Incidenza della Riforma “Fornero” sulla transazione contributiva

12 Dicembre 2013

L'Autore esamina l' istituto della transazione fiscale, disciplinato dall'art. 182-ter l. fall., riscostruendone la disciplina alla luce delle circolari emanate dall'Agenzia delle Entrate, Inps e Inail. Le problematiche affrontate riguardano le difficoltà nel trovare un equilibrio tra la disciplina della transazione fiscale e le prerogative dell'imprenditore, che voglia accedere al concordato preventivo (sia esso liquidatorio o con continuità), ovvero, all'accordo di ristrutturazione dei debiti, di dover assicurare la puntualità nel pagamento dei contributi e dei premi dovuti per i periodi successivi alla presentazione della proposta, alla luce delle modifiche introdotte dalla Legge Fornero (c.d. decreto crescita) in tema di ammortizzatori sociali.
La transazione contributiva: natura e contenuto

Con riferimento all'evoluzione dell'istituto della transazione fiscale - che poi, in ragione di quanto previsto dall'

art. 32, comma

5, lett.

a), del d.l. n.

185/2008

, attraverso la modifica dell'

art.182-

ter

l. fall

. ha esteso la proponibilità della riduzione di pagamento da parte del debitore in crisi anche ai contributi amministrati dagli enti gestori delle forme obbligatorie di assistenza e previdenza - appare necessario, preliminarmente, precisare che lo stesso termine “transazione” non deve indurre a ricondurre l'istituto all'

art. 1965 c.c.

, che, nel regolarlo, definisce essere tale il contratto attraverso il quale le parti “facendosi reciproche concessioni, pongono fine o ad una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro”.

A tale conclusione è facile poter pervenire dal momento che gli enti destinatari della transazione hanno una discrezionalità limitata nel concedere “concessioni”, dal momento che sono tenuti a rispettare, in modo rigido, le regole previste dalla relativa normativa previdenziale e, peraltro, dalla stessa disposizione che, nell'operare l'estensione ai contributi amministrati dagli enti gestori delle forme obbligatorie di assistenza e previdenza, ha individuato i relativi limiti.

Attraverso tale meccanismo si è inteso consentire all'imprenditore in crisi di ottenere, per lo più, una dilazione del pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, con conseguente contrazione della portata “transattiva” dell'istituto, ciò per effetto dello stesso contenuto delle disposizioni che hanno interessato le prassi applicative.

Le modalità di presentazione, valutazione ed adesione alla transazione, previste dall'

art.

182-

ter

l. fall

., sono state integrate e precisate da alcune circolari e risoluzioni dell'Agenzia delle Entrate, dell'Inps e dell'Inail, e dal decreto interministeriale del 4 agosto 2009, emesso dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze.

In linea di principio la stessa Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 40/e del 18 aprile 2008, ha ritenuto di sottolineare che tra i principali obiettivi perseguiti dalla riforma significativa rilevanza aveva assunto “la composizione concordata della crisi, attraverso la valorizzazione degli accordi negoziali” e, in tale contesto, l'istituto della transazione, ancorché tipico del diritto civile, risultava essere del tutto innovativo “nell'ordinamento tributario, dove è tradizionalmente vigente il principio di indisponibilità del credito”, con la conseguenza che “la relativa disciplina normativa, in quanto derogatoria di regole generali”, non poteva che essere "di stretta interpretazione”, poiché non suscettibile di applicazione analogica, ovvero estensiva, sicché la “falcidia”, ovvero la “dilazione del credito tributario”, potevano ritenersi ammissibili nella sola ipotesi in cui, poi, il debitore si fosse attenuto, puntualmente, alle disposizioni previste dall'

art. 182-

ter

l. fall

., attesa la esigenza sottesa all'istituto – e più in generale alla riforma delle procedure concorsuali – di evitare, “…per quanto è possibile, il dissesto irreversibile dell'imprenditore commerciale”.

