Speciale Decreto Sviluppo - I “nuovi” accordi di ristrutturazione: ruolo del professionista e trattamento dei creditori estranei

03 Agosto 2012

Il “Decreto Sviluppo” ha inciso profondamente sugli accordi di ristrutturazione tentando di eliminare i disincentivi al tempestivo accesso all'istituto da parte delle imprese in crisi. Al fine di superare le criticità presenti si è esteso l'effetto protettivo, semplificato l'onere documentale per la richiesta di inibitoria nelle more delle trattative e disciplinato il caso di accordi di ristrutturazione e di concordato preventivo in continuità. Tuttavia, tra le innovazioni di maggior momento si prevede un'implementazione dell'indipendenza dell'esperto attestatore e la possibilità di pagare i creditori non aderenti all'accordo con un ritardo fino a 120 giorni, con inevitabili ricadute sulla qualificazione giuridica dell'intero istituto.
Modifiche degli accordi di ristrutturazione: disciplina e possibili effetti

L'istituto degli accordi di ristrutturazione, introdotto nel 2005 e modificato sia nel 2007 che nel 2010, non ha avuto finora largo utilizzo. Infatti, benché permetta al debitore di ristrutturare il proprio debito con maggiore autonomia e con un intervento del giudice meno invasivo rispetto al concordato preventivo, tuttavia ragioni sia fiscali, che legate al profilo del finanziamento del tentativo di ristrutturazione, ancora connesse all'obbligo di pagamento integrale dei creditori non aderenti, frustravano l'applicazione dello strumento.

Il recente Decreto Sviluppo, recependo numerose istanze provenienti dalla dottrina, si sofferma sugli strumenti di composizione negoziale della crisi d'impresa, in modo da favorire ulteriormente la continuità aziendale con misure che implementano la protezione del patrimonio del debitore e la possibilità di finanziare l'impresa in crisi nel corso del perfezionamento degli accordi di ristrutturazione.

La principale novità della novella è data dal fatto che la domanda di ammissioneal concordato preventivo può essere presentata senza la necessaria documentazione, la quale può essere prodotta entro un termine, determinato dal giudice, compreso tra 60 e 120 giorni. In tale periodo, il debitore può beneficiare di una serie di effetti protettivi sul proprio patrimonio, godendo di un “ombrello” che lo ripara dalle azioni esecutive o cautelari dei creditori, i quali non potranno neppure acquisire titoli di prelazione. In aggiunta a ciò, nello stesso lasso di tempo, l'imprenditore ha la facoltà di modificare i propri intenti e proporre un accordo di ristrutturazione dei debiti in sostituzione dell'originario concordato preventivo, per cui la presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo potrebbe essere utilizzata in modo del tutto strumentale per raggiungere, da una posizione di forza, un accordo di ristrutturazione dei debiti.

Per quanto concerne più specificamente l'istituto degli accordi di ristrutturazione dei debiti, l'innovazione forse più incisiva è relativa all'attuabilità dell'accordo, che dovrà essere funzionale non più ad assicurare il pagamento “regolare” dei creditori estranei all'accordo secondo l'originario titolo dell'obbligazione, ma solo quello integrale con una dilazione ex lege. Tale novella non assume una portata meramente nominalistica, in quanto consente di estendere gli effetti dell'accordo di ristrutturazione anche ai debitori estranei, pagandoli non più alla scadenza originariamente prevista nel titolo dell'obbligazione, ma con un ritardo massimo di 4 mesi, a prescindere dalla circostanza che si tratti di crediti già scaduti o meno al momento dell'omologazione. In particolare, qualora il credito sia scaduto prima dell'omologa, la dilazione comincerà a decorrere dalla data dell'omologa, sommandosi al periodo di tempo trascorso dal momento in cui risulti già scaduto il credito (Lamanna, Il c.d. Decreto Sviluppo: primo commento sulle novità in materia concorsuale, in ilFallimentarista.it). Nella differente ipotesi in cui al momento dell'omologa i crediti non siano scaduti, la dilazione inizierà a decorrere dalla futura scadenza.

