Speciale Decreto “contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzione di moratoria

Filippo Lamanna
29 Giugno 2015

Nel quarto focus sul Decreto “contendibilità e soluzioni finanziarie” (D.L. 27 giugno 2015, n. 83, «Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria»), vengono analizzati i due nuovi istituti dell'accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e della convenzione di moratoria.
Accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzione di moratoria

L'

art.

9

del D.L. n. 83/2015

introduce l'art. 182-septies con il quale vengono disciplinati due nuovi istituti nel quadro della crisi che il capo IV definisce “Crisi d'impresa con prevalente indebitamento verso intermediari finanziari”: 1) l'accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari; 2) e la convenzione di moratoria.

Prerequisito perché possano applicarsi i due nuovi istituti è che ricorra appunto una “crisi d'impresa con prevalente indebitamento verso intermediari finanziari”, per tale intendendosi, a tenore del dettato di cui al primo comma, quella in cui un'impresa abbia debiti verso banche e intermediari finanziari in misura non inferiore alla metà dell'indebitamento complessivo.

Pertanto si ritaglia in tal modo, all'interno dell'area più vasta in cui possono trovare applicazione gli accordi di ristrutturazione dei debiti

ex art. 182-

bis

l. fall

., un'area più ristretta in cui rientrano i casi in cui le passività bancarie abbiano carattere di sostanziale prevalenza quantitativa (anche se la specificazione della misura non inferiore alla metà dell'indebitamento complessivo lascia intendere che – almeno in astratto – i debiti bancari non debbano essere necessariamente in maggioranza, ma possano attestarsi sulla soglia del 50%).

L'esperienza di questi ultimi anni insegna però che situazioni di tal genere sono tutt'altro che infrequenti, ed anzi probabilmente sono quelle più ricorrenti.

Pertanto i due nuovi istituti potrebbero trovare, almeno in teoria, ampio spazio di applicazione.

Sempre che, naturalmente, essi si rivelino effettivamente appetibili anche in concreto per le imprese in crisi, nel qual caso potrebbero anche dare nuova linfa alla soluzione delle crisi mediante accordi di ristrutturazione dei debiti

ex art. 182-

bis

l. fall

., strumento che ha finora registrato scarso successo tra gli operatori, per il maggiore appeal che ha avuto invece il concordato preventivo, anche perché non soggetto – tra l'altro - ai limiti di consenso (almeno il 60% del monte crediti) previsti per gli accordi, ed essendo altresì in grado di produrre i suoi effetti anche rispetto ai creditori dissenzienti, diversamente dagli accordi, inapplicabili – com'è noto - ai creditori estranei, se non per quanto attiene ad un modesto slittamento dei termini di pagamento contrattualmente previsti (centoventi giorni dall'omologazione, in caso di crediti già scaduti a quella data, ovvero centoventi giorni dalla scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti alla data dell'omologazione).

E non a caso, dunque, l'art. 182-septies ha voluto ridimensionare proprio con i due nuovi istituti questi aspetti di principale distinzione tra accordi e concordato, anche se solo il primo dei due istituti è destinato ad operare entro la medesima area di applicazione degli accordi (ossia l'accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari), mentre il secondo (la convenzione di moratoria) può trovare applicazione in uno spazio diverso e, per certi versi, più ampio.

L'accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari

Quanto all'accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari, la nuova norma già esordisce con una puntualizzazione volta a far comprendere che tale istituto può produrre effetti anche verso i creditori non aderenti, sia pure limitatamente a quelli di natura bancaria.

Si statuisce infatti che, quando può trovare applicazione l'accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari secondo i presupposti e requisiti indicati nei commi successivi, la disciplina di cui all'articolo 182-bis deroga – limitatamente ai creditori bancari (giacchè restano fermi – ha cura di precisare la norma - i diritti dei creditori non finanziari) - agli

artt.

1372

e

1411

c.c.

, ossia alle norme che, rispettivamente, statuiscono che il contratto ha forza di legge solo tra le parti e non produce effetto rispetto ai terzi, e che anche la stipulazione a favore di terzi può avere effetto nei loro confronti solo quando accettino di profittarne. In sostanza, come si diceva, l'accordo può produrre effetti anche verso i creditori bancari non aderenti.

