Il concordato in continuità: alcune criticità e tecniche per l’attestazione

Simone Manfredi
17 Settembre 2013

La disciplina del concordato preventivo in continuità è stata modificata dal c.d. Decreto Sviluppo (d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. l. 7 agosto 2012 n. 134): l'Autore esamina il nuovo art. 186-bis l. fall., con particolare riferimento al ruolo dell'attestatore nella valutazione della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano, evidenziando alcuni aspetti controversi della norma e le posizioni della giurisprudenza sul compito affidato all'attestatore.

La disciplina del concordato preventivo è stata recentemente novellata con il Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, il c.d. decreto “Crescita”, successivamente convertito con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134. La richiamata normativa reca una serie di disposizioni che coinvolgono diverse materie, tutte con l'obiettivo di promuovere, stimolare e sostenere la crescita del nostro Paese. Quanto, in particolare, alle modifiche che hanno riguardato l'istituto del c.d. “concordato in continuità”, con esse è stato previsto che il debitore, insieme a tutta la documentazione già normativamente prevista, debba depositare anche un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta, corredato dalla relazione di un professionista indipendente designato dal debitore in possesso dei requisiti di cui all'art. 67, comma 3, lett. d, che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo (art. 161, comma 3, l. fall.).

In pratica, l'intento del legislatore, stando almeno alle affermazioni di principio, è stato quello di facilitare la gestione delle crisi d'impresa favorendo la continuità aziendale, ovvero disciplinando, accanto a un riformato concordato liquidatorio, anche un nuovo concordato con continuità aziendale. A tal proposito, occorre precisare che il novellato articolo 186-bis l. fall. sul concordato con continuità aziendale si applica quando il piano di concordato prevede almeno una delle seguenti fattispecie:

  • la prosecuzione dell'attività d'impresa da parte del debitore;
  • la cessione dell'azienda in funzionamento;
  • il conferimento dell'azienda in funzionamento ad una o più società, anche di nuova costituzione.

Nei tre casi appena citati, il concordato deve contenere un'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano concordatario, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura.

è possibile notare come la norma in alcuni passaggi appaia poco chiara, cosicché, il nuovo concordato non sembra potersi utilizzare in modo efficiente.

Anzitutto, per quel che riguarda colui che deve attestare il piano, il legislatore, all'art. 186-bis, comma 2, lett. b, stabilisce che la relazione del richiamato professionista deve attestare che il piano concordatario sia funzionale al “miglior soddisfacimento dei creditori”.

A parere di chi scrive, le difficoltà tecnico-applicative nascono dal portato della richiamata norma, la quale utilizza la locuzione “funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori”. Infatti, la legge non fornisce indicazioni di sorta circa l'entità di tale soddisfazione, né riguardo al tempo entro il quale essa debba avere luogo.

Ciò premesso, è possibile rilevare come la norma sembri suggerire che il “miglior soddisfacimento” consista nel dover garantire ai creditori un trattamento almeno pari o migliore rispetto a quello che essi potrebbero ottenere da eventuali soluzioni alternative fattibili e, nel rispetto delle cause di prelazione per i creditori privilegiati, anche quando è previsto un loro pagamento parziale. Pertanto, i creditori sembra si debbano ritenere soddisfatti quando la valorizzazione del credito inserito nel piano risulti almeno pari ovvero superiore rispetto ad un eventuale piano concordatario di tipo meramente liquidatorio.

Ciò posto, sotto il profilo economico-aziendale, la soddisfazione del creditore appare legata alla valutazione comparativa tra il valore economico dell'azienda in funzionamento (W) e il valore di liquidazione del complesso imprenditoriale (Wl). La relazione W>Wl esprime la condizione sintetica di convenienza dell'intervento risanatore. Di qui, il professionista, dovendo basare il piano su ipotesi di gestione e risoluzione ragionevoli, riuscirebbe ad attestare un piano che effettivamente soddisfi i creditori riportando una descrizione dei criteri di valutazione impiegati per la stima del valore economico del capitale dell'azienda e indicando l'esistenza di soggetti potenzialmente interessati all'acquisizione del complesso aziendale. Diversamente, deve ritenersi quasi con certezza che il piano non otterrebbe approvazione dalla classe creditoria e da parte di tutti gli altri soggetti coinvolti alla procedura.

