Speciale Decreto “contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015 - Fallimento: le novità di agosto

09 Dicembre 2015

Con un approfondimento che va ad aggiungersi allo Speciale dedicato alla “miniriforma” attuata con il d.l. n. 83/2015, l'Autore analizza alcune delle modifiche che hanno interessato la procedura fallimentare e, in particolare, la nomina del curatore ed il regime di incompatibilità previsto dal legislatore, il nuovo volto del programma di liquidazione, il regime di chiusura delle procedure con cause pendenti e, infine, la semplificazione delle modalità d'acquisizione all'attivo dei beni oggetto di atti a titolo gratuito.
Le modifiche in tema di fallimento

Le modifiche introdotte in tema di fallimento dal

d.l. 27 giugno 2015, n. 83

, convertito con modificazioni con

l. 6 agosto 2015, n. 132

(pubblicata sulla G.U. 20 agosto 2015 n. 192) toccano diversi aspetti della procedura concorsuale, adottando un principio informatore che, per usare uno slogan forse abusato ma efficace, può riassumersi nel “fare presto”. In estrema sintesi le modifiche riguardanti la procedura maggiore toccano i seguenti punti fondamentali:

  1. nomina del curatore (non deve aver concorso a determinare il dissesto e si deve tener conto delle relazioni previste dall'

    art. 33

    l. fall

    .),

  2. velocizzazione dell'attività liquidatoria con un potenziamento del programma di liquidazione di cui all'art. 104-ter,

  3. possibilità di chiusura della procedura con cause pendenti attraverso la revisione dell'

    art. 118

    l. fall

    .,

  4. semplificazione delle modalità di apprensione all'attivo di beni oggetto di atti gratuiti compiuti nel biennio anteriore all'apertura del fallimento (

    art. 64

    l. fall

    .).

Nomina del curatore

Per quanto riguarda la nomina del curatore, l'art. 5 della nuova normativa introduce alcune modifiche all'

art. 28

l. fall

., stabilendo in primis una incompatibilità perpetua e non più soltanto biennale per “chi ha concorso al dissesto dell'impresa”. Si tratta di una modifica che, seguendo l'impostazione declinata nella stessa relazione di accompagnamento, ha lo scopo di rafforzare la terzietà e la indipendenza del curatore. Si è pertanto ritenuto in sede di conversione che non fosse sufficiente l'allungamento a 5 anni della incompatibilità in commento ma occorresse estenderla sine die (con soluzione che appare ragionevole se si pensa che i soggetti che a vario titolo abbiano concorso al dissesto potrebbero essere attinti da un'azione di responsabilità esercitata proprio dal curatore che, in ipotesi di coinvolgimento seppur datato nella determinazione dell'insolvenza, finirebbe per trovarsi in una sorta di conflitto di interessi nell'esercizio rigoroso delle proprie attribuzioni).

Scompare dal testo ufficiale della

legge 132/2015

pubblicata nella G.U. una causa di incompatibilità che era stata prevista in sede di

D.L. 83/2015

e che aveva immediatamente dato luogo a discussioni: quella relativa all'aver svolto funzioni di commissario giudiziale nel procedimento di concordato preventivo antecedente l'apertura della procedura concorsuale maggiore. Se in effetti vi possono essere casi di inopportunità nella nomina quale curatore del medesimo professionista che abbia in precedenza svolto le funzioni di commissario giudiziale, non di meno una incompatibilità assoluta era forse eccessiva. Si può pertanto ritenere che l'attuale eliminazione del divieto di nomina a curatore del precedente C.G. (forse effetto di un errore di trascrizione del testo approvato con quello effettivamente pubblicato in G.U., come ritiene Lamanna, La

legge fallimentare dopo la miniriforma del D.L. n. 83/2015

, collana Il Civilista, Giuffrè, 2015, p. 79) non renda di per sé sempre necessaria una nomina coincidente, pur spesso dettata da ragioni di economicità, ma restituisca al Tribunale l'esigenza di valutare discrezionalmente, ma con attenzione, i motivi favorevoli e contrari alla nomina dello stesso soggetto, prima come commmissario giudiziale poi come curatore, nelle procedure riguardanti la medesima insolvenza. Tuttavia non sembra corretto estendere sic et simpliciter le motivazioni poste a base di

