Competenza del giudice delegato nella verifica dei crediti e giurisdizioni esclusive

21 Settembre 2012

L'Autrice analizza nel dettaglio le ipotesi in cui il giudice delegato, nel corso della formazione del passivo fallimentare, si trova a valutare crediti il cui accertamento spetta alla giurisdizione esclusiva di un giudice speciale.Dopo aver delineato il quadro normativo e i principi di riferimento, vengono esaminati, con particolare riguardo agli orientamenti giurisprudenziali, le varie tipologie di crediti tributari ammessi con riserva e gli altri crediti la cui giurisdizione è devoluta al giudice amministrativo.
Premessa

Questo contributo è volto a esaminare i casi in cui, nel corso della formazione del passivo fallimentare, il giudice delegato si trova a valutare crediti il cui accertamento è devoluto alla giurisdizione esclusiva di un giudice speciale.

Si pensi, ad esempio, all'ipotesi in cui il credito riguardi tributi di ogni genere e specie, in relazione ai quali la competenza è devoluta al giudice tributario, a norma dell'

art. 2

d.l

gs. n. 546/1992

.

La giurisprudenza della Suprema Corte più risalente e, soprattutto, precedente alle modifiche in materia di riscossione mediante ruolo del 1999 ed alla riforma del diritto fallimentare del 2006, aveva già assunto in materia una posizione piuttosto netta, affermando che, ove tali crediti fossero contestati dal curatore fallimentare, la giurisdizione speciale dovesse rimanere ferma ed i crediti di tale natura dovessero essere considerati come condizionali, potevano essere quindi ammessi solo con riserva, da sciogliere all'esito del giudizio amministrativo.

Più di recente, il Legislatore ha espressamente recepito questa soluzione giurisprudenziale, modificando la relativa normativa tributaria, mentre la giurisprudenza di legittimità ha ampliato, in via analogica, la portata generale delle norme prima riferite solo ai crediti erariali. Appare utile ripercorrere qui le tappe normative e giurisprudenziali significative.

Gli articoli 52 e 92 ss. l. fall.: il principio della necessità della verifica dei crediti

A mente dell'

art

.

52 l. fall

., il diritto di ciascun creditore a concorrere sul patrimonio del fallito si accerta necessariamente mediante il procedimento di verifica dei crediti (

art.

92 ss. l. fall

.).

Nel sistema così delineato, ogni pretesa a contenuto patrimoniale svolta nei confronti di un soggetto fallito deve essere azionata attraverso lo speciale procedimento endofallimentare davanti al tribunale fallimentare, essendo improcedibile ogni diversa azione (ex multis:

Cass. n. 17035/11

).

Tale procedimento è teso ad attribuire ai creditori concorsuali la qualifica di creditori concorrenti, ovvero soggetti in grado di opporre la propria qualifica alla procedura e concorrere così ai riparti dell'attivo.

I provvedimenti che il giudice delegato può effettivamente assumere, a fronte delle domande di ammissione da parte dei creditori nell'ambito della verificazione, in forza dell'

art. 96 l. fall

., possono generalmente consistere in pronunce: a) di ammissione del credito, b) di ammissione con riserva, o c) di rigetto (totale o parziale).

Fondamentale conseguenza logica di tale principio è la tipicità delle ipotesi di ammissione al passivo fallimentare con riserva (art. 96 e, prima della riforma del 2006, art. 95 l. fall.), sempre sostenuta dalla giurisprudenza della Suprema Corte in materia (

Cass. n. 3397/2004

;

Cass. n. 7329/2000

). Secondo questa ricostruzione prevalente, le eventuali riserve, diverse da quelle previste, devono ritenersi come non apposte e l'ammissione del credito al passivo deve considerarsi come pura e semplice.

L'effetto della riserva è quello di prevedere a favore del creditore l'accantonamento delle somme che gli spetterebbero in occasione dei riparti parziali (art. 113 l. fall.) e il diritto di voto nel concordato (art. 127

l. fall

.), mentre la ratio della tipicità delle ipotesi di riserve è da rinvenirsi nella necessità di speditezza propria della procedura concorsuale, il cui obiettivo, infatti, è la sollecita distribuzione dell'attivo tra i creditori definitivamente ammessi allo stato passivo; se l'istituto dell'ammissione con riserva fosse applicato oltre il dettato normativo, l'esigenza di celerità ne potrebbe venire compromessa.