La circolare ha affrontato, poi, il tema del consolidamento del debito ed ha indicato l'oggetto dell'istruttoria che l'Ufficio è chiamato a compiere senza, tuttavia, fornire un'esauriente definizione al riguardo, seppure il paragrafo 5.5 di essa, nel fare riferimento alla valutazione della proposta, sottolinea che gli Uffici devono considerare l'effettiva possibilità di una migliore soddisfazione del credito in sede di accordo transattivo, rispetto all'ipotesi di avvio di una procedura liquidatoria (fallimento), tenendo conto, al tempo stesso, dei principi di economicità ed efficienza dell'azione amministrativa, nonché della tutela degli interessi erariali, ma, anche, degli altri “… coinvolti nella gestione della crisi, quali ad esempio, la difesa dell'occupazione, la continuità dell'attività produttiva, la complessiva esposizione debitoria dell'impresa, oltre alla sua generale situazione finanziaria e patrimoniale”, desumibili, queste, partitamente:

  • dalla tipologia dell'attività svolta;

  • dalle diverse componenti positive di bilancio;

  • dalla consistenza immobiliare;

  • dalla presenza di eventuali garanzie.

Con la successiva

circolare dell'Agenzia delle Entrate

16 aprile 2010, n. 20/e

risulta espressamente sottolineato che “in presenza di situazioni di crisi aziendale, sia prodromiche alla dichiarazione di fallimento, sia evidenziate in una proposta di concordato preventivo, lo strumento transattivo può rivelarsi decisivo per garantire l'effettivo introito di somme dovute all'Erario in misura certamente superiore (ed in tempi ovviamente ben più rapidi) rispetto a quanto potrebbe avvenire, con le ordinarie modalità di riscossione, in caso di fallimento del contribuente”.

Si evidenzia, ancora, nella richiamata circolare che “la particolare delicatezza di quest'ultima tematica impone, peraltro, che la trattazione delle istanze di transazione venga affidata a personale con competenze professionali idonee a garantire che l'istituto trovi concreta attuazione, secondo le finalità per le quali è stato introdotto nell'ordinamento”, individuate nella esigenza di contemperare l'interesse pubblico alla riscossione di tributi con l'egualmente rilevante interesse alla conservazione di imprese in grado di rappresentare realtà ancora produttive, salvaguardando nel contempo i livelli occupazionali.

In tema di contributi amministrati dagli enti gestori delle forme obbligatorie di assistenza e previdenza, come noto, è il decreto interministeriale del 4 agosto 2009, emesso dal Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali che, a seguito dell'estensione della transazione fiscale per tali forme di contribuzione, ha disciplinato le modalità di applicazione, i criteri e le condizioni di accettazione, da parte degli enti gestori, prevedendo che possono formare oggetto della proposta i crediti per contributi, premi ed accessori di legge sia assistiti da privilegio, sia aventi natura chirografaria, iscritti a ruolo e non.

Sono dunque esclusi e non possono essere oggetto della proposta di accordo:

  • i crediti oggetto di cartolarizzazione,

    ai sensi dell'

    art. 13 della legge n. 448 del 1998

    e successive modificazioni;

  • le somme dovute in esecuzione

    delle decisioni assunte dagli organi comunitari in materia di aiuti di Stato.

L'art. 3 del decreto interministeriale prevede i limiti della falcidia e della dilazione di pagamento e stabilisce, in sintesi, che la proposta di pagamento parziale deve rispettare i seguenti limiti:

La proposta di pagamento dilazionato non può essere superiore a sessanta rate mensili con applicazione degli interessi al tasso legale.

L'art. 4 indica i parametri di valutazione della proposta di transazione previdenziale che individua:

  • nell'idoneità dell'attivo

    ad assicurare il soddisfacimento dei crediti anche mediante prestazione di eventuali garanzie;

  • nel riconoscimento

    formale ed incondizionato del credito per contributi e premi e contestuale rinuncia a tutte le eccezioni che possano influire sulla esistenza ed azionabilità dello stesso;

  • nella correntezza nel pagamento

    dei contributi e premi dovuti per i periodi successivi alla presentazione della proposta di accordo che, come vedremo, assume particolare rilievo in ragione delle modifiche operate dalla legge Fornero (

    legge n. 12/

    2012

    ) prima e, quindi, dal decreto crescita (

    legge n. 134/

    2012

    ) in tema di ammortizzatori sociali;

  • nel versamento delle ritenute previdenziali

    ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti ai fini dell'accesso alla dilazione dei crediti;

  • nell'essenzialità dell'accordo

    ai fini della continuità dell'attività dell'impresa e di ogni possibile salvaguardia dei livelli occupazionali, tenuto conto dell'importanza che la stessa riveste nel contesto economico-sociale dell'area in cui opera.