Cass. 18 gennaio 2013, n. 1237

(che attiene ad una presunta incompatibilità fra funzioni di commissario giud. e liquidatore giudiziale) considerato che nel caso di specie si è di fronte al diacronico svolgimento di funzioni diverse da parte del medesimo soggetto, mentre nel caso affrontato dai giudici di legittimità si è di fronte al sincronico assommarsi di funzioni operative e di vigilanza in capo al medesimo professionista. Non sembra perciò che tale ratio potesse in effetti sorreggere il nuovo caso di incompatibilità “scomparso” nel testo di legge definitivamente pubblicato.

Del pari, nel testo definitivo risulta eliminato ogni riferimento alla necessità che “Il curatore deve essere in possesso di una struttura organizzativa e di risorse che appaiano adeguate al fine del rispetto dei tempi previsti dall'articolo 104-ter”. Tale prescrizione, contenuta nel testo del d.l. 83, è stata sostituita dalla più generica esigenza che si tenga conto nella nomina del curatore “delle risultanze dei rapporti riepilogativi di cui all'

art. 33 quinto comma

l. fall

.”. Sulle ragioni critiche del precedente testo del d.l. 83 può rinviarsi per brevità alle considerazioni espresse da Guidotti, Misure urgenti in materia fallimentare, in ilcaso.it. Poco vi è da aggiungere, se non salutare favorevolemente il fatto che sia stata eliminata l'esigenza che il Tribunale, in sede di nomina del curatore, potesse tener conto “delle eventuali indicazioni … espresse dai creditori nel corso del procedimento di cui all'art. 15”, disposizione che seppur di non facile applicazione avrebbe potuto consentire delle interferenze privatistiche nella nomina di un soggetto che assolve indubbie funzioni pubblicistiche. La norma in effetti poteva creare fraintendimenti e fondarsi sulla suggestione derivante dall'

art. 182

l. fall

. (in cui l'inciso “se non dispone diversamente” viene prevalentemente interpretato come possibilità per il debitore che avanza la proposta concordataria di indicare un soggetto professionalmente attrezzato ed indipendente quale liquidatore giudiziale) laddove è evidente che il curatore non si limita a svolgere compiti di puro gestore della fase liquidatoria, ma ha altresì un ruolo pubblicistico nell'indagare sulle cause della crisi, segnalare eventuali reati alla Procura, enucleare responsabilità da perseguire, promuovere azioni recuperatorie o risarcitorie, ecc.

Il riferimento alle risultanze dei rapporti riepilogativi di cui all'

art. 33

,

quinto comma

,

l. fall

. non può essere evidentemente riferito alla stessa procedura concorsuale (giacchè nel momento della nomina simili adempimenti non possono ancora essere stati svolti), né può pensarsi che si alluda ai rapporti semestrali previsti dall'

art. 182

, comma

6

,

l. fall

. come adempimento a carico del liquidatore giudiziale, stante la specifica lettera della legge. Può invece più probabilmente ritenersi che il legislatore abbia voluto semplicemente far riferimento all'esigenza che il Tribunale tenga conto nelle nomine dei risultati della liquidazione che i professionisti hanno già dimostrato in altre procedure, in modo da alimentare un circuito virtuoso e trasparente nel procedimento di affidamento del delicato incarico di curatore, volto a consentire la nomina di soggetti che già “abbiano dato buona prova di sé”.

Sempre in quest'ottica di trasparenza nella distribuzione degli incarichi appare muoversi la prevista istituzione di un registro nazionale presso il Ministero della giustizia, relativo alle nomine dei liquidatori giudiziali, commissari giudiziali e curatori, in cui annotare altresì i provvedimenti di chiusura dei fallimenti e di omologazione dei concordati, nonché dei dati relativi all'attivo ed al passivo delle procedure chiuse.

