Obblighi e responsabilità degli organi nella gestione delle imprese in crisi

03 Dicembre 2012

La riconfigurazione - da parte della legge n. 134/2012 - dei presupposti, delle forme e degli effetti degli istituti volti alla risoluzione delle crisi di impresa offre ulteriori spunti per riscontrare un dovere civilistico in capo agli amministratori di valutare in concreto se, e con quali strumenti, salvaguardare tempestivamente la continuità aziendale o se procedere alla messa in liquidazione della società prima che si manifesti l'insolvenza, nonché per individuare gli obblighi (ex artt. 67, comma 3, lett. d, 160,161,236-bis  l. fall.) di esporre informazioni vere e complete e di predisporre piani analitici, veritieri, fattibili ed adeguati alla risoluzione della crisi.
Gestire le imprese in crisi: la continuazione dell'attività di impresa

Gli amministratori delle società hanno l'onere di evitare la distruzione del patrimonio finanziario ed umano costituito dalle imprese in crisi e dai soggetti con cui interagiscono e di valutare se e come continuare l'attività aziendale consapevoli non solo del differente regime giuridico nel quale si collocano i loro atti a seconda che decidano di avvalersi o meno degli istituti alternativi alla procedura fallimentare, ma anche del fatto che (salvo, appunto, in caso di dichiarazione di fallimento) saranno loro (o i liquidatori all'uopo nominati) a gestire comunque l'impresa, la quale rimane “totalmente nelle mani dell'imprenditore” (Panzani, Il concordato in bianco, IlFallimentarista.it, 14.09.2012) perché persino nel concordato preventivo (la procedura alternativa più invasiva, più soggetta al controllo dell'autorità giudiziaria) vi è soltanto uno spossessamento attenuato del debitore.

In quest'ottica si afferma che “gli organi nominati nella procedura [di concordato preventivo, n.d.r.] (…) affiancano e non sostituiscono gli organi societari”, sicché, ad esempio, la sorveglianza del Commissario Giudiziale (ai sensi dell'art. 185 l. fall.) sull'esecuzione del piano e sull'adempimento del concordato preventivo si affianca alla vigilanza del Collegio Sindacale resa (ai sensi dell'art. 2403 c.c.) nell'interesse dei soci e della società.

Il differente regime giuridico tra gli atti assunti al di fuori delle procedure ex artt. 160 e 182-bis l. fall. e quelli compiuti dopo la loro apertura è oggi (dopo le riforme introdotte con la legge 134/2012) scolpito dall'art. 182-sexies, l. fall. (rubricato “riduzione o perdita del capitale della società in crisi), ai sensi del quale le società che abbiano perduto il capitale e decidano di entrare in una delle procedure continuano l'attività sociale senza i limiti della gestione conservativa (art. 2486, comma 1, c.c.) obbligatoria per gli amministratori prima della messa in liquidazione della società e senza le limitazioni inerenti la mera prosecuzione dell'attività di impresa in caso di autorizzazione a proseguire l'attività economica ai liquidatori da parte dell'assemblea straordinaria (art. 2490, comma 5, c.c. ).

Tale nuova disposizione, che sancisce l'irrilevanza della perdita del capitale sociale nei procedimenti di composizione della crisi di impresa (Lamanna, La legge fallimentare dopo il “decreto sviluppo”, Milano, 2012, 30), recepisce la tesi giurisprudenziale secondo la quale la proposizione di una domanda di concordato con continuazione dell'attività economica da parte di un'impresa posta in liquidazione è compatibile con la previsione di cui all'articolo 2489 c.c., il quale limita il potere dei liquidatori agli atti utili per la liquidazione della società, ed anche con la previsione di cui all'articolo 2486 c.c., che circoscrive (in caso di gravi perdite del capitale) i poteri degli amministratori (delle società non ancora poste in liquidazione) alla conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale.

In pratica, qualora la società in crisi, che abbia un patrimonio netto inferiore ai due terzi del capitale (OIC 30), decida di depositare una domanda ex art. 161 l. fall. (o ex art. 182-bis l. fall o ancora di concordato ex art. 161, comma 6, con riserva di deposito della proposta e del piano) la situazione di erosione dei valori patrimoniali rispetto al capitale (Munari, Crisi di Impresa ed autonomia contrattuale nei piani attestati e negli accordi di ristrutturazione, Milano, 2012, 89) si cristallizza al momento del rilevamento della causa di scioglimento e tale sospensione perdura fino all'omologa della proposta.

Vi è quindi nel corso della procedura una parziale sospensione (Rordorf, I doveri degli amministratori della società in crisi, Roma, 17 ottobre, Corso CSM, inedito) dell'operatività delle norme, una deroga al regime codicistico degli obblighi prescritti allorchè si verifichi una causa di scioglimento.

Una delle ragioni della novella è rinvenibile nel fatto che proprio l'esdebitazione cui è diretta nella maggior parte dei casi la procedura concorsuale potrebbe, al suo esito positivo, condurre all'eliminazione definitiva (o al superamento) delle condizioni patrimoniali che avevano imposto la messa in liquidazione della società e che avevano indotto al deposito del ricorso per l'ammissione alla procedura di crisi. In altre parole: “La sospensione…è finalizzata alla riparametrazione della perdita a seguito dell'iter di riduzione del debito (De Angelis, Feriozzi, Le perdite e gli strumenti di soluzione nella crisi di impresa, Milano 2012, 100) .

Inoltre la prosecuzione dell'attività di impresa durante la procedura concorsuale potrebbe consentire di conseguire ricavi e comunque di conservare i valori intangibili dell'impresa, così tutelandone l'integrità patrimoniale e consentendole di adempiere alla proposta di concordato preventivo.

Non sospensione della responsabilità

Per comprendere, tuttavia, che il legislatore, attraverso la sospensione dell'obbligo di ricapitalizzazione ed attraverso le altre misure protettive, mira a conservare la continuità aziendale e non ad introdurre aree di immeritata impunità va osservato:

  1. che l'art. 217-bis esclude la responsabilità penale dell'imprenditore e dei creditori per la bancarotta preferenziale e semplice in relazione alle operazioni esecutive dei piani [ex

    artt. 67, comma 3, lett. d), 160 e 182-

    bis

    l. fall
    .], ai pagamenti ed alle operazioni di finanziamento autorizzate ex art. 182-

    quinquies

    ;
  2. che permane, ai sensi del secondo comma dell'art. 186-sexies, la responsabilità degli amministratori

    ex art. 2486 c.c.

    per le violazioni già compiute dell'obbligo di gestione conservativa del patrimonio;

  3. che permangono anche nell'esecuzione dei piani [ex

    artt. 67, comma 3, lett. d), 160 e 182-bis l. fall

    .] gli obblighi di vigilanza del collegio sindacale

    (atteso che il nuovo regime sospensivo ex art. 186 l. fall. non determina la sospensione della relativa attività (

    Pollio, Il ruolo del collegio sindacale nelle nuove soluzioni per facilitare la continuità aziendale, Milano, 2012, 149)

    ).
Momenti della crisi fondanti responsabilità

Nelle “norme di comportamento del collegio sindacale nella crisi di impresa” elaborate dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili si descrivono attraverso la regola n. 11 tre generi di condotte che si richiede via via di assumere man mano che progredisce la crisi.

