Esecuzione fondiaria sui beni aziendali caduti in fallimento

05 Dicembre 2012

Il creditore fondiario può iniziare o proseguire l'esecuzione individuale sui beni del fallito, anche nel corso di una procedura concorsuale: questa deroga al principio generale, in base al quale tutto il patrimonio del debitore viene sottoposto all'espropriazione fallimentare, comporta, però, problemi di coordinamento tra la procedura individuale e la liquidazione concorsuale gestita dal curatore, nonché tra la posizione del creditore fondiario e la massa passiva. L'Autore si sofferma su tali problematiche, esaminando le specificità dell'esecuzione fondiaria.

La facoltà concessa al creditore fondiario di iniziare o proseguire l'esecuzione individuale sui beni del fallito anche nel corso della procedura fallimentare, in quanto derogatoria ad uno dei principi cardine della procedura concorsuale, che vuole, appunto, la sottoposizione di tutto il patrimonio del debitore all'espropriazione fallimentare, ha creato non pochi problemi di coordinamento, sia relativamente al rapporto che si instaura tra la fase della liquidazione fallimentare, a cui è tenuto il curatore, e la procedura individuale, sia in relazione alla posizione del creditore fondiario nel concorso con la massa passiva.

Sotto questo secondo profilo, la disciplina speciale sull'esecuzione fondiaria, originariamente contenuta nel

R.D. 26 luglio 1905, n. 646

, poi rimodulata dal

T.U. bancario

(ossia dall'

art. 41 del D. Lgs 385/93

), ha posto il dubbio che la sua prosecuzione nonostante lo spossessamento fallimentare di tutto il patrimonio del fallito significasse l'attribuzione di un privilegio sostanziale a favore dei soggetti esercenti il credito fondiario e si traducesse in una prelazione sul bene di natura extraconcorsuale, tanto che il creditore fondiario non sarebbe stato tenuto a partecipare al concorso ai sensi dell'

art.

52 l

.

f

all

. (nel testo ante riforma), e quindi sarebbe stato esentato dall'insinuazione al passivo potendo godere del realizzo della vendita coatta fino a concorrenza del suo credito a prescindere dalle regole sulla graduazione dei crediti.

Il conflitto, risolto in via interpretativa dalla pronuncia della

Cassazione a Sez. Unite n. 2357/2004

, ha trovato ora definitiva soluzione normativa nella riforma della

legge fallimentare

, la quale, dopo aver confermato la facoltà del creditore fondiario di iniziare o proseguire l'esecuzione individuale sui beni del fallito in deroga al divieto dell'

art.

51 l

.

f

all

., ha chiarito, nel secondo comma dall'art 52, che anche il creditore “esentato" deve scontare l'onere di chiedere l'ammissione allo stato passivo del fallimento.

Viene, quindi, confermata dal Legislatore la soluzione interpretativa data prima della riforma, ossia che al creditore fondiario è attribuito un mero privilegio processuale (

Cass. 26 luglio 2004, n. 14003

)

che si sostanza nella possibilità, attraverso l'azione individuale, di ottenere la riscossione anticipata o diretta del realizzo del bene su cui vanta una prelazione ipotecaria di primo grado, senza attendere il riparto quale tipica modalità satisfattiva della

legge fallimentare

, sebbene il suo credito resti soggetto alle regole del concorso e soggiaccia all'onere dell'accertamento nella sede fallimentare.

L'altra questione, che qui interessa, riguarda il coordinamento tra le norme sulla liquidazione fallimentare e la deroga al divieto di prosecuzione di azioni esecutive di cui gode il creditore fondiario, che si sostanzia nell'affidamento della vendita del bene ipotecato al giudice dell'esecuzione piuttosto che al curatore, il quale agisce, com'è noto, sotto la vigilanza del giudice delegato.

Nella vigenza della

legge fallimentare

ante riforma la questione non poneva particolari problematiche visto che in giurisprudenza, già prima dell'introduzione del

T.U. bancario

, si era affermato il principio della non necessaria prevalenza dell'azione esecutiva individuale sulla fase della liquidazione fallimentare, mentre la coesistenza delle due procedure sul bene ipotecato doveva ritenersi coerente al sistema se poste su un piano di concorrenza temporale, nel senso che la legittimazione alla vendita doveva individuarsi con il criterio dell'anteriorità del provvedimento che la disponeva (

Cass. 28 gennaio 1993 n. 1025

). Vista dall'ottica del curatore, doveva riconoscersi la sua legittimazione a procedere alla vendita di un bene su cui nel contempo gravasse l'esecuzione fondiaria individuale, tutte le volte in cui fosse stato in grado di ottenere dal giudice delegato un'ordinanza di vendita prima del creditore fondiario.