Si precisa inoltre che il termine “integrale”, nel designare il pagamento dei creditori non aderenti, comporta come conseguenza che sia dovuto al creditore non solo quanto a lui spettante in linea capitale, ma anche quanto riconosciuto a titolo di interessi maturati e maturandi, in modo da soddisfare l'intera esposizione, inclusiva del capitale e degli oneri accessori.

Inoltre, il decreto indica alcuni oneri documentali da rispettarsi nel momento in cui il debitore formuli la richiesta di inibitoria nelle more della predisposizione degli accordi di ristrutturazione. Si prescrive infatti, al comma 6 dell'art. 182-bis, che l'imprenditore in crisi deve allegare alla domanda la sola documentazione originariamente prevista nei primi due commi dell'art. 161, ovvero una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, uno stato analitico ed estimativo delle attività e l'elenco nominativo dei creditori, l'elenco dei titolari dei diritti reali o personali, il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili e un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta.

Sanando un'inspiegabile incoerenza tra la fase delle negoziazioni e la fase successiva alla pubblicazione, il decreto modifica inoltre il comma 3 dello stesso art. 182-bis parificando la latitudine dell'effetto protettivo automatico successivo alla pubblicazione dell'accordo nel registro delle imprese all'effetto di tutela previsto nel corso delle trattative dal sesto comma. Infatti, estende il divieto di acquisire titoli di prelazione non concordati per sessanta giorni, anche a partire dalla data di pubblicazione dell'accordo, mentre prima la protezione era irragionevolmente limitata alle sole azioni cautelari ed esecutive, con il paradosso di una tutela maggiore nella fase embrionale dell'accordo rispetto alla protezione conseguente alla pubblicazione, nell'attesa dell'omologa del giudice.

Accogliendo una prassi diffusa, il Decreto Sviluppo prevede esplicitamente delle “valvole di comunicazione” tra gli accordi di ristrutturazione e il concordato preventivo. Infatti, all'ottavo comma dell'art. 182-bis si precisa che, se nel medesimo termine fissato dal Tribunale, in sede di accoglimento dell'inibitoria, per il deposito degli accordi di ristrutturazione, il debitore deposita una domanda di concordato preventivo, si conservano gli effetti protettivi di cui ai commi sesto e settimo, ossia il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive e di acquisire titoli di prelazione se non concordati.

Si consente inoltre al debitore che ha depositato la proposta di accordo ai sensi dell'art. 182-bis, comma 6, non solo di depositare un accordo diverso da quello annunciato nella proposta originaria, ma anche di presentare una domanda di concordato preventivo mantenendo gli effetti protettivi offerti dalla norma.

In ossequio all'obiettivo che permea la novella fallimentare, di garantire la continuità aziendale quale strumento per realizzare, da una parte, il miglior soddisfacimento dei creditori sociali e, dall'altra, per preservare gli asset aziendali, si stabiliscono facilitazioni per l'erogazione di nuova finanza interinale, la possibilità di prevedere il pagamento di crediti anteriori ritenuti essenziali per la prosecuzione dell'attività d'impresa e funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori, e la non operatività della causa di scioglimento per perdita del capitale sociale e degli obblighi di capitalizzazione nel corso della procedura.

Per quanto riguarda la finanza interinale, a seguito del deposito di una domanda ai sensi dell'

art. 161,

primo o sesto comma, e

182-

bis

, primo o sesto comma, della legge fallimentare

, si riconosce la prededuzione del credito ai finanziatori in seguito a un provvedimento autorizzatorio del tribunale, a condizione che la nuova finanza sia funzionale alla prosecuzione dell'attività d'impresa e quindi alla migliore soddisfazioni dei creditori.