Al punto 11.1 (Prevenzione ed emersione della crisi) si sancisce l'onere di sollecitare gli amministratori a porre rimedio in ordine a fatti idonei a pregiudicare la continuità dell'impresa.

All'uopo si osserva: L'esame dell'attuale assetto normativo sulla crisi di impresa e quello delle regole dettate per definire le funzioni del collegio sindacale nell'organizzazione societaria evidenziano una criticità: non esistono disposizioni che, fungendo da raccordo tra diritto societario e disciplina della crisi di impresa individuino i comportamenti specifici che l'organo è tenuto ad adottare nell'esercizio delle proprie funzioni di vigilanza. Di qui l'opportunità di indicare alcuni principi di comportamento che possano orientare l'attività del collegio sindacale, sia in funzione di prevenzione, che in funzione di emersione tempestiva della crisi”.

Al punto 11.2. (Segnalazione all'assemblea e denunzia al tribunale) si prevede l'onere di convocare l'assemblea qualora l'organo amministrativo non adotti i provvedimenti opportuni e l'onere di segnalare al tribunale ex art. 2409 c.c. eventuali gravi irregolarità amministrative.

Ai punti 11.3-4-5 (Vigilanza del collegio sindacale in caso di adozione di un piano) [ex artt. 67, comma 3, lett. d), 160 e 182-

bis

l. fall.] si afferma l'onere di vigilare su ogni fase dell'attività volta alla risoluzione della crisi.

Alla luce delle nuove disposizioni ex lege 134/2012, potrebbe individuarsi un onere di vigilare:

a) sulla sussistenza del presupposto della continuità aziendale nei piani di risanamento (Pollio, Il ruolo del collegio sindacale nelle nuove soluzioni per facilitare la continuità aziendale, Milano, 2012, 149);

b) sulla professionalità del redattore del piano;

c) sulla veridicità dei dati aziendali esposti nel piano;

d) sulla fattibilità del piano;

e) sull'adeguatezza del piano rispetto alla crisi dell'impresa;

f) sull'indipendenza dell'attestatore;

g) sulle competenze tecniche dell'attestatore;

h) sul rispetto da parte dell'attestatore delle Linee Guida del CNDEC;

i) sull'effettivo deposito del piano;

l) sull'attività dell'impresa nella procedura di concordato preventivo (dal ricorso anche in bianco fino all'omologa);

m) sulla fase del pre-concordato preventivo

ex art. 161, VI comma, l. fall

. ed in particolare sul rispetto degli obblighi informativi imposti dal Tribunale al legale rappresentante nel decreto

ex art. 161, comma VII, l. fall

., di fissazione di un termine per depositare la proposta ed il piano;

n) su eventuali richieste di autorizzazione rivolte al tribunale ex artt. 161, 167, 169, 182-quinquies e 182-sexies e sulle attestazioni all'uopo allegate;

o) sulle modifiche del piano;

p) sulla sopravvenuta non fattibilità, anche parziale, del piano;

q) sull'esecuzione da parte dell'amministratore o del liquidatore dei piani ex artt. 67, comma 3, lett. d), 160 e 182-

bis

l. fall.

Il non corretto utilizzo delle procedure di risanamento espone quindi il collegio sindacale alla tipica responsabilità per culpa in vigilando.

Ma ancora più rilevante è la disamina compiuta da attenta dottrina della posizione degli amministratori e del loro obbligo ex art. 2381, III e V comma, c.c., di curare l'adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili della società rispetto al suo scopo sociale ed alle sue dimensioni. In quest'ottica gli amministratori potrebbero essere considerati responsabili di aver cagionato od aggravato la crisi dell'impresa qualora ne fosse causa l'inadeguatezza o gestionale o organizzativa o amministrativa o contabile.

Non introduzione di misure di allerta

Significativamente nemmeno con la legge 134/2012 si introducono procedure (Panzani, Misure di allerta e prevenzione della crisi. Nuove prospettive?, in questo portale) per la tempestiva (Fortunato, Crisi d'impresa: prevenzione e allerta nelle società) emersione delle perdita del capitale sociale; si interviene per disciplinare la fase successiva, allorché la società si trova a fronteggiare tale evenienza. “Gli effetti sospesi riguardano infatti non il primo comma dell'art. 2446 c.c. (S.p.A.) né i commi 1, 2 e 3 dell'art. 2448-bis (S.r.l.), ma solo i commi finali degli articoli dianzi citati, nonché gli artt. 2447 e 2482-ter”.

Per gli organi delle società di capitali, ai sensi dell'art. 2446, comma, permane soltanto l'obbligo di chiedere al tribunale che venga disposta la riduzione del capitale in mancanza dei prescritti provvedimenti assembleari.

Quindi ancora una volta si è scelto di non incuneare in capo agli organi delle società di capitali specifici obblighi di segnalazione di fatti indicatori della crisi e ciò (di converso) aumenta e non diminuisce l'ambito della responsabilità degli amministratori per la gestione della società, decorrente dal momento in cui in sede giudiziaria si proverà che si è determinata la perdita del capitale.

Copendenza prefallimentare e pre-preventivo

Nell'ottica dell'individuazione dei poteri delle parti nel corso delle procedure concorsuali e dell'individuazione di forme di tutela preventive - atteso che l'attuazione della responsabilità civile per mala gestio interviene, per così dire, in un secondo momento - va ricostruito il ruolo dei creditori allorchè abbia luogo la situazione descritta nel comma 10 dell'art. 161 l. fall., vale a dire “(…) quando pende il procedimento per la dichiarazione di fallimento (…)”.

Il legislatore non ha descritto nelle norme della legge fallimentare alcun potere in capo al Tribunale di sospendere la procedura prefallimentare in caso di deposito del ricorso di concordato preventivo. La situazione appare quella della co-pendenza tra le due procedure anche se in alcuni uffici giudiziari si procede alla loro riunione nonostante le oggettive e soggettive diversità.

Qualora si accolga la lettura della co-pendenza è agevole riscontrare che qualora il debitore avanzi un ricorso di concordato preventivo allorché sia pendente un ricorso di fallimento si formano plurimi poteri giuridici: - da un lato il tribunale, ai sensi dei commi sei e dieci dell'art. 161 l. fall., valuta se concedere al debitore un termine per elaborare la proposta di concordato preventivo; - dall'altro i creditori-ricorrenti possono, anche se in dottrina (Fabiani, Vademecum per la domanda “prenotativa” di concordato preventivo, in www.ilcaso.it, sez. II, n. 313/2012, 13) già emerge una lettura opposta, chiedere al Tribunale di assumere provvedimenti urgenti ai sensi dell'art. 15, comma VI, legge fallimentare.

Responsabilità per l'attività non proceduralizzata

Ancora più evidente è, oggi, invece la responsabilità - art. 2486, comma 2, c.c. - degli amministratori delle società di capitali che aggravino il dissesto compiendo atti dopo la perdita del capitale sociale, che pongano in essere, perduto il capitale, una gestione non conservativa del patrimonio sociale proprio perché l'ordinamento ha apprestato tutti gli strumenti per addivenire ad una rapida emersione dell'insolvenza e ad una sua risoluzione mediante le procedure alternative al fallimento.