L'art. 96 l. fall. definisce le categorie di crediti che sono ammessi al passivo con riserva: i crediti condizionati (ai sensi degli

artt. 1353 ss. c.c.

) e quelli indicati nell'ultimo comma dell'

art. 55 l. fall

. (ovvero che non possono farsi valere contro il fallito, se non previa escussione di un obbligato principale); i crediti per i quali la mancata produzione del titolo dipende da fatto non riferibile al creditore, salvo che la produzione avvenga nel termine assegnato dal giudice; i crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o speciale non passata in giudicato, pronunziata prima della dichiarazione di fallimento.

E' opportuno verificare quindi quali dei provvedimenti richiamati il giudice delegato debba adottare ove sorga una controversia su di un credito devoluto ad una giurisdizione speciale.

L'esistenza di crediti in relazione ai quali sussiste la giurisdizione esclusiva di un'autorità diversa dal Tribunale ordinario. Sospensione del giudizio dinanzi al tribunale fallimentare o ammissione del credito con riserva?

La ferrea regola della supremazia del rito per l'accertamento del passivo contenuta nell'

art. 52 l. fall

. non sembra lasciare spazio a dubbi sulla circostanza che anche i crediti il cui accertamento nel merito spetti ad un giudice speciale devono cionondimeno essere sottoposti alla procedura di verificazione, per essere ammessi al passivo di una procedura fallimentare.

Tuttavia la vis attractiva della competenza attribuita agli organi giudiziari fallimentari non può operare in modo tale che l'accertamento compiuto dal tribunale ordinario invada il campo riservato alla giurisdizione esclusiva del giudice speciale.

Si pone, in altre parole, una questione di conflitto di competenza tra il tribunale ordinario, nella composizione fallimentare, e la diversa autorità dotata di giurisdizione esclusiva.

Se, da un lato, è obbligatorio rispettare le ripartizioni di giurisdizione, d'altro lato è necessario proteggere il diritto dell'Amministrazione creditrice alla soddisfazione del proprio credito, oltre che le esigenze di celerità della procedura.

Poiché i provvedimenti del giudice delegato sono tipici, le soluzioni processuali ipotizzabili ove il credito dell'Amministrazione sia contestato nel merito dal curatore si riducono a due: la sospensione del procedimento relativo all'insinuazione (in applicazione dell'

art. 295 c.p.c.

) sino all'esito dell'accertamento dinanzi alla autorità amministrativa competente (T.A.R., commissioni tributarie etc.) ; l'ammissione del credito con riserva.

Nel primo senso verrebbero in rilievo due argomenti.

I casi di ammissione al passivo con riserva sono previsti dall'

art. 96 l. fall

. in via tassativa e, tra questi, non vi è il caso della pendenza di giudizi avanti alla giurisdizione amministrativa; in secondo luogo, il separato giudizio davanti alla giurisdizione esclusiva potrebbe ritenersi pregiudiziale, ai sensi dell'

art. 295 c.p.c.

, e ciò determinerebbe l'obbligo del giudice ordinario di sospendere il procedimento.

L'inconveniente di tale soluzione risiede però nel rischio che il fallimento, nelle more del giudizio amministrativo, divenga incapiente per mancato accantonamento di somme a favore dell'Amministrazione nei riparti parziali, accantonamento che invece potrebbe essere fatto, come accennato, nel caso di ammissione con riserva.

La soluzione, in sostanza, si tradurrebbe in uno svantaggio per i crediti erariali (e dell'Amministrazione in generale), in contrasto non solo con la par condicio tipica del diritto fallimentare, ma anche con il favore solitamente riservato a tali tipi di crediti.

La soluzione alternativa alla sospensione comporta invece l'ammissione al passivo con riserva del credito dell'Amministrazione, considerando il giudizio pendente assimilabile ad una ‘condizione' e, quindi, facendo rientrare la fattispecie nelle previsioni degli

artt.

55,

u.c. e art.

96, comma

2, l. fall

..

