Il credito di rivalsa IVA nel concordato preventivo

23 Aprile 2014

Il trattamento del credito di rivalsa dell'Iva del cedente di beni o del prestatore di servizi assume rilievo con riferimento alla procedura concordataria, posto che a differenza di quanto accade nel fallimento, manca un esplicito riferimento normativo. Di recente, la Cassazione, con la sentenza n. 24970/2013 ha affermato che al credito di rivalsa Iva nel concordato deve essere riconosciuto il privilegio speciale di cui all'art. 2758, comma 2, c.c. L'Autore approfondisce, con voce critica, il principio giurisprudenziale enunciato.

Riveste particolare interesse il trattamento del credito di rivalsa dell'IVA spettante al cedente di beni o al prestatore di servizi nell'ambito del concordato preventivo, perché per questa procedura non esiste una disposizione analoga a quella prevista per il fallimento dall'

art. 93,

comma

3

, l.

f

all

.

Il criterio di riferimento per approfondire il tema si rinviene all'

art. 2758,

comma

2

, c.c.

, che testualmente recita: “Eguale privilegio hanno i crediti di rivalsa verso il cessionario ed il committente previsti dalle norme relative all'imposta sul valore aggiunto, sui beni che hanno formato oggetto della cessione o ai quali si riferisce il servizio”. E dunque il credito di rivalsa IVA è assistito da privilegio speciale sui beni oggetto della cessione o ai quali si riferisce il servizio, ma non gode anche del privilegio generale.

Poiché nel concordato preventivo i crediti assistiti da cause di prelazione non subiscono di regola la falcidia concordataria riservata invece ai chirografari, la dottrina si è sovente domandata se nel concordato preventivo i crediti muniti di privilegio speciale (come l'IVA di rivalsa) debbano essere soddisfatti integralmente, anche nel caso in cui manchino i beni oggetto della prelazione. E ciò perché l'

art.

93 l

.

f

all

., che regola la domanda di ammissione al passivo nel fallimento, richiede espressamente, al comma 3, n. 4), “la descrizione del bene sul quale la prelazione si esercita se questa ha carattere speciale”, con ciò collegando inequivocabilmente l'esercizio del privilegio all'esistenza dei beni di riferimento.

Nel concordato preventivo non esiste alcuna norma analoga e neppure di richiamo. Ed anzi, manca addirittura la fase dell'accertamento del passivo che caratterizza il fallimento, con la conseguenza che la regola testé richiamata per questa procedura non sembrerebbe applicabile.

In siffatto quadro normativo, peraltro consolidato, è di recente intervenuta la Cassazione (

Cass. Civ., Sez. I, sentenza n. 24970 del 6 novembre 2013

) enunciando il principio che al credito di rivalsa dell'IVA spettante al cedente di beni o al prestatore di servizi debba essere riconosciuto il privilegio speciale previsto dall'

art. 2758, comma 2, c.c.

, a prescindere dall'esistenza o meno dei beni, perché il privilegio “E' una qualità del credito riconosciuta dall'ordinamento in ragione della sua causa”. La Suprema Corte ricorda anche che la medesima tesi era già stata accolta con la sentenza n. 12064/2013, con riferimento alla disciplina del concordato preventivo anteriore alla modifica dell'

art.

160 l

.

f

all

. di cui al

D.Lgs. 169/2007

, affermando cheIn quel contesto normativo, caratterizzato dall'inapplicabilità al concordato preventivo dell'

art.

54 l

.f.

(non richiamato dall'art. 169) e dalla condizione essenziale e indefettibile dell'integrale pagamento dei creditori privilegiati, la mancanza nel compendio patrimoniale del debitore del bene gravato da privilegio non impedisce, a differenza che nel fallimento, l'esercizio del privilegio stesso, con la conseguenza che il credito va soddisfatto integralmente”.

La sentenza n. 24970 precisa che l'orientamento espresso con sentenza n. 12064 resta valido anche nell'ipotesi di concordato preventivo post riforma di cui al

D.Lgs. 169 del 2007

, posto che la limitazione contenuta nella nuova previsione di cui all'

art. 160,

comma

2,

l.

f

all

. è “configurabile dalla legge come l'effetto di un patto concordatario; dunque in mancanza di una proposta che dia luogo ad un tale patto – come nel caso che ci occupa – non può che farsi applicazione della regola generale”.

A chi scrive non sembra del tutto convincente siffatta giurisprudenza, che in sostanza finisce per prorogare gli effetti di una situazione giuridica oltre l'estinzione del suo elemento genetico. Si pensi al caso, non infrequente, di beni non più esistenti nel patrimonio del debitore ancor prima della predisposizione del piano di cui all'

art.

160 l

.

f

all

.. Né molto aggiunge il richiamo alla causa del credito, se lo stesso legislatore ha ritenuto di doverne derivare un privilegio solo speciale.

Senza peraltro sottovalutare l'ulteriore rilievo che, opinando come la Corte, al privilegio speciale assicurato dalla legge al credito di rivalsa IVA finiscono per essere attribuiti in via di interpretazione, per quanto autorevole, gli effetti di un privilegio generale, probabilmente lesivo, tra l'altro, dei diritti dei creditori che il privilegio generale vantano ab origine ex lege.

Se prendesse piede la soluzione del Supremo i crediti di rivalsa IVA, nel concordato preventivo, non potrebbero non avere trattamento privilegiato, a prescindere dall'esistenza dei beni. E ciò avrebbe certamente un impatto di rilievo su tutti i concordati preventivi, dal momento che fino ad oggi i crediti per rivalsa IVA sono stati sempre degradati al rango chirografario in assenza dei beni sui quali esercitare il privilegio, mentre ora, nella determinazione del fabbisogno dei piani, andrà tenuto conto della loro diversa collocazione.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.