Il mancato rispetto degli obblighi previsti nell'accordo comporta la revoca dell'accordo stesso.

I limiti introdotti dal decreto - in quanto fonte normativa di rango secondario - hanno destato molte perplessità in ordine alla possibilità di ritenere che non possa incidere sulle previsioni contenute negli

artt.

160

ss. e

182-

ter

l. fall

. limitandone l'applicazione (

Trib. Monza 22 dicembre 2011, decr.

).

Con

circolare

n. 8 del 26 febbraio 2010 l'Inail, pur dopo aver precisato che “la normativa relativa all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro non è derogabile dalla volontà delle parti”, per essere essa “caratterizzata dalla costituzione automatica del rapporto assicurativo e (...) delle prestazioni” ha, tuttavia, precisato che gli accordi sui crediti vantati dall'Istituto possono essere conclusi, esclusivamente, attraverso l'

art.

182-ter

l. fall

. e nei limiti stabiliti dal decreto interministeriale del 4 agosto 2009.

Con successiva

circolare

n. 38 del 15 marzo 2010 l'Inps ha illustrato, in ottemperanza a quanto disposto dal decreto interministeriale, le modalità operative concernenti le proposte di accordo sui crediti per contributi di previdenza ed assistenza sociale, gestiti dall'Istituto, ciò in quanto l'art. 182-ter non precisa quale debba essere la forma, ovvero il contenuto, della proposta per valorizzare l'autonomia delle parti, nella formulazione della stessa, essendo questa finalizzata alla conclusione di un accordo per la ristrutturazione e la soddisfazione, anche parziale, dei debiti contributivi, richiedendo, tuttavia, che essa debba essere redatta in modo analitico ed esauriente.

In aggiunta l'Istituto ha precisato dover essere allegati alla proposta, oltre alla documentazione prevista dall'

art.

161 l

. fall

., anche:

  • un prospetto riportante il grado di soddisfacimento, i tempi e le modalità di esecuzione e corresponsione delle somme per gli ulteriori debiti;

  • la quietanza di pagamento degli aggi dovuti all'esattore in caso di crediti iscritti a ruolo, ritenuta condizione di ammissibilità della domanda e di procedibilità dell'istruttoria della stessa transazione (art. 9, punto 3 della circolare).

Tale previsione costituisce un evidente ostacolo per la conclusione della transazione sol che si consideri, da un lato, che non sempre l'impresa è nella condizione di dover e poter effettuare il previsto pagamento delle spese, dei diritti e degli aggi dovuti per lo sgravio parziale dei crediti iscritti a ruolo e, ancora, perché, in sostanza attraverso esso viene lesa la par condicio creditorum, atteso che viene imposta la corresponsione di somme per compensi di riscossione che oltre a non essere determinati nel loro ammontare, tuttavia, per la collocazione chirografaria incidono su un principio sul quale si fonda tutta la normativa concorsuale.

Per il resto la circolare nulla aggiunge, per quel che concerne le modalità applicative, a quanto previsto dal decreto interministeriale, pur se viene ribadito che la transazione deve contenere una clausola con la quale il debitore “riconosce in modo formale ed incondizionata l'esistenza del credito contributivo, nonché la rinuncia a tutte le eccezioni relative alla esistenza ed azionabilità dello stesso”, che può determinare perniciosi effetti quante volte l'accordo di ristrutturazione del debito, ovvero il concordato preventivo, si risolvano e, poi, venga dichiarato il fallimento in conseguenza delle eccezioni che non sarebbero più proponibili con riferimento anche a situazioni, invero, controverse.

La posizione della Corte di Cassazione

Il sistema ora tratteggiato presenta indiscutibili aspetti critici che conseguono dalla prevista obbligatorietà della transazione, in ragione della confermata inammissibilità della falcidia e dello stralcio del credito tributario e contributivo al di fuori delle modalità applicative ed operative sopra individuate, che impongono al debitore, per l'appunto, di osservare, puntualmente, la procedura prevista dall'

art.

