La transazione fiscale e contributiva: i limiti applicativi e l'inadeguatezza delle circolari

03 Luglio 2015

L'istituto della transazione fiscale introdotto dal D.lgs. 5/2006 e disciplinato dall'art. 182-terl. fall., ha finora trovato scarsa applicazione, causa anche una resistenza da parte di Agenzia delle Entrate, INPS e INAIL.L'Autore indaga sui limiti all'applicabilità di tale istituto ed esamina le prassi intervenute allo scopo di proporre alcune modifiche utili.
La normativa di riferimento e la titubanza dei decisori

La transazione fiscale e contributiva, prevista dall'

art. 182-

ter

della legge fallimentare

, è uno strumento interessante, ma maltrattato nella prassi. E dire che era nato per incrementare la portata collaborativa dello Stato, quasi a dimostrazione della sua lungimiranza nel contribuire concretamente al rilancio della crescita attraverso un suo intelligente sacrificio (da ritenersi non propriamente disinteressato, attesi i flop registrati in termini di riscossione a seguito delle "alternative" dichiarazioni di fallimento), offrendo una ulteriore chance agli imprenditori "sfortunati" che lo meritassero. Ciò in linea con le leggi via via introdotte a tutela del patrimonio familiare dei cittadini oppressi dal fisco e dai creditori a tal punto da meritare una eccezionale tutela "difensiva" in tal senso.

In un periodo nel quale l'eccessiva libertà gestoria concessa alla pubblica amministrazione, responsabile di una crescita esponenziale del debito pubblico, ha fatto tanti morti tra le imprese, spesso impedite nel riscuotere puntualmente i loro crediti, si diventa severi, tanto da rendere quasi impossibile l'accesso ad ogni possibile lecita facilitazione economica volta a salvaguardare quanto più possibile l'integrità del sistema imprenditoriale del Paese. Una linea "integerrima" che fa male a quel segmento del sistema produttivo che ripone concrete speranze di riemergere da una crisi aziendale reversibile, a condizione che gli venga garantita una qualche facilitazione nell'assolvere all'estinzione della debitoria fiscale e contributiva formatasi spesso a causa dell'aridità finanziaria vissuta a fronte degli abituali ritardi di riscossione dei suoi crediti, soprattutto vantati nei confronti della pubblica amministrazione. Impedirgli un tale percorso significa rendere impossibile la riemersione dalle condizioni di pre-decozione nelle quali numerose imprese sono precipitate a causa di errori imprenditoriali, di circostanze avverse, ma anche di una serie di accaduti, prodotti direttamente e/o indirettamente dalla inadeguatezza della governance del sistema pubblico.

Il problema esiste e lo conoscono benissimo, per averlo pagato sulla loro pelle, le tante imprese fallite e/o in procinto di esserlo. Proprio per questo motivo occorre ben comprendere il perché della pubblica amministrazione tributaria e previdenziale/assicurativa a rendersi restia, a prescindere, a condividere le istanze transattive degli imprenditori, costretti a frequentare ipotesi di concordato preventivo (

art. 160 e seguenti l. fall

.) ovvero di ristrutturazione dei debiti (

art. 182-

bis

l. fall

.) al fine di salvaguardare la continuità delle loro aziende.

Tra le altre ipotesi, emerge il sospetto del temuto pericolo avvertito dai decisori delle Agenzie delle Entrate provinciali e degli enti previdenziali/assicurativi di essere chiamati a responsabilità contabile da parte della Corte dei conti. Una spada di Damocle che viene supposta, spesso ingiustificatamente, dalla filiera amministrativa chiamata a decidere al riguardo. Ciò in quanto, nella maggior parte delle fattispecie, il danno all'Erario verrebbe realmente a concretizzarsi, ove mai, nel caso contrario, ovverosia nell'ipotesi in cui l'eccesso di tutela è, comunque, di ostacolo al buon esito degli invocati risanamenti straordinari, propedeutici al superamento della situazione di difficoltà aziendali.