Tale possibilità avrebbe potuto (e forse ancora potrebbe) considerarsi fortemente sospetta d'incostituzionalità, poiché un limite alla libertà e ai poteri dispositivi dei soggetti privati sembra potersi loro imporre al di fuori dell'ordinaria regola del consenso solo quando venga almeno garantita una possibilità concreta di interlocuzione e di influenza sulla sorte del pregresso assetto negoziale, ciò che ad esempio si considera possibile quando la nuova regolazione di tale assetto confluisca in un quadro di rapporti negoziali più vasto e venga definita attraverso un voto, anche a maggioranza, come accade in ambito concordatario.

Proprio perché chiaramente consapevole di tale rischio, il Governo ha ritenuto di poter aggirare l'ostacolo disegnando una sorta di procedimento di voto in formato minore, mediante il ricorso al sistema delle classi, anche se, per pudore e per evitare una sovrapposizione concettuale con l'istituto previsto in materia concordataria, le ha questa volta chiamate – aristotelicamente - “categorie”.

Ha infatti stabilito che l'accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all'articolo 182-bis può individuare una o più categorie tra i creditori bancari (non con molta precisione individuati attraverso il riferimento a quelli di cui al primo comma, senza una più analitica indicazione dell'articolo di legge in cui il comma stesso è contenuto; ma sembra tuttavia giocoforza individuare tale primo comma non in quello dell'art. 182-bis, pure richiamato nel medesimo contesto, ma in quello del medesimo art. 182-septies, che appunto si riferisce ai suddetti creditori), che abbiano fra loro posizione giuridica ed interessi economici omogenei.

La (sola) categoria dei creditori bancari può essere dunque spacchettata in più sub-categorie (possibilità che invece non è prevista per gli altri creditori, e ciò perché, come già detto, non è prevista una estensione degli effetti dell'accordo ai creditori estranei non bancari), formate in base a posizione giuridica e interessi economici omogenei.

La norma non chiarisce il modo in cui individuare tale posizione e tali interessi, sì che dovrà farsi riferimento e rinvio all'ampio dibattito sviluppatosi su questi profili nella più generale materia del concordato con classi.

Di conseguenza potrà trattarsi, in via esemplificativa, di creditori bancari che abbiano crediti (bancari) privilegiati o comunque assistiti da garanzie reali, o invece crediti causalmente simili (crediti da anticipazione bancaria, oppure crediti da mutuo ipotecario, ecc.).

Il rischio è che la scelta collocativa sia influenzata da altre finalità, e magari imposta al debitore dalle banche più grandi e più forti (di solito portatrici di crediti proporzionalmente maggiori, sì da rappresentare, da sole o riunite, la stragrande maggioranza delle passività finanziarie e da poter manovrare quindi il procedimento dall'esterno) a scapito di quelle più piccole (spesso di carattere localistico).

Il controllo del Tribunale dovrà quindi essere particolarmente occhiuto quanto ai criteri di formazione delle categorie.

Con il ricorso per l'omologa dell'accordo, il debitore può dunque chiedere (si tratta dunque di una facoltà, non di una scelta necessaria ed inevitabile) che gli effetti di quest'ultimo vengano estesi anche ai creditori non aderenti che appartengano alla medesima categoria.

Questo, però, a due condizioni:

I)

che tutti i creditori della categoria siano stati informati dell'avvio delle trattative e siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede;

II)

e che i crediti delle banche e degli intermediari finanziari aderenti rappresentino il settantacinque per cento dei crediti della categoria.

Con la precisazione ulteriore che una banca o un intermediario finanziario può essere titolare di crediti inseriti anche in più di una categoria, cautela che, in modo alquanto trasparente, la norma pone, e quasi suggerisce di adottare, per i casi in cui ciò sia funzionale a formare la quota del 75% dei creditori aderenti.

In presenza di tali condizioni, non solo il debitore può chiedere di estendere gli effetti dell'accordo ai creditori bancari non aderenti (così dando vita ad una sorta di guerra tra banche, grandi e piccole), ma essi sono anche ope legisconsiderati aderenti all'accordo ai fini del raggiungimento della soglia del sessanta per cento di cui al primo comma dell'articolo 182-bis, vantaggio ancor maggiore (e più repressivo) del primo, se si considera che, come per incanto, l'acqua viene trasformata in vino, e chi non voleva aderire ora viene considerato non solo obtorto collo soggetto agli effetti dell'accordo, ma addirittura consenziente, sì da concorrere a formare quella soglia minimale del 60% del monte crediti che prima non c'era.

