Il carattere definitivo del provvedimento di inammissibilità del concordato preventivo

Sergio Nadin
26 Aprile 2016

Il problema che qui viene posto è se, in base alla normativa attualmente vigente conseguente alla riforma operata dal d.lgs. n. 169/07, il diniego di ammissione al concordato preventivo, senza che sia intervenuta contemporanea o successiva dichiarazione di fallimento, sia ricorribile o meno per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost.
Massima

Il problema che qui viene posto è se, in base alla normativa attualmente vigente conseguente alla riforma operata dal d.lgs. n. 169/07, il diniego di ammissione al concordato preventivo, senza che sia intervenuta contemporanea o successiva dichiarazione di fallimento, sia ricorribile o meno per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost.

Il caso

Nel corso del 2015 una società per azioni presentava innanzi al Tribunale di Verona domanda di ammissione a concordato preventivo. Il concordato non otteneva l'approvazione della maggioranza dei creditori, in particolare veniva espresso voto contrario da parte di una banca creditrice di € 5.746.462,66. Nonostante le eccezioni di nullità espresse dalla società proponente in merito al voto della banca, il Tribunale adito dichiarava, con decreto ex art. 179 l. fall. del febbraio 2015, l'inammissibilità del concordato. Avverso tale provvedimento, la società proponeva ricorso per cassazione, rilevando, in particolare, come gli autori della dichiarazione di voto comunicata tramite PEC non avessero poteri di rappresentanza tali da poter esprimere la volontà dell'ente, e pertanto – si è sostenuto – la loro dichiarazione non sarebbe stata idonea a produrre effetti in capo alla banca, considerando che la dichiarazione del falsus procurator non produce alcun effetto per lo pseudo – rappresentato.

