Speciale Decreto “Contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: concordato preventivo - “Proposte/piani” ed “offerte” concorrenti

Filippo Lamanna
29 Giugno 2015

In questo secondo focus sul D.L. 27 giugno 2015, n. 83, «Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria». l'analisi si sposta sulle norme relative al concordato preventivo, nello specifico quelle aventi al oggetto la disciplina riferita a proposte e piani e alle offerte concorrenti.

Piani e proposte concorrenti

Con l'art. 3 il D.L. n. 83/2015 introduce una novità molto rilevante, forse quella più incisiva in assoluto: la possibilità per i creditori di fare proposte di concordato preventivo alternative rispetto a quella formulata dal debitore.

Benché una tale possibilità sia già prevista in materia di concordato fallimentare, la possibilità di prevederla in materia di concordato preventivo non era e non è del tutto scontata.

Cambia, infatti, la situazione-presupposto, poiché, mentre il concordato fallimentare interviene a fallimento già dichiarato, e dunque in una situazione di esproprio del debitore già in atto; viceversa, il concordato preventivo interviene prima del fallimento, ed al fine di evitarlo, sì che il debitore è ancora in bonis, e non è assoggettato di conseguenza ad esproprio, tanto da conservare la sua capacità dispositiva, solo parzialmente soggetta ad alcune limitazioni (c.d. spossessamento attenuato).

Consentire dunque ai creditori di proporre un concordato subentrando al posto del proprietario dei beni che fanno capo all'impresa e con i quali il concordato dovrà poi essere eseguito si risolve, nella sostanza, in una forma di esproprio extra ordinem.

Consapevole del rischio che tale connotazione poteva comportare in termini di tenuta costituzionale, il Governo ha però preso alcune contromisure preventive, autorizzando la presentazione di una proposta alternativa solo quando la proposta di concordato del debitore non contenga l'impegno al pagamento, ancorché dilazionato, di almeno il quaranta per cento dell'ammontare dei crediti chirografari.

In tal modo, in effetti, si delinea una situazione-presupposto in cui la libertà dispositiva del debitore subisce un'eventuale compressione solo se la sua proposta appaia tale da evidenziare – almeno in astratto, e secondo l'id quod plerumque accidit, non riuscendosi a pagare più del 40% dei debiti chirografari – un deficit davvero importante, che, per le società di capitali, implica quasi certamente la già avvenuta integrale perdita del capitale, mancando il quale, si potrebbe anche dire, per quanto in termini molto sommari ed impropri (eppur realistici), che l'impresa non appartiene già più a chi solo formalmente ne appare ancora il titolare (

Cfr. Giorgetti, La legittimazione dei terzi a proporre la domanda di concordato preventivo quale ipotesi di soluzione alternativa, in ilFallimentarista.it; cfr. anche Bianco, Note critiche sulle bozze di riforma del concordato preventivo, ivi.).

In una tale situazione, dunque, può anche reputarsi non sovversivo che intervenga qualcuno offrendo di pagare più di quanto offra il debitore, fermo restando in ogni caso che se costui offra di pagare più del 40% (anche solo qualcosa in più), non può invece subire alcuna competizione espropriativa.

Peraltro la norma ha anche la cautela di limitare la legittimazione soggettiva ai soli creditori, senza allargarla a qualunque terzo, ed anzi prevedendo una soglia minima al di sotto della quale la legittimazione non sussiste (10% dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale depositata ai sensi dell'articolo 161, comma 2, lettera a), anche se tale misura sia riferibile ad un gruppo di più creditori).

I creditori devono peraltro essere tali sulla base di titolo anteriore alla domanda, deve trattarsi cioè solo di creditori concorsuali in senso stretto, come si evince dalla formulazione normativa, che consente sì di acquistare crediti in corso di procedimento per raggiungere la soglia legittimante del 10%, ma solo a chi sia (già) creditore.

Questo certamente contribuisce a ridimensionare i possibili dubbi di tenuta costituzionale, poiché la competizione viene circoscritta nell'ambito ristretto di una comunità soggettivamente limitata, e tale limitazione può considerarsi come il contraltare di una soggezione cui i relativi appartenenti – i creditori - sono costretti a causa della prevista limitazione dei loro poteri dispositivi, dovendo di norma soggiacere ad effetti remissori e dilatori in conseguenza di un'accettazione della proposta del debitore che avviene a semplice maggioranza, per di più con il meccanismo-tagliola del silenzio-assenso.

Che dunque i creditori, assoggettati a tale limitazione dei propri poteri dispositivi, possano in contropartita veder imitati quelli del debitore, peraltro solo a certe tassative condizioni, può considerarsi accettabile e legittimo.

V'è peraltro da chiedersi se la norma non possa essere migliorata laddove conforma la condizione-soglia del 40% esigendo solo che tale percentuale sia indicata nella proposta di concordato del debitore, e lasciando scoperta però, in tal guisa, l'ipotesi, anche troppo facilmente profetizzabile, in cui il debitore, come peraltro accade già ora molto spesso, offra ben più di quello che può effettivamente mantenere.

Se basta cioè indicare il 40% nella proposta, senza che sia previsto poi alcun test di verifica sulla serietà e realizzabilità dell'offerta in tale misura, troppo facilmente il debitore potrebbe bloccare la possibilità di competizione indicando una percentuale di pagamento pari o superiore al 40%, nel (consapevole) difetto di qualunque concreta possibilità di darvi adempimento.

Certo sulla fattibilità si esprime anche l'esperto attestatore nella sua relazione, ma se questi dovesse esprimere perplessità sulla prognosi di pagamento nella misura percentuale promessa, la proposta sarebbe da giudicare inammissibile già per tale ragione, e non si porrebbe nemmeno un problema di contendibilità.

Ben sappiamo, peraltro, come la nomina dell'esperto da parte del medesimo debitore stenda un generale velo di dubbio sulla genuinità ed attendibilità (in genere) delle attestazioni e quindi non mi pare che la prevista necessità che esse siano depositate con la proposta elimini il rischio che il debitore, per evitare proposte concorrenti, enfatizzi la percentuale di pagamento realizzabile. Non sono infrequenti, comunque, proposte corredati da piani, che pur si rivelano poi “farlocchi”, la cui fattibilità sia stata prima pacificamente attestata da un esperto.

Credo allora che, ove la norma non venga integrata su questo punto in sede di conversione, sarò doveroso chiedersi se non sia possibile e congrua – e a mio parere lo sarebbe – un'interpretazione tesa a considerare dirimente il parere che il commissario giudiziale deve dare con la sua prima relazione ex art. 172 L.F., sì che, ove egli ponesse in dubbio il realizzo della percentuale-soglia, allora per ciò stesso dovrebbero considerarsi proponibili le proposte alternative.

Mi sembra, questo, un buon compromesso interpretativo, non impedito dal riferimento, fatto dalla norma, alla necessità che il debitore indichi la percentuale-soglia del 40% nella proposta, poiché ciò può intendersi come requisito necessario, ma da solo non sufficiente ad escludere le proposte competitive laddove il debitore, perpetrando una forma di abuso del diritto, sfrutti tale indicazione in modo surrettizio e falsato, per escludere possibili concorrenti.

Una cautela volta ad evitare che la proposta concorrente sia comunque riferibile anche solo in parte sempre al debitore, per quanto indirettamente (ovvero per interposta persona, o per cointeressenze di gruppo), è quella che esclude la legittimazione a fare proposte concorrenti per i soggetti che, rispetto al debitore, sono controllanti o controllati, ovvero che con il medesimo debitore sono sottoposti a comune controllo.

Dei loro crediti non può infatti tenersi conto ai fini del computo della percentuale del dieci per cento.

Su tale aspetto, che evidentemente ha come riferimento solo imprese costituite in forma societaria, la norma è formulata alquanto ellitticamente, e, siccome pone formalmente solo agli altri creditori (diversi dai soggetti che, rispetto al debitore, sono controllanti o controllati, ovvero che con il medesimo debitore sono sottoposti a comune controllo) una limitazione all'acquisito di crediti riferibili alla suddetta categoria di controllanti, controllati, ecc., può suscitare il dubbio che comunque la legittimazione per questi ultimi sussista se essi siano comunque già creditori, situazione che, di per sé, in astratto, potrebbe legittimarli a formulare una proposta concorrente se fossero già titolari di quote maggiori del 10%, o che, in caso contrario, potrebbe comunque legittimarli a raggiungere tale soglia acquistando essi altri crediti da soggetti diversi.