Siffatti mancati accoglimenti risultano sensibilmente negativi non solo per i richiedenti, dal momento che generano, nella contemporaneità, la verosimile espulsione dell'iniziativa produttiva, di cui è protagonista l'impresa istante, dal sistema economico nazionale tutelato dalla Costituzione, e l'ingente e reiterato accumulo di debiti erariali, così come di quelli contributivi, che ordinariamente si accompagnano nelle anzidette situazioni di crisi finanziaria imprenditoriale, solitamente generatrici di dichiarazioni di fallimento, con al seguito patrimoni intraducibili in disponibilità di danaro funzionali a soddisfare le pretese fiscali e previdenziali/assicurative.

Una tale considerazione - che corrisponde alle realtà ovunque vissute ove fa più rumore la grande impresa in difficoltà delle migliaia che potrebbero essere salvate da una politica più accorta, a salvaguardia di una occupazione che, tutto sommato, conta maggiori unità a rischio - consiglierebbe una significativa revisione della prassi fin qui formatasi. Ci si augurava, pertanto, da tempo che si potesse pervenire ad un atteggiamento dell'Agenzia delle Entrate & C. che fosse più conforme alle aspettative legittimamente nutrite da parte degli imprenditori in crisi, ma intellettualmente onesti, nel riproporsi nel mercato in condizioni di rinnovata efficienza, sì da giustificare gli invocati sacrifici pubblici e del ceto chirografario, nello spirito che originariamente accompagnò l'introduzione nell'ordinamento delle procedure concorsuali preventive. Non solo, ci si attendeva che l'esercizio dell'ampia discrezionalità spettante all'Agenzia delle Entrate (così come all'Inps e all'Inail) si sarebbe potuta caratterizzare attraverso l'estrinsecazione di una preventiva analisi tecnica nella quale poter bilanciare correttamente l'interesse pubblico del mantenimento in vita del presidio produttivo a rischio e del non progressivo accumulo di crediti erariali inesigibili. Un assunto certamente condivisibile da parte del Magistrato contabile, sempre sensibile - nell'esercitare i suoi controlli sull'andamento della pubblica amministrazione e sui rilievi delle relative responsabilità erariali - alla tutela delle ragioni produttive, tipiche dell'impresa, che assicurano l'unità economica della Repubblica attraverso la formazione degli imponibili, fonti di prelievo fiscale e di occasioni occupazionali, a rischio di verosimile estinzione ad esito di procedure fallimentari.

L'iniziativa dell'Agenzia delle Entrate

La recente

circolare n. 19/E/2015 dell'Agenzia delle Entrate

sulla "transazione fiscale e la composizione della crisi da sovraindebitamento" sembra avere messo i decisori pubblici sulla giusta strada. Restituisce all'istituto, introdotto con l'

art. 182-

ter

della l. fall

., la sua corretta strumentalità, tanto da far nutrire legittime aspettative di sopravvivenza alle imprese in crisi, interessate a frequentarlo per risolvere i loro problemi esistenziali (Jorio E., Maglie sempre più strette per la "chance" della transazione fiscale, in QuotidianodelFisco de IlSole24Ore del 4 aprile 2015).

Per intanto, la circolare n. 19/2015 corregge le indicazioni restrittive recate dalla precedente omologa circolare n. 40/E/2008, dalla risoluzione n. 3/2009 e dalla successiva circolare n. 14/E dello stesso anno, che tanti danni - diretti e indotti, a seconda che siano ricaduti o meno sulla formazione del giudizio del concordato proposto nel suo insieme valoriale - hanno creato al sistema produttivo, così come al credito tributario, anch'esso leso da tanti fallimenti di imprese francamente evitabili con mancate riscossioni al seguito. E sì, perché la ratio introduttiva della transazione fiscale nella

l

egge fallimentare

, ad opera dell'

art. 146,

d.lgs.