Nella giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ., n. 11155 del 4 luglio 2012) si rinvengono significativi arresti attinenti proprio l'esercizio dell'azione di responsabilità per "mala gestio" consistita nella violazione del divieto di nuove operazioni dopo la perdita del capitale sociale .

Peraltro il secondo comma dell'art. 182-

sexies

l. fall. non poteva essere più esplicito in ordine alla responsabilità di chi ha amministrato l'impresa dal momento in cui si è determinata la perdita superiore ad un terzo del capitale sociale rispetto al patrimonio netto, perché in tale norma si afferma che resta ferma, per il periodo anteriore al deposito delle domande e della proposta di cui al primo comma, l'applicazione dell'articolo 2486 c.c.

Significativo è poi il raffronto tra la norma (art. 2490, comma 5, c. c.) che impone al liquidatore in caso di prosecuzione dell'attività (anche per un solo ramo d'azienda) alcuni specifici obblighi di informativa contabile [segnatamente: 1) Presentare nei bilanci intermedi un'esposizione separata di attività e passività e relativo risultato economico; 2) Indicare nella prima relazione le ragioni e le prospettive della continuazione; 3) Indicare e motivare in nota integrativa i criteri di valutazione adottati] e l'articolo 161, comma 7, l. fall. che prescrive al Tribunale - delibata la domanda di concordato preventivo “in bianco” ex art. 161, comma 6, l. fall. - di imporre, nel decreto di fissazione di un termine per il deposito del piano, di disporre obblighi informativi periodici anche relativi alla gestione finanziaria dell'impresa.

Nell'ottica dell'individuazione delle responsabilità agevole è riscontrare che sussiste la vigilanza del Collegio Sindacale tanto sugli obblighi di informativa contabile del liquidatore (allorché prosegua l'attività di impresa al di fuori delle procedure), quanto sugli obblighi informativi del legale rappresentante nel pre-concordato.

Imprese in crisi in procedura: atti endo-procedimentali

Gli atti endo-concordatari dovranno essere con attenzione riguardati, attesi i differenti regimi previsti a seconda che siano assunti dopo la “domanda con riserva” o “post-decreto di ammissione”.

Per comprendere l'attuale complessità della gestione di un'impresa in crisi ammessa alla procedura di concordato preventivo è opportuno rammentare che gli amministratori delle società coinvolte in una procedura ex artt. 160 e ss. sono chiamati:

  1. a redigere un piano [lett. e) dell'art. 161, comma 2, l. fall.] contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta;
  2. a nominare un attestatore indipendente [nel significato emergente dal combinato disposto degli artt. 67, comma 3, lett. d) e 236-

    bis

    l. fall
    .];
  3. a richiedere al professionista attestatore di redigere relazioni asseverative (

    Quattrocchio, Concordato in continuità e ruolo dell'attestatore: poteri divinatori o applicazione di principi di best practice, in IlFallimentarista.it, 3/08/2012)

    volte a verificare: 1) la veridicità dei dati aziendali; 2) la fattibilità del piano; 3) la funzionalità al miglior soddisfacimento dei creditori della prosecuzione dell'attività d'impresa [nel caso di concordato in continuità ex art. 186-

    bis

    l. fall
    .]; 4) la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento in caso di continuazione di contratti pubblici [nel caso di concordato in continuità ex art. 186-

    bis

    l. fall
    .]; 5) la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto in caso di partecipazione a procedure di assegnazione di contratti pubblici [nel caso di concordato in continuità ex art. 186-

    bis

    l. fall
    .]; 6) di nuovo la veridicità dei dati e la fattibilità del piano in caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano; 7) la funzionalità alla migliore soddisfazione dei creditori [182-

    quinquies

    , I comma] dei finanziamenti prededucibili alla luce del complessivo fabbisogno finanziario dell'impresa sino all'omologazione; 8) in relazione al pagamento di crediti anteriori all'ammissione alla procedura, il loro carattere essenziale per la prosecuzione della attività di impresa e la loro funzionalità ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori [nel caso di concordato in continuità ex art. 186-

    bis

    l. fall
    .].
Concordati con continuità aziendale

La legge 134/2012 non si è limitata a consentire la continuità aziendale alle imprese che, perduto il capitale, entrino in procedura, ma ha anche introdotto un nuovo genere di concordato preventivo, disciplinato ai sensi dell'art. 186-

bis

l. fall. , riguardante specifici casi di prosecuzione dell'attività economica da parte dell'originaria impresa: Quando il piano di concordato di cui all'articolo 161, comma 2, lettera e) prevede: la prosecuzione dell'attività di impresa da parte del debitore; la cessione dell'azienda in esercizio; ovvero il conferimento dell'azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione, si applicano le disposizioni del presente articolo.”

Pertanto in tutti questi casi risulta:

  1. facoltativa la liquidazione di beni non funzionali all'esercizio dell'impresa;
  2. obbligatorio procedere ad una un'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano di concordato, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura;

  3. obbligatorio da parte del professionista di cui all'articolo 161, terzo comma, attestare che la prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori.

Nel concordato con continuità aziendale (Arato, il concordato con continuità aziendale , in IlFallimentarista.it) disciplinato dall'art. 186-

bis

l. fall. - in costanza delle specifiche e speciali attestazioni disciplinate da tale norma e da quelle contenute negli artt. 182-quinquies, comma 4, e 182-sexies - è possibile:

  1. pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi;
  2. prevedere una moratoria sino ad un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione;
  3. prevedere la non risoluzione dei contratti in corso di esecuzione (anche con pubbliche amministrazioni); d) autorizzare finanza interinale.
Atti autorizzati

Va esaminato con attenzione l'art. 182-

quinquies

l. fall., atteso che attraverso questa norma è stato individuato un regime di pagamenti efficaci compiuti dal debitore nell'ambito di un concordato preventivo con continuità aziendale, quelli autorizzati dal tribunale (perché indicati nella relazione asseverativa come essenziali per la prosecuzione della attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori).

Non è chi non veda l'elevato rischio di responsabilità civile incuneato in capo all'imprenditore in crisi che intenda continuare l'attività di impresa sotto l'ombrello protettivo del concordato preventivo di continuità ex artt. 182-

quinquies

e 186-

bis

l. fall
., essendogli attribuito l'onere alternativo o di fornire all'attestatore gli elementi per affermare il carattere essenziale (alla prosecuzione dell'attività di impresa) e funzionale del pagamento (ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori) o di compiere l'atto in assenza di autorizzazione.

In ogni caso l'autorizzazione del Tribunale non elide in astratto la responsabilità civile degli amministratori proponenti gli atti endo-procedimentali, anche se, ovviamente, se il giudice ha autorizzato un atto straordinario lo ha fatto perché lo ha ritenuto funzionale sulla base di un certa prospettazione di fatti e quindi la responsabilità civile dovrebbe essere sussistente solo in casi limite nei quali, ad esempio, la predetta prospettazione fattuale non sia veritiera.

Significativo è un caso affrontato dalla Suprema Corte (Cass. Civ., n. 578 del 12 gennaio 2007), ove la difesa dell'imprenditore ha prospettato che i pagamenti compiuti durante il concordato preventivo fossero atti di ordinaria amministrazione perché connessi a contratti pendenti: tale tesi non è stata accolta nel 2007 perché si è ritenuto che tali pagamenti fossero assoggettati al regime ex art. 167 l. fall.