Questa lettura, per quanto plausibile alla luce della non molto precisa formulazione letterale della norma, sarebbe però a mio avviso contraria alla sua più probabile ratio, che sembra implicare l'esclusione in radice della legittimazione di tali soggetti, ancorché già creditori, a fare proposte concorrenti, su qualunque misura percentuale si attestino i loro crediti, proprio per evitare che il debitore – o un soggetto del gruppo cui questo appartiene - possa restare in lizza in modo larvato ed indiretto.

Del resto, non è un caso che si preveda testualmente l'esclusione dei predetti soggetti anche dal voto (in forza dell'art. 177, comma 4), secondo una previsione limitativa già prevista in materia di concordato fallimentare (dall'art. 127, penultimo comma, l. fall.).

E siccome “cessante ratione legis cessat et ipsa lex, l'interpretazione che esclude sempre la loro legittimazione a fare proposte concorrenti mi sembra sostanzialmente necessitata.

Sotto il profilo procedimentale, la norma prevede che la proposta concorrente di concordato preventivo ed il relativo piano devono essere presentati non oltre trenta giorni prima dell'adunanza dei creditori.

Il termine di trenta giorni appare congruo in rapporto sia alla necessità che gli altri creditori possano meditare sulla proposta concorrente, sia per lo svolgimento delle varie attività che tale nuova proposta trascina con sé.

Siccome però proprio di trenta giorni dal deposito del provvedimento era il termine prima previsto dalla legge fallimentare per lo svolgimento dell'adunanza dei creditori, esso si sarebbe sovrapposto a quest'ultimo. Che, proprio per tale ragione, è stato allungato (a non oltre centoventi giorni dalla data del provvedimento).

Sennonché tale prolungamento non può non incidere in proporzione anche sull'intera durata del procedimento concordatario, e quindi il D.L. avrebbe dovuto per coerenza prevedere un allungamento nella medesima proporzione del termine di durata massima del suddetto procedimento come attualmente previsto dall'art. 181 (6 mesi, prorogabili di altri 2).

Tenuto poi conto che la proposta dei creditori avrà come passività da soddisfare quelle del debitore, e praticamente sempre (o quasi sempre) come base, quanto ai beni con i quali soddisfarle, quelli del debitore o un loro controvalore (salvo l'apporto di altre aggiuntive risorse), passività e beni che già saranno stati oggetto di valutazione nella relazione dell'esperto attestatore che il debitore avrà presentato in origine, oltre che nella relazione del commissario giudiziale ex art. 172 l. fall. che sarà stata depositata nelle more, la nuova norma rende meramente facoltativa una nuova relazione attestativa a corredo di ciascuna nuova proposta concorrente (relazione che dovrebbe essere l'unico documento richiesto, poiché gli altri previsti dall'art. 161 riguardano il debitore, mentre la relazione attiene al piano e alla proposta, e dunque dovrebbe accompagnare qualunque nuova proposta), salvo il caso in cui vi siano aspetti circa la fattibilità che non siano stati già oggetto di verifica da parte del commissario giudiziale, ipotesi, questa, in cui la relazione potrà essere limitata alla sola considerazione di tali profili.

Al riguardo è doveroso precisare che il D.L. n. 83/2015 ha anche anticipato a 45 gg. prima dell'adunanza il termine (che prima era di 10 gg.) concesso al commissario giudiziale per depositare la sua relazione particolareggiata sulle cause del dissesto, sulla condotta del debitore, sulle proposte di concordato e sulle garanzie offerte ai creditori (art. 172, comma 1).

Al tempo stesso viene ora previsto che, se nel termine di trenta giorni prima dell'adunanza vengano depositate proposte concorrenti, il commissario giudiziale deve riferire in merito ad esse con relazione integrativa da depositare in cancelleria e comunicare ai creditori, con le modalità di cui all'articolo 171, comma 2, almeno dieci giorni prima dell'adunanza dei creditori.

Pertanto la relazione attestativa – totale o parziale sui profili della fattibilità non già considerati dal commissario giudiziale - potrà essere depositata dai creditori proponenti nello spazio compreso tra 45 e 10 gg. prima dell'adunanza, e questo anche quando, deve reputarsi, essendo stata presentata la nuova proposta prima del termine di 45 gg. assegnato al commissario giudiziale, la relazione (parziale) non sia stata già presentata insieme alla proposta (mancando ancora in quel momento la relazione del commissario giudiziale).

Non mi sembra possibile ritenere invece che la relazione attestativa parziale (e a maggior ragione quella completa, quando sia necessaria) possa essere presentata dai creditori dopo il termine assegnato al commissario giudiziale per il deposito della sua relazione di aggiornamento (10 gg. prima dell'adunanza).

Del resto, le stesse proposte di concordato, ivi compresa quella presentata dal debitore, possono essere ora modificate solo fino a quindici giorni prima dell'adunanza dei creditori, il che significa che il commissario giudiziale deve poter contare, entro 10 gg. prima dell'adunanza, sui dati completi necessari per valutare le proposte in competizione.

Incidentalmente va quindi anche segnalato che, con l'abrogazione del secondo comma dell'art. 175, viene meno l'originaria disposizione che fissava all'inizio delle operazioni di voto il termine ultimo concesso al debitore per modificare la proposta.

La modifica è senz'altro apprezzabile, poiché, da un lato, rende certo e ben determinato un termine prima indicato in modo impreciso, tanto da aver generato varie e contrapposte letture; dall'altro, perché rende disponibile per i creditori uno spatium deliberandi molto più congruo, laddove prima esso era ridotto assai spesso a pochi minuti, potendo le modifiche giungere all'ultimo momento.

Il termine per apportare le modifiche trascina inevitabilmente con sé la questione della facoltà di rinuncia alla domanda/proposta da parte del debitore o dei creditori concorrenti.

Quale che fosse prima la tesi preferita circa la sussistenza o meno della facoltà del debitore di rinunciare alla domanda, dei termini entro cui depositare l'atto di rinuncia e delle eventuali modalità con cui formularlo, oggi la problematica si complica, estendendosi essa anche alla possibilità di rinuncia alla proposta da parte dei creditori concorrenti ed esigendo una soluzione anche in relazione agli effetti che conseguono alla rinuncia effettuata da parte di uno o più dei soggetti in competizione.

Ribadito in premessa che il termine per apportare eventuali modifiche è di 15 gg. prima dell'adunanza, mi pare ragionevole concluderne che anche le eventuali rinunce – ove ammissibili - debbano necessariamente formularsi entro lo stesso termine.

Infatti quest'ultimo cristallizza la proposta o le proposte concorrenti su cui i creditori sono chiamati a decidere (ed ancor prima il commissario giudiziale ad esprimere il suo motivato parere, anche con una valutazione comparativa), sì che, mentre potrebbe forse ancora ipotizzarsi un eventuale maggiore spazio di manovra per il debitore quando proposte concorrenti non vi fossero, la presentazione di queste cambia invece del tutto la situazione.

La presenza di più competitors esige infatti la fissazione ed il rispetto di regole procedimentali di natura cogente, compresa quella che lasci perdurare gli effetti di una proposta non ritirata prima del termine di 15 gg. prima dell'adunanza.

In altre parole questo termine, una volta spirato senza che una rinuncia vi sia stata, non può che rendere da quel momento in poi irrevocabile la domanda.

Per la stessa ragione è inimmaginabile che il debitore abbia la possibilità, dopo lo spirare di tale termine, ma in realtà ancor prima, ossia a partire da quando venga presentata una qualsivoglia proposta concorrente, di presentare una nuova domanda/proposta di concordato. Sarebbe infatti inaccettabilmente frustraneo per i competitors presentare una proposta concorrente che perdesse poi efficacia per il sopravvenire di un diverso procedimento concordatario riferibile alla nuova domanda/proposta del debitore.

Per la verità già fino a prima del D.L. n. 83/2015, la S. Corte ha avuto modo di statuire che, allorché già penda una procedura di concordato preventivo, non è configurabile un'ulteriore domanda di concordato con carattere di autonomia rispetto a quella originaria - che dia, cioè, luogo a una nuova e separata procedura, che ricominci dal suo inizio con l'audizione del debitore - perché con riguardo al medesimo imprenditore ed alla medesima insolvenza il concordato non può che essere unico, e dunque unica la relativa procedura ed il suo esito (omologazione o dichiarazione del fallimento, alternativamente) (Cass. Sez. Un. n. 9935/2015Cass. n. 495/2015 Cass. n. 2594/2006).

A maggior ragione oggi, dopo le modifiche apportate dal D.L. n. 83/2015, tale possibilità è radicalmente da escludere, atteso che è previsto un termine ben preciso per la presentazione di nuove proposte di terzi (30 gg. prima dell'adunanza) ed un altro termine è previsto – verso tutti i competitors - per apportare modifiche (15 gg. prima).