5

/2006

, si basava sulla necessità di agevolare all'impresa in crisi reversibile il superamento dello stato di difficoltà finanziaria imponendo sacrifici equi e pressoché ugualitari spalmati su tutto il panorama creditorio. Sacrifici resi ordinariamente diseguali, perché differenziati nei trattamenti sulla base del grado dei privilegi goduti dal ceto creditorio a mente del codice civile, fatta eccezione per le ragioni di credito tributario afferenti all'Iva e alla ritenute operate e non versate, da soddisfare nella loro totalità e, dunque, da pagare per intero, attese le protezioni comunitarie che - nel riconoscere l'IVA come una risorsa propria dell'UE - ne escludono ogni falcidia, per come costantemente sancito dalla Cassazione (

Cass. nn. 9541/2014

,

7767/2012

, 22931 e

22932/2011

) e dalla Corte Costituzionale, da ultimo, con la sentenza n. 225/2014 (Stella Monfredini P., Transazione non obbligatoria per il concordato preventivo, in IlSole24Ore, 7 maggio 2015).

Le legittime aspettative

La novellata prassi - sintomo di un cambiamento positivo che si presumeva a seguito della designazione dei massimi esponenti decisori dell'Agenzia delle Entrate e dell'Equitalia - renderà finalmente possibile ciò che era nelle intenzioni del legislatore. Consentirà, a mente dell'anzidetta sentenza della Consulta n. 225/2014, la disponibilità e la rinunciabilità della pretesa tributaria e, quindi, la deroga al principio generale che ha fino ad oggi impedito al debitore "il pagamento parziale ovvero dilazionato dei tributi e contributi e dei relativi accessori". Nel concreto, la corretta applicazione della richiamata

circolare dell'I

nps

n. 19/2015

eviterà che - sia nell'ipotesi di accordo di ristrutturazione dei debiti (

art. 182-

bis

l. fall

.) che di concordato preventivo (

art. 160 e ss. l. fall

.) - l'aggravio derivante dalla solita mancata adesione dei soggetti pubblici interessati alla istanza di transazione fiscale e contributiva (Agenzia delle Entrate, Inps, Inail, Equitalia S.p.A. e casse di previdenza) si trasformi in un ulteriore ed eccessivo gap anche per i creditori in chirografo più deboli. Questi ultimi costretti, dalle circostanze avverse determinate spesso dal non decidere favorevolmente a prescindere, ad incassare pressoché nulla o quasi dalle procedure concorsuali preventive. Ciò in quanto resi indirettamente sostanzialmente "coobbligati", in una al debitore concordatario, a sopportare con i loro sacrifici il costo totale delle imposte - oltre quella dell'IVA comunitariamente protetta e quelle relative alle ritenute operate e non versate all'Erario -, delle tasse e dei contributi previdenziali e assicurativi obbligatori, attraverso una radicale falcidia dei loro crediti di fornitura di beni e servizi, spesso di proporzioni tali da risultare vicine a percentuali quasi impercettibili.

Insomma, la migliore lettura dell'istituto, recentemente effettuata dagli attuali massimi preposti all'Erario, eviterà - in soldoni - che i creditori non privilegiati si rendano di fatto, nel loro insieme, pagatori dell'Erario & C. per la totalità delle imposte, diverse dall'IVA e dalle anzidette ritenute, ma anche per sanzioni, interessi e accessori. Una soluzione evolutiva che favorirà, altresì, la crescita del mercato concorrenziale e del Pil relativo e, soprattutto, impedirà un effetto negativo a cascata, cosiddetto domino, sulle imprese creditrici in chirografo, con la loro conseguenziale esclusione dall'altrimenti verosimile pericolo di una loro espulsione a catena dal sistema produttivo, diversamente inevitabile, considerata la naturale e sempre di più progressiva frequenza dei ricorsi alle procedure concorsuali da parte dei loro stessi debitori (Brighenti F., Piano attestato: i modesti benefici frenano la rinegoziazione dei creditori, in Norme&TRibuti Mese, n. 3, 2015).

