La falcidiabilità dell'IVA nel concordato preventivo senza transazione fiscale: tesi a confronto, dopo la sentenza della Corte Costituzionale

Giulio Andreani
13 Novembre 2014

La falcidiabilità dell'IVA nel concordato preventivo è un argomento oggetto di ampio dibattito. Sul tema è di recente intervenuta anche la Corte Costituzionale con lasentenza 24 luglio 2014, n. 225, che tuttavia non ha ancora risolto la questione. L'Autore esamina, con occhio critico, le differente tesi sostenute sul tema apportando egli stesso un contributo alla questione.
Premessa

L'articolato dibattito sulla falcidiabilità dell'IVA nel concordato preventivo privo di transazione fiscale si è recentemente arricchito del contributo fornito dalla Corte costituzionale con la recente sentenza 24 luglio 2014, n. 225, la quale non sembra tuttavia aver definitivamente risolto la querelle.

La tesi della falcidiabilità del credito IVA

La tesi della falcidiabilità del credito IVA, affermata da ampia parte della dottrina (

G. Bozza, Il trattamento dei crediti privilegiati nel concordato preventivo, in Fall., 2012, 377 ss.; A. Penta, Obbligatorietà o facoltatività nel “classamento” dei creditori e carattere autonomo o dipendente della transazione fiscale, in Fall., 2010, 233 ss.

) e della giurisprudenza (Trib. Perugia 16 luglio 2012, Trib. Varese 30 giugno 2012, Trib. Como 29 gennaio 2013, Trib. Cosenza 29 maggio 2013, Trib. Campobasso 29 - 31 luglio 2013, App. Genova 10 - 27 luglio 2013, che ha tuttavia modificato tale orientamento con il decreto del 28 dicembre 2013, Trib. Busto Arsizio 7 ottobre 2013

), trae origine principalmente dal (possibile) contrasto tra il comma 2, primo periodo, dell'

art.160 l. fall.

(che prevede la tangibilità dei crediti privilegiati), il comma 2, ultimo periodo, del medesimo art. 160 (a norma del quale “il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione”) e le disposizioni degli

artt. 2777 ss. c.c.

, che disciplinano l'ordine dei privilegi, da un lato, e il precetto contenuto nel comma 1 dell'art. 182-ter, che impone il pagamento integrale dell'IVA e delle ritenute alla fonte operate e non versate, dall'altro; il contrasto deriva - secondo tale indirizzo - dal fatto che, ai sensi dell'

art. 2778 c.c.

, l'IVA si colloca, nell'ordine dei privilegi previsti da tale articolo (che seguono, peraltro, quelli dell'articolo precedente), al diciannovesimo grado, sicché il relativo credito erariale risulta generalmente assistito da un grado di privilegio inferiore rispetto a quello della quasi totalità degli altri crediti privilegiati. Pertanto, se si prevede il soddisfacimento integrale dell'IVA, per non incorrere nella violazione del divieto di alterazione delle cause di prelazione occorrerebbe assicurare il pagamento integrale di quasi tutti i crediti privilegiati, ma ciò metterebbe a serio rischio la positiva conclusione delle procedure concordatarie, in contrasto con lo spirito della Riforma della

legge fallimentare, volta invece a favorire la composizione delle crisi d'impresa.

E' stato conseguentemente ritenuto che le disposizioni del citato comma 1 dell'art. 182-ter operino alla stregua di norme di natura procedurale, assolvendo alla mera funzione di disciplinare le modalità secondo cui gli Uffici fiscali sono chiamati ad esprimere il loro voto sulla proposta concordataria e quindi che, sotto il profilo sostanziale, su tali disposizioni prevalgano le norme generali disciplinanti il concordato preventivo e, in particolare, quella contenuta nel più volte citato

art. 160, comma 2, primo periodo, l. fall. (che prevede la falcidiabilità dei crediti privilegiati), salvo in caso di presentazione della proposta di transazione fiscale (nel qual caso la intangibilità dei crediti di cui trattasi è pacifica); con la conseguenza che anche i crediti relativi a IVA possano essere soddisfatti parzialmente, nel rispetto dell'ordine delle cause legittime di prelazione previsto dal codice civile, del quale, indipendentemente dall'inapplicabilità dell'ultimo periodo del comma 2 dell'art. 160, quando i crediti non sono suddivisi in classi, non è stata comunque stabilita alcuna deroga.