182-

ter

l. fall.

Al riguardo, tuttavia, la Suprema Corte ha affermato non essere necessaria la transazione fiscale ai fini della falcidia e/o della dilazione dei crediti erariali ed ha riconosciuto essere il relativo istituto rimesso alla facoltà del debitore cui è, pertanto, consentito di presentare la domanda di ammissione al concordato che preveda, anche, il pagamento non integrale dei crediti fiscali e contributivi assistenziali (

Cass., 4 novembre 2011, nn. 22931

e

22932

;

Trib. Varese, 15 giugno 2012

, decr.;

App. Torino, 6 maggio 2010

; Trib. Roma, 18 marzo 2010; Trib. La Spezia, 2 luglio 2009;

Trib. Roma, 27 gennaio 2009

).

Risulta sottolineato dai giudici di legittimità che, invero, l'istituto consente al debitore di ottenere un vantaggio apprezzabile, individuato nel consolidamento dell'ammontare del debito, cui si contrappone, tuttavia, come già sottolineato, il costo dato dalla sostanziale necessità di accogliere tutte le pretese dell'Amministrazione che, in pratica, non consente di discutere o ridurre le proprie richieste.

A tale conclusione la Suprema Corte è pervenuta sul presupposto che l'Agenzia delle Entrate è equiparabile, nell'ambito del concordato preventivo, a qualsiasi altro creditore, sicché questa può esercitare attraverso il voto il relativo dissenso che, peraltro, in conseguenza della operata modificazione dell'

art. 178, comma 4,

l. fall.

- a seguito della conversione, con modificazioni, ad opera della

legge 7 agosto 2012, n. 134

, del

d.l

. 22 giugno 2012, n. 83

- ha previsto che i creditori debbano far pervenire il proprio dissenso nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale redatto in sede di adunanza dovendosi, in caso contrario, ritenere gli stessi consenzienti e, dunque, computabili ai fini del calcolo delle maggioranze.

Il meccanismo del silenzio–assenso trova pertanto ora applicazione anche nei confronti degli enti destinatari della transazione previdenziale quante volte non sia stata presentata la relativa istanza.

L'incidenza della Riforma Fornero sul concordato preventivo e sugli accordi di ristrutturazione

Una volta operata la ricostruzione, da un punto di vista sistematico, dell'istituto in relazione a quanto previsto dal più volte richiamato decreto interministeriale e dalle successive circolari, rispettivamente, dall'Agenzia delle Entrate, dell'Inps e dell'Inail, non par dubbio che le criticità, per una sua applicazione, vanno individuate nella riconosciuta esigenza per l'imprenditore che intenda accedere alla procedura di concordato preventivo, liquidatorio o con continuità, ovvero all'accordo di ristrutturazione dei debiti, di dover assicurare la correntezza nel pagamento dei contributi e dei premi dovuti per i periodi successivi alla presentazione della proposta.

Tale condizione assume particolare rilievo in ragione delle modifiche operate dalla legge Fornero e, dunque, dal c.d. decreto crescita in tema di ammortizzatori sociali.

La materia ha, infatti, trovato una prima regolamentazione a seguito dell'articolato proposto con il documento elaborato dal Consiglio dei Ministri il 23 marzo 2012, recante “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”, laddove, nel disciplinare gli ammortizzatori sociali e, in genere, le tutele in costanza di rapporto di lavoro, ha previsto che il trattamento integrativo è ora concesso, con decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, ai lavoratori

dipendenti da imprese assoggettate ad una procedura concorsuale liquidatoria, alla condizione che per queste “… sussistano prospettive di continuazione o ripresa dell'attività e di salvaguardia, anche parziale, dei livelli di occupazione, da valutare in base a parametri oggettivi”, definiti con decreto del medesimo Ministero, quando, al contrario, la disposizione, in precedenza, prevedeva che il trattamento integrativo salariale poteva essere concesso qualora la continuazione dell'attività non fosse stata disposta o fosse cessata.

