Il rischio di selezione avversa sul “mercato” degli attestatori e i fattori necessari per limitarlo

28 Settembre 2012

Le novità apportate alla disciplina concorsuale dalla legge n. 134/2012, di conversione del “Decreto Sviluppo”, hanno introdotto ulteriori profili di rischio per l'attestatore. Per evitare un processo di “selezione avversa” sul mercato degli attestatori, l'Autrice auspica l'individuazione di principi di comportamento e di best practice, che possano tracciare le linee guida e diventare il riferimento per il professionista chiamato a svolgere le attività di attestazione.

La riforma ha inequivocabilmente introdotto ulteriori e rilevanti profili di rischio per l'attestatore indipendente che svolga il proprio compito con onestà e in buona fede. Pare a chi scrive ora più che in precedenza indispensabile una maggiore legittimazione delle linee guida già esistenti, e l'individuazione di principi di comportamento e di best practice che costituiscano riferimento sia per il professionista sia per chi è chiamato a valutarne l'operato (Riva P. “L'attestazione dei piani delle aziende in crisi. Principi e documenti di riferimento a confronto. Analisi empirica”, Milano, Giuffrè, 2009). Ciò è necessario anche per delineare e delimitare correttamente il perimetro delle verifiche possibili e dei risultati ragionevolmente conseguibili con il lavoro dell'attestatore, evitando di amplificare erroneamente le aspettative nei confronti del medesimo.

Se da un lato è infatti doveroso pretendere che siano poste in essere determinate procedure di revisione sui dati contabili e di assurance sui dati prospettici, non si può pensare che il professionista abbia “poteri divinatori” (Quattrocchio L., Ranalli R., Concordato in continuità e ruolo dell'attestatore: poteri divinatori o applicazione di principi di best practice, in questo portale) così come non si può pretendere che il medesimo sia in grado di fornire con la propria relazione, a pena di gravi conseguenze penali, assolute certezze di risultato ai creditori. Vi saranno sempre giudizi soggettivi dell'esperto in quanto vi saranno sempre valutazioni ossia stime e congetture relative ai dati contabili e giudizi di ragionevolezza sulle ipotesi alla base del piano stesso.

In altri termini, se è corretto da un lato pretendere serietà, onestà e forza (tutti elementi riconducibili e costituenti per altro il concetto stesso di etica professionale) da chi decide di accettare di svolgere questo ruolo, dall'altro lato emerge con evidenza che sarebbe un gravissimo errore, proprio per il bene degli interessi che la novella desidera tutelare, non riconoscere che costui non potrà fornire che “garanzie di metodo” che derivino dalla corretta applicazione di standard condivisi e non “garanzie assolute di risultato”.

Se così non fosse si assisterebbe, infatti, in breve tempo ad un processo di selezione avversa sulmercato degli attestatori”, dove per selezione avversa

si intende una situazione in cui una variazione delle condizioni di un contratto - qui da intendersi con riferimento alle condizioni che la norma e la giurisprudenza impongono all'esperto - provoca una selezione dei contraenti sfavorevole per la parte che ha modificato, a suo presunto vantaggio, le condizioni.

Si verificherebbe, infatti, a parere della scrivente:

  1. da un lato l'uscita dal mercato dei soggetti portati a comportamenti professionali, consapevoli e coerenti con le linee guida e principi di riferimento (questi non potranno che giudicare il raggiungimento degli obiettivi a loro imposti come fatto oggettivamente impossibile e recante in sé rischi troppo elevati e pertanto non ragionevolmente sopportabili);

  2. dall'altro lato la progressiva assunzione degli incarichi di attestazione da parte di quei (si spera pochi) soggetti disposti non tanto ad allinearsi ai citati

    comportamenti corretti, ma più semplicemente ad assumere quote di rischio crescente.

In altri termini pare a chi scrive che se l'aderenza allo standard iniziasse ad essere percepita come “non apprezzata” e quindi “non utile” per ottenere le necessarie esimenti da responsabilità, l'effetto ottenuto con la novella sarebbe davvero molto lontano dalle aspettative del legislatore.

L'introduzione del reato di omissione di informazioni propone un importante motivo di riflessione per i professionisti che approcciano il proprio lavoro con serietà, onestà e forza in quanto aumenta, a parere di chi scrive, oltre misura la gravità dei rischi assunti.

Con la novella non si è voluto riconoscere all'attestatore il ruolo di pubblico ufficiale, tipico invece del commissario giudiziale, e quindi egli non gode dei poteri di indagine scaturenti da tale qualifica. Egli interviene, di conseguenza, armato solo della propria professionalità, della conoscenza dei principi di riferimento e delle proprie caratteristiche umane, in una situazione di crisi che, correttamente e per garantire la propria indipendenza, non conosce fino al momento di conferimento dell'incarico. Inoltre egli svolge la propria analisi avendo a disposizione, anche

considerando l'ipotesi destinata a diventare la più comune del pre-concordato o concordato in bianco, un periodo di tempo limitato. Può pertanto svolgere indagini il più possibile complete, studiare il piano e sforzarsi di comprendere la realtà aziendale, ma il rischio che non tutti gli elementi rilevanti siano portati alla sua attenzione è per definizione ineliminabile. L'esperto - se realmente indipendente - opera in situazione di rilevante asimmetria informativa e si propone di ridurre con il proprio operato il gap informativo tra le posizioni, a tutto vantaggio dei creditori, ma suo malgrado non potrà mai farlo completamente. La presa di coscienza del fatto che la totale eliminazione della asimmetria è impossibile costituisce un fatto necessario.

