità giudiziaria, Garante della Privacy o altra preposta alla risoluzione stragiudiziale delle controversie con la clientela)” (Capitolo II, Sez. 2, art. 9, comma 11).

La Circolare prevede l'ipotesi in cui “una posizione di rischio precedentemente segnalata” sia “errata” o “non correttamente imputata”; in tal caso, è fatto obbligo agli intermediari di “proporne sollecitamente la rettifica” (Capitolo II, Sez. 4, art. 3).

Infatti, gli intermediari sono tenuti a “controllare le segnalazioni di rischio trasmesse alla Banca d'Italia e a rettificare di propria iniziativa le segnalazioni errate o incomplete riferite alla rilevazione corrente e a quelle pregresse” (Capitolo 1, Sez. 1, art. 5, comma 4).

Tale dovere costituisce corollario del principio secondo il quale “il corretto funzionamento della Centrale dei rischi si fonda sul senso di responsabilità e sullo spirito di collaborazione degli intermediari partecipanti” (Capitolo 1, Sez. 1, art. 5, comma 1), i quali, nell'effettuazione delle segnalazioni, devono tenere “presenti le conseguenze, anche di ordine giuridico, che possono derivare da un'erronea registrazione dei dati” e sono tenuti “a una puntuale osservanza delle norme che regolano il servizio e al rispetto dei termini segnaletici” (Capitolo 1, Sez. 1, art. 5, comma 2).

Inoltre, “gli intermediari devono ottemperare senza ritardo agli ordini dell'Autorità giudiziaria riguardanti le segnalazioni trasmesse alla Centrale dei rischi (ad es. ordine di cancellazione di una sofferenza)” (Capitolo 1, Sez. 1, art. 5, comma 5).

La Circolare specifica che “la violazione delle disposizioni concernenti il servizio di centralizzazione dei rischi emanate dal C.I.C.R. e dalla Banca d'Italia può comportare l'irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all'art. 144 del T.U.B.” (Capitolo 1, Sez. 1, art. 6, comma 3).

Segnalazione a sofferenza e insolvenza del cliente

Si è visto sopra che nella categoria di censimento “Sofferenze” vanno ricondotte le esposizioni debitorie (di ammontare superiore a Euro 250,00) riguardanti “soggetti in stato di insolvenza, anche non accertata giudizialmente” o in “situazioni sostanzialmente equiparabili”.

Inizialmente, la giurisprudenza identificava il concetto di insolvenza di cui alla Circolare con quello di cui all'art. 5, l. fall., e cioè nell'incapacità del debitore di far regolarmente fronte alle proprie obbligazioni con mezzi normali (Trib. Alessandria, 20 ottobre 2000; Trib. Milano, 19 febbraio 2001; Trib. Napoli, ord. 22 ottobre 2002; Trib. Palermo, 4 novembre 2002).

Tale orientamento venne in seguito contrastato da un indirizzo che svincolava la nozione di insolvenza rilevante ex Capitolo II, Sez. 2, art. 1.5 della Circolare, dall'insolvenza fallimentare ex art. 5 l. fall., interpretando la prima come una situazione di difficoltà economica grave, ma non necessariamente così compromessa da portare ad una prognosi di definitiva irrecuperabilità del credito e di conclamata incapienza del debitore, viceversa necessaria per la dichiarazione di fallimento ex art. 5 l. fall.

Tra le prime pronunce in tal senso si ricordano quella emessa dal Tribunale di Roma in data 6 marzo 2001 e quella del Tribunale di Palermo del 30 ottobre 2002.

A tali pronunce seguirono altre ad esse conformi (Trib. Ascoli Piceno, 5 marzo 2003; Trib. Catania, ord., 2 aprile 2003; App. Milano, 22 ottobre 2003; Trib. Foggia, 19 dicembre 2003; Trib. Roma, 17 gennaio 2004; Trib. Ascoli Piceno, 4 marzo 2004; Trib. Padova, ord., 5 aprile 2004).