Con decreto ministeriale del 4 dicembre 2012 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha individuato i parametri oggettivi per l'autorizzazione della c.i.g.s., ai sensi dell'

art. 3, comma 1, L. 23 luglio 1991, n. 223

, e in ragione della riformulazione della medesima disposizione, attuata dall'

art. 46-

bis,

comma 1, lett. h), del

d.l.

22 giugno 2012, n. 83

, recante “m

isure urgenti per la crescita del Paese” (poi convertito, con modificazioni, dalla

legge 7 agosto 2012, n. 134

) il comma settanta dell'art. 2 è stato riformulato e con esso anche il comma primo dell'art. 3, sicché

per la concessione del trattamento di integrazione è ora richiesta l'accertata sussistenza di serie prospettive di continuazione o di ripresa dell'attività “…da valutare in base a parametri oggettivi”, che, per l'appunto, il decreto ha inteso definire (Riva, I “nuovi” parametri per l'autorizzazione della Cigs ex art.3 della legge 223/1991. Tanto rumore per nulla?, in questo portale

).

Il Ministero con esso

dà atto nella premessa che:

  • gli ammortizzatori sociali sono volti ad agevolare la ricollocazione dei lavoratori “...favorendo la conservazione del patrimonio delle competenze e delle professionalità acquisite”, la cui incrementazione viene realizzata “…con specifici percorsi formativi e di riqualificazione” attraverso “l'allineamento tra offerta e la domanda di lavoro”;

  • il trattamento è finalizzato alla salvaguardia dei livelli occupazionali, che può essere realizzata sia dalla stessa impresa che ne faccia richiesta (rectius: l'organo della relativa procedura), che “…presso imprese terze interessate all'acquisizione, anche parziale, dell'azienda”.

Il decreto ministeriale, svolta tale premessa, ha previsto che i parametri oggettivi, per una valutazione delle istanze volte ad ottenere il trattamento straordinario di integrazione salariale, vanno individuati nella ricorrenza di:

  • reali possibilità

    che venga attuata, da parte del responsabile della procedura concorsuale, la prosecuzione dell'attività aziendale, ovvero ripresa quella eventualmente cessata;

  • un effettivo interesse

    , da parte di terzi, di acquisizione, anche parziale, dell'azienda a titolo definitivo (acquisto) o temporaneo (affitto), mediante analisi delle manifestate disponibilità, “in sede governativa o regionale”, finalizzate alla individuazione delle soluzioni maggiormente appaganti;

  • trattative

    , sempre

    “in sede governativa o regionale”, volte alla ricerca di soluzioni che siano in grado di assicurare la continuazione o ripresa dell'attività, anche mediante la cessione, totale o parziale, ovvero l'affitto a terzi dell'azienda o rami di essa.

I tre parametri oggettivi si sostanziano, dunque, nella necessità di ancorare il riconoscimento del trattamento di integrazione salariale concorsuale alla possibilità che l'attività aziendale possa essere ripresa, se cessata, ovvero continuata senza soluzione di continuità.

In precedenza, con riferimento al

concordato con cessione dei beni

, era più difficile pensare ad una ipotetica continuazione dell'attività economica da parte del debitore soprattutto quando nella relativa domanda di ammissione fosse stata esclusa la realizzazione di una

vicenda traslativa dell'azienda e, dunque, prevista la disgregazione del complesso dei beni già organizzato per l'esercizio dell'impresa; oggi sembra, al contrario, doversi escludere una siffatta soluzione, dal momento che l'imprenditore che si trova in stato di crisi può proporre un “

piano

” che stabilisca la soddisfazione dei crediti, mediante la ristrutturazione dei debiti, o attraverso la cessione dei beni ai creditori, o l'attribuzione delle attività dell'impresa interessata ad un assuntore, sicché deve presumersi che ciò possa avvenire anche senza che vi sia cessazione dell'attività, con la conseguenza che i crediti che matureranno saranno prededucibili e dovranno, naturalmente, essere integralmente, oltreché immediatamente, soddisfatti.

Se, però, l'impresa era già in crisi, è ben probabile che l'imprenditore avesse richiesto

l'intervento straordinario della cassa integrazione guadagni, ai sensi dell'

art. 1 L. n. 223 del 1991

, e presentato, per ottenerne il riconoscimento, un

piano di risanamento

, accompagnato da un'analitica relazione tecnica, con la indicazione delle cause che hanno determinato la crisi, specificando le azioni intraprese e le ulteriori iniziative da avviare per il superamento di essa.