Attività straordinaria

Altro aspetto degno di nota perché inerente i poteri dell'imprenditore durante la procedura di crisi è il nuovo regime previsto dal novellato art. 161, comma 6, l. fall. per gli atti di straordinaria amministrazione.

Dal deposito della domanda di concordato con riserva di deposito dei documenti (ai sensi dell'art. 161, comma 6, l. fall.) e fino al deposito del decreto del Tribunale di ammissione alla procedura di concordato preventivo (o del parificato a questi fini provvedimento di omologa ex art. 182-bis l. fall.) l'imprenditore conserva la gestione dell'impresa e compie gli atti di ordinaria amministrazione, senza autorizzazione del tribunale.

Ora, innovativamente, si prevede un regime interinale di autorizzazione da parte del collegio prima della nomina del commissario giudiziale per gli atti urgenti di straordinaria amministrazione, provvedimento autorizzatorio di particolare delicatezza perché i crediti di terzi sorti durante tale periodo sono prededucibili ex art. 111 l. fall..

Permane quindi la responsabilità degli amministratori per gli atti endo-procedimentali di straordinaria amministrazione posti in essere in assenza della prescritta autorizzazione ex art. 167 l. fall.

Eventuale esenzione dalla responsabilità per concessione abusiva del credito

Significativa delle conseguenze delle autorizzazioni rese in corso di procedura dall'autorità giudiziaria è la problematica dell'erogazione di credito ad un'impresa insolvente in pre-concordato od in concordato preventivo di continuità che, anziché condurre ad un superamento della crisi, si sia concretizzata per la prosecuzione dell'attività economica in una diminuzione della massa attiva.

Orbene, va ricordato che in dottrina (Arato, Il finanziamento dell'impresa negli accordi di ristrutturazione e nel concordato: profili giuridici, Milano, Paradigma, 2012) è stato posto il tema del se l'omologa del piano (ex artt. 160 e 182-bis l. fall.) prevedente l'erogazione di finanza-ponte ovvero di finanza autorizzata comporti, per effetto della verifica giudiziale, l'eliminazione della responsabilità civile del finanziatore per concessione abusiva di credito, atteso che per costui potrebbe essere agevole provare che sia stata erogata al fine di evitare il fallimento, nell'ambito di un piano che in astratto si presentava idoneo alla rimozione dell'insolvenza.

Responsabilità nei gruppi - cenni

Per quanto attiene ai concordati preventivi di gruppo (Vitiello, Il concordato preventivo «di gruppo», in IlFallimentarista.it, 31.07.12, e di Bersani, L'ammissibilità al concordato preventivo del “gruppo societario” e problemi procedurali, ivi, 13/09/2012) si pone un primo problema identificativo della nozione di gruppo rilevante nel diritto della crisi di impresa da riguardarsi ai sensi dell'art. 2359 c.c. con riferimento alle relazioni societarie di controllo e di collegamento come una pluralità di imprese formalmente indipendenti sulle quali è effettivamente esercitata una direzione economica unitaria attraverso forme di controllo giuridiche ed economiche.

Inopinatamente, nonostante la casistica giurisprudenziale riscontrata in questi anni, manca (anche dopo la legge 134/2012) una disciplina specifica:

1) che consenta la deroga alla competenza territoriale;

2) che consenta l'ammissione alla procedura di una società del gruppo priva dei requisiti dimensionali;

3) che regoli gli effetti del piano unitario;

4) che regoli la mancata approvazione della proposta di una delle società;

5) che disciplini la nuova finanza e quella interinale per il gruppo;

6) che autorizzi la fusione di società ammesse alle procedure.

La giurisprudenza afferma che in caso di concordato di gruppo (Galletti, Concordato preventivo e gruppi d'imprese: cessione e diversione di beni, e attestazioni condizionate, in IlFallimentarista.it, 21.09.12) l'attivo e il passivo di ogni società debbano essere tenuti distinti sino all'adunanza dei creditori e che le votazioni debbano essere autonome, così da poter ricostruire la volontà dei creditori di ciascuna società ed evitare che il peso di un eventuale dissenso di ciascuno dei componenti delle due masse creditorie perda o diminuisca la propria rilevanza.

Parimenti non è derogata durante la procedura di concordato preventivo della holding, investita del potere di direzione e controllo del gruppo, la responsabilità in sede civile (art. 2497 c.c.) per i danni cagionati al gruppo o alle singole società controllate o ai loro creditori. In particolare la holding che viola i principi di corretta gestione societaria delle società controllate è responsabile (in caso di mancata soddisfazione da parte della controllata) :

a) nei confronti dei soci delle controllate per il pregiudizio arrecato al valore della partecipazione sociale;

b) dei creditori sociali per la lesione all'integrità del capitale sociale.

Pertanto la disciplina della responsabilità civile nei gruppi, art. 2497 c.c., si applica anche alle evenienze che dovessero essere cagionate nel corso delle procedure di risanamento dei gruppi di impresa. Comunque i soci ed i creditori possono agire contro la holding solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta all'attività di direzione e coordinamento. Nel caso di fallimento l'azione è esercitata dal curatore .

Caso emblematico di responsabilità del collegio sindacale per omessa vigilanza (Cass. Civ., n. 18728 del 6 settembre 2007) circa il compimento da parte dell'organo amministrativo è quello inerente i finanziamenti a società collegate divenuti causa del dissesto finanziario della società poi dichiarata fallita.

Protezione globale: statuto dell'impresa in crisi

Le rilevanti innovazioni apportate alla legge fallimentare dalla legge 134/2012 hanno definitivamente superato le timidezze (Ferro, I nuovi strumenti di regolazione negoziale dell'insolvenza e la tutela giudiziaria delle intese fra debitore e creditori: storia italiana della timidezza competitiva, in Fall. 2005, 587-600) evidenti nelle prime riforme, e concorrono a formare uno statuto dell'impresa in crisi in cui si stagliano misure protettive del patrimonio aziendale del debitore proponente, misure protettive dei creditori che hanno ancora rapporti economici con esso, tutte però in questo momento da riguardare nell'ottica dell'attribuzione di ulteriori responsabilità in capo al debitore.

Si veda, per esclusione, appunto l'elenco dei “presupposti di successo” formulati in dottrina per constatare che effettivamente si sono recepite tutte le istanze volte all'introduzione di misure protettive restando impregiudicate proprio soltanto le istanze per una riduzione della responsabilità civile risarcitoria sia per la partecipazione ai fatti lesivi prodotti nell'attività di direzione delle società controllanti, che per la concessione del credito.

Ad esempio sono state introdotte plurime misure dirette a fronteggiare la problematica dell'accesso a nuove risorse finanziarie per risanare l'impresa in crisi, “posto che, nel caso in cui il risanamento non riesca e consegua il fallimento dell'impresa finanziata, il finanziatore potrebbe correre, fra gli altri, il rischio di (a) mancato (integrale) rimborso delle somme erogate, (b) revocatoria di eventuali garanzie e/o pagamenti ricevuti, (c) responsabilità civili per concessione abusiva del credito e (d) responsabilità penale per (concorso in) reati fallimentari .