L'opinione secondo la quale il concetto di insolvenza di cui all'art. 5 non sarebbe idoneo a costituire un valido parametro di riferimento a cui ancorare il giudizio di “sofferenza” si fonda, come osservato dal Tribunale di Pescara (Trib. Pescara, ord., 21 dicembre 2006), sulla “diversità di ratio delle due discipline”. Il concetto di insolvenza di cui alla legge fallimentare è infatti posto a presidio della massa dei creditori di una determinata impresa; la segnalazione a sofferenza costituisce invece lo strumento attraverso il quale gli intermediari partecipanti al servizio di centralizzazione dei rischi sono posti in grado di accrescere la loro capacità di valutazione e di controllo della clientela. La suddetta segnalazione va quindi compiuta anche se il debitore non versi in stato di decozione. Infatti, “diversamente risulterebbe frustrata l'utilità del servizio di centralizzazione dei rischi, poiché gli altri intermediari […] si troverebbero nell'impossibilità di attivarsi in tempo utile per cautelare la propria posizione, ormai pregiudicata in maniera irreversibile dal prossimo fallimento del debitore” (ibid.).

Tale ultimo indirizzo è stato confermato dalla Corte di Cassazione, con le sentenze n. 21428 del 2007, n. 7958 del 2009, n. 23093 del 2013, n. 3165 del 2014, n. 15609 del 2014, n. 26361 del 2014 ed è allo stato unanimemente accolto anche dalla giurisprudenza di merito (cfr., da ultimo, Trib. Milano, 28 agosto 2014; Trib. Prato, 14 ottobre 2013).

Sono quindi definitivamente prevalse quelle ricostruzioni che, “oggettivamente gemmate dall'art. 5 l. fall., hanno tuttavia proposto, ai fini della segnalazione a sofferenza, una nozione levior rispetto a quella dell'insolvenza fallimentare” (Cass., n. 26361 del 2014), consistente in una “valutazione negativa della situazione patrimoniale del debitore, apprezzabile come ‘deficitaria', ovvero come ‘grave difficoltà economica', senza quindi alcun riferimento al concetto di incapienza ovvero di ‘definitiva irrecuperabilità'” (ibid.).

Tale condizione di “grave difficoltà economica”, precisa la Corte di Cassazione in un'altra pronuncia, deve essere “non transitoria” (Cass., n. 7958 del 2009).

E' tuttavia da osservare come, in alcune recenti pronunce, la giurisprudenza di merito, pur dichiarando di attenersi alla nozione levior di insolvenza enunciata dalla S.C., si sia di fatto discostata da tale concetto, interpretandolo in maniera affatto restrittiva.

A titolo esemplificativo, il Tribunale di Verona (ord. 27 maggio 2014) ha ritenuto insussistente lo stato di insolvenza rilevante per la segnalazione a sofferenza in un caso in cui il cliente versava in una situazione di “modesto ma prolungato sconfinamento”, era in “ritardo” con altri pagamenti ed era addirittura destinatario di un pignoramento.

Il Tribunale ha evidenziato come tali criticità andassero certamente a connotare una “situazione di forte tensione finanziaria”, priva tuttavia del requisito della “irreversibilità” e, pertanto, non andassero ad integrare l'insolvenza ai sensi della Circolare.

Ancora, il Tribunale di Prato (ord., 14 ottobre 2013) ha parimenti ritenuto non sussistente lo stato di insolvenza di cui alla Circolare in un caso di “crisi di liquidità” del debitore, non così grave, tuttavia, da sfociare nella “situazione di difficoltà economica non transitoria”, essendo essa sola idonea a legittimare la segnalazione a sofferenza.

Ad analoga conclusione è giunto il Tribunale di Milano (ord., 23 settembre 2009): il caso concreto concerneva un debito scaduto e non adempiuto, associato ad uno stato di “difficoltà” economica del debitore, non negato dallo stesso.

