Il raggiungimento del riequilibrio finanziario ex art. 67, comma 3, l. fall.: una proposta interpretativa nell'ottica del professionista attestatore

Riccardo Ranalli
05 Aprile 2012

L'Autore si propone di fornire una proposta metodologica per la verifica, da parte del professionista attestatore del piano redatto ai sensi dell'art. 67, comma 3, lett. d), l. fall., del raggiungimento, in via prognostica, del riequilibrio finanziario dell'impresa in crisi. A tal fine, a partire dal dato letterale della norma in commento, si individuano ulteriori spunti di riflessione dal disposto dell'art. 2467 c.c., che reca una declinazione del concetto di equilibrio finanziario con riferimento all'istituto della postergazione. In particolare, la proposta si basa sull'assunto che il concetto di riequilibrio finanziario si identifica con quello di sostenibilità del debito e presuppone la capacità dell'impresa di produrre flussi di cassa adeguati al servizio del debito finanziario, anche in presenza di rischi d'impresa non remoti. Ciò posto, si tratterebbe, verificata preliminarmente l'assenza di indicatori ostativi al merito di credito, di pervenire alla prova diretta del riequilibrio finanziario prognostico individuando, a regime, i flussi finanziari liberi, per determinare, in una situazione astratta di neutralità dei volumi e di crescita nulla del valore della produzione (c.d. steady state), le condizioni in presenza delle quali potrebbe aver luogo il rimborso del debito finanziario non autoliquidante.

L'art. 67, comma 3, lett. d), l. fall. prevede che: Non sono soggetti all'azione revocatoria: (…) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata da un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili e che abbia i requisiti previsti dall'art. 28, lettere a) e b) ai sensi dell'art. 2501-bis, quarto comma, del codice civile”.

Ci si propone qui di esaminare il requisito dell'idoneità del piano ad assicurare il riequilibrio finanziario dell'impresa che versa in stato di crisi, nell'ottica del professionista chiamato ad attestare la ragionevolezza del piano. Infatti, sotto tale profilo, vi sono alcuni profili di incertezza, tanto con riferimento all'oggetto, quanto in relazione alle verifiche da porre in essere, che si cercherà di analizzare anche sulla base di un noto documento chiarificatore riguardante – appunto - lo specifico tema dei piani attestati (cfr. documento Linee guida sul finanziamento delle imprese in crisi, elaborato dall'Università di Firenze, dal Cndcec e dall'Assonime, 2010, di seguito le Linee Guida 2010).

In primo luogo, è doveroso osservare che la ragionevolezza del piano attestato, al pari della fattibilità dei piani concordatari (in particolare di quelli conservativi) e dell'attuabilità degli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis l. fall., rientra nel più ampio concetto di feasibility, da esprimersi in termini di capacità prognostica del piano di consentire il superamento dello stato di crisi (F. Lamanna, Il contrasto in Cassazione sulla fattibilità del concordato preventivo: una novità (positiva) che rende necessario l'intervento delle SSUU, in ilFallimentarista.it, 11-11-2011; F. FUCILE, A. TRON, Piano attestato e accordo di ristrutturazione: strumenti di uscita dalla crisi di impresa, in Il Fisco, 40/2011, 6533), o, in altri termini, il ripristino di una condizione di normale esercizio, con il pagamento di tutti i creditori(Linee Guida 2010, 7), ed è proprio in questi termini che deve essere verificata l'idoneità del piano ad assicurare il riequilibrio finanziario dell'impresa.

Se è vero che la norma in esame non esplicita le modalità con le quali deve essere redatta l'attestazione affinché produca il proprio effetto protettivo(cfr. Linee Guida 2010, pagg. 7 e seguenti), è da ritenersi, ad avviso di scrive, che esse siano desumibili, in ogni caso, sulla base del rinvio all'art. 2501 bis, comma 4, c.c. e siano, pertanto, da individuarsi alla stregua dei criteri che devono utilizzare gli esperti chiamati ad attestare la ragionevolezza delle risorse finanziarie previste per il soddisfacimento delle obbligazioni risultanti dalla fusione societaria a seguito di acquisizioni con indebitamento (Trib. Milano, decreto 28 febbraio 2011, di ammissione alla procedura di concordato preventivo della Fondazione Centro San Raffaele del Monte Tabor, in ilFallimentarista.it).

Ulteriori elementi di riflessione in materia possono essere tratti dal disposto dell'art. 2467 c.c., norma che – seppure a diverso fine e, precisamente, per escludere la postergazione dei finanziamenti soci nelle S.r.l. e, per via del richiamo operato dall'art. 2497-quinquies c.c., nei gruppi – declina il significato di equilibrio finanziario in termini di rapportotra l'indebitamento e il patrimonio netto, con la precisazione che l'anomalia (e, quindi, la postergazione) del finanziamento può essere desunta dall'indice c.d. di indebitamento(leverage) costituito dal rapporto tra i debiti finanziari e i mezzi propri.

