Attestazione di veridicità e fattibilità nelle soluzioni concordate della crisi d'impresa: profili problematici

06 Dicembre 2011

In un sistema normativo che nelle soluzioni concordate della crisi d'impresa si affida via via, sempre più, alla funzione svolta dal professionista attestatore, la norma introdotta recentemente, e contenuta nell'art. 182 quater l. fall., di riconoscimento della prededuzione per il credito maturato per l'attestazione di fattibilità del piano concordatario e degli accordi di ristrutturazione ben può essere letta come un'ulteriore accentuazione dell'importanza della funzione stessa.Non v'è dubbio che a tale fenomeno si accompagni, quasi inevitabilmente, un rafforzamento della responsabilizzazione del professionista chiamato ad attestare la fattibilità.
Contenuto e funzione dell'attestazione

In un sistema normativo che nelle soluzioni concordate della crisi d'impresa si affida via via, sempre più, alla funzione svolta dal professionista attestatore, la norma introdotta recentemente, e contenuta nell'art. 182-quater l. fall., di riconoscimento della prededuzione per il credito maturato per l'attestazione di fattibilità del piano concordatario e degli accordi di ristrutturazione ben può essere letta come un'ulteriore accentuazione dell'importanza della funzione stessa.

Non v'è dubbio che a tale fenomeno si accompagni, quasi inevitabilmente, un rafforzamento della responsabilizzazione del professionista chiamato ad attestare la fattibilità.

La stessa subordinazione del riconoscimento della prededuzione all'espressa pronuncia, sul punto, che deve essere ricompresa nel decreto con cui il Tribunale apre il concordato o omologa gli accordi, va intesa come indicativa dell'esigenza, imprescindibile, che la relazione in discorso venga redatta con determinati requisiti soggettivi contenutistici, senza i quali non pare possibile parlare di una relazione "conforme" ai principi.

Quanto ai requisiti soggettivi, nella consapevolezza del mancato richiamo, da parte dell'art. 67 lett. d), a quella parte dell'art. 28 l. fall. (l'ultimo comma) che indica, tra i requisiti del professionista, quelli di indipendenza rispetto alla società debitrice, va comunque affermata la necessità che l'attestatore debba avere requisiti soggettivi tali da garantire una sua posizione di imparzialità e terzietà, rispetto alla società che lo investe del mandato.

E ciò a prescindere dal problema del se l'attestatore sia soggetto assimilabile ad un ausiliario del giudice (quale però è certamente nel caso previsto dall'art. 124, comma 3, l. fall., per l'attestazione del valore di mercato dei beni sui quali insiste un privilegio, speciale o generale, che nella proposta di concordato fallimentare si intenda soddisfare soltanto in percentuale), o possa essere o meno considerato un c.t.u. e quindi un pubblico ufficiale, con le relative conseguenze, soprattutto in termini di responsabilità penale.

Quanto invece ai requisiti contenutistici, vanno richiamati i principi più volte ribaditi dalla giurisprudenza, secondo cui la relazione attestatrice, per essere giudicata idonea e conforme ai principi, deve essere analitica, completa, esaustiva, coerente e non contraddittoria, esplicativa dell'iter dei controlli posti in essere per concludere positivamente in punto di veridicità e fattibilità.

Sia sufficiente in questa sede evidenziare che l'attestazione di veridicità dei dati attiene eminentemente, anche se non esclusivamente, alla rispondenza al vero della esplicitazione debitoria effettuata dal debitore, con riguardo alla quale non è ammissibile che l'attestatore si limiti ad un rinvio alle risultanze di accertamenti eseguiti da parte di altri organi di controllo, quali le società di revisione.

Neppure è ammissibile che il professionista attesti la mera attendibilità dei dati.

A differenza della valutazione di fattibilità, che integra una prognosi, infatti, l'attestazione di veridicità dei dati inerisce ad un fatto obiettivo, in rapporto al quale è richiesta una precisa assunzione di responsabilità del professionista.