Effetti protettivi del pre-concordato

Inequivocabilmente il fulcro della tutela accordata all'impresa in crisi è oggi contenuto in una complessa e concatenata struttura normativa mediante la quale si è introdotto nel nostro ordinamento (art. 161, comma 6, l. fall.) l'istituto dell'automatic stay e si è ricondotta la decorrenza degli effetti protettivi alla pubblicazione immediata del ricorso (a cura della cancelleria, e quindi senza alcun filtro giudiziario) attraverso la sua iscrizione nel registro delle imprese (art. 161, V comma, l. fall.).

L'imprenditore in crisi, con il deposito della domanda di concordato in bianco (art. 161, comma 6, l.fall. ):

1) evita lo spossessamento (Vitiello, Gli effetti sui rapporti pendenti del concordato preventivo, dell'esercizio provvisorio e dell'affitto di azienda del fallito, in www.ilFallimentarista.it, 26.01.12), conservando la disponibilità e l'amministrazione del proprio patrimonio e l'esercizio dell'impresa;

2) accede immediatamente ad un sistema di protezione del patrimonio aziendale dall'aggressione dei creditori;

3) può continuare a compiere atti di ordinaria amministrazione;

4) può chiedere di essere autorizzato dal Tribunale a compiere atti urgenti di straordinaria amministrazione ed altri atti specifici.

Per converso - il che non è poco, atteso che ciò accade solo in virtù della pubblicazione a cura della cancelleria di una domanda giudiziaria (ricorso in bianco) - ai sensi dell'art. 168, l. fall.:

1) i creditori non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore;

2) diventano inefficaci le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni che precedono la pubblicazione stessa così «disinnescando la corsa dei creditori dell'imprenditore in crisi a costituirsi cause di prelazione, spesso causa del mancato raggiungimento di soluzioni negoziali di risanamento.» (Relazione Camera);

3) le prescrizioni che sarebbero state interrotte dagli atti predetti rimangono sospese e le decadenze non si verificano.

Significativamente lo spazio temporale protetto può essere utilizzato tanto per elaborare un accordo di ristrutturazione - ai sensi degli artt.. 182-bis, 182-quater e 182-quinquies l. fall. -, quanto un “concordato preventivo ordinario” - descritto dall'art. 160 l. fall. - , ovvero un “concordato preventivo con continuità aziendale ai sensi degli artt. 186-bis e 182-quinquies, IV comma (con riferimento al pagamento immediato, in deroga ai principi concorsuali, di crediti anteriori per prestazioni di beni e servizi di cui sia attestata l'essenzialità per la prosecuzione della attività di impresa e la funzionalità ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori).

Tuttavia tanto nella fase pre-concordataria, quanto in quella tra l'ammissione e l'omologazione, previo il deposito di specifiche attestazioni, il Tribunale può autorizzare il debitore - a condizione che si realizzi la miglior soddisfazione dei creditori” - a compiere specifici atti di straordinaria amministrazione come contrarre finanziamenti (di ogni genere) o effettuare pagamenti di creditori concorsuali al di fuori di ogni riparto.

Vi è quindi da chiedersi (dando una risposta negativa) se ci si muova (ancora) in uno schema legislativo che pone al primo posto il soddisfacimento delle obbligazioni a qualsiasi titolo e in qualsiasi contesto assunte rispetto ad altre istanze, se pur socialmente rilevanti come quello del recupero degli organismi aziendali validi …” (Pacchi, La riforma del concordato fallimentare: uno sguardo al passato, in Il Concordato fallimentare, a cura di S. Pacchi, Lavis, 2008, 4).

Debtor oriented

La denominazione stessa dell'art. 33 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, “Misure per facilitare la gestione delle crisi aziendali”, descrive con trasparenza che non si è inteso introdurre soltanto misure protettive ispirate al modello del chapter 11 del Bankruptcy code americano. Infatti, si è modificato l'assetto del concordato preventivo (Estrangeros, La continuità aziendale nella gestione delle crisi: le nuove regole, in Dirittobancario.it, Settembre 2012) senza ancorare gli incentivi connessi al concordato preventivo ordinario né ad una tempestiva emersione dell'insolvenza, né al permanere dell'azienda (Di Nosse, Esposito, Fallir per l'insolvenza altrui, in IlFallimentarista.it, 10.09.12).

Si sono inseriti nuovi casi di esenzione dall'azione revocatoria, nuovi casi di prededucibilità ed ulteriori incentivi alla risoluzione della crisi d'impresa con gli strumenti differenti dal fallimento contemplati dalla vigente legge fallimentare, vale a dire il piano di risanamento attestato ex art. 67, comma 3, lett. d), l. fall., l'accordo di ristrutturazione disciplinato dall'art. 182-bis l. fall. e il concordato preventivo, procedimenti che in primo luogo si differenziano tra loro per il “differente ruolo attribuito, all'interno di ciascuno, all'Autorità Giudiziaria” (Bonfatti, Gli incentivi alle procedure di composizione delle crisi di impresa, Modena, 2012).

Agevole il constatare che il nuovissimo concordato preventivo sia una procedura estremamente “debtor oriented” (Fabiani, Contratto e processo nel concordato fallimentare, 2009, 78) a prescindere dalla gravità dello stato della crisi di impresa ed a prescindere dalla callidità dell'imprenditore (con l'unica riserva dell'inammissibilità dell'istanza di concordato preventivo in bianco qualora nel corso degli ultimi due anni sia già stata presentata con esito negativo: art. 161, comma 9). Non a caso tra i primi critici commenti ricorre l'osservazione secondo la quale la legge mostra di valorizzare le soluzioni alternative al fallimento in quanto tali, quand'anche orientate in senso liquidatorio” (Ambrosini, Contenuti e fattibilità del piano di concordato preventivo alla luce della riforma del 2012 in Ilcaso.it sez II, documento n. 306/2012, 21.06.12).

Nella relazione del Governo al D.L. n. 83/12 si indica però il limite oltre il quale non ci si è potuti spingere: “I finanziamenti e i pagamenti possono essere autorizzati sempre che siano funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori concorsuali (in tal modo si ribadisce che la continuità aziendale non è un valore in sé, ma soltanto in quanto strumentale alla soddisfazione dell'interesse del ceto creditorio)”. Tale affermazione fa riferimento alle regole oggi insite nell'art. 182-quinquies, I comma, valide anche per i concordati preventivi del genere liquidatorio: per essere autorizzato a contrarre finanziamenti prededucibili il debitore deve depositare una specifica relazione attestativa inerente la loro funzionalità alla migliore soddisfazione dei creditori. Tale affermazione fa riferimento anche al comma 4 dell'art. 182-quinquies in cui si prevede la possibilità di autorizzare il proponente un piano con continuità aziendale a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi; anche in tal caso si deve produrre una relazione attestante che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione della attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori.

Nella procedura fallimentare (per valutare se sia conveniente risanare l'azienda o liquidarla) si applica il principio scolpito nell'art. 105 l. fall., secondo il quale un'impresa deve essere venduta unitariamente se essa valga, nella sua integrità ed operatività, di più rispetto al valore dei singoli elementi del patrimonio immessi nuovamente e separatamente nel mercato per usi alternativi più efficienti (“… quando risulta prevedibile che la vendita dell'intero complesso aziendale, di suoi rami, di beni o rapporti giuridici individuabili in blocco non consenta una maggiore soddisfazione dei creditori”).

