La disciplina del leasing nel concordato preventivo

09 Dicembre 2011

La riforma del diritto fallimentare, pur nella varietà di interventi ripetuti nel tempo, non ha disciplinato in alcun modo i rapporti pendenti nel concordato preventivo. Di conseguenza, appurata in generale l'inapplicabilità a tale procedura degli artt. 72 segg. l. fall., si analizzano più in particolare gli effetti del concordato preventivo sul contratto di leasing ancora in corso di esecuzione, il trattamento dei debiti anteriori e successivi alla domanda di concordato e, infine, la sorte della clausola secondo cui l'ammissione ad una procedura concorsuale, concordato preventivo incluso, costituisce causa di risoluzione automatica del contratto.
La disciplina dei rapporti pendenti nel concordato preventivo. L'inapplicabilità degli artt. 72 e segg. l. fall.

La riforma del diritto fallimentare, pur nella varietà di interventi ripetuti nel tempo, non ha toccato in alcun modo la disciplina dei rapporti pendenti nel concordato preventivo, che, quindi, come nel passato, continua ad essere privo di un'apposita regolamentazione. Sotto la vigenza del precedente regime, l'orientamento unanime della giurisprudenza escludeva l'applicabilità degli artt. 72 e segg. l. fall., mentre in dottrina si registrava una qualche varietà di opinioni (cfr. fra le molte Cass. 578/2007; in dottrina per tutti JORIO, I rapporti giuridici preesistenti il rapporto giuridico, Padova, 1973, 173 ss.).

Varietà di opinioni che con l'intervenuta riforma sembra essersi ricomposta in un atteggiamento unanime che esclude l'applicabilità degli artt. 72 e segg. l. fall. ai contratti pendenti nel concordato preventivo. E ciò in quanto – si sostiene - prevale la funzione conservativa di questa procedura, mirata espressamente a consentire la prosecuzione dell'attività e, quindi, il superamento della crisi, come indirettamente confermato anche dallo spossessamento attenuato subìto dall'imprenditore (cfr. in argomento AMBROSINI, Il Concordato Preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Tratt. Cottino, 98 ss.; FIMMANÒ, Gli effetti del nuovo concordato preventivo sui rapporti in corso di esecuzione; CENSONI, sub. art. 168, in Il nuovo diritto fallimentare, Commentario diretto da Jorio, 2007, 2422; Patti, La disciplina dei rapporti giuridici preesistenti nel nuovo concordato preventivo, in Il Fallimento, 2010, 261; MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2009, 968).

Ne consegue che, in linea di principio, i rapporti pendenti continueranno ad essere eseguiti al di fuori del concorso, secondo le ordinarie regole civilistiche e quindi, anche in presenza di ammissione dell'impresa a tale procedura, questi negozi proseguiranno senza necessità di alcuna autorizzazione del giudice delegato, salvo si tratti di contratti riconducibili ad atti di straordinaria amministrazione per i quali l'autorizzazione in questione si rende necessaria. Ma non è questo certo il caso dei contratti di leasing, che, quindi, con la presentazione della domanda di concordato preventivo, in linea generale, continuano normalmente al di fuori delle regole espressamente previste per questo contratto dall'art. 72-quater l. fall.

Una tale premessa lascia aperta, peraltro, una serie di quesiti, dovendosi esaminare, in assenza di apposita disciplina, quale sia il trattamento degli eventuali debiti pregressi e di quelli sorti successivamente alla presentazione della domanda, nonché quali siano gli effetti di una risoluzione contrattuale discendente da una espressa clausola risolutiva oppure da una previsione del piano concordatario; il tutto con riguardo anche alla scindibilità o meno del contratto con riferimento alle prestazioni maturate prima e dopo l'ammissione alla procedura concordataria.

La sorte dei debiti risultanti da contratto di leasing già risolto

Esula da questa disamina la sorte dei debiti relativi ad un contratto di leasing già oggetto di risoluzione anteriore alla presentazione della domanda di concordato, in quanto in questo caso non siamo in presenza di un contratto pendente e, di conseguenza, gli eventuali debiti maturati avranno, in linea generale, natura chirografaria e subiranno la falcidia concordataria. Merita semmai fin d'ora rimarcare come un tale scontato esito possa rendere opportuna in certi casi una preventiva trattativa con le società di leasing nelle circostanze in cui non vi sia l'interesse da parte dell'impresa “concordataria” alla continuazione del contratto al fine di poter giungere ad un accordo di risoluzione consensuale anteriore alla presentazione della domanda, come si avrà modo di specificare ulteriormente più avanti.