Venendo poi alla fattibilità, tema sul quale il discorso diviene inevitabilmente più complesso, è chiaro che i piani di risanamento o di liquidazione poggiano essenzialmente sulla valutazione dei valori dei beni messi a disposizione dei creditori e/o sulla pratica verosimiglianza che determinate operazioni di liquidazione o di risistemazione dei debiti abbiano successo.

Il giudizio del professionista deve poggiare su concreti controlli e verifiche che debbono essere esplicitate con dovizia e precisione della relazione.

A mero titolo di esempio, la valutazione del bene "crediti" deve passare necessariamente per una circolarizzazione che lo stesso attestatore deve provvedere ad effettuare, non essendo ammissibile il richiamo ad una circolarizzazione effettuata dal debitore in crisi.

La prededuzione prevista dall'art. 182-quater per il credito del professionista attestatore: estendibilità della prededuzione agli altri crediti funzionali al piano di risanamento sottostante

Un profilo che di recente impegna i commentatori e gli operatori inerisce alla possibilità di riconoscere la prededuzione, anziché il privilegio generale previsto, per il prestatore d'opera intellettuale, dall'art. 2751-bis, n. 2, c.c., al credito vantato a titolo di compenso per l'assistenza prestata al debitore per la presentazione della domanda di concordato.

La tesi favorevole si fonda sull'assunto secondo cui il credito anzidetto, in quanto funzionale alla procedura concorsuale del concordato preventivo, rientrerebbe nell'ambito di applicabilità di cui all'art. 111, comma 2, l. fall., secondo cui "Sono considerati crediti prededucibili ... quelli sorti in occasione o in funzione di una procedura concorsuale..."

La tesi, che pure ha trovato il conforto, in un passato recente, di alcune pronunce (per tutte Trib. Treviso, 16 giugno 2008, in Fall., 2008, 1209; Trib. Milano, 20 agosto 2009, in Fall., 2009, 1413; in senso contrario Trib. Udine, 15 ottobre 2008, in Fall. 2009, 1415) non può essere condivisa, senza che ciò tuttavia comporti una svalutazione della portata innovativa della norma in questione.

Non v'è dubbio infatti che, nel recepire un'espressione che già la giurisprudenza, sotto il vigore della legge del 1942, aveva consolidato, nel definire quali crediti sorti nel corso della procedura di concordato preventivo, in caso di consecuzione della procedura nel fallimento, potessero rientrare nei crediti da soddisfare in via prededucibile, il legislatore della riforma abbia voluto utilizzare la disgiuntiva "o", e non già la congiuntiva "e", ad indicare che la sola funzionalità alla procedura concorsuale possa essere di per sè sufficiente per il riconoscimento della prededuzione, a prescindere dall'esistenza della ulteriore condizione integrata dal fatto che il credito sia sorto in occasione della procedura, cioè in un ambito cronologico successivo al momento dell'apertura del concorso.

Nè pare possibile non riconoscere che la ratio della novità normativa vada ricondotta a quel favor che il legislatore ha ripetutamente dimostrato di avere per la procedura alternativa al fallimento, nella convinzione che il concordato preventivo possa integrare uno strumento più agile per la gestione della crisi in un'ottica di risanamento o della più rapida liquidazione del patrimonio dell'imprenditore in difficoltà.

Quel che oggi deve essere ritenuto incontestabile, e ciò proprio per effetto nella nuova disciplina scaturita dalla riforma dell'art. 111 l. fall., è che la prededuzione possa essere riconosciuta anche a crediti diversi, sia da quelli corrispondenti alle spese della procedura, la cui origine va ricondotta ad attività direttamente imputabili agli organi del concordato (tali crediti sono indubitabilmente quelli sorti "in occasione" della procedura concorsuale), sia da quelli sorti posteriormente al decreto di apertura, e strumentali alla gestione del patrimonio e dell'impresa del debitore in concordato.

Dalla sufficienza del requisito della funzionalità, svincolato dalla occasionalità, discende che in termini generali ed astratti anche i crediti vantati nei confronti dell'imprenditore ammesso al concordato che siano sorti prima dell'apertura del concorso dei creditori possano essere considerati prededucibili.