L'infalcidiabilità del credito IVA affermata dalla Corte di cassazione

La Corte di cassazione, con due sentenze del 4 novembre 2011, la n. 22931 e la n. 22932, ha invece affermato che, a prescindere dalla strada prescelta dal debitore, le regole contenute nell'art. 182-ter, comma 1, l. fall., con riguardo al trattamento dell'IVA, trovano sempre applicazione nell'ambito del concordato preventivo. I giudici di legittimità hanno riconosciuto sì la specialità di tali disposizioni, ma hanno ritenuto che esse operino non solo con riferimento all'istituto della transazione fiscale (in relazione alla quale esse espressamente si applicano), bensì anche nel concordato non assistito da tale istituto.

Questa conclusione si fonda sostanzialmente su due ordini di motivi.

In primis, viene escluso che l'art. 182-ter, l. fall

., abbia natura meramente processuale, essendogli attribuita invece natura anche di norma sostanziale, in quanto attinente al trattamento dei crediti nell'ambito dell'esecuzione concorsuale e dettata da motivazioni che attengono alla peculiarità del credito (indipendentemente dalle modalità di svolgimento della procedura).

Inoltre, non sarebbe logico pensare che il legislatore della riforma abbia potuto conferire al debitore il potere discrezionale di scegliere se assoggettarsi all'integrale pagamento dell'IVA (optando per la transazione fiscale), oppure di avvalersi della possibilità di proporne un pagamento parziale (decidendo per il concordato senza transazione) (

Zanichelli, I concordati giudiziali, Torino, 2010, 263

).

Quanto alla problematica convivenza tra l'art. 182-ter e l'art. 160, comma 2, ultimo periodo, l. fall. (che, tra l'altro - osservano i giudici di legittimità - si potrebbe verificare solo per il concordato con divisione in classi, poiché è a tale fattispecie che questa disposizione è riferita), la Corte di cassazione introduce una diversa chiave di lettura, indicando che, nell'ambito del concordato preventivo, la prima disposizione costituisce una generale deroga alla seconda (e ciò non soltanto in caso di presentazione della proposta di transazione fiscale). In sostanza, l'attribuzione di un trattamento particolare al credito relativo all'IVA, che assumerebbe quindi sostanzialmente la natura di credito “quasi prededucibile” o, più propriamente, “superprivilegiato”, rientrerebbe nelle prerogative del legislatore, il quale, per cause discrezionalmente individuate, può stabilire un trattamento di favore per alcuni crediti senza per questo incidere sul trattamento della generalità degli altri.

Configurandosi quale norma eccezionale, secondo gli ermellini, la disciplina prevista per il credito IVA non deve quindi essere estesa, per effetto dell'art. 160, comma 2, a tutti gli altri crediti muniti di una legittima causa di prelazione di grado poziore. È questa estensione che comporterebbe effettivamente il rischio, paventato nei decreti omologativi emessi nei giudizi che hanno originato le pronunce della Corte di cassazione, di rendere in molti casi sostanzialmente inattuabile la procedura concordataria e non, dunque, l'indicato trattamento del credito IVA; ed è evidente - secondo la Suprema Corte - che del suo effetto il legislatore non può non essere stato conscio.

Con la successiva sentenza del 31 ottobre 2013, n. 44283, emessa in sede penale, la Corte di cassazione ha tratto ulteriori argomenti - a favore della tesi che nega la falcidiabilità dei crediti erariali inerenti all'IVA - dalla disciplina della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento (art. 7 della L. n. 3/2012, come modificato dall'art. 18 del D.L. n. 179/2012, convertito dalla L. n. 221/2012, il quale stabilisce che in merito “ai tributi costituenti risorse proprie dell'Unione europea, all'imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento).

Secondo il Tribunale di Brescia (sent. 5-11 giugno 2013) tale novella legislativa espliciterebbe definitivamente la volontà del legislatore di stabilire - con riguardo alle procedure concorsuali diverse dal fallimento - un regime preferenziale per i crediti sopra menzionati rispetto a tutti gli altri crediti privilegiati anche di grado poziore, non potendosi ammettere - nell'attuale quadro normativo - una disomogeneitàtra il trattamento dei creditori del debitore che possa accedere al concordato in quanto fallibile, ex art. 1 l. fall., e quello dei creditori del debitore non fallibile che possa accedere esclusivamente alla procedura di “sovraindebitamento”.

Perché il credito IVA è infalcidiabile secondo la Corte costituzionale

Nell'ambito delle numerose pronunce intervenute sull'argomento, il Tribunale di Verona, aderendo alla tesi espressa dalla Corte di cassazione sulla infalcidiabilità dell'IVA, con ordinanza del 5-10 aprile 2013, ha rilevato che - per effetto di questa interpretazione - nei casi in cui l'attivo di un'impresa è insufficiente per soddisfare integralmente i creditori privilegiati, risulta inammissibile la proposta di concordato preventivo che, pur riservando a tali crediti un trattamento migliore di quello che essi riceverebbero a seguito della liquidazione fallimentare, non ne preveda l'integrale pagamento. Dal che discende, secondo i giudici scaligeri, il contrasto degli

artt. 160 e 182-ter l. fall.