Più in particolare, si prevede che, quando siano presentati concordati ed accordi, e anche nel caso in cui si tratti di semplice proposta anticipata di concordati ed accordi, il tribunale - su istanza del debitore, e a condizione che si tratti di finanziamenti funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori, secondo una specifica attestazione fatta al riguardo dal solito professionista - può autorizzare che siano concessi al debitore finanziamenti anche solo genericamente indicati per tipologia ed entità, anche non ancora oggetto di trattative, muniti del beneficio della prededucibilità, che resta efficace anche nel successivo eventuale fallimento.

Il giudice, inoltre, può autorizzare il debitore a concedere pegno o ipoteca a garanzia dei medesimi finanziamenti.

È opportuno osservare che la suddetta attestazione del professionista deve tenere conto dell'utilità dei finanziamenti con un periodo temporale del fabbisogno che si estende fino all'omologa.

Si prevede inoltre, al nuovo art. 182-sexies, che dalla data della domanda per l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione di cui all'art. 182-bis ovvero della proposta di accordo a norma del sesto comma dello stesso articolo, e sino all'omologazione, non operino gli obblighi di capitalizzazione della società in perdita e delle cause di scioglimento per riduzione o perdita del capitale sociale.

Novità rilevanti riguardano, infine, la figura dell'esperto chiamato ad attestare gli accordi di ristrutturazione, soggetto centrale in tutti gli istituti di composizione della crisi d'impresa a tutela degli interessi dei creditori sociali.

Il nuovo ruolo e la responsabilità del professionista

Concentrando l'attenzione in particolare sui requisiti del professionista e sul contenuto della relazione, si prescrive che l'esperto attestatore abbia l'obbligo di attestare la veridicità dei dati aziendali, introducendosi specifiche previsioni volte ad assicurarne l'indipendenza, anche a mezzo di sanzioni penali.

Innanzitutto si prevede esplicitamente che il professionista sia designato dal debitore, confermando la prassi maggioritaria, senza che si attribuisca alcuna facoltà in tal senso al Tribunale o ad altro organo terzo rispetto alla procedura.

Infatti, a differenza dell'ipotesi di fusione dove il professionista è chiamato a valutare la congruità del rapporto di cambio a tutela dei soci delle società partecipanti, in caso di ristrutturazione questi assume la funzione di garante nei confronti dei terzi creditori dell'imprenditore in crisi. La nomina ufficiosa del professionista attestatore, del resto, contrasterebbe con il favor che il legislatore assegna all'autonomia privata nelle soluzioni negoziali di composizione dell'insolvenza, per cui il Tribunale potrà al massimo indicare un professionista solo a fronte di una richiesta di parte.

Tuttavia, se la novella normativa si fosse arrestata alla semplice precisazione della designazione del debitore non sarebbero stati fugati i pericoli di collusione o distrazione preferenziale a favore di alcuni creditori derivanti da un'insufficiente inquadramento in un adeguato regime di forma. Tale possibile utilizzo a vantaggio di alcuni creditori avrebbe potuto aumentare l'aggressività dei soggetti estranei alla sfera di intervento del piano stesso, con inevitabili ricadute sulla stabilità dello strumento privatistico.

In tal senso il legislatore ha implementato i requisiti che il professionista deve possedere allo scopo di assicurarne l'indipendenza dall'imprenditore. g

ià l'

art. 67, comma 3, lettera d), l.

fall

., prevedeva che il professionista dovesse essere iscritto al registro dei revisori contabili e in possesso dei requisiti per essere nominato curatore fallimentare. In aggiunta, il D.L. precisa che l'esperto non può essere legato all'impresa in crisi, né a coloro che hanno interesse all'operazione di risanamento, da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l'indipendenza di giudizio; inoltre, deve possedere i requisiti previsti dall'

art. 2399 c.c.

per essere nominato sindaco della società; infine non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero aver partecipato agli organi di amministrazione o di controllo.