La situazione non è diversa qualora vi sia stata cessazione dell'attività, dal momento che, in tal caso, sono ugualmente assicurati gli

ammortizzatori sociali, seppure alla condizione che vengano, però, presentati “…

concreti piani di gestione

” che lascino supporre come certa la ricollocazione dell'impresa sul mercato, e con questa del personale interessato al relativo trasferimento (

Gallo, La modifica dei criteri concessivi della c.i.g.s., in Dir.prat.lav., 2002, 3039; Gargale-Iannella, Programma di crisi aziendale e trattamento di c.i.g.s. nei casi di cessazione di attività, in Dir.prat.lav., 2003, 651

).

Laddove, però, l'attività sia cessata prima della presentazione della domanda, e l'impresa sia stata ammessa alla cigs

per crisi aziendale, disciplinata dall'

art. 1 L. n. 223 del 1991

, essa verrà a beneficiare del diverso trattamento stabilito dall'art. 3 della stessa legge, qualora al momento dell'avvio della procedura non dovessero persistere le condizioni per la possibile attuazione dell'originario programma di cui all'art. 1, quinto comma, sulla base del quale la cigs

venne, originariamente, concessa.

Sul piano degli effetti, con particolare riferimento ai confini di applicazione e riconoscimento del diverso trattamento di integrazione salariale concorsuale, disciplinato dall'

art. 3 L. n. 223 del 1991

, non par dubbio che quanto previsto dalla norma ora richiamata non può essere suscettibile di una diversa, e meno estensiva, applicazione, soprattutto laddove si consideri che, nel caso della

procedura di concordato preventivo con cessione dei beni, nella ricorrenza del presupposto oggettivo della intervenuta cessazione e non continuazione dell'attività, si è inteso, non solo, riconoscere il trattamento predetto, ma soprattutto evitare che a carico dell'impresa potessero esservi oneri, stabilendo la relativa esenzione dal pagamento del corrispondente contributo.

La richiamata disciplina non trovava applicazione, d'altronde, nei confronti del concordato preventivo per garanzia, ovvero della domanda proposta dal debitore mediante l'offerta di

garanzie reali, o personali, per il pagamento del

40% dell'ammontare dei crediti chirografari, entro sei mesi

dalla data di omologazione del concordato (art.160, comma due, n. 1,

ante riforma

), richiedendosi, in tal caso, da parte dell'imprenditore, l'elaborazione di un adeguato

programma di ristrutturazione

per il superamento della crisi nell'interesse dei creditori, ai sensi dell'

art. 1, L. n. 223 del 1991

, in ragione del fatto che l'art. 3 non prevede il

concordato remissorio

o quello

dilatorio,

ma, unicamente, l'altro per

cessione dei beni (

Macchia, Lavoro e previdenza nel concordato preventivo, in Fall., 1979, 731; Caiafa A., I rapporti di lavoro nelle crisi di impresa, Padova, 2004, 250; Id., Vicende circolatorie dell'azienda nelle procedure concorsuali, 2001, 191

).

L'apertura della procedura segna ed evidenzia un preoccupante vuoto, in ordine, segnatamente, alla tutela del reddito che il Ministero, con propria circolare, ha riempito, attraverso una interpretazione estensiva della disposizione normativa, tale da ritenere applicabile l'art. 3 anche all'attuale figura

ridisegnata del concordato preventivo, sul presupposto che, avendo il legislatore della riforma individuato questo quale procedura per risolvere la crisi, non poteva esserne negata l'applicazione.

Identica interpretazione evolutiva è stata offerta dal Ministero del Lavoro, che è intervenuto emanando

una nota, con la quale, nell'esaminare gli accordi di ristrutturazione dei debiti e, in generale, le soluzioni stragiudiziali per affrontare la crisi di impresa, ha ritenuto che il trattamento integrativo concorsuale non potesse essere negato agli stessi accordi di ristrutturazione, in quanto rimedi specificamente previsti per consentire alle imprese in crisi di recuperare efficienza produttiva e redditività (Min. Lav., nota Prot. 4314, 17 marzo 2009, per un commento Gheido, Casotti, Rapporto di lavoro e procedure concorsuali, in Dir.prat.lav., 2009, 1153)

.