È questa, in verità, la previsione più sconcertante ed anche più a rischio di incostituzionalità, poiché, se qualche dubbio suscita pure la prima (sia per la selezione di una sola categoria di creditori soggetti al trattamento forzoso, con evidente disparità rispetto a tutti gli altri; sia per l'impossibilità di incidere quantomeno con un voto sulla precostituzione delle maggioranze di aderenti e sulla sorte dell'accordo), ma più blando, in ragione della cautela prevista dalla norma laddove prevede l'inserimento dei non aderenti in categorie omogenee in cui deve comunque essere presente una maggioranza qualificata di aderenti (75%), maggioranza che, in ipotesi, dovrebbe equivalere, nella sostanza, ancorchè precostituita (non essendo prevista l'espressione di un assenso con un voto ex post), ad una maggioranza che si formi a seguito di un voto assembleare come quella contemplata nel concordato preventivo; viceversa, la trasformazione del dissenso in assenso ai fini del raggiungimento della soglia-presupposto del 60% appare francamente un'inammissibile forzatura, che finisce per sovvertire la stessa base logica dell'accordo e la sua giustificazione economica e razionale.

Tanto più tenuto conto che, se l'accordo in questione presuppone che vi siano crediti bancari pari ad almeno il 50% dell'indebitamento complessivo, ne deriva che essi dovrebbero concorrere ad integrare la soglia del 60% per almeno il 30% di tale indebitamento totale, laddove, essendo richiesta una quota di aderenti bancari pari (in media, all'interno dell'una o più categorie) al 75%, basterebbe a tale scopo – se il calcolo non è fallace - la minor percentuale del 22,5% del montante totale, con uno spread negativo (in media) di 7,5 punti percentuali ed un proporzionale abbattimento della soglia minima del 60%, che in tal caso dunque non sarebbe più richiesta realmente in tale misura.

E se può in qualche modo concepirsi che la speciale categoria dei crediti bancari subisca un trattamento differenziato rispetto agli altri creditori in presenza di certe condizioni, non è altrettanto giustificabile un trattamento differenziato dei debitori ai fini dell'accesso agli accordi di ristrutturazione dei debiti

ex art. 182-

bis

l. fall

. in rapporto al variabile quantum di indebitamento bancario (nel senso che può al limite giustificarsi che un debitore possa ottenere il beneficio dell'efficacia estesa dell'accordo in presenza di un certo indebitamento bancario, laddove un altro non possa beneficiarne in difetto di tale presupposto; ma non può invece giustificarsi che, in presenza di tale indebitamento, in ipotesi identico, qualcuno possa accedere all'omologa degli accordi con meno del 60% del monte crediti, quando a tutti gli altri è richiesto il rispetto di tale soglia).

Riprendendo l'esame della norma, questa soggiunge che, ai fini di cui al secondo comma, non si tiene conto delle ipoteche giudiziali iscritte dalle banche o dagli intermediari finanziari nei novanta giorni che precedono la data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese.

Disposizione alquanto sibillina, in verità, questa, che mi pare possa interpretarsi più che altro nel senso che, l'avere iscritto ipoteca giudiziale nei novanta giorni che precedono la data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese, non costituisce idonea ragione per inserire il creditore bancario o finanziario, che a tale iscrizione abbia proceduto nel predetto termine, in un'autonoma categoria che eventualmente consideri quale posizione omogenea quella relativa a crediti bancari garantiti da ipoteca giudiziale.

Non vedo altre più confacenti soluzioni, poiché, da un lato, negli accordi non hanno di per sé alcuna importanza né privilegi, né prelazioni, in mancanza di una graduazione; dall'altro, l'iscrizione di ipoteca giudiziale nulla toglie alla preesistenza del sottostante credito bancario cui tale garanzia accede; infine, conseguentemente, il suddetto credito ben può ancora concorrere, come tale, sia alla formazione della soglia per accedere all'accordo speciale (50% di crediti bancari rispetto all'indebitamento totale), sia alla formazione della percentuale qualificata (75%) necessaria per estendere gli effetti dell'accordo ai dissenzienti appartenenti alla medesima categoria, sia per concorrere alla integrazione della soglia del 60%.

Per dare poi una garanzia minimale di contraddittorio, la norma prevede che il debitore, oltre agli adempimenti pubblicitari già previsti dalla disciplina in tema di accordi di ristrutturazione dei debiti

ex art. 182-

bis

l. fall

., deve notificare il ricorso e la documentazione di cui al primo comma dell'articolo 182-bis alle banche e agli intermediari finanziari ai quali chiede di estendere gli effetti dell'accordo, e per costoro il termine per proporre l'opposizione di cui al quarto comma del medesimo articolo (trenta giorni dalla pubblicazione) decorre dalla data della notificazione del ricorso.