In virtù di tale scelta processuale, il giudice delegato opererebbe in conformità al principio della necessaria formazione dello stato passivo e renderebbe possibile la soddisfazione degli altri creditori attraverso le ripartizioni parziali ed un effettivo recupero delle somme che dovessero risultare dovute all'esito del procedimento amministrativo, mediante il meccanismo degli accantonamenti a favore dell'Amministrazione creditrice (

art.

113 l. fall

.).

Al fine di decidere quale provvedimento dovesse essere adottato dal giudice delegato ove fosse controverso un credito la cui cognizione nel merito è devoluta ad una giurisdizione speciale, la giurisprudenza della Suprema Corte ha dovuto fare leva sui principi dettati dal legislatore in materia di crediti erariali in vigore sino alla riforma del 1999, propendendo per la seconda delle soluzioni sopra ipotizzate.

La giurisprudenza in materia di crediti tributari: il credito va ammesso al passivo con riserva, anche ove si tratti di imposte indirette (I.V.A.) e anche se la relativa domanda d'ammissione sia tardiva

Un primo ambito dove è stato necessario affrontare la questione che ci occupa si è manifestato in relazione proprio a crediti tributari.

Con la sentenza n. 7485/1994 la Suprema Corte ha affrontato un caso in cui l'Amministrazione delle Finanze, creditrice di una somma a titolo di I.V.A. da parte di un soggetto poi fallito, aveva impugnato la decisione della Corte d'appello dell'Aquila che (a conferma della sentenza del tribunale) aveva affermato che, in caso di contestazione del credito tributario, questo non poteva essere ammesso con riserva - come richiesto dall'Amministrazione - ed il giudizio di verificazione doveva essere sospeso fino alla decisione del contenzioso tributario.

La Suprema Corte, richiamandosi ad un proprio precedente (

Cass. n. 1230/1993

), ha ritenuto che i crediti relativi a tributi, in relazione ai quali vi fossero contestazioni pendenti davanti alle commissioni tributarie, dovessero essere ammessi al passivo delle procedure fallimentari con riserva, da sciogliere solo dopo la decisione della controversia tributaria. Non vi sarebbe stata invece necessità, né utilità che il giudizio innanzi al tribunale fallimentare fosse sospeso.

Rilevano qui le modalità con le quali la Suprema Corte è giunta a tale conclusione.

Essa ha dapprima rilevato che l'

art. 45, comma

2, del D.P.R. n. 602/1973

, nel testo allora vigente, disponeva che il ruolo non fosse solo titolo per l'espropriazione forzata volta a riscuotere imposte (dirette) non pagate (comma 1), ma anche, in caso di eventuali contestazioni inerenti ai tributi iscritti, costituisse titolo per l'ammissione dei tributi stessi con riserva al passivo delle procedure fallimentari (comma 2).

Tale norma era invero diretta a disciplinare la diversa ipotesi di crediti tributari per imposte dirette, per i quali c'è stata un'iscrizione a ruolo, e non, come nel caso sottoposto alla Suprema Corte, un credito per un'imposta indiretta come l'I.V.A., che tale iscrizione allora non prevedeva; la norma, tuttavia, poteva essere applicata analogicamente, in considerazione del fatto che la contestazione del credito di cui all'art. 45 citato era riferita ad un'iscrizione a ruolo comunque provvisoria, e tale provvisorietà non impediva l'ammissione del credito al passivo con riserva; poiché l'

art. 60

d.p.r.

n. 633/1972

stabiliva che anche l'accertamento I.V.A., per quanto contestato, costituiva titolo per la riscossione provvisoria di parte del tributo, anch'esso poteva integrare un titolo giuridico per l'ammissione al passivo di un fallimento con riserva.

Il risultato interpretativo appare pienamente convincente ove si consideri che, in virtù del

d.p.r.

n. 43/1988

e delle successive modifiche attuate dal

D.Lgs. n. 112/1999

, anche le imposte indirette sono oggi riscuotibili mediante ruolo.

E' necessario notare tuttavia che, secondo la Suprema Corte, non si può parlare di totale assimilazione tra i crediti tributari insinuati al passivo fallimentare per i quali sia stata formulata contestazione innanzi alle commissioni tributarie ed i crediti condizionati di cui all'

art. 55, u.c., l. fall

., anche se la disciplina dovrà essere la stessa.