Basta dunque una sola proposta concorrente per bloccare comunque la possibilità – quand'anche ritenuta in astratto realizzabile - che il debitore presenti una nuova domanda/proposta.

Peraltro, in presenza di più proposte, la rinuncia (in termini) ad una di esse, compresa quella del debitore, non può determinare l'inefficacia delle altre, né – appunto – quando a rinunciare alla domanda sia il debitore (ammesso che possa farlo, e comunque non oltre il già detto termine di 15 gg.) – viene meno il procedimento concordatario, che invece prosegue per la votazione sulle proposte residue.

La relazione integrativa del commissario giudiziale deve contenere, “di regola”, come afferma la nuova norma, ossia praticamente sempre quando vi siano più proposte, una particolareggiata comparazione tra tutte le proposte depositate.

Ed analoga relazione integrativa dovrà essere redatta qualora emergano informazioni che i creditori devono conoscere ai fini dell'espressione del voto. Deve trattarsi però in tal caso, è da supporre, di informazioni aggiuntive rispetto a quelle già contenute negli atti e nelle relazioni prima depositati.

La previsione che impone la particolareggiata comparazione fra tutte le proposte depositate era doverosa, quale indispensabile presupposto per consentire ai creditori di esprimere un voto informato e consapevole, tanto più che le proposte possono essere articolate nei modi più svariati, non essendo previsti canoni o modelli preconfezionati sulla cui falsariga impostarle.

La nuova proposta può inoltre prevedere l'intervento di terzi (chiaramente al fine di integrare i mezzi finanziari per renderla economicamente fattibile) e, se il debitore ha la forma di società per azioni o a responsabilità limitata, può prevedere un aumento di capitale della società con esclusione o limitazione del diritto d'opzione.

Tale ultima previsione mira, da un lato, a ricapitalizzare la società in epoca post-omologa (quando ciò sia ritenuto necessario per rilanciare l'impresa o perché il concordato non abbia prodotto effetti esdebitatori tali da consentire di imputare sufficienti sopravvenienze a capitale onde ripianare le perdite pregresse o ripristinarle nel minimo di legge) e, dall'altro, al tempo stesso, con la possibile (facoltativa) esclusione del diritto di opzione, ad evitare che i vecchi soci possano ancora restare incontrastabilmente – se lo vogliano - in sella alla società risanata.

Naturalmente la previsione di un aumento di capitale post-omologa implica una dissociazione soggettiva: terzi soggetti – i creditori - hanno proposto il concordato, ma sono poi i soci – sia pure tramite le ordinarie iniziative dell'organo amministrativo - che devono adempiere alla previsione di aumento del capitale, e non è detto che siano disponibili a provvedere in tal senso né i soci, né l'organo amministrativo, tanto meno dinanzi ad una previsione di aumento del capitale imposta da un terzo.

Più in generale, è ben profetizzabile che il debitore si dimostri poi restio, in fase esecutiva, a dare adempimento ad una proposta formulata da terzi soggetti.

E ancor più forte è tale rischio quando, come si diceva, sia stato previsto un aumento di capitale.

Proprio per questo il D.L. n. 83/2015 prevede che, se la società non adempie alla proposta – ed in ispecie all'aumento di capitale - nei termini previsti dal piano presentato dai creditori, il Tribunale, ferma restando la possibilità di revocare l'ammissione al concordato ex art. 173 l.fall., può, sentiti in camera di consiglio il debitore ed il commissario giudiziale, revocare l'organo amministrativo e nominare un amministratore giudiziario stabilendo la durata della sua nomina e attribuendogli il potere di compiere ogni atto necessario a dare esecuzione alla proposta, ivi inclusa, qualora tale proposta preveda appunto un aumento del capitale sociale, la convocazione dell'assemblea straordinaria dei soci avente ad oggetto la delibera di tale aumento di capitale e l'esercizio del voto nella stessa.

Peraltro, quando sia stato già nominato il liquidatore giudiziale a norma dell'articolo 182 L.F., i compiti di amministratore giudiziario possono essere a lui attribuiti.

Bene ha fatto la norma a regolare in questo modo tali ipotesi, statuendo altresì, in linea di principio, che il debitore è tenuto a compiere ogni atto necessario a dare esecuzione alla proposta di concordato presentata da uno o più creditori, qualora sia stata approvata ed omologata.

Meritevole di apprezzamento è altresì l'aggiuntiva previsione secondo cui, nel caso in cui il commissario giudiziale, nell'esercizio dei suoi poteri di vigilanza post-omologa, rilevi che il debitore non sta provvedendo al compimento degli atti necessari a dare esecuzione alla proposta concorrente omologata o ne sta ritardando il compimento, deve senza indugio riferirne al tribunale, che, sentito previamente il debitore (a tutela del contraddittorio), può attribuire al commissario giudiziale i poteri necessari a provvedere, in luogo del debitore, al compimento degli atti a questo richiesti.

In tal caso è lo stesso commissario giudiziale, in eccentrica veste extra ordinem di organo attivo (e non più solo di controllo) a dover svolgere un ruolo da commissario ad acta, per imporre l' “ottemperanza” di proposta e piano, avvalendosi dei poteri conferitigli dal Tribunale (anche eventualmente su suo suggerimento) per rimuovere ogni ostacolo che si frapponga alla rituale esecuzione.

Lo stesso soggetto che ha presentato la proposta di concordato approvata e omologata dai creditori può inoltre denunziare al tribunale i ritardi o le omissioni da parte del debitore, mediante ricorso al tribunale notificato al debitore e al commissario giudiziale, con il quale può chiedere al tribunale di attribuire al commissario giudiziale i poteri necessari a provvedere in luogo del debitore al compimento degli atti a questo richiesti.

Si tratta di un ventaglio di soluzioni “coattive” a tutela della proposta competitiva che credo, francamente, siano di tale potenziale efficacia ai fini del rituale e completo adempimento degli obblighi concordatari da indurmi a suggerire di estenderle a qualsiasi proposta di concordato, anche a quelle formulate dallo stesso debitore, quando si verifichino analoghe ipotesi di inadempimento, potendosi in tal modo evitare il passaggio pletorico della procedura di risoluzione, che – come si sa - può promuoversi solo su istanza dei creditori, unici legittimati a farlo; procedura che – a ben vedere – è non soltanto meccanismo rozzo e poco efficiente, ma che sottende anche una forma di resa alla volontà del debitore inadempiente (ed in tal senso anche recidivo, essendo stato già inadempiente agli obblighi contrattuali originariamente assunti, tanto da volersi poi esdebitare tramite concordato).

La disciplina che prevede forme di “esecuzione coattiva” degli obblighi concordatari in via sostitutiva è del resto finalizzata non solo alla tutela dei proponenti, ma ancor di più alla tutela della massa dei creditori, che possono confidare in tal modo su una ben più probabile esecuzione degli obblighi concordatari.

Non si vede dunque perché i creditori debbano essere tutelati in misura maggiore quando la proposta provenga da un altro creditore, rispetto al caso in cui la proposta provenga dal debitore.

Non è escluso, peraltro, che tale disparitaria tutela possa dar luogo, per quanto motivata da due fattispecie soggettivamente differenziate, a dubbi di legittimità.

Ad integrazione dell'art. 175 si prevede poi che, nell'adunanza dei creditori, il commissario giudiziale debba illustrare, insieme alla sua relazione, le proposte definitive del debitore e quelle eventualmente presentate dai creditori.

Ciascun creditore può esporre le ragioni per le quali non ritiene ammissibili o accettabili le proposte di concordato e sollevare contestazioni sui crediti concorrenti. Analogo diritto spetta al debitore, che può esporre a sua volta le ragioni per le quali non ritiene ammissibili o accettabili le eventuali proposte concorrenti, ed altresì rispondere e contestare a sua volta i crediti. Ha peraltro il dovere di fornire al giudice gli opportuni chiarimenti.

In sede di adunanza sono sottoposte alla votazione dei creditori tutte le proposte presentate dal debitore e dai competitors, seguendosi, per queste ultime, l'ordine temporale del loro deposito.

A modifica dell'art. 177 si prevede che, quando sono poste al voto più proposte di concordato, si considera approvata la proposta che ha conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto; in caso di parità, prevale quella del debitore o, in caso di parità fra proposte concorrenti, quella presentata per prima.