Invece nella procedura preventiva la convenienza del piano è liberamente valutata dallamaggioranza (presunta) dei creditori, senza criteri prefissati, salvo qualora vi sia un conflitto estrinsecato con l'opposizione e solo in tal caso - disciplinato dall'art. 180, comma 4 - il Giudice è chiamato a compiere una valutazione comparativa dell'alternativa tra risanamento e liquidazione omologando la proposta qualora “ritenga che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili”.

Automatic stay

Il comma 5 dell'art. 161 l. fall., prevedendo che la domanda di pre-ammissione alla procedura sia oggetto di immediata pubblicazione nel registro delle imprese a cura del cancelliere, ricollega a tale meccanismo della pubblicità una sostanziale presunzione assoluta di conoscenza della pendenza della procedura (Rolfi, La generale intensificazione dell'automatic stay , in IlFallimentarista.it, 3.08.12).

In estrema sintesi il comma 6 dell'art. 161 l. fall. consente all'imprenditore commerciale (soprasoglia ex art. 1 l. fall.) di depositare un ricorso di concordato preventivo riservandosi di depositare la proposta che sottoporrà ai creditori, il piano e (quasi) tutti gli altri allegati prescritti. All'uopo va osservato che il tribunale dovrebbe verificare, prima di autorizzare il ritardato deposito della proposta di concordato preventivo e del relativo piano:

a) l'eventuale pendenza di un ricorso pre-fallimentare;

b) la propria competenza ex artt. 9 e 161 l. fall.;

c) la qualifica di imprenditore commerciale fallibile ex art. 1 l. fall.;

d) la regolarità formale della domanda, vale dire la sottoscrizione da parte del legale rappresentante e l'allegazione delle delibere assembleari autorizzanti;

e) l'allegazione dei tre ultimi bilanci;

f) l'inammissibilità della domanda qualora nei due anni precedenti sia stata presentata altra domanda di C.P. con riserva non omologato.

Il legislatore non ha indicato un contenuto minimo del “ricorso in bianco”, sicché è già in corso un'attenta riflessione (Ambrosini, i finanziamenti bancari alle imprese in crisi nei nuoviarticoli 182-quatere182-quinquies, l. fall, in questo portale) nel cui contesto si registrano osservazioni secondo le quali le informazioni devono essere certamente più complete allorché si richiedono, oltre alla mera concessione del termine, anche autorizzazioni ulteriori e/o proroghe. In ogni caso più è scarna la comunicazione e meno tempo sarà concesso per redigere la proposta.

Obblighi informativi

È previsto che il tribunale possa prescrivere con il provvedimento autorizzativo obblighi informativi periodici, anche relativi alla gestione finanziaria dell'impresa (Sezione Fallimenti del Tribunale di MIlano, in IlFallimentarista.it, news, nonché il conforme decreto Trib. Modena, 14 settembre 2012).

A seguito del decreto del tribunale di fissazione del termine per il deposito della domanda con tutti gli allegati nonché degli “obblighi informativi periodici, anche relativi alla gestione finanziaria dell'impresa”, la gestione dell'azienda nel periodo interinale viene sottoposta ad un sorta di controllo del Tribunale diretto (senza un C.G.), dovendo l'imprenditore osservare tali obblighi (art. 161, VIII) e potendo il tribunale assumere informazioni in occasione della delibazione di ulteriori specifiche richieste.

A seconda delle concrete evenienze il Tribunale valuterà se chiedere di comunicare informazioni inerenti:

a) i crediti vantati dal ricorrente;

b) i finanziamenti ricevuti dal sistema bancario e/o finanziario;

c) i finanziamenti erogati dai soci e/o da società controllanti, controllate e/o collegate;

d) i contratti di anticipazione su fatture in essere con indicazione degli importi ceduti od anticipati;

e) le cessioni di crediti tributari;

f) i principali contratti pendenti;

g) S.A.L. e principali attività comunque in essere;

h) i diritti vantati dai terzi sui beni sociali.

Disciplina dei contratti in corso di esecuzione

Altra disciplina incentivante il concordato preventivo è quella introdotta dall'art. 169-bis in palese deroga ai principi affermati nell'art. 74 l. fall., tant'è che nella schede predisposte dagli uffici della Camera dei Deputati in occasione della conversione in legge del D.L. sviluppo si legge che: “Tale credito è, diversamente da quanto accade per i crediti di cui agli artt. 72 ss. l fall., attratto nel regime del concorso tra i creditori”.

Infatti si prevede che l'imprenditore in crisi nel ricorso di concordato preventivo (ed addirittura in quello di pre-concordato) possa chiedere di essere autorizzato a sciogliersi dai contratti pendenti alla data della presentazione del ricorso (o a sospenderne l'esecuzione) (Inzitari, I contratti in corso di esecuzione nel concordato: l'

art. 169-bis l.fall

., in questo portale).

Qui, in palese deroga ai principi ordinari, si prevede che il contraente abbia diritto soltanto ad un indennizzo in moneta fallimentare equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento, quando il credito di costui, sorgendo dopo il deposito del ricorso di concordato preventivo, dovrebbe essere un credito della massa.

Ulteriori autorizzazioni

Il Tribunale, nel decreto di fissazione del termine ex art. 161 l. fall. entro il quale il proponente deve produrre gli ulteriori documenti, oltre a nominare il giudice relatore e a fissare gli obblighi informativi, può:

  1. ordinare di integrare la documentazione ex art. 162 e 161, comma 6, anche se il primo comma dell'art. 162 non è espressamente richiamato nelle norme disciplinanti il periodo interinale;
  2. autorizzare (in assenza di un Commissario Giudiziale e dei suoi accertamenti, assunte informazioni) gli atti di straordinaria amministrazione;
  3. autorizzare ex art 169-bis lo scioglimento dei contratti in corso di esecuzione attribuendo all'altro contraente un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento, in moneta fallimentare con rango chirografario;

  4. autorizzare ex art 169-bis la sospensione dei contratti in corso di esecuzione per non più di sessanta giorni, prorogabili una sola volta;

  5. autorizzare ex art 182-quater la prededucibilità di finanziamenti-ponte;
  6. autorizzare ex art 182-quinquies finanziamenti, prededucibili ai sensi dell'articolo 111, se un professionista designato dal debitore in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, comma 3, lettera d), verificato il complessivo fabbisogno finanziario dell'impresa sino all'omologazione, attesta che tali finanziamenti sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori;
  7. autorizzare il debitore a concedere pegno o ipoteca a garanzia dei medesimi finanziamenti;
  8. autorizzare in caso di continuità aziendale, anche ai sensi dell'articolo 161 sesto comma, a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi, se un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, comma 3, lettera d), attesta che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione della attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori.

Approvazione presunta ed opposizioni

Come già osservato, è apparentemente rimasta immutata la regola secondo la quale “il concordato è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto” (art. 177, I comma, I parte).

Parimenti immutata la regola secondo la quale “ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato è approvato se tale maggioranza si verifica inoltre nel maggior numero delle classi” (art. 177, comma 1, seconda parte).

Apparentemente, perché - così inserendo una misura ulteriormente incentivante anche per i concordati liquidatori - ai sensi dell'art. 178, comma 4, “i creditori che non hanno esercitato il voto … si ritengono consenzienti e come tali sono considerati ai fini del computo della maggioranza dei crediti”.