Oltre a ciò, sempre al fine di evitare commistioni tra debitore e professionista, il legislatore ha introdotto, con il nuovo

art. 236-

bis

l. fall

., norme incriminatrici a carico del professionista con il nuovo delitto di falso in attestazioni e relazioni. In particolare, si prevede che nel caso in cui l'esperto attestatore nominato dal debitore esponga, in ogni relazione prevista sia per gli accordi di ristrutturazione, sia per il concordato preventivo e il piano attestato di risanamento, informazioni false oppure ometta di riferire informazioni rilevanti è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 50.000 a 100.000 euro. Si puntualizza, inoltre, che la suddetta pena è aumentata qualora le condotte omissive e commissive siano poste in essere con il fine di conseguire un ingiusto profitto per sé o per altri o se i comportamenti procurino un danno ai creditori.

Concentrando l'attenzione sul contenuto della relazione del professionista, si osserva che questa, oltre ad attestare la veridicità dei dati aziendali e verificare la reale attuabilità dell'accordo, deve appurare che il piano di ristrutturazione sia idoneo ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori estranei all'accordo entro 120 giorni. Tale termine decorre, come anticipato, dall'omologazione del medesimo accordo per i crediti già scaduti a tale data, e dalla scadenza del credito se questa avviene dopo l'omologa della procedura.

Per quanto concerne la veridicità dei dati aziendali, il professionista dovrà attestarla senza prescindere dalla documentazione contabile messa a disposizione dall'azienda, ma avvalendosi anche delle classiche tecniche di auditing utilizzate nell'ambito della revisione legale dei conti. A tal fine dovrà verificare, in particolare, la reale consistenza di crediti e debiti come anche del conto cassa, l'effettiva esistenza dei beni aziendali iscritti tra le immobilizzazioni o indicati negli inventari di magazzino, l'ammontare delle eventuali fatture da emettere o ricevere e la simmetria delle schede banca agli estratti conto.

La funzione del professionista relativa alla attuabilità dell'accordo esige la valutazione della solvibilità dei debitori dell'impresa e la determinazione del valore di realizzo dei beni aziendali, in modo da poter valutare se, mediante l'incasso dei crediti o la vendita dei beni aziendali sia possibile reperire risorse sufficienti ad assicurare l'integrale pagamento dei crediti non aderenti all'accordo, verificando le possibilità concrete di buon esito dell'accordo di ristrutturazione.

Appare evidente come alcuni elementi possano rendere problematica la valutazione di fattibilità dell'accordo riguardando questioni tecnico-organizzative fuori dal perimetro di controllo del professionista. In particolare, l'attuazione del piano di ristrutturazione può essere condizionata da eventi esterni relativi alla vendita dei beni aziendali, ovvero dalla difficile valutazione della reale capacità dell'azienda di soddisfare gli ordini già ricevuti, dai quali possono derivare i ricavi necessari a garantire parte del flusso di cassa.

Il trattamento dei creditori estranei: gli accordi di ristrutturazione verso le procedure concorsuali?

Come segnalato in premessa, il Decreto Sviluppo prevede che i creditori estranei non debbano più necessariamente essere pagati regolarmente, ma integralmente.

Tale modifica non è di poco momento, in quanto si pone in stretta connessione con la prevista possibilità di pagare i creditori non aderenti non più alla scadenza originariamente prevista dal titolo dell'obbligazione, ma con un ritardo massimo di 120 giorni. Si stabilisce dunque una dilazione che opera ex lege a favore dell'imprenditore in crisi, ovvero una modifica all'obbligazione originaria che colpisce sia crediti già scaduti al momento dell'omologazione, sia i crediti non scaduti. In particolare, qualora il credito sia già scaduto, la dilazione comincia a decorrere dalla data dell'omologa, sommandosi, di fatto, al periodo di tempo trascorso dal momento in cui il credito sia già scaduto in cui l'imprenditore in crisi a potuto beneficiare dei due periodi di inibitoria dalle azioni cautelari ed esecutive durante le trattative e dopo la pubblicazione nel registro delle imprese.