La sorte del contratto di leasing in corso a seguito della domanda di concordato

Come si è sopra ricordato, il contratto di leasing, di regola, dovrebbe essere insensibile alla domanda di concordato preventivo e continuare regolarmente.

Il condizionale è in parte d'obbligo in quanto, a prescindere dalla circostanza in cui sussista una specifica clausola risolutiva del contratto in caso di domanda di concordato (questione che si affronterà in seguito), la continuazione del contratto potrebbe in teoria essere messa in discussione, oltre che da un eventuale ricorso alla risoluzione contrattuale, dall'applicabilità dell'art. 1461 c.c., secondo cui ciascun contraente può sospendere l'esecuzione della prestazione da lui dovuta se le condizioni patrimoniali dell'altro sono divenute tali da porre in evidente pericolo il conseguimento della controprestazione, salvo che sia prestata idonea garanzia. Sull'applicabilità di una tale norma ai contratti pendenti i commentatori non nutrono dubbi, ma pare altrettanto evidente come tale disposizione non sia pienamente adattabile al contratto di leasing.

Non solo, infatti, nel caso in questione la garanzia è in re ipsa nella proprietà del bene in capo alla società concedente, ma la stessa ammissione alla procedura di concordato avviene attraverso meccanismi garantistici degli interessi dei creditori, senza contare - sempre in chiave garantistica, secondo alcuni (Fimmanò, op. cit.) - che il nuovo secondo comma dell'art. 111 l. fall. sancisce che sono prededucibili i debiti sorti “in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge” (ma su una diversa lettura di questa norma si veda più avanti). Si aggiunga poi che la sospensione del contratto potrebbe implicare il ritiro del bene e, quindi, potrebbe impedire la continuazione dell'attività ed il raggiungimento delle finalità proprie del concordato. Tutto, insomma, fa presupporre che una tale norma non sia applicabile al contratto di leasing (in senso sostanzialmente conforme FIMMANÒ, op cit., 10, PATTI, Il leasing nelle procedure concorsuali minori, in Giur. Comm, 1996, 934).

Segue. Il trattamento dei debiti anteriori e successivi alla domanda di concordato

Posto, dunque, che il contratto in oggetto prosegua regolarmente, si tratta ora di esaminare la sorte dei debiti eventualmente esistenti prima dell'ammissione alla procedura e dei debiti sorti successivamente.

Prima di affrontare tale questione con specifico riguardo al contratto di leasing, appare opportuno fare una breve digressione sulle regole che si ritengono applicabili in genere ai contratti in caso d'insorgenza di debiti sorti anteriormente o posteriormente alla ammissione della domanda di concordato.

Lasciata da parte la fattispecie già esaminata di un debito risultante da una risoluzione anteriore alla domanda di concordato, fattispecie risolvibile pacificamente, come si è detto, con la classificazione dei debiti come chirografari e sottoposti alla falcidia concordataria, si tratta ora di verificare la sorte dei debiti – anteriori o posteriori - al concordato, qualora, prima della domanda concordataria, non sia intervenuta la risoluzione del contratto. A questo proposito, in linea generale, occorre distinguere fra contratti di durata e non. Ove, infatti, non si sia in presenza di contratto di durata pendente dopo l'ammissione alla procedura concordataria, il debito dovrà intendersi anteriore o posteriore a seconda del momento in cui scatta contrattualmente l'obbligo di pagamento. Nel primo caso, quindi, subirà la falcidia concordataria, mentre, nel secondo, dovrà essere pagato in prededuzione.

Una tale regola, del resto – anche se la cosa non ha rilievo per l'inapplicabilità degli artt. 72 e segg. l. fall. -, è conforme alla stessa disciplina fallimentare, atteso che soltanto i crediti per prestazioni successive al subingresso del curatore fruiscono della prededuzione.