(il cui disposto - in base a tale tesi - è applicabile anche in assenza di una proposta di transazione fiscale) con gli

artt. 97 e 3 Cost.:

  • con riguardo all'art. 97, nella parte in cui, rendendo necessariamente inammissibile la proposta che non preveda l'integrale pagamento dell'IVA, non consente alla Pubblica amministrazione di valutare in concreto la convenienza della proposta e del piano dell'imprenditore che prospettino un grado di soddisfazione del credito IVA in misura superiore a quella ricavabile dalla procedura fallimentare;
  • con riguardo all'art. 3 Cost., nella parte in cui non consente alla Pubblica amministrazione, contrariamente a quanto è permesso a tutti gli altri creditori privilegiati, di accettare, in relazione al credito IVA, un pagamento inferiore al valore integrale del credito, ma superiore a quello ricavabile dalla liquidazione del patrimonio del debitore.

La Corte costituzionale, con la sentenza 24 luglio 2014, n. 225, nel valutare la latitudine applicativa della disciplina interna della transazione fiscale avente ad oggetto il pagamento del credito IVA (che nella sola modalità dilatoria prevista dalla legge pregiudicherebbe, a detta del rimettente, il potere dell'Amministrazione finanziaria di accettare, pur subendo una falcidia, un importo superiore a quello ricavabile dalla liquidazione del patrimonio del debitore), ha ritenuto di non potersi discostare dall'articolato quadro normativo delineato - relativamente all'IVA - dalla Corte di giustizia UE, in particolare, con le sentenze 28 settembre 2006, causa C-128/05, 247/2011, 11 dicembre 2008, causa C-174/07 e 17 novembre 2008, causa C-132/06.

Conseguentemente, il fondamento delle censure sollevate dal tribunale rimettente deve essere valutato - secondo il Giudice delle leggi - alla luce dei principi stabiliti dalle direttive comunitarie, secondo l'interpretazione fornitane dalla Corte di giustizia UE, e dei vincoli che ne derivano per gli Stati membri. In base a tali regole l'IVA deve essere pagata per intero e ciò che può essere oggetto di transazione è al massimo costituito semplicemente dalla dilazione dei tempi di pagamento di tale tributo.

Per questi motivi la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Verona con riguardo, tanto all'art. 97, quanto all'art. 3 Cost. (nel suo provvedimento la Corte costituzionale ha fatto più volte riferimento alla fattispecie del piano di concordato preventivo contenente una proposta di transazione fiscale, anche se l'ordinanza di rimessione emessa dal Tribunale di Verona sembra riguardare invece una domanda di concordato preventivo non assistita da transazione fiscale. Non ne discende tuttavia un diverso rilievo o un diverso significato dei principi affermati dalla Corte costituzionale, atteso che - secondo la tesi della Corte di cassazione fatta propria dal Tribunale di Verona - il trattamento del credito IVA è il medesimo in entrambi i casi ed è proprio tale equiparazione che genererebbe, ad avviso dei giudici rimettenti, la denunciata illegittimità costituzionale).

Critica della tesi della infalcidiabilità del credito IVA fondata sulla natura sostanziale dell'art. 182-ter l. fall.

Come si è visto, secondo la Corte costituzionale, la Corte di cassazione e diversi giudici di merito, avrebbe natura sostanziale, e non solo processuale, la norma dell'art. 182-ter, l. fall., che prevede il pagamento integrale del credito di cui trattasi. Tuttavia, se ciò fosse vero, ne discenderebbe - come hanno rilevato il Tribunale di Varese e il Tribunale di Como - che essa dovrebbe trovare applicazione anche in caso di fallimento e di esecuzione individuale, ma così non è. Ciò induce a ritenere che la disposizione in parola abbia esclusiva natura processuale e che quindi esplichi i propri effetti solo nel caso in cui lo speciale procedimento della transazione fiscale sia adottato sulla base di una libera scelta, atteso il carattere facoltativo della stessa, e non anche quando la definizione dei rapporti debitori con il Fisco è proposta dall'impresa debitrice attraverso l'offerta concordataria in assenza di transazione fiscale (Trib. Varese, 30 giugno 2012, e Trib. Como, 29 gennaio 2013. Si veda anche P. Vella, La problematica scissione tra facoltatività procedimentale e obbligatorietà sostanziale dell'art. 182-ter, l. fall., in Fall., 2012, 172 ss.).