I criteri suppletivi previsti dalla norma scattano quando vi sia parità (ipotesi per la verità alquanto remota), e si basano su una preferenzialità di taglio soggettivo (vince il debitore, se è rimasto in lizza fra proposte parimenti votate, vince il soggetto che ha fatto la proposta per primo, in caso di concorso con altri competitors).

Il criterio principale basato sulla maggioranza dei voti, solo in apparenza unitario, in realtà non prescinde dalla necessità che sia sussistente anche l'ulteriore maggioranza richiesta quando una proposta preveda la suddivisione dei creditori in classi. Se vi siano una o più proposte concorrenti che prevedano la suddivisione in classi occorre infatti che sia integrata anche la maggioranza relativa alle classi. Lo si comprende in quanto la norma prosegue statuendo espressamente che, quando nessuna delle proposte concorrenti poste al voto sia stata approvata con le maggioranze “di cui al primo e secondo periodo del presente comma”, il giudice delegato rimette al voto la sola proposta che ha conseguito la maggioranza relativa dei crediti ammessi al voto. E per l'appunto le maggioranze “di cui al primo e secondo periodo del presente comma” sono la maggioranza riferita a tutti i crediti ammessi al voto e quella riferita ai crediti relativi al maggior numero di classi.

Può discutersi sul se, la necessità che vi sia la doppia maggioranza in caso di proposte con classi, sia congruente in presenza della possibilità che una o più delle altre proposte non prevedano alcuna classe. In questa ipotesi, infatti, la sola proposta con previsione di classi risulta svantaggiata, data la necessità che ricorra la doppia maggioranza.

Potrebbe allora ipotizzarsi, per riportare l'iter di voto ad una maggiore razionalità – ma siamo in un campo in cui tutte le ipotesi e proposte sono altamente opinabili -, che la doppia maggioranza debba ricorrere solo quando tutte le proposte prevedano classi, mentre basti la sola maggioranza dei crediti ammessi al voto sia quando manchi qualunque proposta con classi, sia quando ve ne sia solo qualcuna.

Il decreto del giudice delegato va adottato entro trenta giorni dal termine di cui al quarto comma dell'articolo 178 (ossia dal ventesimo giorno successivo alla chiusura del verbale di adunanza) e con esso il Giudice fissa l'ulteriore termine per la comunicazione ai creditori (si suppone del decreto medesimo e dell'esito del voto con l'indicazione della proposta su cui votare), nonché il termine a partire dal quale i creditori, nei venti giorni successivi (così di fatto riaprendosi l'intervallo temporale finalizzato all'espressione del voto post-adunanza), possono far pervenire il proprio dissenso con le modalità previste dal predetto articolo. Il che significa che la prima votazione non è senza effetto, ma sortisce l'effetto di rendere possibile lo svolgimento della fase in cui possono esprimersi voti di dissenso, fatto salvo che il silenzio equivale ad assenso.

In ogni caso – ribadisce la nuova formulazione normativa - si applicano il primo e secondo periodo del presente comma, e quindi, se la proposta che, avendo ottenuto la maggioranza relativa, deve essere nuovamente sottoposta al voto dei creditori, contiene la suddivisione dei creditori in classi, ad essa si applica il doppio quorum (maggioranza dei voti e delle classi).

Non è chiarissimo perché il giudice delegato debba indicare un termine entro cui la comunicazione ai creditori deve essere effettuata.

Infatti non è ipotizzabile che dal ritardo possa derivare una qualche conseguenza invalidante, visto che la seconda fase prevista ai fini del voto (silenzio assenso o dissenso) decorre dall'ulteriore termine fissato dal giudice delegato a questo specifico fine.

Naturalmente il problema invece si porrebbe:

  • se il giudice delegato indicasse il secondo termine in data fissa (ad es. dal 10 giugno, dall'8 luglio ecc.) e non piuttosto indicandolo con un tot numero di giorni dopo il primo termine, soluzione, quest'ultima, che, rendendo mobile il secondo termine, non determinerebbe mai alcuna sovrapposizione cronologica;

  • e se la comunicazione del decreto tardasse fino ad oltrepassare il secondo termine.

In tale remota ipotesi mi pare che, semplicemente, il giudice delegato dovrebbe fissare nuovamente i suddetti termini, anche perché un'eventuale sanzione decadenziale di carattere invalidante potrebbe immaginarsi solo se il giudice delegato dovesse porre l'onere della comunicazione del decreto in capo ad una delle parti private, debitore o creditori proponenti, il che mi pare però da escludere, giacché l'unico soggetto in grado (o comunque più in grado degli altri) di fare una rituale e tempestiva comunicazione estesa a tutti i creditori ammessi al voto è il commissario giudiziale, e non riesco ad immaginare una sanzione che ridondi in danno delle parti private per un comportamento addebitabile al commissario giudiziale.

Se, però, tale idoneità ad effettuare la comunicazione non dovesse riconoscersi in capo al solo commissario giudiziale, e si reputasse che l'onere debba porsi in capo alle parti private, il giudice delegato dovrebbe avere l'accortezza di porlo espressamente a carico della parte più diligente, lasciando in tal modo libera ciascuna di determinare le conseguenze invalidanti che, in tale ipotesi, inevitabilmente deriverebbero dall'inadempimento.

Questa seconda ipotesi mi pare però da non preferire, dato l'inutile dispendio di attività e di costi che essa implicherebbe se la comunicazione fosse ripetuta due o più volte per tutti i creditori ad iniziativa del debitore e di tutti i creditori proponenti.

La norma prevede altresì il diritto di voto sulla propria proposta da parte degli stessi creditori che la presentano, ma solo se collocati in un'autonoma classe.

Ciò evidentemente per evitare il rischio che siano annegati in un unico “calderone” i voti dissenzienti, oltre che per la obiettiva posizione d'interesse in conflitto, da qualificare quantomeno palesemente “diversa” rispetto a quelli degli altri creditori, che hanno i creditori proponenti, sì da giustificare per ciò stesso la formazione di una classe autonoma e separata.

Naturalmente resta la possibilità di non prevedere affatto alcuna classe, ma in tal caso – com'è chiaro - i suddetti creditori proponenti non potranno votare.

Non si può dunque concludere, alla stregua di tale disciplina, che sia stato introdotto un caso in cui la formazione delle classi è obbligatoria, tale obbligo scattando solo in presenza di una scelta che comunque il creditore proponente è in grado di fare liberamente, essendo condizionata solo dall'interesse o meno a votare.

Qualora poi la proposta concorrente preveda diverse classi di creditori, essa, prima di essere comunicata ai creditori ai sensi del secondo comma dell'articolo 172, dovrà essere sottoposta – precisa la norma con inciso invero superfluo - al giudizio del tribunale, che dovrà verificare la correttezza dei criteri di formazione delle diverse classi. L'inciso è superfluo, non essendovi ragione di effettuare tale controllo quando la proposta con classi sia fatta dal debitore, e di non effettuarlo quando la proposta sia fatta da altri.

Alla stregua della complessa e ben articolata disciplina fin qui descritta, la possibilità, completamente innovativa, che siano formulate più proposte concorrenti di concordato va vista - a prescindere dall'inevitabile allungamento dei tempi e delle maggiori attività processuali che comporta - con estremo favore.

Non è dubbio, infatti, che tale soluzione realmente promuova, secondo l'intendimento proclamato nell'epigrafe del

D.L. n. 83/2015

, la contendibilità delle imprese in concordato preventivo in modo da incentivare (e per ciò stesso conformare) condotte virtuose dei debitori in difficoltà e favorire esiti efficienti dei tentativi di ristrutturazione.

Non può sottovalutarsi che, in tal modo, i debitori cominceranno a ponderare assai meglio se, ed in che misura, sia per essi conveniente sottoporre ai creditori proposte prevedendo il loro pagamento in percentuali irrisorie, o comunque inferiori al 40%, visto che in tali casi scatta eo ipso la contendibilità aperta ai creditori.

La misura del 40%, che ripete il vecchio limite-soglia di fattibilità minimale del concordato previsto nel testo antevigente dell'art. 160, è stato qui saggiamente riproposto sub specie di condizione rilevante ai soli fini della libera contendibilità, ma nella sostanza finisce per operare anche come limite di ammissibilità, sia pure solo indirettamente, visto che, per l'appunto, ridimensiona effettualmente i casi in cui il debitore rischierà – con azzardo morale - di fare proposte concordatarie che contengano promesse di pagamento sotto tale soglia.

Al tempo stesso, però, la possibilità di fare proposte concorrenti ridonda a vantaggio del debitore almeno nei casi in cui la sua proposta dovrebbe considerarsi per le più varie ragioni soggetta a revoca o a non omologabilità, e vi siano al tempo stesso istanze o richieste di fallimento pendenti e fondate.