Un chiarimento in questo senso viene da una successiva pronuncia della Suprema Corte, la n. 7579/1996, che ha rilevato come non vi sia una corrispondenza piena tra il modello concettuale dell'ammissione con riserva nel sistema fallimentare e l'ammissione con riserva prevista dall'

art. 45

d.p.r

. n. 633/1972

per i crediti tributari, dal momento che sembra infatti arduo sostenere la giuridica assimilabilità dell'accertamento tributario nella sede sua propria al maturare di una condizione o al venire in essere di un documento.

Anche la dottrina (Rasi, L'ammissione con riserva dei crediti tributari: un recente intervento giurisprudenziale, in Dir. Fall., 2006, 1, 62) ha rilevato le notevoli differenze tra credito condizionale e credito tributario il cui accertamento è demandato alle commissioni tributarie, in ciò che - pur presentando l'elemento in comune dell'incertezza sull'esistenza - nel primo caso l'incertezza è dovuta ad un fattore esterno al rapporto ed ha carattere oggettivo, mentre nel secondo essa è dovuta alle caratteristiche stesse interne al rapporto (tributario).

Secondo la giurisprudenza di legittimità è dunque il modulo procedimentale dell'ammissione con riserva ad essere il medesimo e a venire utilizzato al fine di fornire una soluzione pratica ragionevole al problema dei crediti non accertabili in sede fallimentare, rimuovendo - mediante il meccanismo della riserva - il pregiudizio della mancata fruizione degli accantonamenti nei riparti parziali che contrasterebbe con la par condicio concorsuale e, prima ancora, con il principio di uguaglianza.

La stessa pronuncia della Suprema Corte n. 7579/1996, in ordine alla rilevanza del momento in cui è stata proposta la domanda di insinuazione al passivo del fallimento, ha stabilito che la disciplina dell'ammissione con riserva dei crediti tributari non muta a seconda che la domanda sia tempestiva o tardiva.

L'ostacolo normativo che potrebbe essere costituito dalla mancanza dell'istituto dell'ammissione con riserva con riguardo all'ipotesi di insinuazione tardiva di cui all'

art. 101 l. f

all

. è superato dal fatto che il suddetto articolo 45 (nel testo allora vigente) non distingue tra domanda di insinuazione al passivo proposta tempestivamente e domanda tardiva, data la sua amplissima formulazione, che lo rende riferibile ad ogni forma di accertamento del passivo, indipendentemente dalla tempestività o tardività della domanda (

Cass. n. 7579/96

). Sorge, in altri termini, un elemento di razionalità nella relazione tra formazione del passivo e contenzioso tributario, senza che rilevi il modello procedurale utilizzato (

art. 93

o art.

101 l. fall

.).

La scelta dell'utilizzo dell'ammissione con riserva anche nel caso di insinuazione tardiva è coerente anche con quanto stabilito dalla giurisprudenza di legittimità anteriore (

Cass. n. 1230/1993

), secondo la quale alla sospensione necessaria di cui all'

art. 295 c.p.c.

il giudice deve ricorrere allorché ravvisi “dipendenza” da altra controversia; ma il concetto di rapporto di “dipendenza” deve intendersi non in un senso prettamente logico, quanto nel suo significato di entità pregiudiziale e non può essere dilatato fino ad identificare “dipendenza” con semplice “opportunità” e “convenienza”.

I due giudizi hanno, invero, due oggetti diversi, l'opponibilità del credito alla massa da un lato, e l'esistenza dello stesso dall'altro, e restano così del tutto autonomi.

Nello stesso senso sinora esaminato si era pronunciata anche

Cass. S.U. n. 11214/1997

, secondo cui, qualora fosse stato contestato un credito per imposte dirette sul reddito, deducendone l'intervenuta estinzione, il tribunale fallimentare avrebbe dovuto unicamente accertare la sussistenza del titolo (iscrizione a ruolo) per l'insinuazione del credito, e successivamente limitarsi ad ammettere lo stesso al passivo, ai sensi del comma 2 dell'art. 45 citato, con riserva dell'esito della contestazione davanti alle commissioni tributarie.

