L'insostenibile leggerezza dell’essere “concordato con continuità aziendale”

Danilo Galletti
15 Dicembre 2015

Il concordato che pianifichi la continuità di un compendio aziendale, a prescindere dalla “prevalenza”, nonché dalla natura diretta od “indiretta”, ed a condizione che non si configuri un abuso del concordato, non necessita di assicurare il conseguimento del 20% del valore dei crediti.

Il concordato che pianifichi la continuità di un compendio aziendale, a prescindere dalla “prevalenza”, nonché dalla natura diretta od “indiretta”, ed a condizione che non si configuri un abuso del concordato, non necessita di assicurare il conseguimento del 20% del valore dei crediti.

Ho già avuto modo in passato di “professare” la mia radicale avversione all'idea per cui il concordato con continuità aziendale, di cui all'art. 186-bis l. fall., si qualificherebbe come tale, qualora il piano sia in realtà “misto”, sulla base della “prevalenza” o meno sulla componente liquidatoria: quando vi sono assets da collocare sul mercato o da trasferire a terzi al di fuori della dinamica ordinaria dell'impresa, per soddisfare col ricavato i creditori concorsuali, il concordato può definirsi “misto” e a mio avviso si applicano al contempo l'art. 186-bis l. fall. e l'art. 182 l. fall., imponendosi la nomina di un liquidatore giudiziario.
Allo stesso tempo, il concordato in cui la continuità sia solo “indiretta”, perché l'impresa non è esercitata neanche per un segmento temporale dal debitore in concordato, ma da un terzo (come ove l'azienda sia già affittata prima dell'ingresso in procedura), non rientra a mio parere nel fuoco applicativo dell'art. 186-bis l. fall.: scopo della norma infatti non era e non è l'incentivazione della continuità imprenditoriale in termini “oggettivi”, ma semmai circondare un concordato particolarmente pericoloso, nella misura in cui la continuazione dell'impresa può condurre a rilevanti prededuzioni per via di flussi di cassa insufficienti ad estinguere i debiti di funzionamento, di maggior cautele informative e procedimentali.
L'art. 160, ult. cpv., l. fall. prescrive adesso che le proposte concordatarie debbano “assicurare” il pagamento del 20% dei crediti, con l'eccezione dei soli “concordati con continuità aziendale di cui all'art. 186-bis”.
La mia opinione è che la norma si applichi ad ogni concordato che programmi la continuità di un ramo di impresa, a prescindere dalle sue dimensioni o dall'importanza della stessa rispetto alle residue componenti del piano; su questo piano l'art. 186-bis l. fall. e l'art. 160 l. fall. mi paiono coestensivi.
L'unica eccezione sarà costituita dai casi ove si dimostri che tale assetto sia stato concepito in termini di abuso del concordato, perché il ramo sia proseguito soltanto al fine di “lucrare” l'esenzione dal rispetto del limite del 20%, ma non abbia alcuna incidenza sul conseguimento dei fini per i creditori che ci si ripromette con la procedura; ad es. qualora sia già immediatamente percepibile che la continuazione dell'impresa verrà meno presto, poco dopo aver “incassato” il vantaggio.
Rispetto invece alla fattispecie della continuità “indiretta”, mi pare che l'art. 160 l. fall. presenti una ratio differente e distonica da quella dell'art. 186-bis: qua si tratta proprio di incentivare la realizzazione dei concordati che conseguano la conservazione, in termini oggettivi, di almeno un compendio aziendale. Probabilmente per fini di carattere populistico e di “legittimazione politica”. Ma tant'è.
La lettera della norma, che richiama esplicitamente l'art. 186-bis l. fall., sembrerebbe non dare scampo all'interprete.
Ma ancora una volta gli elementi di carattere funzionale debbono prevalere su quelli testuali e letterali.
Dunque, in forza, se si preferisce, di un fenomeno di analogia “interna”, l'esenzione dovrà essere estesa, assecondando la sua funzione, anche ai casi di continuità “indiretta”.
A condizione ancora che non si riscontrino i presupposti dell'abuso del concordato.

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