Va da sé che tale soluzione conservava una coerenza sistematica con le regole del concorso a patto che le modalità di trasferimento del bene ipotecato nella procedura esecutiva e nella procedura fallimentare avessero uno stesso grado di omogeneità, nel senso che tanto nell'esecuzione individuale, quanto in quella collettiva i modelli di ricerca della migliore offerta di realizzo del bene fossero sostanzialmente intercambiabili, caratterizzati dall'assenza di una vera gestione liquidatoria, entrambi collocabili in uno schema procedimentalizzato, ricalcato sulle norme del codice di rito (TERRANOVA, La Liquidazione fallimentare: prassi, giurisprudenza e dottrina, in Riv. Dir. Fall., 2003, I, 1662). In altre parole la vendita eseguita dal giudice dell'esecuzione o dal giudice del fallimento, ai sensi dell'

art

108 l

.

f

all

(ante riforma), dovevano intendersi sovrapponibili tanto da lasciare sostanzialmente indifferenti le ragioni dei creditori concorrenti, a parte l'agevolazione “di cassa” per il fondiario. Il privilegio processuale a favore del creditore fondiario si traduceva, infatti, nella possibilità d'intercettare la procedura della vendita, sovente iniziata in un momento precedente la dichiarazione di insolvenza, per eseguirla prima del fallimento, senza disperdere così il risultato utile di un'attività in parte già svolta, ed ottenere liquidità da incamerare direttamente dalla vendita giudiziale, salvo la restituzione al curatore dell'eventuale eccedenza rispetto a quanto spettante in base al riparto fallimentare.

Se, però, il curatore fosse riuscito ad ottenere l'ordinanza di vendita anteriormente a quella del giudice dell'esecuzione, avrebbe potuto procedere alla liquidazione fallimentare nonostante la volontà del creditore fondiario di proseguirla autonomamente. Nella pratica, tuttavia, poiché nella maggior parte dei casi il fallimento si apriva dopo l'inizio di azioni esecutive individuali, la possibilità per il curatore di vendere tutti i beni del fallito restava frustrata, poiché il creditore fondiario aveva già ottenuto l'ordinanza di vendita. Non restava quindi che intervenire nella procedura fondiaria, almeno nei casi in cui la previsione di realizzo poteva far sperare in un avanzo rispetto al credito ipotecario.

La tesi è stata di recente ribadita dalla Suprema Corte (

Cass. 8 settembre 2011 n. 18436

), la quale, tuttavia, nel confermare il precedente orientamento, descrive in modo nuovo la coesistenza delle due procedure assegnando a quella fondiaria carattere accessorio e subordinato all'esecuzione collettiva, definendola come una variante del potere di liquidazione dell'attivo senza escludere i poteri attribuiti direttamente al curatore, principio che, secondo i giudici di legittimità, conserva la sua validità anche nel nuovo regime fallimentare.

Le conclusioni sopra esposte debbono, ora, fare i conti con la nuova impalcatura normativa della liquidazione fallimentare, disegnata in modo da comprendere, in concorso con lo scopo satisfattivo, l'obiettivo della conservazione dell'unità del patrimonio aziendale del fallito, tanto da orientare la gestione del curatore. Questi, infatti, deve seguire un percorso valutativo finalizzato a stabilire se sia più conveniente, in termini economici, la vendita in blocco del patrimonio del fallito, o di sue porzioni, rispetto alla vendita parcellizzata dei singoli beni. Lo si ricava, inequivocabilmente, dalla lettura dell'

art.

105 l

.

fall

., il quale dispone che “la liquidazione dei singoli beni ai sensi degli articoli seguenti del presente capo è disposta quando risulta prevedibile che la vendita dell'intero complesso aziendale, di suoi rami, di beni o rapporti giuridici individuabili in blocco non consenta una maggiore soddisfazione dei creditori”.

