La sospensione dell’obbligo di ripianamento delle perdite nel concordato con continuità aziendale

06 Dicembre 2013

La recente previsione nel diritto fallimentare di una norma specifica in tema di perdita del capitale ha consentito di superare gran parte dei dubbi relativi all'applicabilità della disciplina civilistica alle società intenzionate ad accedere agli strumenti di soluzione degli stati di insolvenza dell'impresa, ma caratterizzate da un patrimonio netto negativo. In specie, con l'art. 182-sexies l. fall. il Legislatore ha stabilito che dalla data della presentazione della domanda – sia essa di ammissione al concordato preventivo oppure di omologazione dell'accordo di ristrutturazione o di inibitoria connessa a preaccordo ai sensi del sesto comma dell'art. 182-bis l. fall. – e sino alla omologazione non si applicano le norme stabilite dal codice civile in materia di perdite superiori al terzo del capitale sociale e non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale ex artt. 2484, n. 4 e 2545-duodecies c.c.
Premessa

La recente previsione nel diritto fallimentare di una norma specifica in tema di perdita del capitale ha consentito di superare gran parte dei dubbi relativi all'applicabilità della disciplina civilistica alle società intenzionate ad accedere agli strumenti di soluzione degli stati di insolvenza dell'impresa, ma caratterizzate da un patrimonio netto negativo. In specie, con l'art. 182-sexies l. fall. il Legislatore ha stabilito che dalla data della presentazione della domanda – sia essa di ammissione al concordato preventivo oppure di omologazione dell'accordo di ristrutturazione o di inibitoria connessa a preaccordo ai sensi del sesto comma dell'art. 182-bis l. fall

. – e sino alla omologazione non si applicano le norme stabilite dal codice civile in materia di perdite superiori al terzo del capitale sociale e non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale ex artt. 2484, n. 4 e 2545-duodecies c.c.

Pur ammesso che la disposizione in questione abbia fornito delle precisazioni alquanto rilevanti, resta, tuttavia, ancora da appurare se, superando il dato meramente letterale, nell'ipotesi di concordato preventivo con continuità aziendale la sospensione degli obblighi previsti dalla normativa civilistica possa permanere anche in un momento successivo all'omologazione ovvero durante la fase dell'esecuzione del medesimo.

Tale quesito scaturisce dalle peculiarità che caratterizzano la fattispecie citata, la quale prevede che il soddisfacimento dei creditori non si realizzi completamente a seguito della semplice liquidazione degli assets – come nell'ipotesi del concordato liquidatorio –, bensì avvenga in modo graduale, conformemente agli utili che si realizzeranno dalla “continuazione dell'attività” – secondo il piano depositato – in capo allo stesso imprenditore o a terzi per un periodo stabilito e, in ogni caso, posteriore all'omologazione stessa. A ciò deve aggiungersi che nella fase post-omologa della procedura concordataria con continuità aziendale l'imprenditore potrà nuovamente compiere qualsiasi atto, anche di straordinaria amministrazione, senza necessità di ottenere l'autorizzazione di cui all'

art. 167, comma 2, l. fall

. (Ambrosini, Profili giuridici della crisi d'impresa alla luce della riforma del 2012, in Il concordato con continuità aziendale, 121; M. Arato, Il concordato con continuità aziendale, in ilFallimentarista.it).

Applicabilità della normativa civilistica: orientamenti precedenti all'introduzione dell'art. 182-sexiesl. fall.

Al fine di comprendere la portata della norma introdotta dal Legislatore ed i motivi per cui rilevi la questione sopra indicata, è opportuno analizzare innanzitutto quali fossero gli orientamenti venutisi a formare nel periodo precedente alla previsione dell'art. 182-sexies l. fall., data l'assenza di una specifica normativa. Al riguardo, va notato come generalmente le società in crisi che ricorrono alla procedura di concordato con continuità aziendale siano caratterizzate da una situazione patrimoniale negativa. La presenza di perdite ingenti – superiori ad un terzo del capitale sociale e, nella maggioranza dei casi, tali da ridurre lo stesso al di sotto del minimo legale – ha sempre fatto sorgere, quindi, il problema di stabilire se operassero ugualmente le disposizioni civilistiche in materia di ricapitalizzazione e di scioglimento oppure fosse possibile derogarvi o, quanto meno, sospenderne gli effetti. In particolare, le norme in questione sono gli artt. 2446 e 2447 c.c. per le società per azioni, gli artt. 2482-bis e 2482-ter c.c. per le società a responsabilità limitata ed altresì l'art. 2484, comma 1, n. 4, c.c. per entrambe le tipologie di società.

