Contratti di distribuzione e fallimento

Oreste Cagnasso
28 Aprile 2014

L'Autore analizza le sorti del contratto di somministrazione qualora intervenga il fallimento di una delle parti. Dopo un breve excursus sulla disciplina relativa a questi modelli contrattuali, l'analisi si concentra sui rapporti tra il contratto pendente e la procedura fallimentare sia nell'operare della previgente disciplina che in quella attuale: con l'applicazione dell'art. 72 l. fall., la parte che "subisce" gli effetti dell'intervenuto fallimento è il contraente in bonis; con uno sguardo critico l'Autore offre alcune interpretazioni che potrebbero ovviare a tale conseguenza.
Modelli contrattuali relativi alla distribuzione integrata

I tradizionali strumenti contrattuali appaiono inadatti a disciplinare il rapporto tra produttore e distributore integrato: quest'ultimo si impegna infatti non solo ad acquistare determinati prodotti in nome e per conto proprio (in questo senso la posizione del distributore si avvicina a quella del somministrato), ma anche a promuoverne la vendita secondo determinate modalità stabilite dal produttore (e in questo senso la posizione del distributore in qualche misura è paragonabile a quella del mandatario, del commissionario, e dell'agente). Di qui il sorgere e lo svilupparsi di una nuova figura contrattuale, variamente denominata ed enucleata, che si è consolidata nella prassi secondo modelli costanti. La concessione di vendita ha così assunto la fisionomia di un contratto socialmente tipico con un proprio contenuto ed una propria funzione economica. Il modello contrattuale non è rimasto inalterato nel tempo, anche se i tratti fondamentali e la funzione da esso svolta sono sostanzialmente costanti. L'elaborazione dottrinale (e giurisprudenziale) ha posto l'accento in un primo momento soprattutto sul rapporto di fornitura e sulla clausola di esclusiva, mentre in un secondo tempo il fulcro del contratto è stato individuato nell'attività promozionale e nella concessione di un privilegio nella commercializzazione.

Mediante la stipulazione del contratto di concessione di vendita, il produttore si impegna (ma l'impegno può essere limitato ad un certo quantitativo massimo o anche mancare) a vendere al distributore i propri prodotti (o determinati prodotti), che il secondo si obbliga ad acquistare dal primo. Il concessionario si impegna inoltre a promuovere la commercializzazione dei prodotti del concedente. L'obbligo può avere un contenuto generico. Ma più spesso sono dettagliatamente individuate le relative modalità.

Il contratto può contenere (e spesso contiene) una clausola di esclusiva, a favore del concessionario o del concedente o di entrambi. Potrà altresì essere previsto un diritto di preferenza nel caso di stipulazione di un nuovo contratto alla scadenza di quello originario.

La concessione di vendita può essere a tempo determinato (con un'eventuale clausola di tacito rinnovo) oppure a tempo indeterminato.

Il contratto di franchising, sorto negli Stati Uniti verso la fine del XIX secolo, ha avuto ampia applicazione, pur non essendo in origine regolamentato da nessuna norma interna: veniva quindi qualificato come contratto atipico avente carattere di durata e contraddistinto dall'intuitus personae.

Recentemente, con la

legge del 6 maggio 2004, n. 129

, rubricata “Norme per la disciplina dell'affiliazione commerciale” il Legislatore ha regolato alcuni profili, in particolare relativi alla trasparenza, senza peraltro offrire una normativa di carattere organico. La disciplina ora richiamata contiene la definizione dell'accordo di affiliazione commerciale e dei suoi elementi, nonché dell'ambito di applicazione, ed individua i requisiti di forma e il contenuto necessario del contratto; sancisce altresì gli obblighi contrattuali e precontrattuali delle parti, le modalità di risoluzione delle controversie, una specifica causa di annullabilità. L'obiettivo perseguito dal legislatore è chiaramente quello di introdurre forme di tutela in particolare a favore dell'affiliato, considerato un imprenditore debole.

Il primo comma dell'art. 1 della legge del 2004 definisce l'affiliazione commerciale come un “contratto, comunque denominato, tra due soggetti giuridici economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede all'altra la disponibilità, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti d'autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l'affiliato di un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi”. Il secondo comma precisa che il contratto può essere utilizzato in ogni settore dell'attività economica.

Le soluzioni accolte prima della riforma fallimentare

La concessione di vendita è, come si è detto, un modello contrattuale atipico, caratterizzato dalla presenza sia di un rapporto di scambio tra concedente e concessionario, sia da un rapporto di collaborazione tra gli stessi, pur presentando connotati propri della somministrazione, del mandato e del contratto di agenzia, in quanto non è riconducibile a nessuno di questi tipi contrattuali.

L'opinione prevalente in ordine agli effetti del fallimento sul contratto in corso riteneva di applicare allo stesso non le regole in tema di somministrazione, ma quelle relative al mandato, con conseguente scioglimento automatico del rapporto. Infatti in caso di fallimento del concessionario, dato l'intuitus personae proprio del rapporto contrattuale in esame, né il curatore, né il concessionario fallito potrebbero continuare il rapporto. Analogamente, in caso di fallimento del concedente, non pare possibile il subentro del curatore, dato appunto in particolare il carattere strettamente personale del rapporto.

Analoghe considerazioni sono state estese anche al contratto di franchising. Anche in tale ipotesi il carattere personale del rapporto, forse ancora più accentuato, ha indotto la dottrina a ritenere applicabile la regola dello scioglimento automatico.