Programma di liquidazione

Si è più volte sottolineato, dopo le riforme del 2006/2007, che il programma di liquidazione di cui al nuovo

art. 104

-

ter

l. fall

. rappresenta una sorta di “sfida” del legislatore al fine di accelerare l'iter delle procedure fallimentari, ridimensionando l'opacità e la discrezionalità che in precedenza caratterizzava la fase liquidatoria e valorizzare le capacità manageriali del curatore.

Si è altresì spesso affermato, da questo punto di vista, che il programma di liquidazione rappresenta il fondamentale atto di pianificazione ed indirizzo dell'attività liquidatoria da parte del curatore, tanto è vero che l'

art. 32

l. fall

. lo annovera fra le attività da questi non delegabili a soggetti terzi (per maggiori considerazioni vds. lo studio sul programma di liquidazione approvato dal CNDCEC nel giugno 2011). Attraverso il concorso necessario del Comitato dei creditori il programma realizza una sorta di pianificazione concertata che dovrebbe mirare ad eliminare sacche di inefficienza ed accellerare lo stesso iter della liquidazione, di cui nei fallimenti ante riforma spesso non si iniziava neppure a discutere se non una volta conclusa l'intera fase di verifica e formazione dello stato passivo.

Tuttavia, la pratica ha più volte mostrato i limiti di questo istituto di cui si prevede che debba essere predisposto dal curatore entro 60 giorni dalla redazione dell'inventario. Tale dies a quo, infatti, non è espressamente determinato, ma individuabile per relationem con riferimento ad un adempimento (la redazione dell'inventario) che tuttavia non è a sua volta concentrato all'interno di un periodo temporale tassativo ma può, nei casi più complessi o in presenza di inerzie non accettabili, prolungarsi anche per un tempo non indifferente.

Da qui la scelta del legislatore della riforma 2015 di inserie un termine massimo. Il programma di liquidazione continua, perciò, a dover essere redatto entro 60 giorni dalla formazione dell'inventario, ma “in ogni caso non oltre 180 giorni dalla sentenza di fallimento”.

Il mancato rispetto senza giustificato motivo di questo termine massimo costituisce giusta causa di revoca del curatore. Sarà perciò applicabile il procedimento previsto dall'

art. 37

l. fall

. che, appunto, consente che – salvo il rispetto del contraddittorio – la revoca possa essere disposta con decreto motivato anche d'ufficio. Tale decreto – emesso dal collegio – è reclamabile ai sensi dell'

art. 26

l. fall

. avanti la Corte d'Appello, quindi entro 10 gg. dalla comunicazione del provvedimento.

Si deve segnalare che con un recente provvedimento la S.C. ha affermato la non ricorribilità in cassazione del provvedimento di revoca, ritenendo che il curatore eserciti un munus publicum e non sia portatore di un proprio interesse alla conservazione dell'incarico:

“anche dopo l'entrata in vigore della riforma della

legge fallimentare

è possibile affermare che la nomina a curatore del fallimento ed il mantenimento dell'incarico rispondono all'esigenza, super individuale e non riconducibile al mero rapporto con i creditori, del corretto svolgimento e del buon esito della procedura, non essendo configurabile una posizione giuridicamente rilevante del curatore alla quale corrisponde la natura meramente ordinatoria e non decisoria tanto del decreto di accoglimento o di rigetto dell'istanza di revoca dall'ufficio, quanto del provvedimento, di conferma o di riforma del decreto emesso dalla corte di appello in sede di reclamo. Deve, pertanto, essere escluso che contro detto provvedimento possa proposto ricorso straordinario per cassazione” (

Cass. 13 marzo 2015, n. 5094

).