È da presumere, infatti, che la formulazione di valide proposte alternative sia idonea a sottrarre comunque il debitore al rischio del fallimento in cui potrebbe incorrere a causa della revoca o della non omologazione della sua proposta originaria, atteso che, anche se la proposta poi vittoriosa promani da un competitor, ciò non dovrebbe implicare il venir meno del beneficio dell'esdebitazione che con la sua proposta originaria il debitore intendeva perseguire (del resto, secondo quella che deve reputarsi quale situazione normale, le proposte dei competitors avranno come base di partenza, secondo quanto già osservato prima, l'utilizzo dei beni del debitore, e dunque costui comunque li perderà a beneficio dei creditori, secondo l'ordinario scambio che ne giustifica appunto l'esdebitazione).

Pongo qui la soluzione come necessitata sul piano della logica interpretativa, ma con il dubbio che non sia moralmente giusta, poiché il debitore finisce così per sfuggire al fallimento e per profittare, senza nemmeno che l'abbia voluto, dell'intervento di terzi soggetti ai fini remissori, in forza di un'eccentrica dissociazione soggettiva e processuale.

Segue. Integrazione necessaria del contenuto della proposta: finalmente si precisa che vi è l'obbligo di indicare la percentuale di pagamento promessa. L'insegnamento del concordato San Raffaele

Ho poco sopra parlato di promesse di pagamento.

Non ho senza ragione utilizzato quest'espressione, che evoca una querelle ormai risalente, la quale vede contrapposto lo schieramento di chi ha sempre reputato e reputa – come il sottoscritto - che non abbia senso consentire al debitore di traslare per intero il rischio di incapienza sui creditori, omettendo di prendere una precisa posizione sui termini quantitativi della proposta, quasi che possa accettarsi quest'ultima al buio, senza nemmeno sapere quando, come e in che misura il debitore si impegna a pagare i creditori (pur fruendo dell'esdebitazione per la parte che dovesse restare insoddisfatta).

Una possibilità che però la S. Corte – dando sfogo all'opposto schieramento – ha nondimeno considerato del tutto “normale” in alcune sue recenti sentenze (sentenza resa a SS.UU. Cass. 23 gennaio 2013 n. 1521), sostenendo che un tale obbligo non è previsto dalla legge e che dunque il debitore può limitarsi a generiche profferte, senza nemmeno promettere, ma solo prospettare indicativamente, un determinato esito satisfattivo.

Eppure, dovrebbe esser chiaro che il concordato preventivo si decausalizza del tutto quando manca un preciso impegno di pagamento, poiché esso acquista allora portata del tutto aleatoria, sottraendosi di fatto anche al rischio di una risoluzione per inadempimento, arduo risultando ravvisare i presupposti di riconoscibilità di un inadempimento (per di più grave) quando un impegno sul quantum e sulle modalità satisfattive mai sia stato assunto, e nemmeno semplicemente prospettato (cfr. Lamanna, Il controllo giudiziale sulla fattibilità e la convenienza nel giudizio di omologazione del concordato preventivo, in ilFallimentarista.it).

Ebbene, l'art. 4 del D.L. n. 83/2015 fa apprezzabilmente sua la prima suindicata interpretazione, che in giurisprudenza è stata con più forza affermata in occasione del concordato San Raffaele (Fondazione Centro San Raffaele del Monte Tabor, su cui Tribunale di Milano, 10 maggio 2012, decr.; nonché, tra i numerosi contributi, Ivone – Macario, Concordato preventivo della fondazione esercente attività d'impresa e poteri del Tribunale nella disciplina della liquidazione, in ilFallimentarista.it; Conca, Il rapporto tra autonomia privata e controllo giudiziale nel concordato preventivo, ivi), ove si statuì per l'appunto che requisito della proposta, anche in caso di cessione di beni e non solo in caso di concordato ristrutturatorio o promissorio (o per garanzia, come si usava dire un tempo), è (anche) la precisazione del trattamento percentuale che si promette di realizzare in favore dei creditori chirografari.

Il D.L. n. 83/2015, infatti, con l'inserimento di un apposito inciso nell'articolo 161, primo comma, lettera e), esige che, in ogni caso, e dunque in ogni figura o tipologia di concordato, sia esso o meno con cessione dei beni, la proposta debba procurare in favore di ciascun creditore una utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile.

Il riferimento alla necessità che sia individuata specificamente l'utilità che si intende procurare in favore di ciascun creditore corrisponde evidentemente proprio allo scopo di rendere ancor più chiaro quello che già poteva considerarsi un obbligo esplicito di indicare il quantum offerto e promesso ai creditori (direttamente o come controvalore di una utilità diversa) laddove la norma, ora nuovamente modificata, già era stata integrata in occasione del “Decreto Sviluppo” con l'inserimento dello specifico requisito della “descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta”.

Ho avuto già modo di evidenziare in un primo commento al “Decreto Sviluppo” come il riferimento alle modalità, oltre che ai tempi di adempimento della proposta, implicasse la necessità di indicazione della percentuale di pagamento, ma ora tale necessità trova conforto ancor più evidente nella specificazione dell'utilità che si intende procurare in favore di ciascun creditore, ove l'espressione “procurare un'utilità” è certamente più comprensiva dell'espressione “promessa di pagamento in una determinata percentuale”, poiché consente di includervi anche i casi di concordati in cui non un pagamento venga proposto, ma un'utilità appunto diversa (datio in solutum, attribuzione di azioni, ecc.); comprendendo tuttavia anche l'esigenza di indicare la percentuale di pagamento, quando proprio il pagamento di somme di denaro sia l'oggetto della proposta, esigenza che peraltro si estende di riflesso in via generale in forza dell'altra, concorrente, secondo cui è comunque necessario dare un valore economicamente valutabile ad un'utilità diversa dal denaro.

Non solo: un conforto ancor maggiore, se possibile, viene da un riscontro incrociato effettuabile proprio con la nuova disciplina delle proposte concorrenti, giacchè non a caso tra le modifiche apportate all'art. 163 vi è anche quella, già esaminata, secondo cui “la presentazione di proposte di concordato concorrenti è consentita solo qualora la proposta di concordato del debitore non contenga l'impegno al pagamento, ancorché dilazionato, di almeno il quaranta per cento dell'ammontare dei crediti chirografari”.

Come si vede, la norma parla apertamente di impegno al pagamento dei creditori chirografari nella percentuale del 40%, con ciò recidendo del tutto il nodo gordiano e chiarendo con forza imperativa che un impegno di pagamento, ossia una promessa, deve sempre esserci, e che essa va espressa in percentuale, sì da potersi poi verificare se, essendo il pagamento promesso inferiore al 40%, possano farsi proposte concorrenti.

Le offerte concorrenti e competitive di acquisto di azienda e beni: ancora l'insegnamento del concordato San Raffaele

Introducendo ex novo nella legge fallimentare, con l'art. 2 del D.L. n. 83/2015, l'art. 163-bis il legislatore ha fatto buon uso dell'interpretazione virtuosa e vincente applicata anche in tal caso dal Tribunale di Milano in occasione della procedura di concordato preventivo San Raffaele.

In quell'occasione, pur dichiarando aperta la procedura di concordato per cessione dei beni, tra i quali era compresa la nota azienda ospedaliera in pieno esercizio, il Tribunale di Milano segnalava varie criticità connesse al modo in cui era stata formulata la proposta, tramite cd. pacchetto preconfezionato.

In particolare, il Tribunale individuava un potenziale conflitto di interessi per la situazione in cui si trovavano gli investitori rispetto alla Fondazione (gli investitori risultavano sia membri della NewCo in cui – secondo la proposta concordataria - doveva essere conferita l'azienda ospedaliera San Raffaele, sia membri del CdA della Fondazione che aveva proposto il concordato), per le modalità con le quali era stato individuato il prezzo di cessione delle azioni della costituenda NewCo e per la qualità dei soggetti che ne sarebbero stati gli acquirenti (appunto gli investitori). Problematica era soprattutto la presenza di un preliminare che non consentiva di modificare il prezzo o di sondare se vi fossero altri soggetti interessati all'acquisto dell'azienda ospedaliera che avrebbero potuto offrire di più.