Per un motivo analogo non è convincente la tesi della Corte di cassazione secondo cui, in base a una sorta di principio di omogeneità di trattamento dei crediti erariali, non sarebbe credibile che il legislatore abbia inteso lasciare il debitore discrezionalmente libero di decidere se assoggettarsi all'onere dell'intero pagamento dell'IVA, il che accadrebbe a seguito del ricorso alla transazione fiscale, oppure di avvalersi della possibilità di proporre un pagamento parziale, come potrebbe avvenire - se non sussistesse il divieto di intangibilità dei crediti di cui trattasi - mediante il concordato non assistito da transazione fiscale.

Infatti, è pacifico che tale divieto non sussiste in caso di fallimento, né di concordato fallimentare. In queste ultime ipotesi, pertanto, la definizione dei rapporti con l'Amministrazione finanziaria può avere luogo in base a criteri di determinazione del quantum da corrisponderle meno onerosi per il debitore e ciò smentisce l'esistenza di un principio di omogeneità di trattamento dei crediti erariali, indipendentemente dalla procedura di regolamento del debito utilizzata, come ha correttamente affermato il Tribunale di Como. Anzi, la eventuale sussistenza di tale principio, posto che nel fallimento il credito erariale di cui trattasi è pacificamente falcidiabile, dovrebbe indurre a una conclusione opposta, nel senso che da tale omogeneità dovrebbe necessariamente discendere la tangibilità del credito de quo nel concordato preventivo, così come nel fallimento.

È vero, come afferma la stessa Suprema Corte, che, facendo ricorso all'istituto della transazione fiscale, l'impresa debitrice, a fronte dell'obbligo di pagare integralmente i debiti di cui trattasi, può conseguire il vantaggio del consolidamento del debito fiscale e della estinzione delle liti fiscali pendenti, mentre tale vantaggio non può essere realizzato nel fallimento e nel concordato fallimentare; ciò, tuttavia, prova semmai il contrario di quel che la Suprema Corte ha inteso dimostrare, poiché è naturale che vantaggi diversi derivino dal sostenimento di oneri diversi, il che presuppone e al tempo stesso conferma la logicità della possibilità di trattamenti differenziati: sarebbe in effetti assai illogico, come avverrebbe in base al divieto di intangibilità del credito IVA, che nel concordato senza transazione fiscale l'impresa debitrice dovesse pagare integralmente i debiti in parola così come nel concordato con transazione fiscale, senza fruire dei vantaggi di cui potrebbe giovarsi in quest'ultimo caso.

Sotto tale profilo le pronunce della Corte di cassazione, sulla facoltatività della transazione fiscale e sull'obbligatorietà dell'integrale pagamento dei crediti per IVA, paiono anche contraddittorie, posto che non avrebbe senso attribuire al debitore la facoltà di formulare una proposta concordataria con o senza transazione fiscale, se, a fronte dei medesimi oneri discendenti da tali due diverse soluzioni (giacché i debiti in parola dovrebbero - in base a tale tesi - essere integralmente soddisfatti in entrambi i casi), i vantaggi producibili in capo al debitore sussistessero solo in un caso (quello del concordato con transazione) e non anche nell'altro (quello del concordato senza transazione): equivale a dire che il debitore sarebbe libero semplicemente di decidere, non se trarre dalla propria proposta certi vantaggi a fronte di determinati oneri oppure rinunciare a quei vantaggi beneficiando per contro del sostenimento di minori costi, bensì di stabilire se fruire o meno di taluni vantaggi in presenza comunque dei medesimi oneri. È evidente che si tratterebbe di una facoltà solo apparente. Ne discende che, per ragioni logiche, alla natura facoltativa della transazione fiscale, correttamente affermata dalla Corte di cassazione, dovrebbe corrispondere l'insussistenza del principio dell'intangibilità dei crediti erariali di cui trattasi.

Critica della tesi della infalcidiabilità del credito IVA fondata sull'apparente superamento del contrasto tra le norme fallimentari e quelle in tema di privilegi

Come si è detto, un diffuso orientamento giurisprudenziale ritiene necessaria la falcidiabilità dei crediti tributari di cui trattasi, poiché il comma 2, ultimo periodo, dell'art. 160, l. fall

., dispone che il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione e quindi, in assenza della possibilità di soddisfare solo parzialmente tali crediti, l'impresa debitrice dovrebbe pagare integralmente non solo questi ultimi ma, in virtù della citata disposizione, anche tutti i crediti assistiti da privilegio di grado anteriore (cioè quasi tutti), il chevanificherebbe, nella sostanza, la possibilità di soddisfacimento parziale dei crediti privilegiati prevista dal medesimo articolo (comma 2, primo periodo) e renderebbe impossibile l'attuazione di un rilevante numero di concordati, in contrasto con lo spirito della recente Riforma della

legge fallimentare.