Il legislatore non è intervenuto soltanto sul termine di redazione del programma di liquidazione ma, in modo più ampio, sulla durata stessa prevista per il compimento della fase di liquidazione, la cui espressa menzione è ora richiesta dalla nuova lett. f) inserita al secondo comma dell'

art. 104-

ter

l. fall

., ove si afferma che “non può eccedere due anni dalla sentenza di fallimento”.

Il curatore è tenuto ad indicare “limitatamente a determinati cespiti dell'attivo” le ragioni specifiche che si ritenga non consentiranno di rispettare detto termine biennale. L'espressione “cespiti” utilizzata dalla norma sembra alludere all'attività di liquidazione in senso stretto (ossia alla trasformazione mediante cessione a terzi di beni e diritti in denaro da distribuire ai creditori concorsuali), si deve perciò ritenere – ad avviso di chi scrive – che non occorrano particolari motivazioni nel giustificare la presumibile maggiore durata (rispetto al biennio previsto dalla norma) delle azioni volte al recupero di crediti o delle previste azioni revocatorie o risarcitorie. Per bilanciare i tempi dei giudizi ordinari eventualmente introdotti o subiti con la ragionevole durata della procedura concorsuale, peraltro, come si vedrà, è intervenuta la modifica dell'

art. 118

l. fall

. a consentire la chiusura anticipata della procedura fallimentare in pendenza di cause.

Anche il mancato rispetto senza giustificato motivo dei termini previsti dal programma di liquidazione costituisce giusta causa di revoca del curatore.

Può ritenersi che la crisi del mercato immobiliare, solo leggermente migliorata ma non ancora completamente superata, sia un elemento che può pesantemente condizionare – quale fattore esogeno – l'effettiva possibilità di rispettare il termine biennale indicato dalla riforma. Resta inoltre salva la possibilità per il curatore, ma a fronte di specifiche motivazioni e non certo in via generalizzata, pena il sostanziale svuotamento della norma, di redigere un programma di liquidazione suppletivo nel quale prendere in considerazione la liquidazione di beni appresi dal fallimento o sopravvenuti, come pure evidenziare la proposizione di un'azione di responsabilità di cui, ad esempio, si siano scoperti successivamente i presupposti di applicabilità (o la sua fruttuosità inizialmente esclusa). In quel caso, il programma suppletivo darà motivatamente conto di tali circostanze, così da giustificare il mancato rispetto del termine biennale introdotto dal legislatore.

Indirettamente volta a rafforzare l'obbligo del curatore di seguire la tempistica dettata nel programma di liquidazione è la modifica dell'

art. 39

l. fall

., secondo cui “salvo che non ricorrano giustificati motivi, ogni acconto liquidato dal tribunale deve essere preceduto dalla presentazione di un progetto di ripartizione parziale”.

Chiusura delle procedure con cause pendenti

Un'innovazione che deve essere vista con indubbio favore riguarda l'

art. 118

l. fall

. Il dato di partenza è che la lunga durata dei processi di cognizione spesso finisce per condizionare la durata stessa della procedura concorsuale e questo, a cascata, realizzare ipotesi di responsabilità dello Stato per mancato rispetto del termine previsto dalla

L. 89/2001

(c.d.

legge Pinto

) in tema di “ragionevole durata del processo”. Come noto l'art. 2-bis del citato articolato normativo prevede un indennizzo compreso fra un minimo di Euro 500 ed un massimo di Euro 1.500 per ciascuna parte e per ogni anno o frazione di anno superiore ai sei mesi eccedente il termine previsto come “ragionevole” (il precedente art. 2 fissa per le procedure concorsuali il temine di 6 anni).

Da qui in primo luogo una integrazione apportata dalla riforma all'

art. 43

l. fall

., laddove in coda si è previsto che le controversie in cui è parte un fallimento debbano essere trattate con priorità. Al fine di evitare che tale disposizione abbia un valore puramente programmatico e non cogente si è ulteriormente previsto che il Presidente del Tribunale debba annualmente fornire al Capo della Corte d'Appello i dati relativi al numero dei procedimenti in cui è parte un fallimento, la loro durata, le misure adottate per garantire la loro celerità.