Pur dovendo prendere atto dell'offerto criterio interpretativo evolutivo e, pertanto, innovativo, esso è apparso non essere conforme ai principi enunciati al riguardo dal nostro sistema normativo, attesa l'impossibilità, al contrario, di operare una lettura estensiva della norma, essendo piuttosto opportuno riformularla per renderla coerente con la riforma delle procedure concorsuali.

Ed infatti l'art. 12 delle disposizioni della norma in generale precisa che nell'applicazione di essa non è possibile attribuire “… altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”.

Ed allora l'intenzione riformativa non si evince dalla disposizione che il Ministero ha letto con criteri decisamente evolutivi, quanto, piuttosto, dalla presa d'atto dell'avvenuta riscritturazione delle norme sul concordato preventivo e dell'introduzione di un nuovo istituto ritenuto assimilabile ad una procedura più semplificata e veloce del primo, ovvero a sé stante, ma, in ogni caso, efficace strumento di risoluzione negoziale della crisi di impresa.

Non è però l'omesso richiamo ad esso ad impedire l'estensione del trattamento integrativo concorsuale, attesa la successiva emanazione di norme che ne hanno previsto l'esistenza, quanto, piuttosto, la regola iuris individuata dall'art. 12 delle disposizioni in generale, che non consente di trascurare il dato normativo, che aveva individuato sulla cessazione e non continuazionedell'attività il presupposto oggettivo per l'accesso al trattamento integrativo e che oggi permane pur dopo la diverse analisi richieste della sussistenza delle condizioni perché l'attività possa essere ripresa, ovvero continuata, dal momento che la norma richiama, in via esclusiva, la procedura liquidatoria.

Quand'anche, peraltro, per interpretazione in senso stretto si intenda la determinazione e la chiarificazione del significato precettivo contenuto nella norma, e per quella in senso ampio si ritenga di dover fare riferimento alla regola di diritto ritenuta applicabile, che, invero, permette di andare al di là dell'esegesi del testo della disposizione e di individuare e, dunque, integrare le lacune che questa presenta, non par dubbio che l'espressione letterale viene ad assumere nel contesto della proposizione normativa un significato ben preciso, che individua lo stesso intento del legislatore, e che mal si presta ad una lettura evolutiva, sol perché correlata ad una diversa considerazione delle procedure concorsuali in funzione della riorganizzazione dell'impresa, di cui tende, dunque, ad assicurare la continuità, con la conseguenza, pertanto, che a tale obiettivo occorre far riferimento seppure ora attraverso la valutazione della sussistenza delle relative condizioni di ripresa che, però, confligge con il mancato inserimento delle altre procedure.

Le argomentazioni individuate a sostegno della operata ricostruzione, per attrarre la ristrutturazione del debito nell'ambito delle causali previste dall'

art. 3, comma 1, L. n. 223 del 1991

, ai fini dell'ammissione ai trattamenti di integrazione salariale straordinaria, e che muovono dal convincimento che, invero, l'imprenditore, attraverso il concordato preventivo, ovvero gli accordi di ristrutturazione, tenta di risolvere la situazione di crisi in cui versa l'impresa con una proposta della ripartizione del debito che coinvolge i creditori, non sono appaganti, sol che si consideri che, nel caso regolato dall'

art.

182-

bis

l. fall

., parte del ceto creditorio è estraneo, sicché non appare giustificato il riconoscimento di un sostegno del reddito dei lavoratori coinvolti.

Gli accordi di ristrutturazione, peraltro, ancorché richiamati nello stesso titolo III, unitamente al concordato preventivo non costituiscono una procedura concorsuale in senso proprio, come risulta evidente dal fatto di non essere gli stessi vincolanti per i creditori non aderenti, tanto da essere prevista la possibilità che alcuni di essi ne rimangano estranei, potendo questi vedere soddisfatte, per intero, le ragioni di credito, disponendo l'art. 182-bis, al primo comma, che la relazione redatta dal professionista, per l'attuabilità della accordo stesso, deve risultare idonea.