Il Tribunale fece chiaramente intendere che tale proposta, in presenza tanto più di una situazione di conflitto d'interessi, poteva porsi in contrasto con il fine di massimizzazione della recovery dei creditori emergente dalla disciplina imperativa posta in tema di liquidazione con modalità competitive in caso di concordato per cessione dei beni (art. 182 l.fall.), con la conseguenza che la Fondazione ricorrente si rese subito disponibile ad aprire nuovamente al mercato la cessione dell'azienda ospedaliera tramite una procedura di gara finalizzata a verificare, già prima di giungere al voto dei creditori, se vi fossero altri investitori interessati all'acquisizione delle azioni della NewCo da costituire ad hoc, in cui sarebbe confluito il ramo ospedaliero, per un prezzo maggiore di quello offerto dagli investitori iniziali.

Fu realizzata un'ampia operazione pubblicitaria della vendita competitiva sia tramite siti internet sia tramite giornali nazionali e fu messa a disposizione dei potenziali offerenti una data room con tutte le informazioni societarie ed aziendali riguardanti la vendita.

Alla fine, pervenne un'offerta (per 405 milioni di euro) superiore di ben 155 milioni di euro a quella fatta inizialmente dagli investitori individuati dalla Fondazione, offerta che fu evidentemente accettata da quest'ultima e resa parte del piano concordatario.

Successivamente si svolse l'adunanza dei creditori, che recepì la proposta con un voto favorevole a larghissima maggioranza, tenuto conto che con il maggior prezzo realizzato con la procedura competitiva si prevedeva di poter pagare un significativo spread aggiuntivo ai chirografari rispetto alla quota inizialmente prospettata, giungendosi ad una soddisfazione oscillante tra il 60 e il 70%, ferma restando la salvaguardia contemporanea – attraverso la conservazione del complesso aziendale - di circa 5.000 posti di lavoro, congiuntamente alla conservazione dei valori dell'indotto del San Raffaele.

Ebbene, il legislatore sembra aver strutturato la nuova norma proprio sulla falsariga delle regole pratiche ideate dal Tribunale di Milano nella detta occasione, sebbene in modo certamente ancora migliorabile.

Di fatto, la previsione riguarda proprio il caso in cui il piano concordatario preveda la cessione dell'azienda (oltre che di altri beni) quando essa sia stata oggetto di un pacchetto preconfezionato, ossia quando già sia stato individuato un compratore.

La norma non pone limiti in rapporto alle modalità con cui l'offerta di acquisto sia stata in concreto formulata, e quindi sembra applicabile sia al caso in cui si tratti di un'offerta semplice, sia di un'offerta irrevocabile, sia di un vero e proprio preliminare.

La norma parla infatti di “una offerta da parte di un soggetto già individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore e verso un corrispettivo in denaro dell'azienda o di uno o più rami d'azienda o di specifici beni”, nozione talmente ampia da poter ricomprendere varie tipologie negoziali, sia unilaterali che bilaterali.

Tuttavia, chiaramente, la norma minus dixit quam voluit. Infatti, a ben riflettere, l'area reale della sua applicazione va individuata solo laddove l'offerta sia stata conformata in modo da impegnare il debitore in concordato a darle obbligatoria attuazione. Se così non fosse, la norma sarebbe del tutto superflua, non potendo avare un'autonoma funzione.

Ciò perché finora non si è mai dubitato, né vi era ragione di dubitare, che se il debitore non si sia impegnato in alcun modo a vendere l'azienda all'offerente, ossia si sia solo limitato a raccogliere, e poi ad indicare nel piano, una semplice offerta d'acquisto proveniente da un terzo (che, secondo l'esperienza pratica, quasi sempre è quanto meno irrevocabile), non vi è alcun problema a porla in competizione con altre possibili offerte aprendosi la vendita al mercato, e ciò per la duplice ragione, da un lato, che la vendita di aziende o altri beni pertiene ordinariamente al tipo “concordato liquidatorio con cessione dei beni”, e, dall'altro, che l'art. 182 esplicitamente prevede, con disposizione imperativa ora confermata anche dal nuovo D.L., che in tale tipologia di concordato le vendite devono effettuarsi con modalità competitive, secondo le norme procedimentali dettate con carattere cogente per il fallimento.

E siccome l'offerta di un terzo, se formulata senza la già intervenuta accettazione dell'oblato, non può che impegnare solo chi la fa, senza dar luogo ad un contratto già perfetto, ne deriva che le semplici offerte di acquisto non avrebbero potuto e non potrebbero impedire l'apertura al mercato, né impedire al liquidatore giudiziale, di conseguenza, di procedere a nuova gara con modalità competitive.

La questione, invece, si era posta allorché il pacchetto preconfezionato fosse stato tale in senso stretto o proprio, avesse cioè avuto ad oggetto un'offerta già impegnativa non solo per l'offerente, ma soprattutto per il debitore, ciò che presuppone, appunto, l'intervenuta stipula di un contratto preliminare o di una consimile pattuizione.

Chiaro allora che proprio per tali evenienze ha senso che il D.L. abbia escluso la perdurante vincolatività dell'obbligo assunto dal debitore nel piano o con atto separato, ponendo la procedura nelle condizioni, quando sia opportuno, di rimetterlo in discussione con l'apertura al mercato tramite fissazione di una gara competitiva. Ma ciò – beninteso - solo quando sia opportuno (laddove, dinanzi a semplici offerte unilaterali, in forza dell'art. 182 la gara dovrebbe invece svolgersi sempre e comunque).

Se, infatti, il commissario giudiziale ha ora l'obbligo di valutare sempre l'offerta, non necessariamente sempre dovrà procedersi a gara.

In ogni ipotesi scatta uno specifico obbligo in capo al commissario: egli è tenuto a valutare sempre, motivando le proprie conclusioni, la congruità dell'offerta, tenuto conto dei termini e delle condizioni della stessa, del corrispettivo e delle caratteristiche dell'offerente.

Fa qui capolino non solo il caso, appena considerato, del preliminare, quale possibile condizione con cui l'offerta può essere stata formulata; ma soprattutto la situazione di conflitto d'interesse eventualmente correlata alle caratteristiche soggettive dell'offerente.

Queste, nell'originario disegno del decreto sull'Investment Compact, erano state specificamente contemplate con riferimento alla nozione di parti correlate (nozione per di più evocata con specifico rinvio ai principi contabili internazionali adottati dall'Unione europea, e non a caso la bozza della Relazione predisposta in quell'occasione precisava che: “nella prassi, il piano concordatario prevede non di rado la cessione dell'azienda o del ramo d'azienda dell'impresa in crisi a terzi. Non vi è però in genere garanzia che le condizioni economiche pattuite con il terzo assicurino il miglior realizzo dell'azienda e dunque sia massimizzata la recovery dei creditori concordatari. Questo rischio risulta particolarmente elevato nei casi in cui la controparte del debitore non sia terza e indipendente rispetto a quest'ultimo”).

Nella versione attuale tale profilo non viene riproposto expressis verbis, ma trasfuso nelle pieghe del riferimento alle qualità soggettive dell'offerente, soggette a controllo da parte del commissario giudiziale.

La scelta, così intesa, è da valutare positivamente, poiché evita anzitutto di aprire al mercato le sole offerte provenienti da parti correlate, laddove il rischio che il prezzo inizialmente offerto sia inferiore ai prezzi di mercato può ben ricorrere evidentemente anche in situazioni di conflitto d'interesse non tecnicamente riconducibili alla nozione di parti correlate e comunque anche al di fuori dei rapporti di gruppo fra parti correlate; inoltre, si evitano in tal modo possibili contenziosi proprio sull'esistenza o meno in concreto dei presupposti per definire correlata la parte offerente.

Del resto, potrebbe risultare anche abbastanza facile dissimulare la propria qualità di parte correlata, il che però potrebbe rendere ancora più probabile il sorgere di contenziosi, anche di natura penale, per impedire che abbia poi seguito l'offerta preconfezionata. Questo rischio viene invece sviato dalla norma, che consente al commissario giudiziale di valutare autonomamente (ed in modo aperto ad ogni possibile variante) se l'offerta sia stata inquinata dalle cointeressenze fra debitore proponente e terzo offerente.

È appena il caso di osservare che tali rischi si ripropongono tali e quali anche in caso di preconfezionato affitto d'azienda, e proprio per tale ragione le modalità di apertura al mercato stabilite per le vendite sono dalla norma poi nuovamente imposte anche per l'affitto d'azienda e per altri eventuali atti di straordinaria amministrazione da autorizzare ai sensi dell'art. 161, comma 7, l. fall. Chiaro peraltro che il commissario giudiziale prima, ed il Tribunale poi, non si avvarranno del potere (che resta comunque discrezionale) di rilevare la situazione di conflitto e di disporre la procedura competitiva laddove sia evidente che l'individuazione dell'acquirente, per quanto parte correlata, sia già avvenuta con modalità tali, prima della presentazione della domanda di concordato preventivo, da escludere ogni fine elusivo. E così in ogni altro caso in cui sia possibile pervenire ad analogo convincimento.

