Stato dell'arte sul credito fondiario: rapporto tra procedura fallimentare e procedura esecutiva

12 Marzo 2014

L'art. 51 l. fall. esprime il principio del concorso formale da applicarsi nei confronti di tutti i crediti "dal giorno della dichiarazione di falliemento", "salvo diversa disposizione di legge". Tra i casi che derogano al divieto di azioni esecutive individuali, l'Autore prende in esame quello del credito fondiario, la cui disciplina speciale è dettata dall'art. 41, D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (T.U.B.): in particolare, concentrandosi su come riescano a convivere , pur ispirate a ratio differenti, l'azione esecutiva individuale e la procedura fallimentare senza ledere il principio della par condicio creditorum.

Costituisce questione nota e particolarmente delicata il rapporto che si instaura tra procedura esecutiva e procedura fallimentare, quando il terzo agisce per il soddisfacimento di un credito di natura fondiaria. Le diverse disposizioni normative messe a confronto evidenziano infatti punti di frizione, soprattutto se si considerano le finalità perseguite nei due settori giuridici.

In generale, nella procedura esecutiva uno o più creditori agiscono coattivamente sul patrimonio del debitore inadempiente al fine di conseguire il soddisfacimento del proprio diritto di credito.

Viceversa, nella procedura fallimentare prevale l'interesse del ceto creditorio complessivamente considerato, con conseguente sacrificio dell'interesse economico del singolo. Siffatta caratterizzazione si evince chiaramente dal tenore letterale dell'

art. 51

l

.

fall

., dove si sancisce il divieto di esecuzioni individuali da parte dei creditori sui beni compresi nel fallimento.

La norma in esame fa salvi i casi previsti da “diversa disposizione della legge”, tra i quali rientra, appunto, la disciplina normativa dettata in tema di credito fondiario.

Come noto, il credito fondiario è una forma di credito speciale avente ad oggetto la concessione, da parte di istituti bancari, di finanziamenti a medio e lungo termine , per un dato importo e a condizioni prestabilite, diretti al miglioramento, alla costruzione o all'acquisto delle proprietà immobiliari rurali o urbane e garantiti da ipoteca di primo grado sulle stesse .

In tema di procedimento esecutivo relativo a crediti fondiari è applicabile, in linea di principio, la disciplina ordinaria contenuta nel libro III del codice di procedura civile, ad eccezione dei casi in cui la disciplina speciale del credito fondiario vi deroghi espressamente: ciò accade nell'ipotesi regolata dall'

art. 41 D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385

(breviter

T.U.B

.) – che mantiene in materia la deroga già prevista dal Testo Unico 16 luglio 1905, n. 646 –, dove il procedimento esecutivo presenta significative deroghe rispetto alla disciplina ordinaria dell'espropriazione immobiliare prevista dal codice di procedura civile.

Parimenti, anche per le procedure concorsuali vale lo stesso discorso: i procedimenti restano disciplinati dalla

legge fallimentare

, ad eccezione dei casi in cui la disciplina del credito fondiario vi deroghi espressamente, attribuendo al creditore fondiario un trattamento privilegiato nel concorso con tali procedure.

Risulta, pertanto, evidente la natura speciale della normativa che contraddistingue la materia del credito fondiario.

Conseguentemente, poiché il principio di legalità impone che in caso di contrasto fra norma generale e norma speciale è sempre quest'ultima a dover essere applicata, per l'azione esecutiva proposta da un creditore fondiario contro il debitore fallito dovrà concludersi per l'applicazione della norma cui all'

art. 41 T.U.B

., nella parte in cui riconosce la possibilità di iniziare o proseguire un'azione esecutiva anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore per il soddisfacimento di un credito fondiario, in deroga alla regola generale cui all'

art. 51 l. fall

.

La ratio di questa norma speciale è quella di consentire alla banca finanziatrice di vedere soddisfatte in via privilegiata, sul ricavato della vendita dell'immobile, le ragioni di credito derivanti dall'operazione fondiaria e di rendere più efficace e spedito l'espletamento delle azioni esecutive connesse a tale operazione.

Va da sé che in ipotesi di cessione del credito da parte della banca vengono meno le ragioni giuridiche di privilegio connesse alla qualità soggettiva del creditore procedente; pertanto, il cessionario non può iniziare o proseguire l'azione esecutiva dopo il fallimento del debitore .

La sostanziale indifferenza della procedura esecutiva rispetto al fallimento non implica, tuttavia, alcuna deroga al principio della par condicio creditorum.

In effetti, le attribuzioni che il creditore fondiario riceve nel procedimento esecutivo devono essere sempre raffrontate con i diritti relativi degli altri creditori.