L'ammissione al passivo di crediti erariali nel sistema di riscossione successivo ald.lgs.n. 46/1999

L'

art. 16

d.l

gs. n. 46/1999

ha apportato rilevanti modifiche al

d.p.r.

n. 602/1973

.

L'art. 45 è stato abrogato ed è stato introdotto, nel Titolo II dedicato alla riscossione coattiva, il Capo IV, rubricato “Procedure concorsuali

” e, per quanto ci interessa, l'art. 88.

Tale norma, recependo gli arresti della giurisprudenza di legittimità, ora stabilisce che, ove sulle somme iscritte a ruolo sorgano contestazioni, il credito è ammesso al passivo della procedura con riserva.

Tale regola, applicabile a tutte le imposte dirette ed indirette, in forza della generalizzazione della procedura di riscossione mediante ruolo, è valida anche nel caso in cui la domanda di ammissione sia presentata in via tardiva a norma dell'

art. 101 l. fall

. ed anche in relazione a somme iscritte a ruolo a titolo non solo definitivo, ma anche provvisorio o addirittura straordinario.

E', altresì, stabilito il momento nel quale deve avvenire lo scioglimento della riserva stessa; questione che, nell'assenza di una precedente disciplina, aveva costretto la giurisprudenza ad assimilare, limitatamente a questo aspetto processuale, i crediti tributari a quelli sottoposti a condizione e ritenere applicabile la relativa disciplina. Nella disciplina attuale, la riserva è sciolta dal giudice delegato con decreto, su istanza del curatore o del concessionario della riscossione, quando è inutilmente decorso il termine prescritto per la proposizione della controversia davanti al giudice competente, ovvero quando il giudizio è stato definito con decisione irrevocabile o risulta altrimenti estinto (

art. 88, comma

3

, d.p.r

. n. 602/1973

).

All'atto dello scioglimento della riserva, il curatore avrà l'onere di comunicare il relativo provvedimento al concessionario per la riscossione mediante lettera raccomandata e contro tale provvedimento il concessionario potrà proporre reclamo al tribunale, nel termine di dieci giorni dalla comunicazione. Il tribunale assumerà la decisione in camera di consiglio con decreto motivato, sentite le parti (art. 88, comma 4).

E' chiarito infine espressamente che, se al momento delle ripartizioni parziali dell'attivo la riserva non risulta ancora sciolta, le quote dovute al creditore-Amministrazione dovranno essere trattenute e depositate nei modi stabiliti dal giudice delegato; se lo stesso avviene in occasione della ripartizione finale, la somma verrà depositata nei modi stabiliti dal giudice delegato, perché possa in seguito essere versata o fatta oggetto di riparto supplementare fra gli altri creditori (art. 88, comma 5).

La dottrina (Rossi, L'ammissione nel passivo fallimentare dei crediti per imposte e sanzioni pecuniarie dopo la riforma tributaria, in Giur. Comm., 1984, 2, I, 321) e la giurisprudenza prevalente (

Cass. n. 6032/1998

) precedenti all'introduzione dell'

art

.

88 D.P.R. n. 602/1973

ritenevano presupposto indefettibile dell'ammissione al passivo con riserva del credito portato dalla cartella esattoriale la notifica della stessa al curatore fallimentare, affinché gli fosse consentito di proporre eventuale ricorso contro il ruolo (

Trib. Reggio Calabria 23 marzo 2007

). Questa interpretazione è stata da ultimo disattesa da

Cass. n. 12019/2011

, la quale ha inteso ribadire il principio secondo il quale “i crediti iscritti a ruolo ed azionati da società concessionarie per la riscossione seguono, nel caso di avvenuta dichiarazione di fallimento del debitore, l'iter procedurale prescritto per gli altri crediti dagli

art. 92 ss. l. fall

., legittimandosi la domanda di ammissione al passivo, se del caso con riserva (ove vi siano contestazioni), sulla base del solo ruolo, senza che occorra la previa notifica della cartella esattoriale al curatore fallimentare” (sul punto v. anche la circolare anteriormente emanata dal Presidente della

Sezione fallimentare del Tribunale di Milano il 20 gennaio 2010

in tema di “verifica del passivo e criteri interpretativi in materia di crediti fiscali”

pubblicata sul sito web del predetto Tribunale).