Oggi può essere considerato prededucibile, quindi, non soltanto il credito maturato dal commissario giudiziale o, nel concordato per cessione dei beni, del liquidatore giudiziale per il loro rispettivo compenso, ma altresì i crediti corrispondenti alle spese e ai debiti contratti dall'imprenditore in concordato che siano stati, appunto, funzionali alla procedura.

E tale rapporto di funzionalità prescinde dal dato temporale, prescinde cioè dalla considerazione dell'epoca di insorgenza del credito.

Detto ciò, non può essere dimenticato che non tutti i debiti contratti dall'imprenditore già in concordato o in funzione del concordato corrispondano ad un credito prededucibile, ma soltanto quelli di essi che risultino sorti legittimamente.

Tra tali debiti rientrano quindi anzitutto quelli che, integrando atti di straordinaria amministrazione, sono provvisti del provvedimento autorizzativo del giudice delegato previsto dall'art. 167, comma 2, l. fall., in secondo luogo quelli che, pur non rientrando nel novero degli atti di straordinaria amministrazione, risultino comunque posti in essere nell'interesse dei creditori (e non soltanto del debitore) e per tale ragione, appunto, devono considerarsi funzionali alla procedura.

Tra essi rientrano certamente i debiti contratti, prima o dopo il decreto di apertura, in coerenza con le clausole contenute nel piano sottostante alla proposta concordataria; ancora, i debiti contratti con soggetti la cui opera viene considerata necessaria per ottenere l'ammissione al concordato.

Dallo "svincolo" del requisito della funzionalità da quello dell'occasionalità e quindi dalla diretta riferibilità del credito alle esigenze di apertura, funzionamento e progressione della procedura discendono due corollari.

Oltre a quello, già visto, che toglie rilevanza al dato cronologico della posteriorità dell'insorgenza del credito rispetto al momento dell'apertura della procedura, v'è quello che si traduce nel fatto che per riconoscere la prededuzione del credito funzionale (e non anche occasionale) non è più necessario accertare che si sia verificata la cd. consecuzione delle procedure, e cioè che tra l'arresto del concordato e l'apertura del fallimento non vi sia stato alcun iato temporale.

Dall'uno e dall'altro dei due corollari discende la rilevanza, per la soluzione del dubbio in discorso, della questione di stabilire se il credito maturato dal professionista che abbia assistito il debitore nella formulazione della domanda di concordato, o nella elaborazione del piano sottostante alla domanda, rientri nella sfera di applicabilità di cui all'art. 111, comma 2, l. fall.

Infatti la certa anteriorità del titolo del credito vantato dall'opponente non è di per sè un ostacolo al riconoscimento della prededuzione, in un sistema che, come detto, non limita più il riconoscimento del beneficio al fatto che il credito sia sorto dopo l'apertura della procedura.

Ma ancora, diviene del tutto irrilevante l'eventuale circostanza che il fallimento della società sia intervenuto a distanza di un significativo lasso di tempo dalla risoluzione del concordato.

Fatte queste premesse, è gioco forza dover tener conto anche dell'art. 182-quater, comma 4, l. fall.

La norma, introdotta dal d.l. n. 48 del 31 maggio 2010, convertito in legge dalla legge n. 122 del 30 luglio 2010, integra infatti proprio un'esplicitazione del nuovo principio generale introdotto dall'art. 111, comma 2, l. fall., secondo cui anche il debito contratto dal debitore prima dell'apertura del concordato può rientrare nella sfera di applicabilità della disciplina della prededuzione, se funzionale all'apertura della procedura stessa.

Se prima dell'introduzione dell'art. 182 quater potevano esistere legittimi dubbi sulla prededucibilità del credito del professionista che assiste il debitore nella elaborazione del piano e della domanda di concordato (e le pronunce citate, significativamente, sono intervenute in un momento antecedente all'ultimo intervento del legislatore), oggi deve ritenersi che la novità normativa abbia fornito all'interprete una chiave di soluzione del problema difficilmente confutabile.