La cautela, evidentemente, sottende la consapevolezza che la pubblicità prevista ordinariamente, e consistente nella pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese, è in realtà assai poco efficace, tanto più in presenza di un termine per opporsi di soli trenta giorni; derivandone la necessità di rendere effettiva la conoscenza del ricorso – per l'appunto - tramite apposita notifica personale.

Cautela che, per la verità, a mio modesto parere, andrebbe imposta sempre, proprio perché la pubblicità sul registro delle imprese si è finora rivelata un adempimento solo formale, inidoneo a garantire un'effettiva conoscenza del ricorso per la più gran parte dei creditori, quand'anche avveduti e adusi a costanti pratiche di monitoraggio dei debitori come sono le banche.

Se a garanzia di queste ultime viene imposto al debitore di effettuare la notifica – certo per comprensibili ragioni di tutela in presenza di accordi che possono loro applicarsi anche se non ne abbiano avuto prima conoscenza e finanche nel caso in cui non li abbiano accettati –, a maggior ragione l'analogo mezzo di comunicazione dovrebbe prevedersi, come regola generale, a vantaggio di creditori ben meno attrezzati delle banche.

Dicevo testè che i creditori bancari non aderenti potrebbero essere rimasti finanche all'oscuro del contenuto dell'accordo stipulato con gli altri creditori consenzienti.

Infatti il secondo comma della norma in esame stabilisce solo, quale condizione formale per estendere l'accordo ai creditori bancari “estranei”, in aggiunta a quella del 75% di creditori consenzienti presenti nella medesima categoria, che tutti i creditori della categoria siano stati informati dell'avvio delle trattative e siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede.

Tale cautela infatti esige solo che si dia notizia dell'avvio delle trattative, non del loro esito, e quindi è ben possibile che, presa conoscenza dell'avvio delle trattative, i creditori estranei restino poi all'oscuro del contenuto dell'accordo finale fino a quando il ricorso non venga loro notificato.

Più generico e fumoso – e quindi suscettibile di dar luogo ad inevitabili incertezze applicative se non si provvederà a qualche rettifica chiarificatrice in sede di conversione in legge - è l'aggiuntivo requisito che richiede al debitore di aver messo i creditori bancari estranei in condizione di partecipare in buona fede (alle trattative).

Non si comprende infatti né se la buona fede sia riferibile al debitore o piuttosto ai creditori (mentre la seconda soluzione sembra confortata dal tenore letterale, la prima sarebbe la più congruente sul piano logico), né, nell'un caso o nell'altro, sotto quale profilo rilevi un comportamento di buonafede.

Probabilmente l'oscura fraseologia va intesa nel senso che il debitore non deve comunicare ai creditori estranei l'avvio delle trattative in modo puramente burocratico, lavandosene poi le mani, ma, ove i creditori mostrino interesse alla proposta di accordo, essi debbano essere messi dal debitore concretamente in grado di fare le loro controproposte e quindi di partecipare fattivamente all'iter di formazione del consenso.

Diversamente opinando, ossia riferendo la buona fede ai creditori, non si vede come ciò possa giocare quale requisito dell'accordo proposto dal debitore.

Quanto alla buona fede del debitore, un comportamento improntato a tale qualità non può che attuarsi, nella specie, rendendo concreta la possibilità di partecipazione alle trattative.

La norma, però, non dice che conseguenza può derivare dall'omissione della comunicazione dell'avvio delle trattative, o da un comportamento che violi l'obbligo di buona fede.

Credo inevitabile ritenere che il Tribunale debba rifiutare l'omologazione.

Non mi pare infatti che vi sia spazio per un'omologazione di rango minore o di contenuto ridotto o ad effetti parziali, tenuto conto che il ricorso contiene in questi casi l'esplicita richiesta di estensione dell'accordo ai creditori bancari non aderenti, sì che, ove sia mancata una cautela procedimentale posta a garanzia degli stessi, l'accordo stesso non può stare in piedi.

Del resto, tale conclusione sembra confermata dalla successiva specificazione contenuta nel comma quarto, ove si statuisce che il tribunale procede all'omologazione “previo accertamento che le trattative si siano svolte in buona fede”.

Occorre però che siano integrati altre tre requisiti ai fini omologatori.

a)

Occorre anzitutto che le banche e gli intermediari finanziari, ai quali il debitore chiede di estendere gli effetti dell'accordo, abbiano davvero posizione giuridica ed interessi economici omogenei rispetto a quelli delle banche e degli intermediari finanziari aderenti. Ciò implica che il Tribunale debba svolgere appositi controlli sulla corretta formazione delle categorie. La corretta formazione di queste ultime assurge dunque anch'essa a requisito di omologabilità dell'accordo (nella sua interezza).

b)

Occorre poi che essi abbiano ricevuto complete ed aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore nonché sull'accordo e sui suoi effetti, e siano stati messi in condizione di partecipare alle trattative.