Tale prescrizione, però, appare in contrasto con il medesimo decreto Crescita, il quale, intendendo tutelare e favorire la continuità occupazionale, ha stabilito che in caso di concordato si applichi la legge 428/90, che all'art. 47, comma 4, recita “nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell'occupazione, l'art. 2112 del codice civile trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall'accordo medesimo qualora il trasferimento riguardi aziende: delle quali sia stato accertato lo stato di crisi…, per le quali sia stata disposta l'amministrazione straordinaria…”. Pertanto, la norma, sebbene cerchi la salvaguardia dei livelli occupazionali, sembra consenta, a seguito di accordi sindacali, una deroga alle previsioni di legge di cui all'art. 2112 c.c.. Ciò trascura il fatto, però, che spesso si giunge a uno stato di crisi proprio in ragione di una certa struttura di costi fissi, ovvero di personale, e quindi la continuità, mantenendo i livelli occupazionali, seppur ridotti per la deroga di cui sopra, appare complicata da perseguire. Anche perché, in genere, in questi casi, al contrario si raggiungono accordi con i sindacati per ridurre i livelli occupazionali, anche sensibilmente.

Proseguendo, e sempre per i profili economico-aziendali, la norma in esame mostra una ulteriore problematica al professionista chiamato ad attestare il piano concordatario, nel momento in cui, al secondo comma dell'art. 186-bis, prevede che “…. il piano di cui all'art. 161, secondo comma, lettera e), deve contenere anche un'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano concordato, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura”. Da ciò sembra potersi derivare la stringente necessità dell'attestatore di individuare in maniera assai puntuale i flussi futuri e funzionali alla prosecuzione dell'attività d'impresa nell'ottica del concordato. Naturalmente, in questo caso, si dovrà dimostrare anche la “serietà” delle previsioni di cash flow atteso per il periodo di tempo necessario a risolvere la procedura concordataria. Tuttavia, l'esperto deve scontrarsi con la possibilità che lo studio del trend delle principali variabili economico-patrimoniali e finanziarie d'impresa non sia sufficiente a individuare attendibilmente i flussi futuri. Infatti, da tale analisi è possibile riscontrare soltanto le cause che hanno portato dal periodo di squilibrio e inefficienza, passando per la crisi, e fino all'eventuale stato di insolvenza.

Alla luce di quanto rappresentato, le difficoltà tecnico-estimative, per l'esperto, risultano ulteriormente ampliate in ragione delle recentissime pronunce giurisprudenziali.

Infatti, a tal riguardo, la giurisprudenza sembra essere ancora più stringente rispetto alla norma, in quanto, ad esempio, una recente pronuncia del tribunale di Arezzo ha statuito che “… se la relazione non prevede un miglioramento della situazione di mercato in cui opera l'azienda, né dà un'adeguata informazione circa la capacità di rilancio aziendale, la proposta di concordato è inammissibile”. Dal che deriva che la giurisprudenza sembra richiedere all'attestatore giudizi prognostici ancor più puntuali rispetto a quanto non faccia il dettato normativo.

Ed ancora, il tribunale di Palermo ha sancito che “… se il piano è subordinato al verificarsi di eventi futuri e incerti, che comportano un giudizio soggetto a condizioni o riserve, il professionista deve attestare la probabilità del successivo verificarsi dell'evento dedotto in condizione, o la tenuta del piano anche se l'evento non si verifica, o, prevedere un'ipotesi alternativa fattibile. In mancanza l'attestazione di fattibilità condizionata o con riserva equivale ad una non attestazione e la domanda deve essere dichiarata inammissibile”. Anche in questo caso, quindi, all'attestatore non solo viene richiesta la prefigurazione di scenari alternativi a livello originario per la “tenuta del piano”, ma allo stesso viene anche richiesto di attestare un grado di “probabilità” del successivo verificarsi dell'evento molto prossimo, se non coincidente, con la certezza. Sembrerebbe che la giurisprudenza, in questa pronuncia, ritenga che la probabilità sia quasi uguale alla certezza, mentre la probabilità rappresenta la possibilità che l'evento si verifichi con un valore almeno pari o superiore al cinquanta per cento, e che sia la condizione di un fatto o di un evento che si ritenga possa accadere, o che, fra più fatti ed eventi possibili, appaia come quello che più ragionevolmente ci si può attendere; ciò significa che siamo ben lontani dalla certezza. Non solo, la giurisprudenza ritiene che qualora l'evento non si verifichi, l'attestatore deve provvedere a trovare un'alternativa fattibile.

Concludendo, potrebbe sembrare che all'attestatore venga affidato un compito che va ben oltre il suo mandato. Non solo: il piano, così come previsto dalla norma e dalla giurisprudenza, risulterebbe applicabile solo per pochissime tipologie di impresa in quanto sembrerebbe possibile calcolare flussi attendibili, con il grado di probabilità ricercato, solo per imprese che forniscono beni e servizi, attraverso, ad esempio, contratti. Per queste ultime, infatti, prevedere i flussi futuri risulterebbe più semplice in quanto il loro andamento futuro si basa su patti negoziali che predeterminano tempi e modi per il regolamento dei relativi flussi di costi e ricavi. Al contrario, per le imprese che vendono beni e servizi all'utente finale appare assai improbabile prevedere con precisione quali siano i flussi futuri, in quanto questi sono influenzati dall'andamento del mercato difficilmente prevedibile nel medio lungo periodo.

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