Antecedentemente all'introduzione dell'art. 182-sexies l. fall., si riscontravano, pertanto, due principali indirizzi sull'applicabilità alle società in concordato preventivo delle norme civilistiche in tema di copertura perdite e ricapitalizzazione.

In particolare, una dottrina minoritaria riteneva che gli obblighi nascenti dalla disciplina del codice civile non fossero sospesi durante la procedura concordataria e, pertanto, la società fosse tenuta a ridurre il proprio capitale ed eventualmente a reintegrarlo qualora si fossero verificati i relativi presupposti.

Di diverso avviso era un altro orientamento (Nobili, Spolidoro, La riduzione di capitale, in Trattato delle società per azioni, Torino, 1993, 328 e ss.; B. Quatraro, d'amora, israel, G. Quatraro, Trattato teorico-pratico delle operazioni su capitale, Milano, 2001, 788-789; A. Nigro, La società per azioni nelle procedure concorsuali, in Trattato delle società per azioni, Torino, 1993, 337), peraltro prevalente, secondo il quale dalla presentazione della domanda di concordato venivano sospesi gli obblighi stabiliti dalla normativa civilistica nonché la conseguente causa di scioglimento; essi sarebbero stati nuovamente applicabili all'esito della procedura e solamente qualora ne fossero sussistite le condizioni, posto che la situazione patrimoniale della società era destinata a mutare in modo significativo a seguito dell'omologazione del concordato. A supporto di tale indirizzo, veniva sostenuto che:

  1. pur in presenza della prosecuzione dell'esercizio dell'impresa, “la tutela dei creditori è assicurata non più dal capitale sociale, ma dai controlli che l'autorità giudiziaria ed il commissario esercitano sull'attività della s.p.a. e dalle norme della legge fallimentare in tema di pagamento dei creditori” (Nobili, Spolidoro, op. cit., 329);
  2. con la domanda di ammissione al concordato preventivo, diventano inesigibili i crediti aventi titolo o causa anteriore alla stessa. Tale inesigibilità “non vale certo ad escludere la sussistenza delle perdite (che, al contrario, risultano evidenziate dalla anticipata scadenza dei crediti), ma ne sospende in certo senso gli effetti, in attesa della decurtazione del passivo, che in prospettiva è destinata a modificare sensibilmente la situazione patrimoniale della società” (A. Maisano, op. cit., 69);
  3. all'atto dell'omologa la società procede alla redazione di una nuova situazione patrimoniale nella quale si devono considerare gli effetti derivanti dalla riduzione dei debiti alla percentuale stabilita nel piano. Tale falcidia determina una diminuzione del passivo e l'emersione di una sopravvenienza attiva, la quale può riportare il patrimonio al di sopra del minimo legale.