E' peraltro opinione di autorevoli studiosi, cui si aderisce, che qualora dopo l'ammissione al concordato il contraente in bonis risolva il contratto, la risoluzione abbia effetto a partire dalla conclusione del contratto e, quindi, il debito a carico dell'impresa “concordataria” sia concorsuale, ossia sottoposto alla falcidia concordataria (Patti, op. ult. cit., 926).

A questa soluzione – che pone problematiche non semplici sul piano concordatario - si sottrae peraltro la vendita con riserva di proprietà, in quanto, in seguito a risoluzione, troverà applicazione il disposto dell'art. 1526 c.c. che prevede, in caso di inadempimento del compratore, l'obbligo per il venditore di restituire le rate riscosse salvo il diritto ad un equo compenso per l'uso della cosa, oltre al risarcimento del danno, e salva altresì la possibilità per il giudice, qualora sia pattuito che le rate pagate siano acquisite dal venditore, di ridurre l'indennità convenuta.

Nel caso in cui, invece, ci si trovi di fronte a contratti di durata, i debiti anteriori alla procedura concordataria subiranno la relativa falcidia, mentre quelli successivi dovranno essere pagati in prededuzione.

Inoltre, in caso di risoluzione successiva alla domanda concordataria, non si ha il sopra riferito effetto retroattivo, atteso che, ai sensi dell'art. 1458 c.c., l'effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite, il che dovrebbe, a rigore, comportare che anche in tal caso il debito anteriore subisca la falcidia e quello posteriore all'ammissione al concordato debba essere pagato in prededuzione.

In altri termini, il riferimento a regole di diritto comune e non a quelle di cui agli artt. 72 e segg. l. fall. fa sì che non possa trovare applicazione per analogia la regola generale dell'art. 74 l. fall., secondo cui in presenza di contratti di durata con il subentro del curatore nel contratto scatta l'obbligo di pagare in prededuzione anche i crediti già maturati (PATTI, La disciplina dei rapporti preesistenti…, cit, 4). Regola che, detto per inciso, viene invece correttamente richiamata dai commentatori con riguardo al subentro del curatore nel contratto di leasing in caso di fallimento.

Se questi sopra riferiti sono i principi generali in materia contrattuale, la loro trasposizione al contratto di leasing non è affatto agevole, attesa la particolarità di tale negozio “atipico”, la cui natura non è scontata anche dopo il noto intervento “chiarificatore” della Cassazione, dipendendo in larga misura, come è stato osservato, dalla particolarità delle singole fattispecie contrattuali (PATTI, Il leasing nelle procedure concorsuali minori, cit., 931).

Com'è risaputo, dopo l'intervento della Cassazione si riconoscono due tipologie di leasing (LAMANNA, Il leasing, Milano, 1990, 83 ss.; FIMMANÒ, op. cit., 12). L'uno, tradizionale o di godimento, caratterizzato dal fatto che al termine del contratto il bene ha un valore esiguo e i canoni valgono a compensare l'utilizzo di un bene strumentale per l'attività di impresa. In questo caso, il carattere di contratto di durata non è in discussione e quindi si tende a riconoscere il principio di scindibilità delle prestazioni prima e dopo la domanda concordataria, scindibilità che, come si è visto, si traduce nella sottoposizione alla falcidia concordataria dei debiti ante domanda di concordato e nell'obbligo di pagamento integrale per i debiti successivi (PATTI, op. cit., 933; GUZZI, in Dir. Fall. 1998, I°, 325; FIMMANÒ, op. cit.; ma di diverso avviso, contro la tesi della scindibilità vedi MAFFEI ALBERTI, in Dir. Fall. 1994, I°, 597).

La seconda tipologia di leasing è quella denominata “leasing traslativo”, in cui prevale la funzione di finanziamento ai fini del trasferimento della proprietà di un bene che al termine del contratto conserva un suo rilevante valore. In questo caso i canoni sono assimilati a rate di prezzo e quindi prevarrebbe, si sostiene, l'analogia con la vendita a rate, con la conseguente non scindibilità delle prestazioni (FIMMANÒ, op. ult. cit., ivi.).

In tale evenienza, dovrebbe quindi trovare applicazione in caso di risoluzione l'art. 1526 c.c., con conseguente spostamento delle ragioni di credito ad un momento successivo alla domanda concordataria.