Di contro, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittima la segnalazione a sofferenza nel caso di “sospensione dei pagamenti protrattasi per diversi mesi […] da parte di un professionista, esposto nei confronti del sistema creditizio in termini ingiustificabili in rapporto ai costi gestionali ed ai rischi limitati della sua attività” (Cass., n. 26361 del 2014).

Secondo la giurisprudenza, sarà l'intermediario a dover fornire in giudizio la prova circa la sussistenza dello stato di insolvenza per la segnalazione alla Centrale Rischi (cfr., a titolo esemplificativo, Trib. Salerno, 19 novembre 2011).

Segnalazione a sofferenza e credito contestato

L'elaborazione giurisprudenziale è giunta a ritenere illegittima “una segnalazione di un credito contestato”, nel caso in cui “la contestazione abbia i caratteri della non manifesta infondatezza […] e quando siffatta contestazione sia alla base del rifiuto del cliente (riconducibile giuridicamente alla c.d. ‘autotutela') di adempiere all'obbligazione pecuniaria oggetto di segnalazione” (Trib. Pescara, ord. 21 dicembre 2006).

E' pertanto illegittima la condotta dell'intermediario che, “a fronte di fondate contestazioni del cliente in ordine alla pretesa” avanzata dal medesimo, utilizzi “la segnalazione come mezzo di illecita pressione, rivolta ad esempio ad una definizione più sollecita ed a condizioni più ‘gradite' della controversia” (Trib. Cagliari, ord. 28 novembre 1995). In applicazione del principio appena esposto, in molteplici occasioni i Giudici di merito hanno censurato la condotta dell'intermediario che aveva segnalato posizioni oggetto di contestazione, in particolare riguardo a controversie riguardanti la legittimità degli interessi anatocistici e degli interessi ultralegali ex art. 1284 c.c., i quali sono idonei ad incidere in maniera rilevante sulla quantificazione o sulla stessa esistenza del debito (si veda da ultimo, in tal senso e in relazione agli interessi anatocistici, Trib. Potenza, 27 gennaio 2015).

Conformemente, il Tribunale di Matera (ord. 18 giugno 2008) afferma che, “nell'effettuare la segnalazione a sofferenza alla Centrale Rischi, l'intermediario creditizio non può limitarsi alla verifica del mero inadempimento, ma deve, tra gli altri elementi, tenere cono anche di eventuali contestazioni relative al credito, soprattutto laddove le ragioni opposte dal debitore a fondamento del proprio rifiuto di adempiere appaiono, sulla base di una valutazione meramente indiziaria, non manifestamente infondate o pretestuose” (in senso conforme Trib. Milano, 8 marzo 2006; Trib. Lecce, ord. 25 agosto 2003).

Specifica la Corte di Cassazione in una recente sentenza che, tuttavia, il rifiuto di adempiere manifestato dal debitore deve essere “giustificato da una seria contestazione sull'esistenza del credito” (Cass., n. 26361 del 2014), non essendo sufficienti contestazioni dal contenuto generico o manifestamente infondate.

Segnalazione a sofferenza e obbligo di preventiva comunicazione

Si è visto sopra che, con l'aggiornamento n. 13 (relativo all'anno 2010) della Circolare, la Banca d'Italia ha stabilito l'obbligo, in capo agli intermediari, di “informare per iscritto il cliente […] la prima volta che lo segnalano a sofferenza” (Capitolo II, Sez. 2, art. 1.5, comma 8).

La Giurisprudenza ha rilevato come tale obbligo trovi “fondamento nella finalità di consentire al cliente di essere messo tempestivamente a conoscenza del rischio dell'associazione al proprio nominativo di un'informazione negativa incidente sul proprio merito creditizio, al fine di consentirgli di valutare ed assumere le iniziative idonee ad evitare la segnalazione” e costituisca “concretizzazione del più generale obbligo di solidarietà tra controparti contrattuali” (Trib. Verona, ord. 27 maggio 2014; in relazione al principio di solidarietà in ambito negoziale, cfr., Corte Cost., ord. n. 77 del 2 aprile 2014).