La Corte di cassazione - come si è rilevato - ha ritenuto di superare l'ostacolo rappresentato da tale argomento - rispetto all'individuazione di un principio contrario all'intangibilità del credito IVA - escludendo, con brillantezza, che la necessità dell'integrale pagamento di tale imposta comporti anche quella dell'integrale pagamento di tutti i crediti privilegiati di grado anteriore, poiché tale credito sarebbe assistito, da una sorta di “superprivilegio”.

La ricostruzione elaborata dalla Corte di cassazione non consente, tuttavia, di evitare l'emersione di un contrasto tra il disposto dell'art. 182-ter, comma 1, l. fall

., laddove prevede l'integrale pagamento del credito IVA, e quello dell'art. 160, comma 2, sopra citato, e genera effetti distorsivi non meno rilevanti, che ne rivelano la fallacità, rendendo nella sostanza inattuabile un elevato numero di proposte di concordato, se queste dovessero essere formulate nel suo rispetto. Infatti, proprio dalla natura “superprivilegiata” dei crediti fiscali di cui trattasi, discenderebbe che, nel non infrequente caso di insufficienza dell'attivo a soddisfare tutti i crediti privilegiati, la domanda di concordato dovrebbe prevedere, innanzitutto, l'integrale pagamento del credito IVA e quindi il soddisfacimento parziale di quelli assistititi da privilegio di grado anteriore a quest'ultimo nei limiti della capienza dell'attivo (

. Lamanna, Graduazione tra IVA, ritenute fiscali e altri privilegi generali nel concordato in caso di incapienza dei beni su cui farli valere, in ilFallimentarista.it

). Ne conseguirebbe, però, la sostanziale inattuabilità di siffatta proposta di concordato, per i seguenti motivi:

  • il comma 2, primo periodo, dell'art. 160, l. fall., stabilisce che la proposta di concordato può prevedere che “i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, indicato nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'art. 67, terzo comma, lett. d)”. Applicando la tesi della Corte di cassazione, nel caso di incapienza dell'attivo a soddisfare integralmente i crediti privilegiati, il presupposto della possibilità di pagamento parziale dei crediti privilegiati, richiesto da tale norma, non si verifica, perché, mediante la liquidazione fallimentare dell'impresa, nell'ambito della quale non ricorre l'obbligo di pagamento integrale del credito IVA, i creditori privilegiati anteriori al Fisco verrebbero soddisfatti in misura più elevata di quella realizzabile in sede concordataria, grazie all'utilizzabilità delle risorse che nell'altra ipotesi verrebbero destinate all'Erario in virtù del carattere “superprivilegiato” del suo credito;
  • una domanda di concordato siffatta sarebbe quindi non conveniente per i creditori privilegiati di grado anteriore a quello dell'Erario e il concordato non sarebbe omologabile.

Per evitare tale effetto e rendere la proposta di concordato ammissibile e omologabile, se trovasse applicazione il principio di intangibilità dei crediti di cui trattasi, affermato dalla Corte di cassazione, sarebbe necessario prevedere il pagamento integrale non solo di IVA (e ritenute), ma anche dei crediti privilegiati di grado anteriore, seppure entro i limiti del valore di liquidazione dell'attivo, in base alla graduazione ordinaria prevista dalla legge (

F. Lamanna, op. loc. ult. cit.

).

Ciò significa, però, che la Suprema Corte ha superato solo apparentemente il contrasto tra il disposto dell'ultimo periodo del comma 2 dell'art. 160 l. fall., e quello dell'art. 182-ter sull'intangibilità dei crediti tributari per IVA e ritenute, poiché dalla ricostruzione che precede emerge come l'(eventuale) obbligo di pagamento integrale di tali crediti finisca, comunque, per comportare il pagamento (almeno entro la capienza dell'attivo) anche di quasi tutti gli altri crediti privilegiati. È evidente che ciò comporta la violazione (e la sostanziale abrogazione) della menzionata disposizione dell'art. 160, l. fall., introdotta allo scopo di agevolare la soluzione delle crisi d'impresa, ed ostacola il superamento di queste ultime, in contrasto con la volontà del legislatore della Riforma della legge fallimentare.