Responsabilità dell'attestatore: imprenditore onesto e sfortunato

Nella realtà non si può riscontrare la famosa (Cavalieri, La riforma del diritto delle crisi d'impresa: aspetti di natura economico-aziendale, in Rivista italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, gennaio e febbraio 2004, n. 1 e 2) contrapposizione tra la condotta di chi (onesto e sfortunato) gestisce un'azienda in crisi al fine di risanarla, anche attraverso strumenti concorsuali, e quella di colui il quale (callido e da sanzionare) si limita a condurre un'impresa all'applicazione di una procedura liquidatoria. Tale schematizzazione porterebbe a descrivere da una parte un imprenditore adamantino (Ferro, I nuovi strumenti di regolazione negoziale dell'insolvenza e la tutela giudiziaria delle intese fra debitore e creditori: storia italiana della timidezza competitiva, in Fall., 2005, 5, p. 587-600) che responsabilmente rileva con tempestività l'esistenza della crisi e pone in essere tutte le misure necessarie alla sopravvivenza dell'organizzazione produttiva, e dall'altra la figura, per così dire cialtronesca, di chi distrugge le ultime risorse dell'impresa e riduce ulteriormente la garanzia patrimoniale dei suoi creditori.

Dalla disamina della giurisprudenza di merito inerente l'interruzione del concordato preventivo emergono, invece, tante situazioni di abuso del diritto nel ricorso alle misure alternative al fallimento.

La mancanza fino al settembre 2012 di garanzie e guarentigie poste a salvaguardia della terzietà dell'attestatore ha avuto gravi ripercussioni anche sulla ricostruzione sistematica delle procedure concorsuali del diritto della crisi di impresa, atteso che fino ad oggi i commissari giudiziari non hanno considerato gli attestatori come tecnici che hanno prima di loro compiuto valutazioni, ma come dei soggetti ibridi i quali non si sono limitati ad esaminare un piano già redatto, ma hanno contribuito (almeno in parte) a redigerlo. Oggi invece si dovrebbe, proprio a seguito della novella del 2012, iniziare un nuovo dialogo tra attestatore indipendente e commissario giudiziale.

Attestatore indipendente

Ai sensi della nuova formulazione dell'art. 67, comma 3, lettera d), l'attestatore:

  • è designato dal debitore;

  • è iscritto nel Registro dei revisori legali;

  • è in possesso dei requisiti previsti dall'art. 28, lett. a) e b), del R.D. n. 267/42

    (in materia di requisiti per la nomina a curatore);

  • è in possesso dei requisiti che lo renderebbero in astratto eleggibile alla carica di sindaco;

  • è indipendente sia rispetto all'impresa, sia rispetto a chiunque abbia interesse all'operazione di risanamento;

  • non ha rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l'indipendenza di giudizio;

  • non può essere il consulente abituale dell'imprenditore o uno dei professionisti appartenenti alla sua associazione professionale;

  • non può avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo;

  • svolge il suo incarico solo dal momento in cui gli è formalmente conferito.

In sintesi con la riforma del 2012 si è introdotta una disciplina unitaria per tutto il diritto della crisi di impresa in tema di professionista attestatore indicando, all'art. 67, comma 3, lett. d), il requisito della sua indipendenza, del suo non essere legato all'impresa e a coloro che hanno interesse all'operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l'indipendenza di giudizio.

Su queste molto più solide basi si svolge oggi l'attestazione responsabile.

La responsabilità penale del proponente e dell'attestatore

Il quadro effettuale è stato in questi anni, appunto, così non corrispondente ad una corretta tutela del credito da provocare due reazioni, una giurisprudenziale - concretizzatasi in un controllo molto penetrante in ordine ad ogni fase del concordato preventivo - ed una, estremamente tardiva, del legislatore.

Per queste ragioni va rimarcato che l'introduzione nella lettera d) del terzo comma dell'articolo 67 l. fall., della definizione normativa di indipendenza dell'attestatore e la qualificazione come reato ex art. 236-bis l. fall. di due condotte tipiche poste in essere dall'attestatore hanno modificato radicalmente la ripartizione delle responsabilità all'interno del diritto della crisi di imprese perché tali precetti si rivolgono, ai sensi degli articoli 48 e 110 c.p., anche a tutti coloro che elaborano il piano o lo propongono ai creditori.

I creditori e l'ordinamento si affidano ad un sistema di attestazioni ex art. 67 salvaguardate dalla responsabilità civile e penale del professionista.

Attestazioni non ingannate

Come già accennato, ai sensi del combinato disposto degli art. 48 c.p. e 236-bis l. fall., chiunque, ed in particolare l'imprenditore richiedente l'attestazione, che abbia ingannato il professionista attestatore risponde del reato di falso in attestazioni e relazioni commesso dal professionista ingannato. La nuova figura di reato prevista dall'art. 236-bis l. fall. è stata introdotta per tutelare la “correttezza delle informazioni sulla situazione economica patrimoniale e finanziaria del debitore” (Rel. n. III/07/2012 Roma, 13 luglio 2012 dell'ufficio del Massimario della Cassazione, a cura di Pistorelli ), per tutelare la “terzietà preventiva(Mucciarelli, Il ruolo dell'attestatore e la nuova fattispecie penale di “falso in attestazioni e relazioni”, in IlFallimentarista.it , 3/08/2012) punendo l'attestatore che dolosamente (dolo generico) commetta una delle condotte alternative descritte nel primo comma della norma incriminatrice. Tuttavia va ribadito che se l'attestatore è stato ingannato, ai sensi dell'art. 48 c.p., il medesimo è immune da responsabilità penale e del fatto commesso dall'attestatore ingannato risponde chi l'ha determinato a commetterlo inconsapevolmente.

In altre parole i creditori e l'ordinamento si affidano ad un sistema di attestazioni ex art. 67, comma 3, lett. d), salvaguardate dalla responsabilità civile e penale del professionista nonché dall'obbligo di non ingannarlo che grava sull'imprenditore e sul professionista redattore del piano.

In quest'ottica che responsabilizza anche chi predispone il piano e non solo chi lo attesta va osservato che è punito il professionista - soggetto attivo di un reato proprio - che solo nelle relazioni o attestazioni di cui all'art. 67, comma 3, lettera d), rese ai sensi degli artt. 161, comma3, 182-bis, 182- quinquies e 186-bis - prima condotta tipica alternativa - esponga informazioni false, ovvero - seconda condotta tipica alternativa - ometta di riferire informazioni rilevanti.

Pertanto non è punita la dolosa falsità (160, 2) nell'attestazione di incapienza dei privilegiati, che però si riverbera nell'erronea attestazione resa dal professionista attestatore ex art. 161, comma 3.

Parimenti è agevole riscontrare che non è previsto che il reato sia commesso con il dolo specifico per le condotte tipiche, anche se è evidente che la condotta è finalizzata all'ammissione alle procedure di soluzione concordata della crisi.

Attestazione responsabile

L'attestazione può essere definita, in estrema sintesi, come una descrizione particolareggiata dei criteri utilizzati per pervenire ai giudizi di veridicità e fattibilità, con specifica indicazione degli elementi controllati e delle verifiche effettuate.