Limitando espressamente la possibilità di riconoscere la prededuzione al credito maturato dal professionista attestatore della veridicità dei dati e della fattibilità del piano concordatario e, soprattutto, condizionando tale possibilità al fatto che la prededuzione sia espressamente riconosciuta nel provvedimento con cui il tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo, la disciplina vigente finisce con l'escludere la possibilità di riconoscere la prededuzione a crediti di professionisti diversi da quello previsto dall'art. 161, comma 3, l. fall., la cui prestazione sia stata posta in essere prima dell'apertura della procedura.

Più in generale, va riconosciuto che il legislatore ha introdotto un principio che condiziona il riconoscimento della prededuzione al credito funzionale che sia sorto in epoca antecedente all'apertura del concordato al fatto che nel provvedimento di apertura vi sia una specifica disposizione da parte del tribunale.

Lo si desume inequivocabilmente dalla circostanza che anche la nuova finanza erogata in funzione del piano concordatario possa fruire della prededuzione se ed in quanto ciò sia espressamente disposto nel decreto di apertura, mentre tale condizione non è prevista per l'ipotesi in cui la nuova finanza sia erogata in esecuzione di un piano concordatario, quindi successivamente al decreto di apertura del concordato.

Il condizionamento della prededuzione alla valutazione ed alla conseguente pronuncia del tribunale subordina il riconoscimento della prededucibilità al controllo giurisdizionale, laddove il tema di tale controllo deve necessariamente essere quello della rispondenza del credito oltre che all'interesse del debitore, anche a quello dei creditori concorsuali.

Tale controllo è previsto in un momento che precede quello cui è chiamato il giudice delegato dell'eventuale successivo fallimento nel corso della verifica dei crediti.

La sottrazione del credito al concorso per effetto della sua qualificazione di credito prededucibile determina infatti conseguenze immediate anche nel concordato, a prescindere dall'eventualità che a quest'ultimo segua in fallimento.

Ove tale controllo sia assente, perché non previsto dalla legge, va quindi escluso che il credito possa fruire dello stesso regime giuridico previsto per il credito dell'attestatore o del finanziatore.

Né si può contestare la fondatezza di tale conclusione evidenziando che l'art. 111, comma 2, l. fall., così interpretato, finisce per determinare l'applicazione di discipline differenti a fattispecie del tutto analoghe: quella del credito di chi assiste il debitore nella preparazione della domanda di concordato e quella del credito del professionista contemplato dall'art. 161, comma 3, l. fall.

Infatti i due crediti in discorso non sono certamente equiparabili, nel loro rapporto con la procedura di concordato preventivo.

L'opera dell'attestatore è imprescindibile per l'apertura del concordato, a causa dell'obbligatorietà dell'allegazione alla domanda di ammissione del documento previsto dall'art. 161, comma 3, l. fall.

La stessa valutazione di ammissibilità della domanda che il tribunale è tenuto a fare prima di aprire il concordato riposa necessariamente anche sulla idoneità e conformità ai principi di legge della relazione attestatrice.

La prestazione del professionista che assiste l'imprenditore, al contrario, non è indispensabile, ben potendo il debitore formulare in proprio sia il piano sottostante alla proposta, sia la domanda di ammissione alla procedura.

Nella consapevolezza che quest'ultima possa suonare come un'ingenua affermazione che non tiene conto della inevitabile complessità dei problemi indotti dalla necessità di gestire la crisi con lo strumento concordatario, e quindi dell'ineluttabilità di un'assistenza tecnica, va comunque rimarcato che da tale differenza, che in linea teorica esiste, può certamente farsi derivare una differente conclusione in termini di classificazione del credito dell'attestatore e di quello del professionista "semplice".

In altri termini, la scelta del legislatore è stata quella di ravvisare nell'ipotesi della relazione attestatrice un nesso di funzionalità così diretto e immanente da indurlo ad assimilare il credito dell'attestatore, sotto certi profili, a quello del commissario giudiziale (per la sostanziale equivalenza dei controlli eseguiti dall'attestatore con le verifiche che subito dopo l'apertura della procedura effettua il commissario), e ciò a prescindere dal fatto che l'opera dell'attestatore preceda l'apertura del concordato, circostanza che è stata ritenuta del tutto irrilevante proprio per la natura della prestazione richiesta.