Nel caso invece in cui il commissario ritenga, alla luce di manifestazioni di interesse comunque pervenute, e del valore dell'azienda o del bene, che l'offerta contemplata dal piano possa non corrispondere al miglior interesse dei creditori ai fini della più conveniente recovery, potrà chiedere al tribunale, con istanza motivata, di aprire un procedimento competitivo.

Quella del commissario giudiziale è dunque non una semplice proposta, ma un'istanza vera e propria, che implica una decisione.

Ed infatti la norma statuisce che il tribunale, sentito il commissario, decide sull'istanza in oggetto, tenuto conto del valore dell'azienda o del bene, nonché della probabilità di conseguire una migliore soddisfazione dei creditori.

Peraltro la norma, con ulteriore inciso, soggiunge: “ovvero dispone d'ufficio l'apertura di un procedimento competitivo”, soluzione alternativa che non deve considerarsi contraddittoria, pur dinanzi alla prevista necessità di decidere sull'istanza ad hoc che può essere presentata dal commissario giudiziale.

L'inciso va infatti ricollegato all'ipotesi in cui un'istanza del commissario giudiziale non sia stata presentata, ma il Tribunale si convinca lo stesso, secondo il suo prudente apprezzamento, dell'utilità di disporre l'apertura al mercato, sulla base del parere motivato che il commissario giudiziale deve in ogni caso sottoporgli, anche quando egli ritenga di non proporre l'istanza per l'apertura di una gara competitiva. In questo caso, evidentemente, il Tribunale deciderà appunto ex officio.

La norma non specifica se il Tribunale debba provvedere con decreto motivato, ma deve ritenersi che il decreto necessiti di una motivazione quantomeno nel caso in cui il Tribunale decida l'apertura della gara competitiva ex officio, visto che in tale ipotesi di fatto assume un orientamento contrario rispetto a quello del commissario giudiziale, non avendo questi ritenuto di presentare l'apposita istanza finalizzata all'apertura della gara.

Quando invece il Tribunale accoglie l'istanza del commissario giudiziale, la motivazione può reputarsi superflua, di fatto accogliendosi le motivazioni spese nell'istanza del commissario giudiziale, che deve essere infatti motivata per espressa previsione normativa.

Una motivazione sembra peraltro necessaria, per la medesima ma opposta ragione, quando il Tribunale rigetti l'istanza, poiché è opportuno che esplichi allora le ragioni – che ha ritenuto determinanti ai fini decisori - contrarie ai motivi indicati dal commissario giudiziale.

L'offerta ed il piano – soggiunge la norma - possono prevedere che il trasferimento abbia luogo prima dell'omologazione.

Anche questa scelta sembra far suo l'insegnamento del San Raffaele (in cui la gara fu svolta prima della votazione dei creditori), ma superandolo addirittura, visto che non solo la gara, ma anche il trasferimento si prevede possano avvenire prima dell'omologa.

Tuttavia la gara fra più eventuali offerenti deve concludersi comunque prima dell'adunanza dei creditori, anche quando il piano prevede che la vendita o l'aggiudicazione abbia luogo dopo l'omologazione, ed evidentemente a maggior ragione quando l'offerta ed il piano prevedano che il trasferimento abbia luogo prima dell'omologazione.

Con ciò si cautela il diritto dei creditori ad accettare o meno la proposta in sede di votazione avendo già piena contezza dell'esito dell'offerta di cessione.

È appena il caso di evidenziare che la norma prevede la possibilità (non dunque la necessità o l'obbligo), di dar corso ad una procedura di vendita competitiva, lasciando ampia discrezionalità decisoria al Tribunale.

Inoltre il legislatore ha giustamente previsto una grande latitudine ai fini dell'operatività della vendita competitiva, senza limitazioni nemmeno dipendenti dall'eventuale riconducibilità della fattispecie concordataria liquidativa alla sottospecie del concordato con continuità aziendale, ciò che avrebbe potuto ridurre l'applicabilità dell'istituto in quei Tribunali che reputano che il difetto di uno dei requisiti per l'integrazione della figura del concordato con continuità aziendale determini non già, come la norma sembrerebbe autorizzare a pensare, la sola perdita degli speciali benefici concessi a tale figura di concordato, ma addirittura l'inammissibilità dello stesso.

La scelta favorevole alla procedura di gara, quando viene fatta, s'impone nonostante la ricorrenza di una situazione che dovrebbe escludere qualunque gara.

Infatti l'esistenza di un'offerta di acquisto, e ancor più di un possibile contratto preliminare preesistente, che, già individuando il compratore nonché misura e modalità di realizzo del prezzo, prima avrebbe potuto considerarsi intangibile (salvo adottare l'interpretazione offerta dal Tribunale di Milano, basata sull'idea di una nullità conseguente a violazione/elusione della norma imperativa – l'art. 182 l. fall. - che pone come regola principe quella della gara o di consimile modalità competitiva di realizzo, potendo certamente considerarsi finalizzata, la previa stipula del contratto preliminare di cessione, ad eludere tale norma), ora viene considerata ex lege, momentaneamente, tamquam non esset sì da non ostacolare la messa in atto di una procedura di vendita competitiva.

Inoltre è considerevole che la procedura sia posta in essere anticipatamente rispetto a quella che, in mancanza di un contratto pregresso di cessione, dovrebbe svolgersi (solo, o almeno di norma) dopo l'omologa.

La stessa procedura di vendita viene conformata sulla falsariga della prassi milanese, tanto che si prevede anche la cautela della predisposizione di meccanismi informativi modellati sulla data room e un ampio ricorso alle forme pubblicitarie, con il potere del Tribunale di inserire anche sua sponte clausole relative al prezzo e alle modalità di garanzia ed erogazione dello stesso in funzione della tipologia di cessione (ad esempio, tenendo conto della possibilità di conferimento in una newco, laddove vi saranno probabilmente vari interessati ad approfondire le tecniche utilizzate a Milano per perfezionare la cessione delle quote e gli effetti, con la relativa decorrenza, del conferimento).

Il commissario giudiziale, in particolare, deve fornire ai creditori che ne facciano richiesta, così come nel caso di proposte di concordato concorrenti, le informazioni utili per la presentazione delle offerte ai sensi dell'articolo 163-bis nonché ogni altra informazione rilevante in suo possesso (art. 165).

Inoltre, le offerte devono essere non revocabili, cautela anche questa mutuata dal caso San Raffaele per evitare che, nelle more, si possano realizzare giochetti al ribasso tra i vari concorrenti.

Esse devono inoltre essere comparabili e non sottoposte a condizione.

La stessa offerta preconfezionata, fosse o non fosse stata già formulata come proposta irrevocabile, diviene comunque irrevocabile ex novo dal momento in cui l'offerta stessa sia modificata in conformità a quanto previsto dal decreto del Tribunale e venga prestata la garanzia stabilita con il medesimo decreto.

Peraltro, con la vendita o con l'aggiudicazione a soggetto diverso da colui che ha presentato l'offerta iniziale, quest'ultimo è liberato dalle obbligazioni eventualmente assunte nei confronti del debitore, e in suo favore il commissario dispone il rimborso delle spese e dei costi sostenuti per la formulazione dell'offerta entro il limite massimo del tre per cento del prezzo in essa indicato.

L'utilizzo dei distinti termini “vendita” e “aggiudicazione” va inteso come segue: il termine “aggiudicazione” si riferisce all'individuazione dell'acquirente finale quando venga fatta la gara competitiva tra più concorrenti, mentre il termine “vendita” si riferisce al caso in cui ci sia un unico offerente, sia esso l'offerente che abbia fatto la sua offerta prima del deposito del ricorso, o sia invece l'unico offerente che rimanga pur dopo l'apertura della procedura competitiva; in queste ultime ipotesi, infatti, non vi è luogo ad aggiudicazione in senso proprio, ma a semplice accettazione dell'unica offerta.

A proposito poi del rimborso delle spese all'originario offerente, la norma precisa che ciò è possibile solo se il trasferimento abbia luogo dopo l'omologazione.

In tal senso va intesa la frase, formulata effettivamente in modo poco chiaro: “In ogni caso, con la vendita o con l'aggiudicazione, se precedente…”, laddove “precedente” è o la vendita o l'aggiudicazione rispetto all'omologazione, evento da reputarsi richiamato per implicito, in quanto già inserito alla fine della frase immediatamente precedente (“la gara… deve concludersi prima dell'adunanza dei creditori, anche quando il piano prevede che la vendita o l'aggiudicazione abbia luogo dopo l'omologazione”).