A tal riguardo occorre osservare che è ben vero che la dottrina aziendalistica ha individuato misure di normalità, di attenzione e di criticità del rapporto di leverage, ma altrettanto vero è che non ha senso parlare di misure-limite assolute, rivelatrici di un indebitamento “eccessivo”. Infatti, a uno stesso rapporto di indebitamento può corrispondere una situazione di solidità finanziaria (ad esempio, per una realtà che produce rilevanti flussi di cassa e che è esposta a rischi contenuti), così come un disequilibrio finanziario (ad esempio, per imprese che drenano liquidità e presentano, in prospettiva, rilevanti incertezze). Piena contezza di ciò pare aver avuto anche il legislatore nella misura in cui – diversamente, ad esempio, dall'approccio avuto per l'emissione dei prestiti obbligazionari nell'art. 2412 c.c. – si è astenuto dal fissare un limite assoluto del livello di indebitamento (G. Zanarone, Finanziamenti dei soci, in commentario Della società a responsabilità limitata, 2010, 440). Anzi l'art. 2467 c.c. prevede esplicitamente che, per la postergazione in esame, la valutazione debba essere svolta “in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società” – sottolineando così la valenza relativa dell'indicatore quantitativo – e equipara a tale valutazione la sussistenza di un elemento qualitativo che, mirando ad acclarare se la società versava in una “situazione finanziaria (…) nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”, si traduce in una sorta di valutazione del merito di credito.

Pertanto, ai fini della valutazione dell'adeguatezza dell'equilibrio finanziario, occorre rilevare che l'entità dell'equity costituisce una grandezza fondamentale a condizione che ad essa venga attribuita la funzione che gli è propria secondo la lettura aziendalistica e, segnatamente, quella di “cassa di assorbimento” dei rischi di impresa propria della teoria di Modigliani e Miller (F. Modigliani, M.H. Miller, The cost of capital, corporation finance, and the theory of investment, in American Economic Review, 48/1958, 261-297): si tratta dell'impostazione più evoluta, che si ritrova nei requisiti patrimoniali di vigilanza delle banche e delle assicurazioni, come emergono dagli accordi c.d. di Basilea e di solvency.

Pare conforme alle considerazioni sin qui svolte la prassi professionale che si registra in sede di attestazione ex art. 67 l. fall. del riequilibrio finanziario: la tendenza, infatti, è quella di ricorrere al rapporto tra indebitamento e patrimonio netto, e a quello tra la posizione finanziaria netta (PFN) e l'EBITDA, al fine di apprezzare anche la capacità dell'impresa di produrre flussi di cassa. Peraltro, l'indicatore di leverage neppure quando valutato congiuntamente al rapporto PFN/EBITDA consente di sorreggere le conclusioni del professionista mediante un percorso logico-argomentativo controllabile (cfr. Linee Guida 2010, Raccomandazione 10, ove è precisato che l' attestazione deve … presentarsi come una sorta di discussione e commento del piano che dia conto al lettore dell'iter logico … seguito dal professionista per giungere alla conclusione positiva circa il rilascio dell'attestazione). Non sono, infatti, rintracciabili rapporti di PFN/EBITDA universalmente accettabili, in quanto l'EBITDA non è in grado di misurare i flussi di cassa al servizio del debito, non fornendo indicazioni sull'intensità del fabbisogno finanziario derivante dagli investimenti di mantenimento, né sui fattori di rischio ai quali è esposta l'impresa.

Invero, entrambi i rapporti in questione sono indicatori sintetici e statici, che, per sorreggere la verifica del riequilibrio finanziario attraverso un percorso logico-argomentativo, dovrebbero essere analizzati alla luce delle specificità aziendali, nonché dei rischi ai quali i flussi reddituali e finanziari sono esposti, di modo che possa essere apprezzato, ad esempio, il grado di elasticità dei costi rispetto ai ricavi (inversamente proporzionale ai rischi di perdite in caso di calo dei volumi).

Qual è, allora, il percorso che consente di esprimere, con un approccio controllabile, un giudizio sul raggiungimento, in via prognostica, del riequilibrio finanziario?

In ultima analisi, il concetto di riequilibrio finanziario si identifica con quello di sostenibilità del debito e presuppone la capacità dell'impresa di produrre flussi di cassa adeguati al servizio del debito finanziario, anche in presenza di rischi d'impresa non remoti.