Ciò pone il dubbio se il privilegio processuale del creditore fondiario possa resistere pur in presenza di un effetto disgregativo dell'unità aziendale che conseguirebbe alla separata prosecuzione di una procedura individuale, parallelamente alla liquidazione concorsuale. Può accadere, infatti, che uno dei beni costituenti il complesso aziendale, ed in particolare il bene immobile in cui è esercitabile l'impresa (capannone, opificio ecc.), sia gravato da un mutuo fondiario ed al momento del fallimento sia in corso una procedura esecutiva promossa dall'istituto fondiario. E' evidente che se la scelta del curatore di procedere alla vendita in blocco dei beni attraverso la cessione dell'azienda dovesse dipendere dall'abbandono da parte del creditore fondiario della procedura esecutiva individuale, il meccanismo che vede il curatore impegnato a verificare la convenienza della cessione d'azienda rispetto alla vendita atomistica, imposto, come visto sopra, dall'art 105, comma 1, ma ricavabile anche dal dovere di includere nel programma l'eventuale cessione in blocco (art. 104-ter, comma 3), sarebbe gravemente compromesso.

In altre parole, se la deroga all'

art. 51 l.

f

all

. citata dall'art.

107,

comma 5, comprendesse anche l'ipotesi di esecuzione fondiaria iniziata o proseguita nel corso del fallimento su beni appartenenti al complesso aziendale, il curatore non potrebbe liberamente confrontare, sul piano economico, l'ipotesi di mantenimento dell'unità aziendale proiettandola nella fase della liquidazione, con l'alternativa della vendita dei singoli beni, che, quindi, resterebbe la via obbligata se il fondiario volesse esercitare il suo privilegio processuale. E ciò significherebbe, almeno per tali casi, il ridimensionamento del carattere gestorio della fase della liquidazione fallimentare, ossia di quel principio ispiratore della riforma teso a mettere il curatore nelle condizioni di agire al meglio per la ricerca della formula per ottenere il massimo realizzo e nel contempo la salvaguardia dei valori aziendali o unitari.

Ed allora, per non vanificare quell'obiettivo, bisognerebbe pensare, pur in mancanza di una norma di raccordo, ad un percorso interpretativo che escludesse dalla deroga all'

art. 51 l.

f

all

. il caso di beni con prelazione fondiaria facenti parte di complessi aziendali per cui il curatore avesse optato per la vendita unitaria. Una strada potrebbe ricavarsi proprio dal carattere accessorio dell'esecuzione fondiaria rispetto alla liquidazione fallimentare, affermata di recente dalla citata sentenza, se ciò volesse significare un principio di subordinazione alle clausole generali sulle vendite fallimentari. In tal senso le norme generali sul programma di liquidazione e sulle vendite fallimentari, in quanto tese a proteggere l'unità aziendale, potrebbero essere, a nostro giudizio, sufficienti per subordinare la prosecuzione fondiaria all'assenza di una scelta di vendita “aziendale” ed unitaria dei beni, se tra loro vi fosse anche quell'unità assoggettabile ad esecuzione fondiaria. Altra possibilità potrebbe rinvenirsi attingendo dalle norme di rito ove non si contempla l'azienda tra i beni pignorabili, per cui qualora il curatore dovesse accertare una presenza utile per le ragioni della massa d'unità aziendali liquidabili, l'esecuzione fondiaria dovrebbe lasciare il passo alla vendita collettiva stante la perdita d'individualità del bene ipotecato.

In ogni caso, va ricordato che la soluzione giurisprudenziale che vede la sussistenza di un privilegio processuale in capo al creditore fondiario, presuppone ovviamente la neutralità degli effetti sostanziali, nel senso che l'opzione tra vendita concorsuale e prosecuzione dell'azione individuale dovrebbe essere, in linea teorica, indifferente rispetto all'ipotetico realizzo: la vendita del bene eseguita del giudice dell'Esecuzione o dal giudice Fallimentare porterebbe allo stesso risultato sostanziale.

Ma se il curatore accerta, come vuole l'

art. 105 l.

f

all

., che la vendita del complesso aziendale sia più vantaggiosa rispetto alla vendita del singolo bene, allora l'ostinazione a proseguire l'esecuzione da parte del creditore fondiario non dovrebbe trovare tutela giuridica a scapito delle ragioni sostanziali degli altri creditori, che vedrebbero ridotte, ingiustamente, la loro possibilità di soddisfo.

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