E'evidente che il luogo principe in cui prendere tali misure è rappresentato dalla redazione annuale del programma di gestione di cui all'

art. 37 d.l. 98/2011

, che dovrà perciò contemplare – con verifica affidata anche agli organi di autogoverno periferici Consiglio giudiziario e Commissione flussi – tale tipologia di cause fra quelle a trattazione prioritaria (eventualmente a partire dalle più risalenti per gli uffici maggiormente in sofferenza come organico e carichi di lavoro).

A sua volta si prevede che il Presidente della Corte d'Appello debba fare cenno ai dati così ricevuti nella propria relazione annuale sullo stato della giustizia nel distretto.

Da notare che l'

art. 169

l. fall

. viene contestualmente modificato al fine di estendere la citata “corsia preferenziale” anche alle cause in cui è parte “l'impresa ammessa al concordato preventivo”. Ma, come anticipato, la modifica principale riguarda l'

art. 118 l. fall.

nella parte in cui consente – nell'ipotesi di cui all'art. 118, n. 3 – di chiudure una procedura fallimentare nonostante vi siano ancora una o più cause pendenti che coinvolgono il fallimento stesso.

In tal caso è prevista una sorta di ultrattività degli organi curatore e giudice delegato, ma non del comitato dei creditori (cfr.

art. 120

l. fall

.).

A parere del relatore la norma va applicata piuttosto estensivamente e non interpretata restrittivamente. Così, ad es., la stessa appare applicabile anche all'ipotesi di cui all'art. 118, n. 4 (fallimento privo di risorse ma con causa attiva pendente), mentre il riferimento alle transazioni ed alle rinunzie alle liti ai fini della deroga all'

art. 35

l. fall

. (nella parte in cui suppone l'intervento di un comitato dei creditori che come si è visto cessa con la chiusura) deve intendersi soltanto esemplificativo e non tassativo. Inoltre il concetto di pendenza dei giudizi può forse essere esteso anche all'ipotesi di giudizio in cui la costituzione del curatore è già stata autorizzata pur se la causa non è tecnicamente ancora “pendente” o se il giudizio è sospeso o interrotto.

Naturalmente una certa prudenza deve essere mantenuta rispetto alla disciplina degli accantonamenti, posto che la norma prevede che “le somme necessarie per spese future ed eventuali oneri relativi ai giudizi pendenti, nonché le somme ricevute dal curatore per effetto di provvedimenti provvisoriamente esecutivi e non ancora passati in giudicato sono trattenute dal curatore secondo quanto previsto dall'art. 117 comma secondo”. Occorrerà pertanto una stima sufficientemente precisa dei costi relativi alla causa, nonché delle probabilità di esito favorevole della stessa.

Nonostante la chiusura del fallimento permane la finalizzazione al soddisfacimento dei creditori concorsuali delle somme eventualmente percepite all'esito della causa, posto che l'

art. 120 ultimo comma

l. fall

. ha cura di precisare che “in nessun caso i creditori possono agire su quanto è oggetto dei giudizi medesimi”.

Si ha qui una deroga espressa ai principi generali per cui, non avendo il fallimento un effetto esdebitativo automatico, la chiusura della procedura comporterebbe il ritorno in bonis del debitore con la possibilità di ciascun creditore non integralmente soddisfato (e per avventura anche un eventuale creditore posteriore non concorsuale) di agire esecutivamente sulle sopravvenienze

attive.

Viene conseguentemente prevista - anche qui in deroga ai principi generali - una vera e propria ultrattività dei poteri di legittimazione e rappresentanza processuale spettanti al curatore per i giudizi pendenti al momento della chiusura anticipata (ragione per cui, come detto, la norma può forse essere estesa alle cause già autorizzate ma non a cause del tutto future ed eventuali che si volessero ex novo iniziare post chiusura della procedura concorsuale).