Ciò posto, si tratta, preliminarmente, di escludere la presenza, al termine dell'orizzonte temporale del piano, di indicatori ostativi al merito di credito, identificabili in livelli del rapporto tra indebitamento e patrimonio netto e di quello tra PFN/EBITDA talmente anomali da precludere, ictu oculi, il mantenimento delle linee di credito.

Tuttavia, pur dopo aver escluso tale eventualità, non si è ancora raggiunta la prova diretta del riequilibrio finanziario e, a tal fine, si propone il processo in appresso descritto che, a parere di chi scrive, presenta adeguati livelli di razionalità e verificabilità.

E' necessaria una premessa: ogni variazione di Capitale Circolante Netto (CCN) incide sui flussi di cassa (generandone un assorbimento, in caso di crescita dei volumi, e un rilascio, nel caso di calo dei volumi medesimi); di tal che il sostegno del debito è assai opportuno che venga misurato in una situazione astratta di neutralità dei volumi e di crescita nulla del valore della produzione (situazione c.d. di steady state, ovvero di stato stazionario al termine dell'orizzonte di piano). Tale soluzione, infatti, consente, da un lato, di evitare di alterare il dato a regime con grandezze volatili (quali sono le variazioni di CCN) e, sotto diverso profilo, di mantenere l'indebitamento finanziario autoliquidante unicamente attraverso il pagamento dei relativi interessi.

Ciò premesso, si tratta di assumere, a regime, flussi finanziari stazionari e liberi, e, pertanto, al netto degli investimenti (capital expenditures) di mero mantenimento dell'apparato produttivo, che residuano dopo il pagamento degli oneri finanziari sul debito autoliquidante e delle imposte sul reddito. Sulla base di tali flussi, adottando, in via figurata, un processo amortizing, è possibile agevolmente determinare in quanti anni avrebbe luogo il rimborso del debito finanziario non autoliquidante, assumendo i tassi di interesse prospettici (sulla base della curva forward dei tassi riferibile all'ultimo anno di orizzonte di piano). Con riferimento a questi ultimi, la deducibilità fiscale degli interessi passivi comporta un risparmio che l'attestatore dovrà portare in conto adottando il c.d. scudo fiscale (e cioè una riduzione del tasso nominale di interesse per tenere conto del beneficio fiscale).

L'approccio proposto consente di pervenire a risultati di sintesi maggiormente controllabili rispetto alla mera rilevazione di un indicatore astratto al quale non è possibile attribuire in modo univoco un intervallo di normalità.

E' evidente, infatti, che, laddove non si valichi un orizzonte temporale di rientro del debito non autoliquidante di 10/12 anni, la situazione finanziaria può essere unanimemente riconosciuta come equilibrata. Nel compiere tale indagine non occorre, infatti, che l'attestatore si riferisca alla scadenza contrattuale del debito non autoliquidante, qualora successiva al termine dell'orizzonte di piano, in quanto l'assenza di elementi ostativi al merito di credito consente di rimuovere impedimenti concettuali alla rimodulazione delle scadenze del debito residuante al termine del piano. D'altronde sono le stesse Linee Guida 2010 (alla Raccomandazione n. 12) a ritenere che eventi collocati a notevole distanza temporale, pur se privi di certezza, una volta escluso ogni pericolo prossimo di insolvenza, non inficiano la portata dell'attestazione.

Un'avvertenza è però necessaria: alla luce delle considerazioni dianzi svolte in tema di esposizione dei flussi prospettici ai rischi di impresa, e tenuto conto del fatto che ogni valutazione temporalmente remota è maggiormente soggetta a fattori di rischio, è opportuno, nell'ottica della controllabilità dell'iter logico seguito, che la valutazione dell'attestatore sia estesa alle analisi di sensitività condotte dallo stesso per la verifica della stima dei flussi nell'orizzonte temporale del piano (analisi raccomandata dalla Borsa Italiana nella propria Guida al Piano Industriale (Borsa Italiana, Guida al Piano Industriale, in www.borsaitaliana.it., § 3.1 Analisi dei requisiti, III, attendibilità, 51), nonché dalle Linee Guida 2010, Raccomandazione n. 7 – Esplicitazione del grado di solidità dei risultati).

Volendo trarre le conclusioni, il percorso proposto è volto a esprimere un valore di sintesi che sia direttamente comparabile con grandezze-limite disponibili e note (numero massimo di anni accettato dal mercato per i finanziamenti a Medio Lungo Termine), in luogo di un indicatore che, tutt'al più, trova intervalli di grandezze possibili estremamente ampi e, per tale motivo, scarsamente significativi e che lo stesso legislatore in altri frangenti, pur avendone avuto l'opportunità, ha preferito astenersi dal fissare.

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