D'altronde, per altro verso, intendendo per tale le difficoltà che riguardano l'impresa ricorrente che opera e tenta di riprendersi in un così difficile periodo com'è quello l'attuale, la sensibile riduzione delle sanzioni e l'attenuazione degli interessi moratori, in una alla dilazione dei pagamenti del "capitale" fiscale, costituiscono i veri strumenti per contribuire favorevolmente al successo dell'invocata procedura concorsuale, garante della sua permanenza nel sistema che vede tantissime imprese appena arrancare nel tessuto economico produttivo nazionale.

A fronte di tutto questo, c'è un però sulla strada affinché una siffatta aspettativa possa diventare una realtà positivamente goduta:

a) dalle imprese in difficoltà, interessate ad assicurarsi la loro continuità aziendale;

b) dai creditori erariali e contributivi in privilegio, doverosamente impegnati per la migliore riscossione traguardabile;

c) dal restante ceto creditorio chirografario, sempre di più falcidiato nelle sue pretese, tanto da registrare consistenti appesantimenti dei propri bilanci a causa delle conseguenziali insussistenze dell'attivo. Esso riguarda, nello specifico, le (quasi) insuperabili difficoltà che pervengono e perverranno dalle transazioni contributive, anch'esse previste nell'

art. 182-

ter

l. fall

., meglio dalla loro (quasi) frequentabilità e, dunque, dal loro buon esito. Un risultato sino ad oggi reso impossibile a causa della prassi consolidatasi negli strumenti "interpretativi" e di indirizzo promanati dagli enti interessati, l'Inps e l'Inail, che - con una immotivata insensibilità verso la problematica relativa - hanno chiuso ogni spiraglio alla frequentazione dell'istituto, evitando di contribuire ad ogni utile risanamento aziendale e, di guisa, al sistema economico nazionale.

Una inadeguatezza da correggere

In proposito, è successo e continua a succedere anche di peggio, nonostante siano trascorsi circa tre anni dall'introduzione della disciplina relativa, intervenuta con il

decreto legge 22 giugno 2012 n. 83

, convertito nella

legge 7 agosto 2012 n. 134

.

Nell'ambito dei loro "ordini" gerarchici e, quindi, delle indicazioni comportamentali, promanati attraverso apposite circolari, destinate ai loro rispettivi decisori periferici, hanno omesso di affrontare - così come invero ha trascurato di fare recentemente anche l'Agenzia delle Entrate - la problematica afferente al concordato in continuità, perseverando nel non fare distinzione alcuna - nel prescrivere gli adempimenti posti a carico dei richiedenti - tra gli step procedurali specifici di quest'ultimo e quelli riguardanti il concordato preventivo tradizionale, cui le medesime circolari hanno fatto esclusivo riferimento. Una tale opzione di carattere segnatamente limitativo, effettuata da tutti i soggetti pubblici interessati e coinvolti nella problematica e nel perseguimento del migliore risultato per le loro rispettive casse, ha determinato una condizione di ulteriore disagio applicativo della transazione fiscale/contributiva. Una scelta che ha prodotto un ostacolo procedurale, forse a causa di una sottovalutazione della introdotta facoltà delle imprese in crisi di intraprendere il concordato preventivo in continuità, ovvero dall'intempestività ad aggiornare i propri comportamenti burocratici con la novellata relativa disciplina del concordato con riserva (ma anche degli accordi di ristrutturazione dei debiti) che differisce ad una fase successiva ciò che, invece, costituisce elemento essenziale e preordinato per ricorrere al concordato di tipo tradizionale. Tutto questo perché la prassi consolidatasi ha unicamente rimesso la frequenza alla procedura transattiva al contestuale perfezionamento dell'istanza relativa in una al deposito del ricorso al Giudice competente ad esprimersi con contestuale esibizione della documentazione tecnica e propositiva. Una condizione, questa, non ravvisabile nell'ipotesi di concordato cosiddetto in bianco, atteso che essa si realizzerebbe nella fase successiva ovverosia nel momento in cui la procedura verrebbe a completarsi con il deposito della proposta concordataria definitiva, in una al piano e alla documentazione di sostegno, da perfezionarsi nei termini fissati nel decreto "di ammissione" alla procedura. Una prescrizione amministrativa che potrebbe far venir meno, così come ovunque accaduto, l'utilità dello strumento che il legislatore ha offerto all'impresa in crisi reversibile, attraverso l'introduzione dell'anzidetta neo-tipologia concordataria, di non essere espulsa dal suo mercato caratteristico, con indubbio vantaggio per tutti i soggetti coinvolti e per le risorse umane ivi occupate.