In giurisprudenza invero è stata tuttavia sostenuta una diversa soluzione, applicandosi la disciplina relativa al contratto di somministrazione (Trib. Torino, 11 gennaio 1995, in Contratti, 1955, 597 con nota di Frignani; in Giur. it., 1995, I, 2, 249; in Dir. fall., 1995, II, 1065 con nota di Pennisi).

La regola generale e i contratti atipici

La riforma della

legge fallimentare

ha profondamente innovato rispetto alla disciplina anteriore relativa ai contratti pendenti, trasformando espressamente il “sistema” da “aperto” in “chiuso”, nel senso che la regola della sostituzione facoltativa ha oggi assunto carattere di principio, mentre quelle della sostituzione o della continuazione automatica hanno carattere eccezionale o quanto meno sono previste solo con riferimento a determinati tipi contrattuali.

Occorre tuttavia esaminare fino a che punto il nuovo sistema possa ritenersi “chiuso”: in altre parole, gli interpreti e gli operatori dovranno verificare se in ogni caso i contratti, a cui non siano espressamente applicate le regole “eccezionali”, siano soggetti al principio generale della sospensione facoltativa.

La soluzione accolta dal legislatore come regola generale sicuramente introduce un elemento di certezza in ordine alla disciplina applicabile, ma potrebbe essere assai penalizzante per il contraente in bonis, eventualmente costretto a proseguire un rapporto, in cui l'elemento fiduciario e quello personale assumono grandissimo rilievo, pur in presenza del fallimento della controparte. Non solo, ma tale soluzione pare creare una disparità di trattamento non facilmente giustificabile con la disciplina applicabile ad altri contratti, caratterizzati dall'accentuata presenza del carattere personale, per cui è previsto lo scioglimento automatico in caso di fallimento.

Una possibile "via di fuga" - qualora non si ritenessero applicabili per analogia le norme che prevedono lo scioglimento automatico - potrebbe essere ipotizzata attraverso una sorta di riconduzione del modello contrattuale ad uno dei tipi, per cui vale la regola dello scioglimento automatico. Con il che l'interprete dovrebbe affrontare un percorso piuttosto accidentato, di riconduzione dei modelli in esame ad uno dei tipi previsti dal legislatore.

In ogni caso, è ben possibile che un contratto atipico possa essere disciplinato, nei suoi profili "civilistici", con l'applicazione prevalente di norme tratte da un determinato modello contrattuale e, sotto il profilo fallimentare, da regole dedotte da un diverso modello.

I possibili correttivi

Prendendo le mosse dalla regola generale prevista nell'

art. 72 l. fall. e applicandola ai contratti di distribuzione, il contraente in bonis dovrebbe “subire” le scelte del curatore: in particolare ove quest'ultimo intendesse continuare l'esecuzione del contratto sarebbe costretto o ad avvalersi di un concessionario o di un franchisee fallito, nel caso in cui si trattasse di concedente o di franchisor in bonis oppure di svolgere l'attività di distribuzione a favore di un concedente o di un franchisor falliti, ove per contro fossero in bonis il concessionario o il franchisee. Tale soluzione evidentemente pare in aperto contrasto con il carattere personale dei tipi contrattuali in esame, ove le caratteristiche delle parti assumono sicuramente un ruolo essenziale.

Tale soluzione pare anche non coerente con quanto previsto dalla norma sul mandato, ove, almeno nel caso di fallimento del mandatario, è previsto lo scioglimento automatico del contratto (

art.

78 l

. fall

.).

Una possibile soluzione, come si è osservato, sarebbe quella di ricondurre la concessione di vendita e il franchising, quale contratto atipico il primo e almeno parzialmente atipico il secondo, al mandato, sia pure in particolare con riferimento alla disciplina dei contratti pendenti. Non pare vi siano difficoltà ad applicare regole tratte da vari modelli contrattuali al fine di ricostruire la disciplina del contratto atipico e quindi, nel nostro caso, per certi profili dal contratto di somministrazione e per altri dal contratto di mandato. Infatti l'aspetto concernente la “fornitura” di beni o di servizi potrebbe essere riconducibile al primo, mentre l'obbligo di svolgere l'attività di vendita e promozionale al secondo.

Si è osservato al proposito che “laddove nei singoli contratti realizzati dalle parti dovesse considerarsi prevalente l'elemento personale dell'intuitus personae che connota la collaborazione tra essi, si potrebbe ritenere applicabile la disciplina in materia di commissione e mandato ... prevedendo lo scioglimento automatico del contratto” (Ghia - Butera, Contratto di franchising e concessione di vendita, in Fallimento e altre procedura concorsuali, diretto da G. Fauceglia e L. Panzani, 2009, 2, 496 ss.).

Non ritengo sia possibile una valutazione caso per caso per verificare la prevalenza del momento dello scambio rispetto a quella dell'immagine di distributore e produttore. Qualora il contratto sia qualificabile come di distribuzione potrebbero in effetti, ove si accolgano le osservazioni sviluppate nelle pagine precedenti, applicare le regole proprie del mandato (e forse della commissione) con il conseguente scioglimento automatico del contratto.

Per contro, risulta inefficace la clausola negoziale che facesse dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento, così come disposto dal sesto comma dell'

art.

72 l

. fall

.

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