Da ultimo, va sottolineato come sia stato messo in evidenza un altro elemento rilevante ai fini della sospensione delle norme civilistiche ovvero se la loro eventuale applicazione avesse potuto far sorgere dei conflitti con gli obiettivi della procedura di concordato preventivo. In merito, è stato osservato che “se la disciplina di cui agli artt. 2487 e 2482-ter c.c. non avesse operato come condizione sospensiva della causa di scioglimento della società (e della piena applicazione delle norme in materia di mantenimento del patrimonio netto minimo), essa sarebbe difficilmente risultata compatibile con la disciplina dell'art. 160 l. fall. nella parte in cui quest'ultima disposizione normativa, da una parte, consente alle società di presentare una proposta di concordato preventivo con ristrutturazione dei debiti, mantenendo la continuità aziendale, e, dall'altra, non prevede alcuna distinzione fra società che hanno un capitale minimo e società che hanno perduto tale capitale minimo” (T. Ariani, Disciplina di riduzione del capitale per perdite in caso di presentazione di domanda di concordato preventivo, in Fall. 2013, 115; S. Tersilla, La tesi della sospensione degli obblighi e ricapitalizzazione in pendenza del concordato di ristrutturazione, in materiali del ‘‘Corso di perfezionamento ‘‘il nuovo diritto fallimentare''). Sul punto è stato rilevato che se non fosse stata prevista la disapplicazione delle disposizioni in parola ai casi di concordato preventivo, soprattutto in regime di continuità d'impresa, le sorti della procedura sarebbero dipese quasi esclusivamente da elementi estranei alla stessa ovvero, a titolo di esempio, dalla presenza di un patrimonio netto negativo (T. Ariani, ibidem).

I suddetti argomenti – in un periodo antecedente all'introduzione dell'art. 182-sexies l. fall. – sono stati fatti propri più volte dalla giurisprudenza di merito. Di particolare interesse è senza dubbio una pronuncia del Tribunale di Ancona del 12 aprile 2012, sentenza con cui si è affermato che “in tema di concordato preventivo, la presentazione della domanda di concordato comporta il differimento dell'obbligo di intervenire sul capitale sociale e determina la necessità di verifica della permanenza della causa di scioglimento solo all'esito della procedura di concordato”.

In particolare, nella sentenza citata è stato sottolineato come le funzioni svolte dalle norme civilistiche in parola e gli interessi che le stesse tutelano siano realizzate dalla proposta di concordato preventivo: questo tanto nei confronti dei soci, i quali parteciperanno agli eventuali benefici che il concordato produrrà sul patrimonio della società e saranno tempestivamente informati, quanto con riguardo ai creditori sociali, il cui interesse è garantito dal regime di controllo degli organi della procedura.

 Applicabilità della normativa civilistica:art. 182-sexies l. fall.

Il Legislatore ha inteso risolvere queste situazioni di incertezza mediante l'introduzione dell'art. 182-sexies l. fall., aderendo, in specie, all'interpretazione ed all'orientamento prevalente diffusisi in dottrina sino a quel momento.

Dalla lettura della citata disposizione si evince che, a decorrere dalla data di deposito della domanda di concordato preventivo, la società non è tenuta ad assolvere quanto stabilito dalla disciplina civilistica in merito alla copertura delle perdite ed alla ricapitalizzazione. L'unico obbligo che continua a permanere in capo agli amministratori consiste nella convocazione dell'assemblea per la presentazione di una situazione patrimoniale aggiornata e l'adozione degli opportuni provvedimenti.

Oltre alla sospensione dei predetti adempimenti, la norma in esame prevede altresì che, a partire dalla medesima data, non operi la correlata causa di scioglimento della società. In particolare, il riferimento è all'art. 2484, comma 1, n. 4, c.c. secondo il quale le società di capitali si sciolgono “per la riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, salvo quanto è disposto dagli articoli 2447 e 2482-ter” (Cfr. T. Ariani, ibidem).

Relativamente all'arco temporale in cui si esplicano gli effetti della norma, la stessa precisa che la sospensione degli adempimenti civilistici permane sino all'omologazione del concordato – da intendersi anche come rigetto della domanda, qualora non venga accolta dal tribunale (T. Ariani, op. cit., 118) – e, quindi, termina nella fase che precede l'esecuzione.

Riflessioni sull'art. 182-sexies l. fall.

Quanto esposto nei paragrafi precedenti evidenzia che con l'introduzione dell'art. 182-sexies l. fall. il Legislatore ha inteso agevolare il ricorso alla procedura del concordato con continuità aziendale. Inoltre, sempre dagli argomenti sviluppati, è emerso come la norma in esame recepisca “un orientamento interpretativo diffuso in tema di concordato”, come peraltro sottolineato anche dalla relazione illustrativa al decreto d.l. 83/2013, citato.