Così facendo, la prassi formatasi a cura delle Entrate, dell'Inps e dell'Inail - escludendo peraltro la naturale utilità del ricorso alla transazione fiscale e contributiva come occasione favorevole per conoscere anticipatamente il migliore onere concordatario - ha favorito il generarsi di una netta contraddizione nella formazione della procedura, che ha inciso e continua ad incidere negativamente nei processi funzionali a tradurre, nel concreto, la ratio legislativa nel più favorevole vissuto delle imprese destinatarie della rispettiva norma. Ciò in quanto - essendo la transazione fiscale finalizzata a rendere più verosimilmente percorribile all'imprenditore in crisi l'invocata ipotesi concorsuale preventiva e, nel contempo, più conveniente per il ceto creditorio in chirografo, il tutto con il contributo sacrificale del ceto privilegiato portatore di crediti erariali e contributivi - non si comprende come il ricorso ad essa, anziché essere formalizzato al suo esordio, possa essere trattato e, quindi, esclusivamente proposto dall'interessato nella contestualità degli ultimi step procedurali (proposta definitiva e piano), propedeutici alla valutazione estimativa dei creditori, eventualmente abilitativa del prosieguo. Un rilievo che ci sta tutto, dal momento che il mancato perfezionamento del consenso dei decisori fiscali e contributivi interessati - così come consolidato ovunque, fatte salve rarissime ipotesi - comporta la non attualità delle percentuali offerte nelle proposta e rappresentate nel piano concordatario relativo. Un evento negativo che pregiudica definitivamente l'esito della procedura finalizzata alla continuità dell'esercizio dell'impresa con grave pregiudizio per tutto il ceto creditorio, solitamente meno soddisfatto dai risultati del fallimento nelle rispettive pretese, ivi comprese quelle erariali e quelle previdenziali e assicurative.

La resistenza dell'Inps e dell'Inail

Quanto alle pretese previdenziali e assicurative obbligatorie, risultano fortemente pregiudizievoli, sia per gli imprenditori instanti che per gli enti pubblici emittenti, gli "ordini" impartiti dai rispettivi decisori centrali al loro ordinamento interno che, di fatto, impediscono ogni genere di perfezionamento di transazione relativamente ai contributi dai medesimi amministrati per ragioni di previdenza e assistenza obbligatorie. Un percorso reso quasi impossibile dall'applicazione pedissequa delle circolari dell'Inps nn. 15 e 38 del 2010, emesse rispettivamente dalla "direzione generale" e dalla quella "centrale dell'entrate", e dell'Inail n. 8/2010, tutte applicative del decreto interministeriale (Lavoro, Salute e Politiche sociali) del 4 agosto 2009 (Cannioto A., Maccarone G., Lo stato di insolvenza "taglia" i contributi all'Inps e anche Nella transazione anche i premi cartolarizzati, IlSole24Ore, 5 febbraio 2014), che hanno consolidato le altrimenti inevitabili rigidità burocratiche attuative e, pertanto, determinato i reiterati dissensi di entrambi gli enti nei confronti del perfezionamento delle invocate transazioni. Un limite, quest'ultimo, che ha fatto sì che sino ad oggi le transazioni giunte a buon fine siano state così rare tanto da avere sensibilmente contribuito ad una consistente espulsione di aziende dal mercato, in senso contrario alla costante volontà legislativa che ebbe ad introdurre siffatto istituto, ancorché in periodi differenziati, allo scopo di favorire la loro permanenza nel sistema produttivo. Ciò è avvenuto soprattutto a causa della superficiale previsione, non adeguata alla variazione dei bisogni espressi dalla più attuale platea imprenditoriale vittima delle estenuanti crisi economiche, degli adempimenti posti a carico degli instanti esclusivamente relazionati al concordato tradizionale e non già a quello più frequentato cosiddetto in bianco.