Le offerte – che devono essere di norma segrete - sono rese pubbliche all'udienza fissata per l'esame delle stesse, alla presenza degli offerenti e di qualunque interessato.

È forse ultroneo precisare che, in difetto di una previsione in senso contrario, la presenza degli offerenti o di qualunque interessato è meramente facoltativa, sì che la loro assenza non dovrebbe inficiare l'iter competitivo.

Se sono state presentate più offerte migliorative, il giudice dispone la gara tra gli offerenti.

La nuova norma dispone che la gara può avere luogo alla stessa udienza o - tenendo conto del fatto che, come appena detto, la presenza degli offerenti all'udienza per l'esame delle offerte non è obbligatoria, sì che in caso di assenza essi vanno avvisati dell'apertura della gara - ad un'udienza immediatamente successiva.

La gara – come già precisato - deve concludersi, a garanzia del voto informato dei creditori, prima dell'adunanza dei creditori, anche quando il piano prevede che la vendita o l'aggiudicazione abbia luogo dopo l'omologazione.

Siccome la proposta ed il piano originari, quando divenga aggiudicatario un terzo offerente diverso da quello originario, non possono già contenere previsioni conformi al contenuto dell'offerta vincente, la norma impone che il debitore modifichi la proposta ed il piano di concordato in conformità all'esito della gara.

Qualora non lo faccia, è ragionevole ipotizzare una revoca del concordato ai sensi dell'art. 173 l. fall.

L'ultimo comma dell'art. 163-bis statuisce che le regole sul procedimento di vendita competitiva si applicano, in quanto compatibili, anche agli atti da autorizzare ai sensi dell'articolo 161, settimo comma, nonché all'affitto di azienda o di uno o più rami di azienda.

Come si diceva prima, anche in caso di affitto “preconfezionato”, o la cui stipulazione si chiede di autorizzare in corso di preconcordato, è utile aprire l'offerta al mercato per sondare la possibilità di realizzare le migliori condizioni.

Analoga utilità ricorre anche con riferimento a tutte le altre ipotesi in cui si debbano autorizzare atti di straordinaria amministrazione, purché assoggettabili (condizione della “compatibilità”) a procedure competitive per la scelta delle controparti contrattuali e delle migliori condizioni di stipula.

Cessioni

L'art. 182 l. fall. – come modificato dall'art. 2, comma 2, del D.L. n. 83/2015- reca ora la rubrica “cessioni”, al plurale, e tale modifica, così nuda cruda, è ad un primo esame alquanto difficile da comprendere.

In realtà, nell'originaria bozza dell'articolato sembra vi fosse anche una più corposa modifica del primo comma, prevedendosi esplicitamente, in sostanza, che un liquidatore giudiziale avrebbe dovuto essere nominato in occasione dell'omologa non solo in caso di classico concordato con cessione dei beni, il quale notoriamente implica, nella sua forma classica, la cessione di tutti i beni del debitore, ma anche quando il concordato, secondo una delle varianti considerata implicitamente possibile, prevedesse la cessione solo di alcuni beni.

Espunta tale disposizione dal testo finale, mi pare che la modifica della rubrica, laddove sostituisce il precedente riferimento alla cessione dei beni, con la lapidaria formula “cessioni”, non possa che interpretarsi nel senso che avrebbe voluto esprimere la soppressa disposizione contenuta nella presunta bozza originaria.

Se così è, non so però fino a che punto la soluzione prefigurata dal Governo sia congruente, poiché non mi consta che la prassi registri molti concordati con cessione (cessione in senso proprio), solo di alcuni beni.

Di fatto, al di fuori del classico concordato per cessio bonorum (di tutti i beni), le altre forme, genericamente definite e definibili “ristrutturatorie”, implicano sempre - per differenza - che il debitore preveda di tenere per sé tutti o almeno parte dei beni che gli appartengono, il che lo rende libero di disporne come meglio crede, poiché in tal caso i creditori accettano una mera promessa di pagamento alla luce delle garanzie di adempimento offerte, che possono consistere anche solo e semplicemente nel consistente patrimonio dell'impresa o nei flussi attesi dalla prosecuzione dell'attività aziendale.

Dinanzi a tale libertà, correlata alla struttura ed alla funzione di tali forme di concordato, la nomina di un liquidatore giudiziale quando il debitore intenda vendere solo alcuni dei suoi beni (se per cessioni si intendano gli atti di vendita) sembra inconciliabilmente incoerente dal punto di vista sistematico, per quanto in dottrina si sia autorevolmente opinato il contrario, considerando tale nomina anche in questo caso legittima ed utile (Galletti, La nomina del liquidatore giudiziale nei concordati preventivi “con continuità”, in ilFallimentarist.it).

D'altra parte la norma parla di cessioni, non di semplice vendita (o vendite) dei beni, e quindi non basta che sia prevista la vendita di beni a terzi, ma occorre che ne sia prevista la cessione ai creditori.

Sennonché, a parte il caso in cui sia prevista una cessione di alcuni beni ai creditori con efficacia immediatamente traslativa (come nella datio in solutum), la quale però non richiede per ciò stesso l'intervento di alcun liquidatore; non si vede perché il debitore dovrebbe cedere solo alcuni beni ai creditori nei termini in cui essa avviene nella cessio bonorum (ossia con l'operare di un sotteso mandato a vendere concesso - sia pure ex lege - ai creditori, e per essi al liquidatore giudiziale, che per ciò stesso diventa figura necessaria ai fini esecutivi).

Se, infatti, al di fuori del concordato per cessio bonorum (di tutti i beni), il debitore intenda vendere singoli beni, ciò può fare senz'altro da solo, e non si vede perché dovrebbe cedere quindi i singoli beni ai creditori, sì da far scattare poi la nomina di un liquidatore quale rappresentante (in senso lato) dei creditori.

Tutt'al più il debitore, se non vuol vendere i beni egli stesso, può avvalersi di un delegato o mandatario ad hoc, di natura privata, che risponda solo a lui, non certo di un liquidatore giudiziale.

Ciò chiarito, resta di formalmente nuovo l'obbligo imposto al liquidatore di dar corso alla rituale pubblicità delle gare.

Vi è peraltro anche la sostituzione del quinto comma dell'art. 182, che non appare delle più felici.

Si prevede ora che alle vendite, alle cessioni e ai trasferimenti legalmente posti in essere dopo il deposito della domanda di concordato o in esecuzione di questo, si applicano gli articoli da 105 a 108-terin quanto compatibili.

Ma gli articoli da 105 a 108-ter disciplinano le vendite con modalità competitive nel fallimento, e quindi le dette norme vanno applicate anche nel concordato sempre ai fini delle vendite da effettuare, e non quando esse siano state già poste in essere, evento cui sembra riferirsi, almeno stando alla lettera, il suddetto nuovo quinto comma, quando – utilizzando il participio passato - prevede l'applicabilità di tali norme alle vendite, alle cessioni e ai trasferimenti legalmente posti in essere (non da porre in essere) dopo il deposito della domanda di concordato o in esecuzione di questo. Siccome mi pare che applicare quelle norme a vendite già eseguite sia un fuor d'opera, è auspicabile che in sede di conversione l'improprietà espressiva venga emendata.

La disposizione peraltro si segnala, nel merito, per prevedere innovativamente la possibilità che le vendite, le cessioni e i trasferimenti siano posti in essere anche durante la fase endo-procedimentale concordataria, dopo il deposito della domanda di concordato e prima dell'omologa (oltre che successivamente ad essa).

Naturalmente tale eventualità – per quanto possa essere prevista già nel piano - può realizzarsi solo previa autorizzazione giudiziale, le vendite essendo comunque atti di straordinaria amministrazione (art. 167 l. fall.) e la stessa disposizione in esame esigendo che l'atto traslativo sia posto in essere “legittimamente”, e quindi previa necessaria autorizzazione legittimante.

Dopo l'omologa, invece, le medesime vendite vanno autorizzate dal comitato dei creditori, come già previsto dal testo previgente.

Infine, si prevede che la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo, siano effettuati su ordine del giudice, salvo diversa disposizione contenuta nel decreto di omologazione per gli atti a questa successivi.

Sulla prima parte della norma nulla da commentare; quanto alla seconda parte, il riferimento ad un'eventuale diversa disposizione contenuta nel decreto di omologazione per gli atti a questa successivi è talmente generico da indurre a pensare che il Tribunale, con il decreto di omologa, possa dettare le più svariate disposizioni sulla sorte delle efficienze trascrizionali ed iscrizionali.

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