Così facendo è stata esclusa, a contrario, la rilevanza del nesso di funzionalità ravvisabile in fattispecie quale quella oggetto di esame.

La prestazione di colui che assiste l'imprenditore è quindi, nell'ottica del legislatore, fonte di un credito che nasce concorsuale-privilegiato, perchè in quel momento posta in essere nell'esclusivo interesse del debitore e resta tale anche dopo l'apertura del concorso.

Su tale differente visione del legislatore si può anche non concordare, ma di essa non può non tenersi conto, poiché comunque nulla autorizza, per le ragioni anzidette, a ravvisare una piena equivalenza tra la posizione dell'attestatore e quella del professionista che assiste il debitore.

La prova di resistenza della logicità di quanto asserito si trova nella circostanza che il legislatore ritiene imprescindibile, ai fini del riconoscimento della prededuzione (sia di quella dell'attestatore, sia di quella del credito per nuova finanza erogata in funzione del piano), l'espressa pronuncia del suo riconoscimento da parte del tribunale.

Tale pronuncia deve essere parte del decreto di apertura.

Così disponendosi, viene riaffermato il principio generale che priva il debitore della possibilità di interferire, senza che vi sia un'espressa previsione di legge o senza l'avallo degli organi della procedura, nella quantificazione delle risorse messe a disposizione dei creditori con la previsione di spese e debiti di natura prededucibile.

Ora, se si optasse per la tesi estensiva, si finirebbe per riconoscere la prededuzione al professionista che ha assistito il debitore nella presentazione della domanda, sempre ed indipendentemente da una valutazione dell'organo giurisdizionale sul punto, al contrario di quanto espressamente previsto per il caso del professionista attestatore della fattibilità del piano.

Ciò significherebbe costruire in via interpretativa una disciplina più favorevole per il professionista "semplice", rispetto a quella del professionista "attestatore", non considerando che, in termini teorici, per le ragioni anzidette, la funzionalità dell'attestazione alla procedura è molto più intensa e diretta di quanto lo sia la prestazione del legale o del commercialista che assiste il debitore in crisi.

E' dunque proprio la necessità di garantire che il trattamento normativo di situazioni non equivalenti sia rispondente a logica che induce ad escludere che la prededuzione possa assistere il credito del professionista che assiste l'imprenditore nella formulazione della domanda di concordato.

Né pare possibile ipotizzare un'applicazione in via analogica, all'ipotesi in esame, dell'art. 182 quater, comma 4, l. fall., non potendosi estendere a fattispecie diverse da quelle espressamente previste l'attribuzione – necessariamente soggetta ad interpretazione restrittiva - del rango prededucibile ad un credito che diversamente sarebbe di natura concorsuale.

Da quanto detto deriva inevitabilmente l'esclusione della possibilità di un riconoscimento automatico del beneficio in favore di professionisti che abbiano svolto attività diverse da quella espressamente contemplata dall'art. 182 quater l. fall. in epoca antecedente al decreto di ammissione.

La conclusione, se pienamente convincente con riguardo al caso del professionista che abbia assistito il debitore nella elaborazione del piano e/o nella stesura del ricorso, lo è molto meno con riferimento alle prestazioni professionali di altri soggetti, la cui opera è indispensabile ai fini dell'apertura del concordato preventivo in misura equivalente a quella del professionista previsto dall'art. 161, comma 3, l. fall.

Si pensi, sempre nell'ambito del concordato preventivo, all'attestazione del valore di mercato dei beni sui quali insiste un privilegio, generale o speciale, che sia funzionale (e che in tali casi è obbligatoria) ad una proposta di concordato che preveda il pagamento parziale dei creditori privilegiati (art. 160, comma 2, l. fall.).

In casi come questo, una volta scartata la possibilità di applicare in via analogica la norma di cui all'art. 182 quater, la differenza di disciplina scaturita dall'intervento del legislatore è non facilmente giustificabile, tanto da indurre dubbi di legittimità costituzionale.