Qui la norma – con un'imprevista inversione logico-cronologica - fa un salto in avanti, poiché relega in posizione secondaria il requisito già illustrato che richiede di mettere i creditori al corrente dell'inizio delle trattative, mentre pone in evidenza al primo posto un requisito che, cronologicamente, dovrebbe a rigore intervenire dopo, visto che esso richiede che il debitore fornisca ai creditori complete ed aggiornate informazioni sulla sua situazione patrimoniale, economica e finanziaria nonché sull'accordo e sui suoi effetti, il che è possibile, è appena il caso di notarlo, solo quando l'accordo si sia già perfezionato nei suoi elementi costitutivi.

Non è chiaro però in che modo ed in quale momento dell'iter procedimentale tale incombente debba assolversi. Verosimilmente tali dati andranno forniti unitamente al ricorso in sede di notifica di quest'ultimo.

c)

Infine, occorre che i creditori non aderenti possano risultare soddisfatti, in base all'accordo, in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili.

Tale requisito è in realtà l'unico che lambisce il piano sostanziale, esigendo un raffronto tra situazioni satisfattive alternative, da apprezzare nella loro concretezza.

Tenuto conto che tali alternative devono essere praticabili in concreto, e che quindi la valutazione comparativa non può ridursi ad una valutazione meramente astratta in rapporto a situazioni potenziali, a quali alternative “in concreto” si riferisce la norma?

Qualora già penda un'istanza di fallimento, la risposta – almeno nelle linee essenziali - sembra semplice: l'alternativa sarà certamente (quantomeno) la soddisfazione ritraibile nel fallimento che fosse dichiarato al posto dell'omologa dell'accordo.

Più arduo stabilire però le modalità sulla cui base il raffronto deve in tal caso condursi.

Non è dubbio, evidentemente, che sia il debitore il soggetto onerato della prova della sussistenza del requisito in parola, e che quindi egli debba dimostrare che nel fallimento alternativo i creditori non aderenti potrebbero riscuotere meno di quanto loro riservato con l'accordo (o con maggiore ritardo, a parità di quantum).

Ciò implica però che sia ben nota la situazione patrimoniale e finanziaria complessiva del debitore, e sembra che a ciò sia funzionale – tra l'altro – il già ricordato requisito concorrente che richiede siano fornite ai creditori complete ed aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore (dati peraltro già sempre richiesti per il combinato disposto degli

artt. 182-

bis

e

161

l. fall

.).

Peraltro non deve dimenticarsi che è comunque richiesta, trattandosi di accordo di ristrutturazione dei debiti

ex art. 182-

bis

l. fall

., una specifica attestazione dell'esperto sulla veridicità dei dati aziendali e sull'attuabilità dell'accordo, e che tra i documenti a corredo del ricorso occorre produrre la documentazione di cui all'articolo 161, tra cui sono compresi:

a)

una aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa (sì che questa documentazione è in realtà richiesta due volte, una dall'art. 182-bis, e l'altra dall'art. 182-septies);

b)

uno stato analitico ed estimativo delle attività e l'elenco nominativo dei creditori, con l'indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione;

c)

l'elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore;

d)

il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili.

Il Tribunale dovrà dunque fare speciale attenzione all'esistenza di tali dati informativi e documentali, essenziali per poter poi testare l'attendibilità, almeno pro forma (risultando chiaramente difficile che un controllo effettivo possa svolgersi in assenza di un organo ausiliario tecnico come un commissario giudiziale, o in assenza di un contradditorio ad hoc che si svolga in presenza di opposizioni dei creditori), del raffronto satisfattivo con le alternative concretamente praticabili proposto dal debitore.

Non è escluso, però, che il Tribunale possa avvalersi di un CTU laddove la valutazione del requisito in parola sia particolarmente non agevole.

Ad ogni modo, l'esperienza maturata sinora in materia concordataria con riguardo all'analogo raffronto ivi richiesto ex art. 160, comma 2 (in caso di prelazioni incapienti), o ex art. 180, comma 4 (in caso di cram down a seguito di opposizioni basate sul difetto di convenienza), induce a ritenere che si tratti di valutazione tanto complessa, quanto molto spesso basata su criteri in ultima analisi alquanto arbitrari, stanti i molteplici e variabili fattori che possono influire sul giudizio comparativo.