Qualora invece al momento dell'omologa del giudice i crediti non siano scaduti, la dilazione decorre dalla scadenza futura, con una sorta di presunzione di necessità a favore del debitore. La previsione di una tale dilazione applicata a tutti gli appartenenti al ceto creditorio senza distinguere tra creditori aderenti e estranei all'accordo tocca la questione “anagrafica” della qualificazione giuridica degli accordi di ristrutturazione.

È infatti tutt'ora dibattuto se l'istituto di cui all'

art. 182-

bis

l. fall

. sia o meno una procedura concorsuale.

Secondo un primo orientamento la suddetta norma disegna un procedimento complesso che prevede una fase stragiudiziale, in cui l'imprenditore in crisi e una parte dei suoi creditori stipulano un contratto, completata da una fase giudiziale costituita dal giudizio di omologazione in cui l'Autorità giudiziale verifica la sussistenza dei requisiti previsti dalla disposizione.

A tale bifasicità corrisponderebbe una successione di discipline applicabili, giacché lo stadio privatistico sarà governato dalle norme civilistiche sul contratto in generale, destinate ad essere scalzate dalla disciplina fallimentare non appena il giudice dichiari l'omologazione dell'accordo. Da tale qualificazione si può quindi dedurre la possibilità di ricorrere al procedimento analogico applicando agli accordi la disciplina concordataria, in quanto compatibile, in modo da colmare le carenze presenti ad esempio in tema di risoluzione o per quanto concerne il divieto per i creditori privilegiati di sottoscrivere l'accordo senza rinunciare al privilegio.

La natura concorsuale e dunque pubblicistica degli accordi di cui all'

art. 182-

bis

l.

fall

. emergerebbe, secondo questo orientamento, in particolare dalla tutela dell'integrità del patrimonio offerta dalla moratoria sulle azioni esecutive e cautelari, possibile sia per sessanta giorni nel corso delle trattative, sia per ulteriori sessanta giorni dopo la pubblicazione nel registro delle imprese (proposito Fabiani

, L'ulteriore up-grade degli accordi di ristrutturazione e l'incentivo ai finanziamenti nelle soluzioni concordate, in Il Fall., 2010, 899). Ulteriore indice è rintracciato nella previsione dell'esenzione dalla revocatoria in caso di sopravvenuto fallimento a vantaggio degli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione dell'accordo di ristrutturazione: la previsione di tale esenzione confermerebbe la protezione del ceto creditorio nel rispetto del principio di concorsualità che sovrintende alla procedura.

L'orientamento “privatistico”, invece, sottolinea gli elementi che evidenziano l'impossibilità di inscrivere la figura di cui all'

art. 182-

bis

l.

fall

. nel novero delle procedure concorsuali, e dunque di applicare agli accordi di ristrutturazione, in via diretta o analogica, la disciplina del concordato preventivo, valorizzando invece la componente negoziale dell'istituto, in ossequio al favor del legislatore per la c.d. gestione negoziale dell'insolvenza

.

Infatti, elementi peculiari di una procedura concorsuale sono la procedimentalizzazione, l'universalità in senso oggettivo e soggettivo - in quanto riguarda l'intero patrimonio e richiede la partecipazione di tutti i creditori - e infine la concorsualità. Negli accordi di ristrutturazione non si registra la presenza di un soggetto terzo nelle vesti di curatore o commissario: le parti agiscono infatti nel pieno esercizio della loro autonomia contrattuale, stabilendo tempi e modalità della formazione dell'accordo. L'imprenditore in crisi, inoltre, resta dominus dell'impresa, in quanto non si realizza alcuno spossessamento. Inoltre, non è presente alcun residuo del principio della par condicio tra i creditori, giacché l'imprenditore non ha alcun vincolo nella predisposizione del piano di risanamento e raggiunge un accordo con ciascun creditore.