E di ciò si è reso conto il Ministero del Lavoro, che attraverso la circolare del 22 luglio 2013, n. 23, ha offerto una diversa corretta interpretazione dell'art. 3, comma primo, della

legge n. 223 del 1991

– così come modificato dall'art. 46-bis, comma primo, lettera h), della

legge n. 134 del 2012

– stabilendo che la concessione del trattamento di integrazione salariale può trovare giustificazione nelle ipotesi di concordato preventivo non solo con cessione dei beni, ma in tutte le fattispecie concordatarie in quanto sottoposte al controllo dell'Autorità Giudiziaria, sì da risultare escluse, conseguentemente, per l'effetto, sia la procedura prevista dall'

art. 67, comma

3

, lett

.

d),

l. fall

., dal momento che il piano di risanamento della debitoria aziendale è attestato da un professionista e non già da un soggetto pubblico terzo e, altresì, l'accordo di ristrutturazione del debito presentato ai sensi dell'

art.

182-

bis

l. fall

.

Ne consegue, quindi, che, sebbene la legge faccia riferimento, in via esclusiva, al concordato di preventivo con cessione dei beni, tale previsione deve intendersi riferita a tutte le tipologie concordatizie se ed in quanto omologate, fermo rimanendo, peraltro, che la possibilità di accesso al trattamento integrativo concorsuale verrà meno dal 1 gennaio 2016, stante l'abrogazione dell'

art. 3 della legge n. 223 del 1991

operata dalla

legge n. 92 del 2012

.

Ed allora appaiono essere evidenti le criticità, dal momento che la transazione contributiva, laddove venga inserita nell'ambito di un accordo di ristrutturazione del debito renderà impossibile la adesione ad esso da parte degli organi a ciò deputati atteso che viene espressamente richiesta la “…correntezza nel pagamento dei contributi o premi dovuti per i periodi successivi alla presentazione della proposta di accordo”, attesa l'impossibilità per l'imprenditore di ricorrere agli ammortizzatori sociali regolati dall'

art.

15 della legge n. 223 del 1991

.

troviamo, pertanto, dinanzi ad un limite invalicabile, che è conseguenza della circostanza di avere inteso il legislatore mantenere ferma l'applicazione dell'art. 3, pur se attraverso una lettura estensiva della norma, alle sole fattispecie concordatizie ma senza limitazione

esclusiva al concordato con cessione dei beni (nonostante il richiamo testuale a tale procedura).

Conclusioni

Seppure vada vista con soddisfazione un'interpretazione evolutiva che, diversamente, non avrebbe consentito alle imprese in crisi l'accesso al previsto ammortizzatore sociale, non si comprende la ragione per la quale ad un siffatto risultato si sia dovuti giungere attraverso due note del Ministero competente, la prima, che, peraltro, ne determinava la estensione anche agli accordi di ristrutturazione del debito e, la seconda, che ha inteso escludere questi, e non si sia, al contrario, inteso attuare una riscritturazione integrale della disposizione normativa interpretata prevedendo, espressamente, l'estensione del trattamento straordinario di integrazione salariale a tutte le soluzioni concordate di crisi e, in particolare, a quelle predisposte per il risanamento ovvero la conservazione dell'impresa.

Ed allora, la quietanza di pagamento degli aggi dovuti all'esattore, in caso di crediti iscritti a ruolo, ritenuta condizione di ammissibilità della domanda e di procedibilità dell'istruttoria della stessa transazione (art. 9, punto 3, della circolare n. 38 del 2010)

– che incide sulla stessa par condicio creditorum – e la previsione della correntezza nel pagamento dei contributi e premi dovuti per i periodi successivi alla presentazione della proposta di accordo, seppur essenziale ai fini della continuità dell'attività di impresa e di ogni possibile salvaguardia dei livelli occupazionali, se possono consentire la realizzazione della transazione contributiva, ove inserita nell'ambito del concordato preventivo con cessione dei beni oppure di risanamento, diretto ovvero indiretto, escluderanno il ricorso ad essa quante volte l'impresa intenda operarne la previsione nell'ambito di un accordo di ristrutturazione del debito.

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