La questione

Il caso sottoposto al giudizio della Suprema Corte sottende una problematica di non facile soluzione, inerente all'ammissibilità del ricorso per cassazione avverso il provvedimento ex art. 179 l. fall., con il quale il giudice preclude all'imprenditore la procedura di concordato. Sul punto, deve essere evidenziata la non univocità dei dati offerti dalla legge fallimentare, dal momento che nei casi in cui la procedura di concordato si conclude con il rigetto, mentre l'art. 162 l. fall. qualifica espressamente come non reclamabile il decreto che dichiara inammissibile la proposta di concordato, l'art. 173 l. fall. tace sul punto; l'art. 179, comma 1, l. fall. richiama l'art. 162, con conseguente non reclamabilità del decreto emesso a seguito della mancata approvazione del concordato da parte dei creditori; l'art. 183 l. fall. prevede la reclamabilità del decreto che conclude il giudizio di omologazione e lo stesso deve dirsi per l'art. 131 l. fall., nel caso di diniego dell'omologazione. In conclusione, sono reclamabili solamente i provvedimenti afferenti all'esito del giudizio di omologazione e non quelli resi nella fase iniziale del procedimento ovvero durante il suo corso.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, con l'ordinanza in commento, ha rimesso la problematica alla decisione delle Sezioni Unite, non senza, tuttavia, mettere in luce i punti principali sottesi alla questione, nonché le pronunce giurisprudenziali inerenti alla fattispecie.
Per comprendere i termini del problema, occorre premettere che la disciplina antecedente la riforma del 2007 prevedeva un indissolubile legame tra l'inammissibilità del concordato e la declaratoria fallimentare. In tale contesto normativo, infatti, stante il comune presupposto dell'insolvenza, il secondo provvedimento seguiva necessariamente il primo, dovendo il giudice dichiarare d'ufficio il fallimento ogni qualvolta venisse denegato l'accesso alla procedura di concordato. Pertanto i vizi che il debitore riteneva affliggessero il provvedimento d'inammissibilità, ben potevano essere fatti valere per il tramite del reclamo ex art. 18 l. fall., con il quale si portava all'attenzione del tribunale l'intera procedura concorsuale.
L'attuale disciplina scioglie il legame tra diniego del concordato e declaratoria di fallimento, dal momento che l'art. 162 l. fall. prevede l'apertura della procedura fallimentare da parte del tribunale solamente in caso di presentazione di apposita istanza da parte dei creditori, ovvero da parte del Pubblico Ministero. Nessun dubbio che, nel caso in cui al decreto segua la dichiarazione di fallimento, la situazione dei mezzi di impugnazione a disposizione del debitore sia del tutto analoga a quella ante riforma, ossia entrambi provvedimenti debbano essere oggetto di impugnazione unitaria nelle modalità previste dall'art. 18 l. fall. (come, del resto, statuito dall'art. 162, comma 3, l. fall.). In tal caso - precisa a riguardo la Suprema Corte (Cass. 14 febbraio 2011, n. 3586) - è sufficiente che il reclamante formuli le censure anche solo nei confronti del decreto di inammissibilità, poiché gli eventuali vizi di tale provvedimento si traducono automaticamente in vizi della sentenza dichiarativa di fallimento.
Come noto, l'esperibilità del ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. è condizionata al fatto che il provvedimento avverso il quale si propone ricorso presenti i caratteri di definitività e decisorietà. In proposito, val la pena rilevare come, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, tali caratteri consistano, quanto alla decisorietà, nella risoluzione di una controversia su diritti soggettivi o status e, quanto alla definitività, nella mancanza di rimedi diversi e nell'attitudine del provvedimento a pregiudicare, con l'efficacia propria del giudicato, quegli status o quei diritti (tra le altre, v. Cass. 18 gennaio 2013, n. 1240; Cass. 14 febbraio 2001 n. 2099).
La Suprema Corte, nell'ordinanza in commento, giunge a considerare indubbia la sussistenza del requisito della decisorietà del provvedimento di inammissibilità, sul presupposto che tale pronuncia “preclude la possibilità di dar corso alla procedura concorsuale con tutte le ovvie conseguenza sulla situazione soggettiva del richiedente”. Vengono, invece, sollevati dubbi in merito al carattere definitivo del provvedimento in questione “potendo sostenersi che, in ogni caso, non rimane preclusa per l'interessato la possibilità di proporre una nuova domanda di concordato”.
Circa il requisito della decisorietà, sembra pacifico come esso debba ritenersi integrato solamente laddove dipenda da ragioni che escludono una consequenziale declaratoria di fallimento, quali, ad esempio, l'esclusione della qualità di imprenditore commerciale o l'assenza dello stato d'insolvenza o il difetto di giurisdizione, dovendosi invece negare l'ammissibilità del ricorso straordinario ex art. 111 Cost. quando il decreto è inscindibilmente connesso ad una successiva e consequenziale sentenza dichiarativa di fallimento (cfr. Cass. 14 aprile 2008, n. 9743; in questo senso anche Cass. 25 marzo 2013, n. 21901; Cass. 25 ottobre 2010, n. 21860).
Orientamento, quest'ultimo, non nuovo alla giurisprudenza di legittimità. Anche in vigenza della precedente formulazione normativa – la quale sanciva l'automatismo della dichiarazione di fallimento dopo la revoca del concordato - si era sviluppato un orientamento giurisprudenziale che considerava possibile il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., nei casi in cui alla declaratoria di inammissibilità del concordato non poteva seguire quella di fallimento, avendo il giudice accertato l'assenza delle condizioni di fallibilità in capo al debitore, quali ad esempio l'esclusione della qualità d'imprenditore commerciale, l'assenza dello stato d'insolvenza ecc. (Cass. 29 settembre 1999, n. 10138).
Sul requisito della definitività del provvedimento, invece, la Cassazione solleva motivati dubbi, in special modo laddove la pronuncia sia stata resa a seguito di errori di calcolo delle maggioranze. In merito, va rilevato come la stessa Corte sia giunta, peraltro di recente, ad opposte considerazioni, ritenendo sussistente il requisito in questione sul presupposto della semplice non reclamabilità del provvedimento, senza dar peso alla possibilità per il debitore di ripresentare la domanda di concordato una volta che la prima venga dichiarata inammissibile (Cass. 8 maggio 2014, n. 9998).

Osservazioni

Tutto ciò considerato, non sembra, tuttavia, infondata l'esigenza espressa dalla Suprema Corte nell'ordinanza in commento di far definitivamente chiarezza sull'ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione avverso il provvedimento che dichiari inammissibile il concordato non seguito da una sentenza di fallimento, anche in considerazione della delicatezza e dell'importanza dei risvolti per il debitore.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento.

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