Nel caso di specie, poi, un tale raffronto è reso ancor più difficile dal fatto che nell'accordo, per definizione, la soddisfazione dei creditori non segue le regole della graduazione, sì che occorrerebbe predisporne una ad hoc per eseguire il raffronto con un alternativo riparto fallimentare, con tutte le complicazioni poi connesse ai privilegi o alle prelazioni incapienti (and so on).

Un rompicapo, tale da rendere la valutazione comparativa un vero busillis.

Valutazione che appare poi evidentemente improponibile in re ipsa rispetto ad un concordato preventivo, il quale non può mai costituire un'alternativa concretamente praticabile, poiché o vi è l'accordo, con i suoi specifici contenuti, o vi è un concordato preventivo, con le sue altrettanto specifiche clausole e condizioni, e l'uno e l'altro non possono proporsi contestualmente, sì che non è mai possibile alcun confronto concreto tra l'uno e l'altro: tertium non datur.

Resta – ad un sommario inventario - l'ipotesi delle procedure espropriative singolari, che costituiscono un'alternativa alternativamente praticabile in concreto, quanto meno quando procedure siffatte siano state già avviate ad iniziativa proprio dei creditori non aderenti.

Qualche dubbio può esservi invece se non siano state ancora avviate da alcuno o se siano state avviate da altri.

Se non siano state avviate da alcuno, sembra confliggere con la necessità di concretezza la mera potenzialità dell'istaurazione del procedimento esecutivo.

Se siano state avviate da altri (che non sia almeno un creditore non aderente) un'alternativa praticabile sussiste se i creditori non aderenti abbiano già spiegato intervento.

Può in via estensiva estendersi tale ipotesi anche al caso in cui un intervento ancora non vi sia stato, ma non siano decorsi i termini per effettuarlo.

Qui peraltro i metodi da utilizzare nel raffronto sembrano ancor meno semplici, essendo per definizione assai arduo fare raffronti con procedure in cui possono essere pignorati singoli beni, e in cui possono partecipare non tutti, ma solo alcuni creditori.

A meno di ritenere (ma qui dal piano della concretezza voluta dalla norma si passerebbe al piano della potenzialità) che il raffronto debba farsi con procedure esecutivo-satisfattive possibili, anche se non ancora in atto, e che esso debba comunque coinvolgere l'intero patrimonio, il che però farebbe coincidere il raffronto, almeno a grandi linee, con quello che ha come alternativa il fallimento.

In definitiva, mi pare che tale condizione o finirà per risolversi in un passaggio meramente burocratico, o renderà quanto mai difficile ottenere l'omologa di questo tipo di accordo. Il suggerimento è quindi di eliminarla in sede di conversione del decreto in legge.

La convenzione di moratoria

La convenzione di moratoria è un ulteriore strumento di composizione della crisi d'impresa che si aggiunge al novero di quelli già disciplinati dalla

legge fallimentare

.

Si colloca a metà strada – potremmo dire - tra l'accordo di ristrutturazione dei debiti

ex art. 182-

bis

l

.

fall

. ed il piano di risanamento ex art. 67, comma 3, lettera d).

Condivide con il piano la collocazione ordinariamente extraprocessuale, non essendo previsto, come invece per l'accordo ex art. 182-bis, un necessario intervento omologatorio del Tribunale.

È tuttavia previsto un intervento eventuale del Tribunale qualora creditori non aderenti alla convenzione di moratoria propongano opposizione avverso la stessa.

Con entrambi gli istituti, la moratoria condivide comunque la natura contrattuale.

Si caratterizza poi per avere ad oggetto debiti verso banche o intermediari finanziari, già scaduti o ancora a scadere, di cui si prevede la dilazione dei termini di pagamento con i più variabili criteri.

In comune con l'accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari la convenzione di moratoria ha dunque la qualità oggettiva dei debiti e quella soggettiva dei relativi creditori, nonché l'idoneità ad estendere i suoi effetti anche ai creditori non aderenti in deroga agli

articoli 1372

e

1411

c.c.

Anche in tal caso ciò sarà possibile solo se:

I)

sia raggiunta la maggioranza di cui al secondo comma (ossia quella del settantacinque per cento dei crediti);

II)

se le banche e gli intermediari finanziari non aderenti siano stati informati dell'avvio delle trattative e siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede;

III)

se un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, comma 3, lett. d), attesti l'omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici fra i creditori interessati dalla moratoria.