La responsabilità civile dell'attestatore: la legittimazione attiva del curatore all'azione di responsabilità civile nei confronti del professionista attestatore

Non potendoci essere dubbio alcuno quanto alla possibilità di individuare profili di responsabilità extracontrattuale nella condotta dell'attestatore negligente, i problemi che si pongono ineriscono alla possibilità di ammettere che l'azione di responsabilità sia esperita dal curatore del fallimento, in rappresentanza dell'interesse della massa dei creditori concorsuali.

In proposito va detto che sono possibili due diversi orientamenti.

Secondo una prima tesi la legittimazione del curatore a far valere la responsabilità del professionista attestatore non sarebbe ammissibile, per la semplice ragione che non sarebbe configurabile, in questi casi, alcun “danno di massa”, dovendosi valutare, caso per caso, il pregiudizio sofferto dai singoli creditori a causa del comportamento “anomalo” del professionista.

Tale pregiudizio, infatti, non solo può essere diverso per ciascun creditore (si pensi alla differenza tra creditori con titolo anteriore e quelli con titolo posteriore al deposito dell'attestazione), ma in alcune ipotesi può anche mancare.

Si pensi, a titolo di esempio, al caso dei creditori “anteriori” che hanno negoziato con l'imprenditore poi dichiarato fallito conoscendo perfettamente lo stato di insolvenza del loro contraente.

Sulla scorta di tali argomenti, si sostiene che la legittimazione ad agire spetti ai singoli creditori, ai quali quindi incomberà l'onere di dimostrare l'esistenza del danno, la sua effettiva entità, il nesso causale tra tale danno e il comportamento illecito dell'attestatore, secondo i principi generali che regolano l'onere probatorio connesso alla responsabilità ex art. 2043 c.c.

Secondo la tesi opposta a quella in discorso, la legittimazione del curatore all'esercizio dell'azione di responsabilità sarebbe ammessa.

In base a tale opinione, infatti, il danno prodottosi a seguito del ritardato fallimento consisterebbe, non tanto nella menomazione della libertà contrattuale di coloro che abbiano a loro volta concesso o rinnovato fiducia all'imprenditore, quanto piuttosto nella lesione all'integrità patrimoniale dell'imprenditore conseguente all'artificiosa protrazione dell'attività d'impresa.

Detto in altri termini, il professionista sarebbe chiamato a rispondere verso i danneggiati non per averli ingannati, creando un'apparenza di solvibilità prospettica non rispondente al vero, ma per aver leso l'integrità della garanzia patrimoniale del debitore.

Il danno sarebbe pertanto “di massa” in quanto subito, indistintamente, da tutti i creditori, con conseguente legittimazione ad agire del curatore fallimentare.

La legittimazione del curatore fallimentare è stata ricondotta, inoltre, alla diretta causazione di un danno all'imprenditore poi fallito, donde la legittimazione degli organi del fallimento a sostituirsi a quest'ultimo per reintegrare, attraverso un'azione risarcitoria, la garanzia patrimoniale lesa dal comportamento scorretto dell'attestatore.

In realtà, il problema della legittimazione del curatore fallimentare è risolvibile passando per il principio secondo cui il curatore avrebbe la possibilità di convenire in giudizio il professionista, in rappresentanza sia della società fallita sia della massa dei creditori, ricorrendo all'azione di responsabilità per danni prevista dall'art. 146 l. fall., configurando un atto di cattiva gestione integrato proprio dal concorso di amministratore e attestatore; di qui la possibilità di convenire in giudizio l'attestatore per il concorso nella lesione del patrimonio discendente dalla ritardata dichiarazione di fallimento conseguente alla formulazione di un piano di risanamento attestato.

Diversamente la legittimazione della curatela quale organo rappresentativo della massa va esclusa, sulla base del principio secondo cui il curatore può essere sostituto processuale della massa dei creditori soltanto nei casi in cui ciò sia espressamente previsto dalla legge, e tra tali casi non è compreso quello di un'azione aquiliana nei confronti del professionista attestatore.

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