Una differenza della quale tenere conto

Al fine di accelerare il godimento delle garanzie di continuità in favore dell'imprenditore oppresso da una crisi aziendale reversibile, occorrerebbe consentire una più libera frequentazione della transazione, sia erariale che contributiva, così come pare di leggere nell'ultima circolare dell'Agenzia delle Entrate, quantomeno sotto il profilo della ratio motivazionale. Conseguentemente, necessiterebbe - nell'ipotesi dell'oramai frequente ricorso al concordato in continuità - consentire l'accesso alla transazione fiscale e contributiva da subito, ovverosia nella contestualità del deposito del ricorso ex

art. 161, comma 6, l. fall

., e sino allo spirare del termine disposto dal Giudice, che ne sancisce la (pre)ammissibilità e che impone il deposito della proposta concordataria, del relativo piano e della documentazione di rito. Più precisamente, in un termine congruo e indispensabile per rendere più fattiva la precisata presentazione della proposta concordataria, da redigersi al netto dell'esito della intervenuta transazione, unitamente al relativo piano e alla documentazione necessaria. Un modo logico per permettere elaborazioni di proposte concordatarie più consapevoli, sotto il profilo tecnico, e utili per il buon esito della procedura e, dunque, positive sia per il proponente che per tutti i ceti creditori, finanche privilegiati, altrimenti penalizzati - come detto - dalla sottomissione alle procedure fallimentari non affatto garanti delle medesime economie da ripartire in loro favore.

Le modifiche utili

La migliore soluzione passerebbe, dunque, dalla revisione della gradazione dei privilegi da parte del legislatore, con la modifica degli ordini sanciti dall'

art. 2778

c.c.

, e da un più elastico atteggiamento delle alte burocrazie impegnate. Due opzioni entrambe da perfezionarsi in tempi ragionevoli, attesa la loro essenziale propedeuticità nel risolvere i problemi della diffusa piccola impresa in crisi, soprattutto di quelle in pre-decozione, perché spesso finanziariamente stressate a causa di crediti vantati verso il sistema pubblico non facilmente esigibili e, nel contempo, costrette a pagare integralmente i debiti verso l'Erario e il sistema contribuivo obbligatorio.

E' ovvio che se dovesse andare in porto l'approvazione dell'anzidetto Testo Unico dell'insolvenza, il problema potrebbe essere radicalmente e organicamente risolto, tanto da evitare a tutti i protagonisti, instanti ovvero decisori che siano a diverso titolo, di agire abusando delle loro rispettive prerogative e, dunque, di pervenire a soluzioni più coscienti e utili per il sistema produttivo e per le casse pubbliche.

Una tale svolta offrirebbe, peraltro, ai decisori pubblici, titolari dei crediti erariali e contributivi, di riscuotere quanto soventemente reso definitivamente inesigibile attraverso le vendite giudiziarie fallimentari. Un modo per tutelare concretamente la continuità imprenditoriale dei richiedenti ed evitare, nel contempo, di mutilare irresponsabilmente il sistema produttivo, dalla cui integrità dipende la crescita, di importanti presenze imprenditoriali.

In attesa che il legislatore adegui ed espliciti la norma in senso più costruttivo, anche in relazione all'assurdità di considerare assistiti dal privilegio gli aggi maturati dagli agenti della riscossione, e che gli enti decisori prendano atto della obsolescenza e della inadeguatezza di alcuni contenuti delle loro circolari, è utile sottolineare come l'Agenzia delle Entrate abbia intrapreso la strada giusta, salvo aggiustare il tiro in relazione ai tempi e alle modalità di accesso alla transazione fiscale. Quanto agli enti previdenziali/assicurativi, ci si augura che - a cominciare dall'Inps - facciano quantomeno altrettanto e presto.

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