Se, da un lato, il creditore fondiario non attenderà la formazione del piano di riparto fallimentare, potendo conseguire il proprio credito immediatamente e direttamente dall'aggiudicatario o assegnatario, dall'altro lato, occorre precisare che quanto pervenuto al creditore fondiario rimane in suo possesso solo in via provvisoria e salva parziale restituzione.

Invero, le somme ricevute dal creditore fondiario all'esito dell'esecuzione individuale non potranno mai ritenersi acquisite a titolo definitivo, non potendosi la banca sottrarre alle regole della par condicio creditorum e del riparto fallimentare. Soltanto in esito al riparto, che terrà doveroso conto del concorso globale dei creditori e dell'esistenza di cause legittime di prelazione, si renderà definitiva l'acquisizione, salva restituzione dell'eventuale eccedenza .

Il privilegio riconosciuto al creditore fondiario, quindi, ha carattere meramente processuale, non si traduce cioè in una causa di prelazione ulteriore rispetto al privilegio ipotecario connesso alla nascita del mutuo stesso, ma consente alla banca di conseguire nell'immediato, seppur in via provvisoria, il versamento del prezzo sino alla concorrenza del credito vantato .

Ovviamente siffatta attribuzione non potrà alterare le regole del concorso sostanziale interessate dalla procedura fallimentare, come definite in sede di verifica dello stato passivo , giacché il credito ipotecario a garanzia di finanziamento fondiario rimane comunque soggetto alla verifica nella sede fallimentare; ciò, evidentemente, anche in relazione all'obbligo a carico della banca di restituzione delle eccedenze .

La tutela della par condicio creditorum non consente infatti due differenti criteri di ripartizione dell'attivo e presuppone l'unicità del procedimento di acquisizione e distribuzione che coinvolge tutti i creditori ivi incluso il creditore fondiario; pertanto, l'attuazione del richiamato principio giuridico è riservata al procedimento di verificazione dei crediti in fase fallimentare .

Si può pertanto concludere che la sede fallimentare è il luogo in cui si determina in via definitiva la massa attiva (comprensiva, ovviamente, del ricavato della vendita effettuata in sede esecutiva, attribuita provvisoriamente all'istituto di credito fondiario) e la massa passiva, e si dovrà scegliere se agire eventualmente per la restituzione di quanto, in ipotesi, l'istituto di credito abbia ottenuto in eccedenza in sede esecutiva . Ed è sempre in sede fallimentare che il credito fondiario dovrà essere accertato dal giudice delegato, a seguito di insinuazione al passivo del titolare del diritto (come previsto dall'

art. 52, comma

3

,

l. fall

., introdotto dal correttivo alla

legge fallimentare

attuato con il

D.

Lgs. 12 settembre 2007, n. 169

) .

Appurato che il creditore fondiario può sottoporre ad esecuzione forzata il cespite in costanza di fallimento del proprietario del bene, la naturale coesistenza tra le due procedure implica che a prevalere sia quella che opera prima dell'altra la liquidazione del bene immobile.

La giurisprudenza tende, infatti, a privilegiare la procedura nella quale per prima sia stata disposta la vendita .

Quindi, in linea teorica, il curatore fallimentare potrebbe valutare l'opportunità di non intervenire nella procedura esecutiva, se non per far dichiarare l'interruzione del processo esecutivo rispetto ai creditori diversi dal fondiario, e vendere in sede fallimentare, oppure potrebbe esercitare la facoltà riconosciuta dall'

art. 41, comma

2

, T.U.B

. dove si prevede la possibilità di intervenire nella procedura esecutiva avviata dalla banca.

Quest'ultima norma muove dall'esigenza di tutelare le ragioni della massa dei creditori, in linea, d'altronde, con i poteri propri del curatore in sede fallimentare, volti principalmente all'amministrazione del patrimonio del fallito.

L'intervento del curatore nel procedimento esecutivo si attuerebbe essenzialmente per soddisfare il riconoscimento in prededuzione delle spese del fallimento (ad esempio: imposte sugli immobili, spese condominiali, compenso del curatore e dei consulenti, ecc.) al fine di detrarle dal netto ricavo attribuito od attribuibile al creditore fondiario, circostanza quest'ultima che si giustifica quando il bene oggetto di espropriazione è l'unico cespite di rilievo del patrimonio del fallito ed il suo ricavo, ottenuto in sede ordinaria, è incapiente per il fallimento, che percepisce l'eventuale residuo dopo il creditore ipotecario, secondo i principi dell'

art. 2741 c.c.

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