Quest'ultimo requisito è qui previsto, diversamente dal caso dell' accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari, perché non è contemplato l'intervento omologatorio del Tribunale, in ciò ricorrendo un ulteriore elemento di similitudine con il piano di risanamento ex art. 67, comma 3, lett. d).

È previsto, come anticipavo poc'anzi, che le banche e gli intermediari finanziari non aderenti alla convenzione possano proporre opposizione entro trenta giorni dalla comunicazione della convenzione stipulata, accompagnata dalla relazione del professionista ai sensi dell'art. 67, comma 3, lettera d).

La comunicazione – specifica il comma 6 - deve essere effettuata, alternativamente, mediante lettera raccomandata o posta elettronica certificata.

Francamente non si comprende perché in questo caso, diversamente da quello dell'accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari, ci si accontenti di raccomandata o posta elettronica certificata, e non si richieda invece una notifica vera e propria, pur in presenza della medesima situazione cautelata, ossia il diritto di proporre opposizione entro trenta giorni contro una convenzione stipulata tra altri soggetti, che può estendere i suoi effetti coattivamente ai terzi che non vi abbiano aderito.

Con l'opposizione, la banca o l'intermediario finanziario non aderente può dunque chiedere al Tribunale che la convenzione non produca effetti nei suoi confronti, ma solo se non ricorrano le condizioni di cui al comma quarto, terzo periodo, ossia:

1)

che le trattative si siano svolte in buona fede;

2)

che le banche e gli intermediari finanziari ai quali il debitore chiede di estendere gli effetti dell'accordo abbiano posizione giuridica e interessi economici omogenei rispetto a quelli delle banche e degli intermediari finanziari aderenti;

3)

che abbiano ricevuto complete ed aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore nonché sull'accordo e sui suoi effetti;

4)

che siano stati messi in condizione di partecipare alle trattative;

5)

che possano risultare soddisfatti, in base all'accordo, in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili.

Relativamente a(ll'insussistenza di) tali condizioni valgono le considerazioni già svolte nel commento dedicato all'accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari.

Merita solo ribadire:

- che la comunicazione in ordine alle complete ed aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore, nonché sull'accordo e sui suoi effetti, verrà effettuata verosimilmente unitariamente, a mezzo di raccomandata o posta elettronica certificata, dopo che la convenzione sia stata perfezionata;

- e che sorprende ancora che anche in tal caso la condizione circa la possibilità che i creditori non aderenti siano soddisfatti, in base all'accordo, in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili, sia stata lasciata al vaglio del Tribunale senza prevedersi una previa attestazione speciale dell'esperto, come nel caso della omogeneità di posizione ed interessi.

Per tale ragione è da credere che il Tribunale farà spesso ricorso ad un CTU, laddove la valutazione del requisito in parola sia particolarmente non agevole.

Il tribunale, con decreto motivato, decide sulle opposizioni, verificando la sussistenza delle condizioni suddette, e contro tale decreto è proponibile reclamo alla corte di appello, ai sensi dell'articolo 183, nel termine di quindici giorni dalla comunicazione, cui deve evidentemente provvedere la cancelleria.

Con un inciso finale, la nuova norma specifica che in nessun caso, per effetto degli accordi e convenzioni di cui ai commi precedenti, ai creditori non aderenti può essere imposta l'esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l'erogazione di nuovi finanziamenti, ma agli effetti “del presente articolo – si chiarisce - non è considerata nuova prestazione la prosecuzione della concessione del godimento di beni oggetto di contratti di locazione finanziaria già stipulati”.

Queste – che sono praticamente semplici avvertenze – servono per evitare fraintendimenti.

I due nuovi strumenti hanno ad oggetto, di norma, crediti già sorti, non quindi crediti che possano derivare da contratti da stipulare successivamente.

In ogni caso tali nuovi contratti – anche se inclusi negli accordi e nelle convenzioni -, non sono soggetti alla deroga agli

artt. 1372

e

1411

c.c

.

, prevista per quelli preesistenti, e in tal senso la norma vuole evitare ogni rischio di equivoco, immaginando che proprio l'esplicito riferimento all'idoneità a derogare alle dette norme codicistiche potesse far sorgere il dubbio che anche gli effetti di nuovi contratti potessero estendersi ai non aderenti.

Tale deroga, dunque, implicando l'estensione degli effetti del contratto a soggetti terzi, nel caso di specie è comunque limitata ai rapporti già sorti, e non può riguardare quelli futuri.