Ciò premesso, se si dovesse interpretare letteralmente la predetta disposizione ed in modo restrittivo, risulterebbe che la sospensione degli obblighi civilistici previsti in materia di copertura delle perdite e di ricapitalizzazione permarrebbe soltanto sino alla data di omologazione della domanda di concordato; gli effetti delle norma si esaurirebbero, pertanto, in un momento antecedente alla fase di esecuzione della procedura ovvero alla fase in cui si realizza il concordato con continuità aziendale. Prima dell'introduzione dell'art. 182-sexies l. fall., in dottrina alcuni condividevano questo arco temporale, altri sostenevano invece, più opportunamente, che la sospensione dovesse avere una durata maggiore, poiché “non l'omologazione, ma l'esecuzione del concordato e cioè il pagamento dei creditori concordatari, è la vicenda che fa venir meno ex post la causa di scioglimento della società” (B. Quatraro, D'Amora, Israel, G. Quatraro, cit., 789).

In proposito vale la pena di osservare che se, come riconosciuto dalla stessa relazione illustrativa al decreto, la disposizione riveste carattere meramente interpretativo, in quanto idonea ad accogliere un principio normativo già presente nel sistema, si dovrebbe ritenere che la sospensione degli obblighi civilistici e della causa di scioglimento non dovrebbe limitarsi alla data dell'omologazione del concordato, bensì protrarsi per tutta la fase di esecuzione del medesimo.

In tal senso, infatti, le motivazioni, che avevano portato la prevalente dottrina a sostenere l'incompatibilità della normativa civilistica in commento con il regime del concordato preventivo, valgono quasi interamente anche per la fase che si estende dall'omologa all'esecuzione del concordato. Ed infatti – per riprendere le considerazioni prima commentate – la sospensione della esigibilità dei crediti, la presenza degli organi che vigilano sulla procedura e la partecipazione dei soci ai benefici del concordato sono elementi che permangono sino alla fase di esecuzione. L'unica motivazione, quindi, che si realizza contestualmente (e grazie) all'omologa è il positivo impatto patrimoniale derivante dalle “sopravvenienze concordatarie”, anche se non pare che detto elemento sia l'aspetto di maggior rilievo che pure in passato portava a ritenere inapplicabile la disciplina civilistica di tutela del patrimonio alle imprese in concordato.

Ma ciò che è più rilevante per la corretta interpretazione della norma in commento deriva proprio dalla funzione e dalle caratteristiche del concordato in continuità: l'essenza di tale procedura, infatti, consiste nella migliore soddisfazione dei creditori generata dalla continuazione dell'attività aziendale.

L'art. 186-bis, l. fall. impone, quindi, che il piano concordatario debba contenere un'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano di concordato, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura (sostanzialmente un piano industriale), prevedendo che la relazione del professionista di cui all'articolo 161, comma 3, l. fall

. attesti che la prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano di concordato sia funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori.

Il maggior patrimonio “creato” per effetto della gestione aziendale a favore dei creditori rappresenta, pertanto, l'elemento caratterizzante la procedura de quo.

Tale “nuova ricchezza” si realizza in virtù della continuità d'impresa, oggetto di puntuale esplicitazione nel piano (che dovrà evidenziare i risultati positivi della gestione). In altri termini, l'essenza stessa del concordato con continuità prevede che venga conservata un'azienda (o singoli rami di essa) idonea a creare maggiori flussi economici e finanziari che genereranno un surplus di cui potranno beneficiare i creditori.

In ciò consiste la differenza rispetto ai piani liquidatori: in questi è prevista la semplice dismissione degli attivi aziendali che porterà a realizzare un determinato patrimonio disponibile per la procedura. Pertanto, nel concordato liquidatorio il puro realizzo degli assets e delle sopravvenienze concordatarie dovrebbe creare una situazione di equilibrio tra attivo realizzato e passivo concordatario tale da eliminare il deficit patrimoniale.