Vero è che la norma prevede la sussistenza - per la commissione del reato di omissione - del dolo generico, ma diviene importante in questo contesto comprendere quali strumenti potranno essere utilizzati dall'attestatore onesto e in buona fede che abbia svolto diligentemente il proprio compito per scongiurare il rischio che comportamenti omissivi degli amministratori vengano traslati tout court sulla sua figura con conseguente confusione tra i ruoli e con conseguente grave pregiudizio della sua posizione.

Il professionista deve fare ricorso, anche in questo caso, ai principi di riferimento esistenti, e, soprattutto, anche in questo frangente, la magistratura dovrà accettare che lo faccia. Così ad esempio dovrà essere riconosciuta valida la procedura che, in coerenza con i principi di revisione nazionali e internazionali, prevede che l'attestatore chieda agli organi amministrativi della società istante di sottoscrivere specifiche dichiarazioni circa la completezza dei documenti e delle informazioni fornite durante i lavori.

Si rende, infine, necessaria una ulteriore inderogabile riflessione. Si deve identificare il perimetro delle indagini richieste all'attestatore. Ciò non può essere fatto se non considerando lo scopo finale della relazione che è l'attestazione relativa alla tenuta del “piano proposto dal debitore”. Una estensione ad libitum delle verifiche sarebbe pericolosa e non permetterebbe all'attestatore scrupoloso di essere certo di avere fatto tutto quel che si poteva fare e che ci si aspetta che egli faccia.

Si condivide pienamente pertanto quella dottrina (Minniti G., La nuova responsabilità penale dell'attestatore, in questo portale) che ha tempestivamente e puntualmente sottolineato con forza che il giudizio sulla veridicità dei dati contabili che l'attestatore è chiamato ad effettuare non è fine a sé stesso, ma è strumentale e prodromico al vero oggetto della sua valutazione che riguarda la fattibilità del piano. Compito precipuo dell'attestazione è quello di trasmettere una valutazione, complessa e articolata, relativa alla tenuta del piano proposto dal debitore, che ovviamente, come tale, non può prescindere da un'analisi e verifica della correttezza dei numeri su cui il piano stesso si fonda. Tale verifica non rileva in assoluto, ma esclusivamente in relazione allo scopo finale dell'attestazione.

La mancata indicazione e valorizzazione di una potenziale attività della società debitrice, se certamente può rilevare – anche penalmente sotto altri profili (si pensi all'occultamento di beni di cui all'

art. 216 l.

fall

.), non influenza evidentemente il giudizio dell'attestatore in punto di fattibilità del progetto concordatario. Tutt'al più l'omessa evidenza di un attivo liquidabile potrebbe rilevare in ordine al giudizio di convenienza della proposta rispetto alle alternative concretamente praticabili, ma anche questo profilo esula da quella che è la precipua finalità dell'attestazione, sia essa resa in relazione ad un concordato preventivo, ad un accordo di ristrutturazione o ad un piano attestato. Parimenti è da ritenersi irrilevante anche l'eventuale infedele giudizio reso dall'attestatore riguardo alla congruità dei corrispettivi per le cessioni previste nell'ambito del piano concordatario. Non è infatti certamente compito dell'esperto, ma, piuttosto, del commissario giudiziale, quello di prevenire atti distrattivi o depauperativi del patrimonio del debitore.

E ancora la medesima dottrina ha puntualizzato che vanno escluse dall'area del penalmente rilevante tutte quelle omissioni inidonee ad influire sul giudizio reso dall'esperto quali, ad esempio, l'omessa indicazione (e valutazione) dei presupposti per l'esperibilità dell'azione di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci o, anche, al mancato giudizio in ordine alla congruità del corrispettivo previsto per la cessione di uno o più asset del concordato. In ultima analisi, non rileverebbero, ai fini penali, quelle “informazioni” che ineriscono al giudizio di convenienza della proposta concordataria rispetto alle alternative concretamente praticabili, come anche quelle relative all'eventuale sussistenza di “atti in frode” di cui all'

art. 173 l.

fall.

Entrambi i temi, pur certamente rilevanti nell'economia di una proposta di soluzione della crisi, non sono però significativi rispetto all'oggetto delle valutazioni dell'attestatore, che, lo si ripete, riguarda esclusivamente l'idoneità del piano ideato dal debitore.

In conclusione, la tutela della professionalità di chi decide di svolgere un ruolo complesso come è quello dell'attestatore deve per forza di cose rinvenirsi – sia nello svolgimento dell'incarico, sia successivamente nella valutazione da parte della magistratura delle modalità con cui l'incarico è stato compiuto - nel rigore con cui i criteri e le metodologie di riferimento sono state seguite e nella diligenza posta nelle indagini alla base delle conclusioni raggiunte.

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