Ne discende che l'unica lettura dell'

art. 182-ter, l. fall

., conforme alla ratio legis e all'esigenza di favorire il superamento delle crisi di impresa, è quella che limita il campo di applicazione di detta norma ai casi in cui il concordato è assistito da transazione fiscale e ne esclude il rilievo con riguardo al concordato senza transazione fiscale.

Non a caso la lettera dello stesso art. 182-ter, l. fall., come ha recentemente rilevato la Corte d'appello di Genova, stabilisce che “con riguardo all'IVA e alle ritenute operate e non versate, la proposta può prevedere esclusivamente la dilazione di pagamento”, delimitando quindi l'applicazione di questa disposizione alla proposta di transazione fiscale ed escludendola nel caso di concordato non assistito da tale istituto.

Critica della tesi della infalcidiabilità del credito IVA fondata sulla omogeneità di trattamento rispetto alla crisi da sovraindebitamento

Quanto all'argomento costituito dall'asserita necessità di disciplinare il pagamento del credito IVA nel concordato preventivo (senza transazione fiscale) analogamente al trattamento previsto nella crisi da sovraindebitamento, va detto che, pur essendo indubitabile che con il

D.L. n. 179/2012, convertito dalla L. n. 221/2012

, il legislatore abbia affermato - con riguardo a detta procedura - l'infalcidiabilità del credito relativo all'IVA, è altrettanto innegabile che tale disciplina è stata prevista in ordine ad una procedura diversa da quella del concordato preventivo e che quella che regolamenta quest'ultimo è stata più volte modificata sia nel 2012 sia nel 2013, senza che il legislatore abbia voluto cogliere l'occasione per introdurre un'analoga previsione in merito al concordato preventivo ovvero di meglio precisare il disposto del comma 1 dell'

art. 182-ter, l. fall

., nonostante la querelle interpretativa da esso sollevata; ne discende che non appare corretta, perché ne difettano i necessari presupposti, l'estensione al concordato preventivo della disposizione sulla intangibilità del credito IVA, recata dalla suddetta

L. n. 221/2012

. La tesi sostenuta al riguardo dalla Corte di cassazione sembra, invero, evocare l'esistenza di un principio in base al quale il trattamento del credito erariale di cui trattasi dovrebbe essere omogeneo nelle procedure concorsuali, ma tale principio in realtà non sussiste, perché, come si è già osservato, mentre, da un lato, è pacifica l'infalcidiabilità dell'IVA nella crisi da sovraindebitamento e nel concordato preventivo assistito da transazione fiscale, dall'altro lato, è altrettanto pacifica la falcidiabilità dell'IVA nel fallimento, nella liquidazione coatta amministrativa e nell'amministrazione straordinaria. Si potrebbe, per contro, obiettare che la predetta omogeneità deve sussistere almeno nelle procedure concorsuali aperte su impulso del debitore (e quindi nella crisi da sovraindebitamento e nel concordato preventivo), ma pare difficile comprendere per quale motivo (come è stato affermato in dottrina, v.

M. Fabiani, Dai principi generali alla falcidiabilità di tutti i crediti tributari, in Ilcaso.it

) il trattamento di un credito dovrebbe dipendere non dalla consistenza del patrimonio del debitore, bensì dal fatto che quest'ultimo sia assoggettato a una procedura concorsuale a seguito della sua iniziativa oppure coattivamente.

Inoltre, con riguardo ad un'impresa fallibile, l'omogeneità di trattamento, ove esistesse un principio che la prevede, dovrebbe manifestarsi, semmai, non tanto tra concordato preventivo e crisi da sovraindebitamento, ma tra concordato preventivo e fallimento.

La disciplina della procedura della crisi da sovraindebitamento pare, dunque, irrilevante rispetto a quella concernente l'obbligo di pagamento dei crediti erariali di cui trattasi nel concordato preventivo.

Critica della tesi della infalcidiabilità del credito IVA fondata sulla natura comunitaria di tale tributo

Come si è rilevato, la Corte costituzionale ha affermato la infalcidiabilità dell'IVA, in considerazione della natura comunitaria di tale tributo e dei vincoli che conseguentemente ne derivano nella sua gestione (ai quali aveva fatto riferimento anche la Corte di cassazione con le sentenze del 4 novembre 2011).

Non v'è dubbio che relativamente all'IVA gli Stati devono tenere conto di precise regole comunitarie; tuttavia, i principi affermati dalla Corte di giustizia CE, nelle sentenze 17 luglio 2008 e 11 dicembre 2008, richiamate dalla Corte di cassazione e dalla Corte costituzionale, non sembrano applicabili alla fattispecie di cui trattasi.