Altra e diversa questione è poi se, in luogo dell'art. 1526 c.c., trovi applicazione, come di regola avviene, una clausola contrattuale risolutiva appositamente prevista, anche se una siffatta previsione non dovrebbe spostarsi molto dai principi dell'art. 1526 c.c. Per completezza va comunque osservato come sulla scia della giurisprudenza e del nuovo art. 72-quater l. fall. costituisca ormai di fatto un principio ineludibile in materia l'obbligo di dedurre dal quantum dovuto in caso di risoluzione l'importo ricavato dalla vendita del bene. Peraltro, nel caso in cui non si addivenga ad un'ipotesi di risoluzione, pare difficile escludere il carattere di contratto di durata anche di tale negozio, con conseguente scindibilità delle prestazioni e, di conseguenza, delle ragioni di credito del contraente in bonis prima e dopo la domanda di concordato.

Anche perché, si ripete, com'è stato acutamente osservato, la tipizzazione sopra riferita del contratto di leasing da parte della Cassazione, in assenza di norme di legge, non ha valore assoluto, dovendo confrontarsi con le ipotesi concrete determinate dal mercato in cui il carattere prevalente traslativo o meno dipende da una varietà mutevole di circostanze (PATTI, Il leasing nelle procedure concorsuali minori, cit.).

E' anche per questa ragione che sembra preferibile considerare comunque contratto di durata il leasing, con conseguente scindibilità delle prestazioni, a meno che non si ritenga che il nuovo secondo comma dell'art. 111 l. fall. non faccia propendere in ogni caso per l'inscindibilità del contratto di leasing (È l'opinione di FIMMANÒ, op. ult. cit.). Tale norma, nello stabilire che sono prededucibili i crediti sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali, ha obiettivamente un significato incerto. Essa potrebbe ad esempio voler dire che, qualora in funzione del buon esito della proposta concordataria si ritenesse indispensabile proporre la risoluzione anticipata di alcuni contratti di leasing, dovrebbero essere regolate in prededuzione le somme dovute e previste in contratto e/o secondo le regole dell'art. 1526 c.c.; ma potrebbe anche significare, forse più probabilmente e semplicemente, che tale disciplina concerne i crediti sorti successivamente all'ammissione della procedura connessi o funzionali allo svolgimento della procedura medesima.

Fermo quindi il carattere di contratto di durata del leasing, resta peraltro salvo il caso di risoluzione post concordato nel c.d. leasing traslativo, in cui l'applicazione di regole contrattuali più o meno modulate sull'art. 1526 c.c. sembra difficilmente eludibile. Ed è ovvio che in tale circostanza l'importo dovuto in prededuzione dovrà tener conto della somma eventualmente riconosciuta nel piano concordatario relativa ai canoni ante domanda non pagati (oltre che, come si è detto, di quanto ricavato dalla vendita del bene).

Presentazione della domanda di concordato e clausola di risoluzione automatica del contratto. La risoluzione anticipata prevista nella proposta concordataria

Al di là dei casi sopra esaminati, resta da approfondire un'ultima questione che si ritrova con frequenza nella casistica contrattuale del leasing, ovverossia la sorte della clausola secondo cui l'ammissione a una procedura concorsuale, concordato preventivo incluso, costituisca causa di risoluzione automatica del contratto.

Si tratta anzitutto di stabilire se tale clausola sia efficace.

Ad avviso di una parte della dottrina (AMBROSINI, op. cit., 101), sebbene la disciplina degli artt. 72 e segg. l. fall. non si applichi ai contratti pendenti nel concordato, vi sarebbero in tale normativa alcuni principi che, per la loro natura, sarebbero suscettibili di applicazione nell'ambito concordatario. Uno di questi sarebbe rappresentato appunto dal principio contenuto nell'art. 72 l. fall. ultimo capoverso, secondo cui sono inefficaci le clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento.

La tesi potrebbe avere un suo fondamento in quanto, se è pur vero che in linea di principio la normativa sui contratti pendenti nel fallimento non trova applicazione nei riguardi dei contratti in essere nell'ambito del concordato preventivo, è altrettanto vero che la ratio della norma troverebbe giustificazione nei confronti di una procedura che ha come finalità il salvataggio dell'impresa in crisi e che quindi potrebbe vedere sconvolto il suo piano concordatario dall'impossibilità di contare sulla continuazione di contratti essenziali per la vita dell'impresa.