Di conseguenza, la divisione, nell'ambito del ceto creditorio, non avviene tenendo conto delle cause legittime di prelazione, bensì in base all'adesione o meno all'operazione di salvataggio dell'impresa, modalità caratteristica degli strumenti di gestione negoziale della crisi d'impresa a differenza delle procedure concorsuali liquidatorie. L'istituto di cui all'

art. 182-

bis

l.

fall

., benché presenti l'inibizione delle azioni individuali, non presenta una concorsualità né di ordine processuale - come volta a preservare la par condicio creditorum, esaurendosi nell'attuare il principio di universalità della responsabilità patrimoniale -, né di ordine sostanziale, volta ad assicurare una gestione unitaria della crisi approntando un regime normativo quale quello che disciplina l'espressione del voto nel concordato preventivo.

Ad ulteriore riprova della mancata inclusione degli accordi di ristrutturazione dei debiti tra le procedure concorsuali, si rileva che nell'ultima versione (datata 24 luglio 2008) dell'allegato A del

Regolamento CE 1346/2000

sulle procedure d'insolvenza transfrontaliere, successiva alla novella del 2007 che ha introdotto la sospensione delle azioni dalla data della pubblicazione, la figura di cui all'

art. 182-

bis

l.

fall

. non è annoverata tra gli insolvency proceedings contenuti nell'elenco delle denominazioni delle procedure di insolvenza nella legislazione degli Stati membri.

Prima del Decreto Sviluppo si poteva in aggiunta sostenere che l'accordo di ristrutturazione non avesse un'efficacia erga omnes , bensì, secondo l'

art. 1372 c.c.

, effetti limitati a coloro che aderiscono in qualità di parti contraenti, mentre i creditori estranei subiscono il vincolo di non esperire le azioni revocatorie. Quindi gli accordi non coinvolgevano tutti i creditori, i quali non sono organizzati come collettività, ma come somma di teste, risultando dunque assente l'elemento di universalità proprio delle procedure concorsuali in quanto l'imprenditore in crisi può regolare, nel pieno rispetto dell'autonomia privata, la definizione dei rapporti con i creditori che vuole, al fine di ottenere un sufficiente numero di consensi e scegliere i creditori cui proporre l'accordo.

Non operava, infatti, la regola della maggioranza, e la circostanza che sia richiesta una quota di assensi pari al 60% dell'esposizione debitoria rappresenta solo una soglia di rilevanza esterna ed oggettiva di affidabilità del tentativo di risanamento, che integra una condizione per l'omologazione.

Con l'introduzione della suddetta dilazione, che colpisce anche i creditori non aderenti, l'istituto assume inevitabilmente una qualificazione concorsuale in quanto l'accettazione dei creditori che rappresentano più del sessanta per cento dei crediti è assimilabile a un voto a maggioranza che vincola, al pari del concordato preventivo, anche i creditori estranei ad accettare una clausola di pagamento dilazionato per un periodo di tempo prefissato dalla legge (Lamanna, Il c.d. Decreto Sviluppo: primo commento sulle novità in materia concorsuale, in ilFallimentarista.it).

Peraltro, la dilazione forzosa potrebbe anche interpretarsi nel senso di una sostituzione automatica del termine di scadenza originario con l'eliminazione degli interessi maturati, in quanto il Decreto Sviluppo non specifica se la dilazione incida o meno anche sugli interessi moratori. Ad una prima riflessione pare quindi che il legislatore, prevedendo la dilazione ex lege dei pagamenti con inevitabile ripercussione dell'accordo sui creditori non aderenti, abbia voluto tentare di conservare la natura sostanzialmente privatistica dell'istituto, forzando tuttavia tale qualificazione con un esproprio parziale e provvisorio del diritto di credito ai limiti della costituzionalità. Infatti, da un lato si attribuisce al voto favorevole dei creditori in rappresentanza di almeno il sessanta per cento dei crediti la valenza di voto a maggioranza, tale da imporre ai creditori non aderenti la dilazione forzosa dei propri crediti, dall'altro si lascia invariata la struttura sostanziale dell'istituto senza prevedere alcuna concorsualità.

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