Nelle ipotesi di continuità, all'opposto, i positivi risultati della gestione concorreranno a creare un ulteriore patrimonio e dovranno essere idonei, alla fine del periodo previsto nel piano, a generare le risorse disponibili per i pagamenti dei creditori concorsuali ed a riportare l'impresa in ordinarie condizioni di equilibrio economico patrimoniale.

In definitiva, quindi, nei concordati in continuità la permanenza di una situazione di deficit patrimoniale successiva al decreto di omologa – sostanzialmente di ammontare corrispondente agli utili previsti nel piano industriale per il periodo intercorrente tra l'omologa e l'esecuzione – costituisce “la regola”, ovvero una situazione di assoluta normalità, ed imporre il ripianamento di tale deficit significherebbe snaturare la sostanza stessa di tale concordato, con la conseguenza, probabile, che il piano concordatario non dovrebbe attendere il realizzarsi della gestione in continuità, ma il semplice ripianamento del deficit (e l'eventuale realizzo dei beni non funzionali alla continuità). Ma questo effetto (oltre a non essere spesso sostenibile dai soci dell'impresa in crisi) concretizzerebbe il superamento stesso del progetto di continuità: in detto caso perderebbe di utilità il piano industriale, in quanto gli utili previsti – effettivamente idonei a generare il risultato migliorativo per i creditori – non avrebbero alcun significato ai fini del concordato, dovendo poi essere sostituiti dai versamenti per il ripristino patrimoniale. In definitiva tale interpretazione dell'art. 182-sexies

l. fall. risulterebbe sostanzialmente contraria all'impianto normativo che negli artt. 160 e 186-bis l. fall. prevede una forma di concordato con continuità strutturata secondo un piano industriale e lo sviluppo di un progetto d'impresa idoneo a creare il nuovo patrimonio da attribuire ai creditori concorsuali.

Conclusioni

Quanto sopra illustrato porta a concludere che sia funzionale proprio al concordato con continuità aziendale la sospensione degli obblighi di copertura delle perdite e di ricapitalizzazione stabiliti dalla disciplina civilistica; pare, infatti, che non vi fosse una particolare necessità di evitare tali norme per le procedure liquidatorie.

Tuttavia, una lettura restrittiva dell'art. 182-sexies l. fall

. risulterebbe – per contro – conforme alle esigenze di quest'ultima tipologia di concordato, caratterizzata dal fatto che il conseguimento delle sopravvenienze ed il semplice realizzo dei cespiti dovrebbero consentire alla società di ottenere una situazione, se non positiva, quanto meno non in deficit; analoga considerazione non è invece possibile – come osservato – nell'ipotesi del concordato con continuità aziendale. Anzi, è in tale circostanza che si ravvisa il vero bisogno di evitare la delibera di messa in liquidazione, giacché ciò avrebbe delle conseguenze negative, anche in termini di immagine verso i terzi (si pensi, a titolo di esemplificativo, ai fornitori situati in giurisdizioni non italiane che non comprenderebbero).

In questo senso appaiono quanto mai opportune le indicazioni della già citata pronuncia del Tribunale di Ancona (del 12 aprile 2012), secondo le quali il piano concordatario dovrà fornire “adeguata e motivata garanzia di ripianamento delle perdite” e, solo ove lo stesso abbia previsto espressamente la delibera di ripianamento, questa dovrà essere eseguita; di conseguenza, ove il piano disponga che il ripianamento delle perdite sia l'effetto della positiva gestione aziendale, sarà compito degli interlocutori della procedura attestare il piano medesimo, valutarlo in sede di ammissione e di omologa, votarlo se ritenuto vantaggioso ed infine sorvegliarne l'esecuzione, ma certamente risulterebbe ultroneo ed inutile imporre il ripianamento.

Peraltro, dato che, come sottolineato, dal punto di vista sostanziale la norma sostiene il concordato con continuità aziendale, non sarebbe affatto appagante limitare all'atto dell'omologa l'agevolazione introdotta; significherebbe, infatti, contraddire la ratio della medesima e, di fatto, rendere non realizzabile un piano di continuità che proprio sui flussi futuri basa il vantaggio per i creditori ed il senso stesso di tale procedura.

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