Conseguentemente, la Giurisprudenza ritiene illegittima la segnalazione per il solo fatto che non sia stata preceduta dall'informativa di cui alla norma appena citata, essendo il vizio relativo “alla regolarità del procedimento di segnalazione” (Trib. Prato, ord. 14 dicembre 2013. In senso conforme: Trib. Bari, 24 gennaio 2008).

Inoltre, l'informativa, affinchè la successiva segnalazione sia esente da vizi procedurali che ne inficino la legittimità, deve essere “completa, chiara e tempestiva”, e cioè deve, “nel suo contenuto minimo”, “specificare al cliente che la banca è in procinto di compiere proprio la segnalazione c.d. ‘a sofferenza' in C.R. Banca d'Italia” e “deve giungere al cliente in tempo utile per consentirgli la valutazione di ogni possibile misura atta a evitare la segnalazione” (Trib. Prato, ord 14 ottobre 2013).

L'informativa deve altresì specificare esattamente la natura e l'ammontare del credito oggetto della futura segnalazione, dovendo l'intermediario provare il “nesso causale diretto” tra “la segnalazione alla Centrale Rischi e il preavviso fatto al cliente” (ibid.).

In applicazione di tali principi, la giurisprudenza di merito ha ritenuto illegittima la segnalazione alla Centrale Rischi, in quanto preceduta da una informativa ritenuta “inadeguata”, in un caso in cui la stessa indicava “genericamente la ‘prossima registrazione in uno o più sistemi di informazione creditizia', senza alcun riferimento alla segnalazione ‘a sofferenza' nella C.R. Banca d'Italia” (Trib. Verona, ord. 27 maggio 2014).

Ancora, è stata ritenuta parimenti affetta da “genericità”, e quindi inidonea a fondare la legittimità, dal punto di vista procedurale, della successiva segnalazione a sofferenza, una informativa del seguente tenore letterale: “Siamo tenuti a informarLa che – perdurando la situazione di insolvenza - dovremo procedere, in ossequio alla Normativa di Vigilanza Bancaria, alla segnalazione del Suo nominativo alla Banche Dati previste dalla medesima Normativa”.

Ha osservato in tale occasione il Tribunale di Prato che “la formulazione generica usata dalla banca non è di per sé idonea a rendere pienamente edotto il cliente circa l'imminenza di una vera e propria segnalazione ‘a sofferenza'” (Trib. Prato, ord. 14 ottobre 2013).

La Giurisprudenza è quindi concorde nel ritenere illegittima la segnalazione a sofferenza alla Centrale Rischi qualora essa non sia stata preceduta da un'informativa chiara, tempestiva e completa, idonea, in ordine alla futura e prossima comunicazione alla Centrale Rischi della Banca d'Italia.

Conclusioni

Come si è visto, la giurisprudenza è giunta nell'attualità ad un'interpretazione praticamente univoca della normativa disciplinante gli obblighi dell'intermediario in relazione alla segnalazione a sofferenza alla Banca d'Italia.

Da un lato, è stata avvertita l'esigenza di tutelare il sistema creditizio legittimando la segnalazione anche qualora il cliente non versi in uno stato di insolvenza ai sensi della L.F.. Dall'altro, è evidente lo sforzo giurisprudenziale di impedire abusi da parte degli intermediari nell'utilizzo dello strumento della segnalazione a sofferenza, le cui conseguenze sono il più delle volte catastrofiche per la posizione patrimoniale del cliente.

Al fine di arginare insidiosi abusi da parte degli intermediari, i giudici di merito e di legittimità hanno sanzionato come illegittima la segnalazione relativa ad un credito contestato in maniera prima facie non infondata e, ancora, interpretando rigorosamente l'obbligo di comunicazione della segnalazione, hanno specificato come essa debba essere preceduta da un idoneo avviso, con contestuale concessione di un termine congruo per permettere al cliente di svolgere le proprie difese.

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