Ecco un esempio di possibile circolare inviata ai curatori al fine di dare concretezza ed applicazione immediata alla nuova disposizione che, giova notare, in base all'art. 23, comma 7 della

legge di conversione n. 132/2015

si applica “a decorrere dalla data di entrata in vigore” della stessa, potendo perciò invocarsi anche per tutte le procedure fallimentari già aperte e pendenti in quel momento:

OGGETTO: Nuova disciplina della chiusura del fallimento – Relazioni periodiche

ex art. 33, co. 5 l. fall

.

Come è noto, l'

art. 118 della l. fall

., come modificato dalla

L. 6.8.2015 n. 132

che ha convertito il

D.L. 27.6.2015 n. 83

, stabilisce ora che "la chiusura della procedura di fallimento nel caso di cui al n. 3 non è impedita dalla pendenza di giudizi, rispetto ai quali il curatore può mantenere la legittimazione processuale anche nei successivi stati e gradi, ai sensi dell'art 43. In deroga all'art. 35, anche le rinunzie alle liti e le transazioni sono autorizzate dal giudice delegato. Le somme necessarie per spese future ed eventuali oneri relativi ai giudizi pendenti, nonché le somme ricevute dal curatore per effetto di provvedimenti provvisoriamente esecutivi e non ancora passati in giudicato, sono trattenute dal curatore secondo quanto previsto dall' art. 117, comma secondo. Dopo la chiusura della procedura di fallimento, le somme ricevute dal curatore per effetto di provvedimenti definitivi e gli eventuali residui degli accantonamenti sono fatti oggetto di riparto supplementare fra i creditori, secondo le modalità disposte dal tribunale con il decreto di cui all'art. 119. In relazione alle eventuali sopravvenienze attive derivanti dai giudizi pendenti non si fa luogo alla riapertura del fallimento.

Qualora alla conclusione dei giudizi pendenti consegua, per effetto di riparti, il venir meno dell'impedimento all'esdebitazione di cui al comma secondo dell'art. 142, il debitore può chiedere l'esdebitazione nell'anno successivo al riparto che lo ha determinato

".

A sua volta l'

art. 120 l. fall

., così come sopra modificato, stabilisce che "nell'ipotesi di chiusura in pendenza di giudizi ai sensi dell' art. 118, secondo comma, terzo periodo e seguenti, il giudice delegato e il curatore restano in carica ai soli fini di quanto ivi previsto. In nessun caso i creditori possono agire su quanto è oggetto dei giudizi medesimi".

Le disposizioni così come modificate si applicano dall' entrata in vigore della legge di conversione (21/08/2015) anche alle procedure in quel momento già pendenti.

Stante l'importanza pratica delle nuove norme dianzi citate, che hanno l'evidente scopo di garantire l'osservanza della ragionevole durata della procedura concorsuale (L. 98/2001 e succ. modd., c.d.

Legge Pinto

), accelerandone i tempi di definizione e consentendo una maggiore efficienza delle stesse, si invitano i Sigg. Curatori che si trovino nella seguente situazione: fase di liquidazione dell'attivo terminata e chiusura della procedura impedita da una o più cause pendenti a predisporre una relazione urgente contenente i seguenti elementi:

1) natura, entità e tipologia della causa pendente (o delle cause), con indicazione dello stato e grado in cui si trova, nonché delle somme eventualmente incassate dal curatore per effetto di provvedimenti provvisoriamente esecutivi e non ancora passati in giudicato;

2) parere del legale della procedura con allegati i provvedimenti emessi nella causa (sentenze e ordinanze), contenente la stima esatta delle spese ancora necessarie e le valutazioni in ordine alla possibile vittoria/soccombenza nella stessa, nonché l'esistenza di possibilità transattive.

La relazione che precede dovrà essere depositata entro 30 giorni dal ricevimento della presente non soltanto nell'ipotesi di cui all'

art. 118, comma 3, l. fall

. testualmente considerata dalle nuove disposizioni, ma anche nelle situazioni in cui, salvo l'eventuale giudizio pendente, si configura un'ipotesi di chiusura della procedura

ex art. 118, n. 4, l. fall

.