Dal punto di vista contenutistico - in prima osservazione - si individua dapprima un giudizio di veridicità dei dati aziendali compiuto mediante la verifica dell'esistenza dei beni materiali, immateriali, dei crediti, dei contratti e di tutti gli elementi posti a fondamento della domanda di ammissione. Vi è poi un giudizio di fattibilità del piano di soluzione della crisi che si articola attraverso:

a) la descrizione della gravità, delle cause e delle conseguenze della crisi;

b) l'analisi delle strategie proposte;

c) la concreta valutazione dell'effettiva realizzabilità di ogni dismissione ed attività proposta.

In particolare, l'attestatore nel concordato preventivo è chiamato via via a verificare:

1) la veridicità dei dati aziendali;

2) la fattibilità del piano;

3) la funzionalità al miglior soddisfacimento dei creditori della prosecuzione dell'attività d'impresa;

4) la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento in caso di continuazione di contratti pubblici;

5) la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto in caso di partecipazione a procedure di assegnazione di contratti pubblici;

6) di nuovo la veridicità dei dati e la fattibilità del piano in caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano;

7) la funzionalità alla migliore soddisfazione dei creditori (182-quinquies, comma 1) dei finanziamenti prededucibili alla luce del complessivo fabbisogno finanziario dell'impresa sino all'omologazione;

8) in relazione alla concessione di pegno o ipoteca a garanzia di finanziamenti prededucibili, la loro funzionalità alla migliore soddisfazione dei creditori (182-quinquies, comma 3);

9) in relazione ai finanziamenti prededucibili per i concordati in continuità aziendale (182-quinquies, comma 4) la loro necessarietà per garantire la continuità aziendale e la loro funzionalità alla migliore soddisfazione dei creditori;

10) in relazione al pagamento di crediti anteriori all'ammissione alla procedura, il loro carattere essenziale per la prosecuzione della attività di impresa e la loro funzionalità ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori.

Ma non solo. Oltre ad aver statuito il principio della terzietà dell'attestatore va osservato che l'affidamento dei creditori (e dell'ordinamento) ad un sistema di attestazioni ex art. 67, comma 3, lett. d), è salvaguardato dalla responsabilità civile e penale (ex art. 236-bisl. fall.) del professionista nonché dall'obbligo, ex art. 48 c.p., di non ingannarlo che grava anche sull'imprenditore e sul professionista redattore del piano.

Queste complesse ed interlacciate tematiche consentono di comprendere che il legislatore ha gravato l'imprenditore, i professionisti redattori del piano e il professionista attestatore, dell'obbligo - penalmente e civilmente salvaguardato - di una corretta (Trib Firenze C.P. 18-1-2012, n. 10498/2011 R.G.) rappresentazione del dato di partenza (la situazione aziendale) e di quello d'arrivo (il piano di soddisfazione), tutti tenuti ad esaminare non solo i documenti contabili aziendali, ma a verificarne la corrispondenza con l'effettiva realtà dell'azienda medesima, in relazione alla quale l'attestatore ha anche un proprio specifico obbligo di compiere concrete esplorazioni e verifiche così garantendo una propria valutazione imparziale e genuina.

Inadempimento dell'attestatore e ammissione al passivo

Vanno ricordati, procedendo per gradi nella ricostruzione degli effetti delle attestazioni inidonee, i casi giurisprudenziali (Trib Firenze C.P. 18-1-2012, n. 10498/2011 R.G.) di attestatori non ammessi allo stato passivo del successivo fallimento per avere depositato una relazione inidonea e di attestatori ammessi in privilegio per un importo (Trib. Milano decreto n. 26836/11) ridotto, ma non in prededuzione.

Responsabilità civile dell'attestatore

Si ritiene che, in caso di insuccesso dell'accordo, l'esperto che ha attestato il piano possa rispondere contrattualmente nei confronti dell'imprenditore ed in via extracontrattuale verso i terzi, con applicazione però dell'art. 2236 c.c. (Trib. Roma 13 marzo 2012).

La sua responsabilità sarà esclusa in caso di mero errore valutativo, ma non se c'è dolo o colpa grave.

Lo svolgimento del controllo, qualunque esso sia, da parte del Tribunale non è esimente per l'attestatore.

Considerazioni conclusive sui doveri degli organi

Resta il fatto che lo stato di crisi pre-insolvenza è un dato economico e che è l'imprenditore ad avere l'onere di dimostrarne la sussistenza provando (Trib. Salerno, 1 giugno 2005) di trovarsi in una situazione così grave da consentire, ad esempio, di essere ammesso al concordato preventivo anche in assenza dei sintomi dell'insolvenza.

Al contrario, nel caso di dichiarazione di fallimento sarà il curatore ad avere l'onere di provare nei processi per l'accertamento della responsabilità civile degli amministratori il momento nel quale si è verificata la perdita superiore ad un terzo del capitale sociale rispetto al patrimonio netto (non coincidente con il momento nel quale si è manifestata l'insolvenza, vale a dire l'incapacità di adempiere alle proprie obbligazioni) così aprendo la strada al risarcimento di quei danni in relazione ai quali si provi l'essere conseguenza dell'illecita prosecuzione dell'attività sociale.

Tanto si è qui esposto anche per ricordare alcuni aspetti essenziali utili a ricostruire la tematica della responsabilità degli organi nel diritto della crisi di impresa.

L'imprenditore in crisi nel momento in cui chiede che l'impresa sia ammessa ad una delle forme di tutela del diritto della crisi di impresa è consapevole:

  1. che l'ammissione in procedura dell'impresa non incide sulla sfera delle responsabilità di chi l'ha amministrata;
  2. che l'autorizzazione a compiere atti non elide la responsabilità di chi li ha proposti e di chi li eseguirà qualora si provi la sussistenza dei requisiti per affermare che tali atti siano illeciti e dannosi;
  3. che dal momento in cui l'impresa entra in una delle procedure di crisi chi l'amministra assume l'obbligo di formulare proposte ai creditori fondate su piani veritieri e fattibili e l'obbligo di esporre un flusso informativo completo, veritiero ed aggiornato della propria situazione patrimoniale, economica e finanziaria.

Non solo.

Dalla disamina degli obblighi gravanti sul collegio sindacale e sugli amministratori (ma anche dalle situazioni qui non esaminate inerenti i gruppi di imprese ed inerenti la problematica dei vincoli contrattualmente assunti in occasione di un finanziamento bancario) emergono sempre più elementi che muovono verso l'individuazione di un vero e proprio obbligo, qualora si siano registrate perdite patrimoniali significative, di scegliere tempestivamente se risanare l'impresa o liquidarla e correlativamente per fondare una responsabilità in capo agli amministratori per mancata tempestiva adozione di una misura di risoluzione negoziata della crisi qualora abbiano invece proseguito l'attività illecitamente.

In quest'ottica sembrano muoversi le già illustrate prescrizioni rese dal CNDEC al collegio sindacale nonché riferimenti esposti in dottrina dove ci si interroga in ordine alla responsabilità non solo per mancata adozione di una qualsivoglia misura in senso lato di crisi - dalla mera gestione conservativa alla liquidazione volontaria od ad uno dei piani previsti dalla legge fallimentare - ma anche alla responsabilità per averla adottata in ritardo o per averne adottata una non adeguata.

Inequivocabile è invece la responsabilità per aver adottato una misura di crisi violando gli obblighi di veritiera allegazione e di veritiera informazione.

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