Sul tema dei crediti per imposta indiretta (I.V.A.) oggetto di contestazione pendente innanzi alla Commissione tributaria,

Cass. n. 23001/2004

, conformandosi all'orientamento sin qui descritto e richiamandosi al principio della necessaria formazione dello stato passivo, si è pronunciata per l'ammissione al passivo con riserva e la conseguente inesistenza dei presupposti per disporre la sospensione del giudizio di ammissione sino all'esito della definizione del giudizio tributario.

E' necessario notare da ultimo che il principio di stretta tipicità delle ipotesi di ammissione al passivo con riserva non è violato, ma rafforzato dall'introduzione dell'

art. 88

d.p.r

. n. 602/1973

.

Il Legislatore ha unicamente riconosciuto la particolarità del rapporto tributario e la specificità della riscossione erariale e collocato la relativa norma nell'opportuna sedes materiae.

L'aggiunta nell'

art. 96, comma

3, l. fall

. dell'inciso iniziale “Oltre che nei casi stabiliti dalla legge, sono ammessi con riserva […]”, avvenuta con la riforma del diritto fallimentare, ha infine coerentemente recepito l'esistenza di altre cause di ammissione al passivo con riserva estranee al testo della

legge fallimentare

.

Conferma l'impostazione sinora descritta la norma di chiusura di cui all'

art. 31

d.l

gs. n. 46/1999

, secondo il quale le disposizioni di cui all'articolo 88 d.p.r

. n. 602/1972 non si applicano se le contestazioni relative alle somme iscritte a ruolo sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario.

Ciò è pienamente comprensibile alla luce della considerazione che, se la giurisdizione sul merito del credito dell'Amministrazione appartiene al giudice ordinario, manca il contrasto giurisdizionale di fondo che dà origine al problema qui trattato e, quindi, il giudice delegato non ha motivo di assumere alcuna riserva, essendo egli stesso competente a decidere nel merito del credito controverso.

Un'ipotesi è quella dei crediti previdenziali-contributivi (INPS-INAIL) che, seppure riscossi mediante il meccanismo del ruolo, sono devoluti alla giurisdizione del giudice ordinario (nella specie del giudice del lavoro), ai sensi dell'

art. 24

d.l

gs. n. 46/1999

(Zanichelli, Riscossione tramite ruolo e giurisdizione sull'accertamento dei crediti previdenziali, in Fall., 2007, 11, 1353; ma v. anche per la prassi fallimentaristica la già citata circolare del Tribunale di Milano).

La giurisprudenza in materia di altri crediti la cui giurisdizione è devoluta al giudice amministrativo: prevale l'ammissione al passivo con riserva

Gli arresti giurisprudenziali sinora commentati in materia di ammissione al passivo di crediti tributari per IRPEF e I.V.A. sono stati ritenuti applicabili per analogia anche ad altre fattispecie ove la cognizione a conoscere del credito contestato è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo.

La Suprema Corte (

Cass. n. 789/1999

) ha infatti richiamato espressamente la propria giurisprudenza in tema di crediti tributari nell'ambito di una controversia che vedeva contrapposti un Comune e una società, poi fallita, debitrice di una somma di denaro per la mancata esecuzione di opere di urbanizzazione. Non essendo stata accolta la domanda dell'Amministrazione di insinuazione al passivo del fallimento, sul presupposto che il credito non fosse certo, liquido o esigibile, il Comune aveva proposto opposizione avverso lo stato passivo, poi respinta dal Tribunale, con decisione confermata della Corte d'Appello, infine impugnata avanti la Suprema Corte di Cassazione.

Anche in questo caso le giurisdizioni di merito avevano dovuto affrontare il problema dell'ambito della cognizione del giudice delegato in presenza di un credito devoluto alla giurisdizione speciale (ma giungendo a conclusioni, secondo la Suprema Corte, non condivisibili).