Con tali provvedimenti, i giudici europei si sono espressi sulla compatibilità con il diritto comunitario, e in particolare con la sesta direttiva europea in tema di IVA, degli artt. 8 e 9 della L. n. 289/2002, relativi al cd. “condono IVA”, affermando quanto segue:

  1. ogni Stato membro ha l'obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative necessarie al fine di garantire che l'IVA sia interamente riscossa nel suo territorio;
  2. l'art. 9 della L. n. 289/2002 consente ai contribuenti che non hanno osservato gli obblighi in materia di IVA, relativi agli esercizi d'imposta compresi tra il 1998 ed il 2001, di sottrarsi definitivamente a questi ultimi e alle sanzioni dovute per il mancato rispetto degli stessi, versando una somma forfettaria invece di un importo proporzionale al fatturato realizzato. Queste somme forfettarie sono sproporzionate rispetto all'importo che il soggetto passivo avrebbe dovuto versare sulla base del volume d'affari risultante dalle operazioni da lui effettuate, ma non dichiarate;
  3. ne deriva che la L. n. 289/2002 pregiudica seriamente il corretto funzionamento del sistema comune dell'IVA: infatti, le disposizioni di detta legge, introducendo rilevanti differenze di trattamento tra i soggetti passivi sul territorio italiano, alterano il principio di neutralità fiscale. Per lo stesso motivo, queste disposizioni violano l'obbligo di garantire una riscossione equivalente dell'imposta in tutti gli Stati membri;
  4. è di conseguenza censurabile ogni norma, quale è quella sopra citata, che comporti una rinuncia generale e indiscriminata all'accertamento delle operazioni imponibili effettuate nel corso di una serie di periodi d'imposta, in quanto in contrasto con gli artt. 2 e 22 della sesta direttiva nonché con l'art. 10 del Trattato istitutivo della Comunità europea (oggi art. 4, par. 3, del Trattato sull'Unione europea).

Sussistono però valide ragioni per derogare a tali principi in merito alla riscossione dell'IVA nell'ambito di una procedura di concordato preventivo. Una cosa è, infatti, la rinuncia dello Stato a far osservare gli obblighi in materia di IVA e ad accertarne e contestarne le violazioni della generalità dei contribuenti; altro è, invece, verificare, caso per caso, contribuente per contribuente, e cioè in base a una analisi “mirata”, condotta con riguardo a singoli casi concreti, la sussistenza dei presupposti per definire una particolare controversia o definire uno specifico rapporto creditorio, accettando il pagamento di un importo inferiore a quello dovuto dal contribuente in dipendenza dell'applicazione delle ordinarie disposizioni di legge, in considerazione dell'incertezza circa la debenza dell'imposta richiestagli in pagamento, ovvero delle reali possibilità di recupero della stessa indipendentemente dalla sua debenza.

Del resto, con le successive sentenze 29 marzo 2012, pronunciate nelle cause C-417/10 e C-500/10, i giudici di Lussemburgo, nel giudicare la compatibilità con il diritto europeo delle disposizioni recate dall'art. 3, comma 2-bis, del D.L. n. 40/2010, concernente la possibilità di estinguere i procedimenti tributari pendenti da più di dieci anni nei quali l'Amministrazione finanziaria era risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio, hanno ribadito che il rispetto delle norme comunitarie (le quali - come detto - impongono agli Stati membri di adottare ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dal diritto dell'Unione europea, o di astenersi da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell'Unione) non comporta l'impossibilità di derogare alle norme che presiedono alla determinazione dell'IVA dovuta dai contribuenti e, tanto meno, la intangibilità del credito IVA sorto dall'applicazione di tali norme.

In altri termini,

i principi comunitari

richiamati dalla Corte di cassazione, prima, e dalla Corte costituzionale, poi, possono essere bilanciati (proporzionati) con altri interessi e valori meritevoli di tutela, alla luce dello stesso ordinamento comunitario (quale, ad esempio, il diritto alla ragionevole durata del processo stabilito dall'

art. 6 della CEDU

). Con riguardo, in particolare, alle procedure concorsuali, tale bilanciamento può avere luogo considerando

i

benefici traibili dall'attuazione di una procedura (il concordato) in luogo di quelle altrimenti adottabili (principalmente il fallimento), facendo leva sia sulla possibilità di prosecuzione dell'attività d'impresa (da cui derivano in genere benefici diretti per il Fisco e indiretti per tutta la collettività), sia sulla tutela delle ragioni creditorie dell'Erario (che mediante un tipo di procedura può recuperare una quota del proprio credito maggiore di quella recuperabile grazie a una procedura alternativa).