Si coglie l'occasione per segnalare la necessaria puntualità nel deposito delle periodiche relazioni semestrali,

ex art. 33, comma 5, l. fall

., alle quali devono essere allegati gli estratti conto bancari relativi al periodo preso in esame. Non è superfluo ricordare, infatti, che la riforma estiva dianzi citata ha valorizzato detto adempimento, al nuovo comma 2 dell'

art. 28 l. fall

., quale uno dei criteri da valutare nella nomina a curatore.

(omissis)

Semplificazione delle modalità di acquisizione all'attivo di beni oggetto di atti gratuiti

Non può inoltre non essere menzionata la modifica apportata all'

art. 64 l. fall.

che, da questo punto di vista, rappresenta una sorta di trasposizione in sede fallimentare della nuova revocatoria semplificata degli atti gratuiti, contestualmente introdotta dalla riforma attraverso il nuovo

art. 2929-bis c.c.

Sotto la rubrica "Espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito", infatti, la nuova disposizione consente di agire esecutivamente senza dover previamente attendere l'esito dell'azione revocatoria rivolta a rimuovere l'efficacia del vincolo o dell'atto di disposizione a titolo gratuito, se compiuto successivamente al sorgere del debito e avente ad oggetto beni immobili o mobili registrati. L'azione è esperibile a condizione che, alla data del pignoramento, non sia decorso un anno dalla data di trascrizione dell'atto, cioè dall'adempimento formale che lo rende conoscibile e opponibile ai terzi.

Quest'ultima disposizione civilistica ha infatti cura di precisare che: “I. Il creditore che sia pregiudicato da un atto del debitore, di costituzione di vincolo di indisponibilità o di alienazione, che ha per oggetto beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, compiuto a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito, può procedere, munito di titolo esecutivo, a esecuzione forzata, ancorchè non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia, se trascrive il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l'atto è stato trascritto. La disposizione di cui al presente comma si applica anche al creditore anteriore che, entro un anno dalla trascrizione dell'atto pregiudizievole, interviene nell'esecuzione da altri promossa. II. Quando il pregiudizio deriva da un atto di alienazione, il creditore promuove l'azione esecutiva nelle forme dell'espropriazione contro il terzo proprietario. III. Il debitore, il terzo assoggettato a espropriazione e ogni altro interessato alla conservazione del vincolo possono proporre le opposizioni all'esecuzione di cui al titolo V del libro III del codice di procedura civile quando contestano la sussistenza dei presupposti di cui al primo comma, nonche' la conoscenza da parte del debitore del pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore”.
Si legge nella relazione di accompagnamento che "il beneficio per il ceto creditorio consiste in una riduzione di tempi e costi necessari al realizzo coattivo del credito, in considerazione del fatto che la revocatoria è azione costitutiva e i relativi effetti si ritengono quindi subordinati, secondo stabile giurisprudenza, al passaggio in giudicato della sentenza. Il beneficio per l'amministrazione della giustizia consiste nella possibile riduzione di contenzioso, in ragione dell'eventualità che il debitore o terzo assoggettato a esecuzione non proponga opposizione". Tale opposizione, inoltre, non ha effetto sospensivo automatico.

La nuova “revocatoria implicita” semplificata pertanto richiede:

a) l'anteriorità del credito la cui garanzia viene intaccata dall'atto gratuito o dal vincolo;

b) la sussistenza di un titolo esecutivo in capo al creditore;

c) la tempestività dell'iniziativa, posto che il pignoramento (contenente l'implicita revoca dell'atto dispositivo o del vincolo) deve intervenire entro un anno dalla trascrizione dell'atto pregiudizievole.