Pertanto, anche nel caso in cui tra debitori e banche ed intermediari aderenti fosse stipulato qualche nuovo contratto di credito, ciò che non è vietato, comunque gli effetti di quest'ultimo non potranno estendersi ai terzi creditori non aderenti.

Disposizioni penali in materia di accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzione di moratoria

Il

D.L. n. 83/2015

completa la disciplina in materia di accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e di convenzione di moratoria con alcune disposizioni incriminatrici.

A tal fine viene integrato anzitutto l'

art.

236

l

.

fall

. (sia nella rubrica, che nel corpo), norma che finora prevedeva solo per il concordato preventivo, una volta abolita l'amministrazione controllata, la punibilità dei reati di attribuzione di attività inesistenti e di simulazione di crediti in tutto o in parte inesistenti.

Ora tale punibilità è estesa anche in presenza delle analoghe situazioni di fatto poste in essere dall'imprenditore che persegua lo scopo di ottenere l'omologazione di un accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari o il consenso degli intermediari finanziari alla sottoscrizione della convenzione di moratoria.

Con riferimento a tali due nuovi strumenti di composizione della crisi si applicheranno inoltre le disposizioni previste dal secondo comma, numeri 1), 2) e 4), ossia potranno estendersi agli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società le disposizioni degli artt. 223 (bancarotta fraudolenta) e 224 (bancarotta semplice); agli institori dell'imprenditore la disposizione dell'art. 227 (bancarotta fraudolenta e semplice, ricorso abusivo al credito, denuncia di creditori inesistenti e altre inosservanze); ai creditori le disposizioni degli artt. 232 (simulazione di crediti e distrazioni) e 233 (mercato di voto).

Non troverà applicazione evidentemente il n. 3) perché afferente alle disposizioni degli artt. 228 e 229, riguardanti il solo commissario del concordato preventivo, figura assente nei due nuovi istituti in commento.

Nel fare semplice rinvio - per ogni maggiore approfondimento - ai commenti che riguardano ex professo le norme incriminatrici richiamate, in questa sede sembra opportuno limitarci esclusivamente a segnalare la ragione che, verosimilmente, ha indotto il Governo ad estendere in questo caso ai nuovi istituti, per quanto di matrice contrattuale al pari degli accordi di ristrutturazione dei debiti

ex art. 182-

bis

l. fall

., norme incriminatrici che il legislatore ha invece sinora ritenuto di non applicare a questi ultimi.

La ragione va ravvisata, a mio giudizio, nella circostanza che solo nella disciplina dei due nuovi istituti è stata prevista l'estensione dei relativi effetti in capo ai terzi non aderenti, con un conseguente aumento della loro potenzialità offensiva, e conseguente equiparabilità, sotto questo aspetto, al concordato preventivo, che produce effetti verso tutti i creditori anteriori anche se non consenzienti e se siano rimasti assenti nella procedura.

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti

ex art. 182-

bis

l. fall

., invece, non prevedono – nella forma base o comune - tale estensione, se non limitatamente ad un modesto slittamento dei termini di pagamento scaduti o a scadere.

Per la verità qualcuno potrebbe obiettare che, comunque, anche tale parziale estensione di effetti dovrebbe giustificare l'operare analogo delle stesse norme incriminatrici, ma si tratta di scelta che il legislatore ha liberamente ritenuto di compiere in modo opposto, e forse legittimamente, alla luce della modesta offensività dell'estensione prevista in tale ipotesi.

L'unico altro profilo da considerare è che la riconduzione anche della convenzione di moratoria nell'alveo di cui all'art. 236 rende ora un po' più impervio continuare a ritenere che tale norma sanzioni reati contro l'amministrazione della giustizia, tenuto conto che in tal caso l'intervento del Tribunale non è mai di natura omologatoria, ed è solo eventuale, scattando esclusivamente nell'eventualità di un'opposizione.

Il

D.L. n. 83/2015

ha anche modificato l'art. 236-bis alla luce del fatto che anche per la convenzione di moratoria è prevista una speciale attestazione dell'esperto in materia di omogeneità di posizione giuridica ed interessi dei creditori finanziari. Pertanto anche chi rediga tale attestazione può incorrere nel reato previsto e punito da tale norma qualora esponga informazioni false oppure ometta di riferire informazioni rilevanti.

Naturalmente l'elemento materiale andrà in concreto parametrato all'oggetto dell'attestazione, che è nel caso di specie alquanto ridotto, trattandosi di attestare soltanto, come si diceva, l'omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici fra i creditori interessati dalla moratoria, sì che altrettanto ridotta è l'area delle possibili falsità in cui può incorrere l'attestatore.

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