Essa può trovare inoltre giustificazione sempre nella CEDU (in virtù del principio che tutela il diritto di proprietà). Pertanto, il bilanciamento tra l'interesse comunitario all'integrale accertamento e riscossione del credito IVA e la tutela di altri valori costituzionali e comunitari giustifica in via di principio che, all'interno di una procedura concorsuale, il legislatore nazionale ammetta la falcidia del credito IVA. Ciò perché essa può risultare strumentale alla tutela degli interessi dei creditori, da una parte, e della collettività, dall'altra, più di quanto lo sia la mera applicazione delle regole ordinarie.

Del resto, con riguardo al ricupero degli aiuti illegali e incompatibili, la stessa Commissione europea (con la comunicazione 2007/c 272/05) ha affermato che, in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia europea, una decisione, che ingiunge ad uno Stato membro di recuperare tali aiuti, può essere considerata correttamente eseguita anche in caso di recupero parziale, quando l'impresa beneficiaria degli stessi sia stata liquidata e i suoi attivi siano stati venduti a condizioni di mercato.

Stabilita, per tali motivi, la compatibilità della falcidiabilità dell'IVA - nel concordato preventivo privo di transazione fiscale - con i principi comunitari, delle due l'una. O si ritiene, come la Corte di cassazione, che l'art. 182-ter, l. fall. impone in ogni caso il pagamento integrale di tale tributo, e allora è difficile negare la violazione al tempo stesso:

  1. del principio di buon andamento della Pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost.

    , posto che ne discenderebbe l'impossibilità dell'Amministrazione finanziaria di valutare, in relazione al soddisfacimento dell'IVA, la convenienza della proposta formulataleogni qualvolta essa non preveda l'integrale pagamento di tale tributo;

  2. dell'art. 3 Cost.

    , in quanto tale disciplina riserverebbe al Fisco un trattamento deteriore rispetto a quello consentito agli altri creditori privilegiati, i quali, a differenza di quanto risulterebbe imposto all'Erario, possono approvare la proposta di concordato quando sia loro attribuito un grado di soddisfazione, seppure non integrale, superiore a quello realizzabile in sede liquidatoria; oppure si deve alternativamente escludere un conflitto tra gli

    artt. 160 e 182-ter, l. fall., da un lato, e gli artt. 97 e 3, Cost.

    , dall'altro, in virtù dell'adozione di un'interpretazione costituzionalmente orientata di tali norme (o interpretazione adeguatrice), cioè attraverso quella interpretazione che risulta maggiormente conforme ai principi costituzionali, risultato, questo, che si consegue, nel caso di specie, ritenendo che le disposizioni di cui all'

    art 182-ter, l. fall., concernenti la intangibilità del credito IVA, non trovano applicazione nel concordato preventivo in assenza di transazione fiscale

    . Infatti, grazie a siffatta interpretazione, nella situazione sopra rappresentata la Pubblica Amministrazione (nella veste dell'Agenzia delle entrate) può valutare in concreto la convenienza della proposta concordataria, senza essere costretta a respingerla, anche quando questa sia per essa chiaramente conveniente, solo perché tale proposta non preveda l'integrale soddisfacimento dei crediti erariali relativi all'IVA. Questa seconda soluzione è, ad avviso di chi scrive, quella più corretta, anche in considerazione degli altri motivi esposti nelle pagine precedenti.

Conclusioni

È noto che le imprese che si trovano in una situazione di crisi finanziaria spesso finanziano il pagamento dei debiti verso i fornitori o verso le banche, omettendo il versamento di tributi (principalmente IVA e ritenute) e contributi previdenziali (pur) pacificamente dovuti, anche approfittando dei tempi di reazione dei rispettivi enti creditori, inevitabilmente e fisiologicamente più ritardati di quelli degli altri creditori.

Non vi è dubbio che tali illeciti comportamenti devono essere combattuti e che la falcidiabilità delle imposte (IVA e ritenute comprese) può addirittura incentivarli (prendo cento e poi pago venti, dieci o ancora meno).

Il modo più corretto di combatterli è però quello di stabilire, mediante una norma di legge espressa e chiara, che in ogni caso tutti i crediti per IVA e ritenute sorti in dipendenza di tali comportamenti, identificabili ad esempio in quelli maturati anteriormente al novantesimo (o al centottantesimo) giorno che precede la domanda di concordato preventivo (ovvero di transazione fiscale con riguardo al caso dell'accordo di ristrutturazione dei debiti) devono essere pagati integralmente; non quello di pervenire a queste conclusioni in via interpretativa, in base a motivi che sembrano seguire la decisione anziché precederla.

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