Venendo più propriamente alla sede fallimentare, si deve osservare che la modifica dell'

art. 64

l. fall

. si muove nello stesso senso. Come noto, tale disposizione prevedeva già l'inefficacia degli atti a titolo gratuito (esclusi regali d'uso e liberalità proporzionate al patrimonio del debitore donante) compiuti nei due anni antecedenti la dichiarazione di fallimento. Trattasi di un termine a ritroso che, per inciso, può aumentare considerevolmente in relazione a quanto previsto dall'

art. 69-bis l. fall.

, in caso di consecuzione della procedura fallimentare rispetto a quella concordataria (a sua volta quasi sempre precedura dalla fase “prenotativa” del concordato “in bianco”). Tuttavia, anche in questo caso si doveva pur sempre attendere che il curatore ottenesse un preventivo provvedimento giudiziale che dichiarasse tale inefficacia, con tutti i ritardi che questo poteva comportare in caso di difesa dilatoria.

La nuova norma perciò precisa innovativamente che “i beni oggetto degli atti di cui al primo comma sono acquisiti al patrimonio del fallimento mediante trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento. Nel caso di cui al presente articolo ogni interessato puo' proporre reclamo avverso la trascrizione a norma dell'articolo 36”.

Anche qui la limitazione dei diritti di difesa, persino per il terzo, è evidente ed il meccanismo di possibile reazione è affidato ad uno strumento oppositivo successivo e soltanto eventuale.

Con l'aggravante che il termine per proporre reclamo di cui all'

art. 36

l. fall

. è soltanto di 8 giorni.

Al fine di non rendere la disposizione così modificata del tutto incostituzionale (pur con i dubbi che già risultano proposti rispetto all'analoga norma civilistica, su cui, ad es. Antonucci, L'azione revocatoria "semplificata": dubbi di costituzionalità dell'

art. 12 d.l. 83/2015

, in ilcaso.it, 15 luglio 2015) ritengo personalmente che tale brevissimo termine di 8 giorni non posssa farsi decorrere dalla data di trascrizione della sentenza di fallimento, ma da altro successivo adempimento che abbia l'effetto di rendere conosciuta al terzo e non semplicemente conoscibile in astratto la volontà del curatore di apprendere il bene all'attivo fallimentare (ad esempio il termine potrà decorrere dalla convocazione che il curatore invierà al fine di consentire la presenza in sede di redazione dell'inventario del terzo acquirente a titolo gratuito del bene del fallito o, al più tardi, dalla stessa inventariazione che resta comunque adempimento necessario ex art. 87 per l'apprensione materiale dei beni all'attivo della procedura).

Ovviamente anche così interpretata, la “tensione” operata dalla norma sui diritti di difesa tanto del fallito quanto, soprattutto, del terzo avente causa, appare evidente, posta la natura prevalente sommaria del procedimento

ex

art. 36

l. fall

., destinato a chiudersi con un decreto motivato del G.D. non soggetto a gravame (ma eventualmente a ricorso straordinario per Cassazione

ex

art. 111 Cost.

). V'è pertanto da chiedersi se sia ammmissibile, accanto al reclamo per l'atto del curatore rappresentato dalla trascrizione della sentenza, una diversa prospettiva di tutela a cognizione piena, volto ad accertare ad esempio che l'atto non era in realtà a titolo gratuito o che, sempre esemplificativamente, l'atto riguardava beni diversi da quelli su cui è avvenuta la trascrizione della sentenza di fallimento (anche ipotizzando un procedimento di rivendica

ex

art. 103

l. fall

.). Ove si ammetta tale prospettiva di tutela ulteriore si dovrà ritenere, con ogni probabilità, che la stessa non abbia effetti sospensivi sugli atti di liquidazione che il curatore nel frattempo abbia a porre in essere sul bene acquisito alla massa in forme “semplificate”, pur se si potrebbe imporre un'esigenza di accantonamento delle somme eventualmente ritratte dall'alienazione del cespite in sede fallimentare, in attesa della definizione del giudizio ordinario intrapreso dal terzo che si ritenga leso.

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