Chi scrive apprezza pienamente la riferita opinione dottrinale, ma osserva comunque che si tratta di un parere opinabile, atteso che la ratio della norma fallimentare consiste nella volontà di far cadere sul Curatore la scelta in ordine alla prosecuzione o meno del contratto, ed è dunque – a ben vedere - una ratio estranea alla fattispecie concordataria, il che rende obiettivamente opinabile l'estensione di una tale disciplina al caso in questione. Resta il fatto che, se la clausola è inefficace, il contratto continua regolarmente e l'eventuale risoluzione sarà successiva all'ammissione alla procedura, con gli effetti già segnalati nel paragrafo precedente a seconda della tipologia del contratto di leasing e, quindi, della sua riferibilità o meno a un contratto di durata.

Al contrario, ove si volesse considerare efficace la clausola risolutiva, la risoluzione potrebbe dirsi avvenuta anteriormente all'ammissione alla procedura, con conseguente sottoposizione alla falcidia concordataria delle somme dovute, sempre che non si ritenga applicabile alla circostanza il secondo comma dell'art. 111 l.fall. con le conseguenze già riferite in precedenza.

Al di là di quanto sopra, è da ritenersi invece che debba consentirsi all'imprenditore di prevedere un piano contenente una proposta nella quale vi sia la risoluzione o l'inadempimento di qualche contratto la cui prosecuzione gravi eccessivamente sul sistema economico finanziario dell'attività imprenditoriale (E in questo senso si veda anche FIMMANÒ, op. cit.).

Discusso è se tale mancata continuazione necessiti o meno dell'autorizzazione del G.D., anche se appare convincente la tesi della non necessità di tale autorizzazione, atteso che il diniego modificherebbe di fatto il piano proposto (FIMMANÒ, op. cit).

E dove la tutela del creditore passa attraverso l'approvazione o meno della proposta.

Ove si perseguisse una tale strada senza un preventivo accordo risolutivo con le società di leasing, resterebbe da capire quali siano le conseguenze, ovverossia se un'ipotesi di risoluzione dia luogo a un credito risarcitorio anteriore o successivo all'apertura della procedura con conseguente riconoscimento del quantum in percentuale concordataria o in prededuzione.

Si tratta di questione dagli esiti incerti e discutibili anche se, come si è avuto modo di osservare, il nuovo secondo comma dell'art. 111 l. fall. potrebbe far propendere per la tesi della prededucibilità.

Per contro, approfittando di una certa vischiosità del dettato letterale della norma, ove non la si volesse interpretare nel senso sopra ricordato, si potrebbe, al fine di contrastare la tesi della prededucibilità, prevedere, nell'ambito della domanda di concordato, quale condizione essenziale di praticabilità della proposta, la risoluzione ex se del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione; in tal caso, approfittando anche di una fase temporale in cui è ancora carente un assetto interpretativo consolidato, sarebbe possibile argomentare la risoluzione come antecedente al concordato, con conseguente sottoposizione della somma dovuta alla falcidia concordataria sul presupposto, da un lato, che il concorso si apra solo con il decreto di ammissione alla procedura e non con il deposito della domanda e, dall'altro, che il disposto dell'art. 111, comma 2, l. fall., si riferisca a crediti successivi conseguenti allo svolgimento della procedura.

Inutile dire che si tratta di una strada per nulla agevole, dovendo transitare non solo per le forche caudine del citato art. 111 l. fall., ma anche attraverso la nozione di impossibilità sopravvenuta della prestazione, che non è detto sia sempre facilmente adattabile al caso in questione. Ed è ovvio che l'opportunità di seguire un tale percorso, indubbiamente assai rischioso, può dipendere dalla valutazione di situazioni concrete e/o dalla appetibilità della proposta concordataria, e/o dalla opportunità/necessità di rendere partecipi alla votazione concordataria i soggetti in questione.

In definitiva, una diversa e certamente più rassicurante soluzione potrebbe essere quella di concordare, come si è detto, ante proposta concordataria, con le società di leasing interessate, una risoluzione consensuale con riconoscimento del credito da soddisfarsi in ambito concordatario secondo un quantum “appetibile” prestabilito, soluzione che, ovviamente, in caso di garanzia prestata da terzi, potrebbe essere favorevole per l'imprenditore.

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