Al fine di risolvere le questioni sull'esistenza, certezza e liquidità del diritto fatto valere dal Comune con la domanda d'insinuazione allo stato passivo, gli organi fallimentari e la Corte d'Appello avevano interpretato ed applicato le norme della convenzione stipulata tra Comune e società lottizzante (erano, cioè, entrati nel merito della convenzione), quando per contro, in base all'

art. 16

l

. n. 10/1977

allora vigente, le controversie attinenti alla spettanza ed alla liquidazione del contributo per oneri di urbanizzazione a carico del beneficiario di concessione edilizia erano devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

La Suprema Corte, quindi, non poté non rilevare che la decisione di merito assunta prima dal tribunale, e poi dalla Corte d'appello, costituiva un'invasione della sfera riservata ratione materiae alla giurisdizione del giudice amministrativo.

A seguito di tale invasione, la Suprema Corte avrebbe potuto rimettere la questione alle Sezioni Unite, ma il Collegio ritenne che tale rimessione immediata non fosse necessaria, né utile, poiché essa avrebbe avuto l'effetto negativo di impedire o limitare l'effetto pratico della domanda di ammissione, in quanto la decisione sarebbe potuta intervenire a procedura fallimentare chiusa o a riparto dell'attivo già - in tutto o in parte - avvenuto.

Secondo la Suprema Corte, invece, per offrire al credito del Comune la possibilità di partecipare al riparto mediante accantonamento, in attesa della soluzione della controversia da parte del giudice amministrativo competente, il credito stesso doveva essere trattato alla stregua di un credito condizionato, da ammettere al passivo con riserva. La Suprema Corte così si espresse: “il limite alla cognizione del giudice fallimentare derivante dal difetto di giurisdizione di quest'ultimo sul diritto controverso funziona come una condizione del credito” .

La Suprema Corte ha quindi ritenuto che la regola dell'

art. 45

d.p.r.

n. 602/1973

, già dalla giurisprudenza analogicamente interpretata, come visto, quale applicabile alle imposte indirette, costituisse espressione di un principio più generale, applicabile in tutti i casi in cui l'accertamento sull'esistenza e liquidità del credito è sottratto alla cognizione del giudice fallimentare, perché quest'ultimo è carente di giurisdizione, o perché sussiste una competenza inderogabile di altro giudice ordinario (Bonfatti, L'ammissione con riserva di credito condizionale, in Fall., 1999, 12, 1334-1336).

A conferma dell'attualità di tale orientamento di legittimità si sono pronunciate da ultimo anche le Sezioni Unite, che (richiamando espressamente la precedente decisione n. 789/1999) hanno affermato, con la sentenza n. 12371/2008, la necessità dell'ammissione al passivo con riserva anche nell'ipotesi in cui l'accertamento del credito contestato è devoluto alla giurisdizione della Corte dei Conti, come accade nel caso in cui esso abbia ad oggetto la responsabilità di tesorieri per condotte di appropriazione e distrazione di denaro pubblico (

art. 93

d.l

gs. n. 267/2000

).

Conclusioni

Da quanto sin qui esposto emerge che, nel costruire il sistema complessivo della verificazione dei crediti di cui

all'artt. 52

e

92 ss. l. fall

., il legislatore ha tenuto conto dei principi non derogabili sul riparto della giurisdizione.

Invero, mentre al giudice fallimentare compete l'indagine sull'opponibilità del credito alla massa, e quindi sulla sua anteriorità al fallimento e sull'idoneità della documentazione prodotta a fornirne la prova (non esistono, in altre parole, modalità diverse da quella prevista dalla

legge fallimentare

per acquisire la qualità di creditori concorrenti), il giudizio sulla sussistenza e sull'ammontare del credito devoluto alla giurisdizione speciale, ove contestati, è materia di competenza esclusiva del giudice amministrativo.

Al fine di mantenere tale coerenza giurisdizionale e l'equilibrio tra l'ambito dei poteri del giudice fallimentare e la giurisdizione speciale, il giudice delegato deve, ove sorgano contestazioni sull'an o sul quantum del credito, procedere all'ammissione del credito dell'Amministrazione al passivo della procedura con riserva, che sarà sciolta all'esito del giudizio svoltosi davanti alla giurisdizione speciale.

Tale modalità di ammissione permette di tutelare le ragioni dell'ente, che potrà beneficiare in particolare del diritto agli accantonamenti sui riparti dell'attivo, senza che sia necessaria la sospensione del procedimento di verificazione in attesa delle decisioni del giudice amministrativo.

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