E' dibattuto in dottrina se l'art. 86, comma 5, TUIR sia o meno applicabile a tutte le forme di concordato preventivo e non solo a quello con cessione di beni.
Giova premettere in proposito - per inquadrare correttamente il problema – che l'ammissione di un'impresa alla procedura di concordato preventivo non comporta la perdita dei poteri gestionali e in genere operativi in capo all'imprenditore, il quale pertanto - e a maggior ragione - mantiene anche la legale rappresentanza. Il debitore in concordato, infatti, è pacificamente sottoposto a quello che viene definito uno “spossessamento attenuato”; conserva cioè, oltre alla proprietà, la disponibilità e l'amministrazione dei suoi beni, fatte salve limitazioni specifiche di legge previste per la procedura (per esempio, per le operazioni straordinarie).
Non esiste, infatti, nel concordato, una norma analoga all'art. 42 l. fall., che prevede espressamente lo spossessamento del fallito dalla disponibilità dei suoi beni. E d'altra parte la Cassazione, con la sentenza n. 709 del 21 gennaio 1993, ha affermato che la cessione dei beni ai creditori, quale particolare forma di attuazione del concordato preventivo, non costituisce un'ipotesi di trasferimento della proprietà, ma deve essere inquadrata nel generale istituto della cessio bonorum ex artt. 1977 e segg. cod. civ..
La traslazione di questi principi generali nell'area tributaria comporta che gli adempimenti fiscali restano posti a carico esclusivo dell'imprenditore, mentre nulla compete al commissario giudiziale o al liquidatore giudiziale. Ma dopo le varie modifiche apportate alla legge fallimentare - da ultima quella di cui al D.L. 83/2012 - l'applicazione della norma regolatrice, l'art. 86, comma 5, del TUIR, pone all'interprete più di un problema.
L'art. 86, comma 5, del TUIR recita testualmente: “La cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze e minusvalenze di beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore dell'avviamento”.
La voluntas legis sembrerebbe dunque inequivoca. Ma ancora il recente documento “La fiscalità nel concordato preventivo in continuità aziendale”, a cura della Fondazione dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Reggio Emilia (3/10/2014), richiamando anche le considerazioni svolte da un Autore (E. Bertacchini, “Il regime fiscale delle procedure concorsuali”), afferma che “Il tenore letterale della norma…fa apparente diretto riferimento ai soli concordati con cessione dei beni ...” e conclude che: “…. su questo punto sarebbe auspicabile un chiarimento normativo”.
Ad avviso di chi scrive, il problema non dovrebbe porsi.
Infatti, dopo un'iniziale interpretazione restrittiva, la Corte di Cassazione prima, con la sentenza n. 5112 del 4 giugno 1996, poi l'Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 29 del 1° marzo 2004, hanno chiarito l'ambito applicativo della norma, affermando che il precetto si riferisce sia alla cessione di cui all'istituto privatistico ex artt. 1977 e ss. c.c. (cessione come mezzo per attribuire agli organi della procedura la legittimazione a disporre dei beni ceduti), sia alle plusvalenze/minusvalenze realizzate in sede di vendita a terzi di quei beni, compresi rimanenze e avviamento, con ciò quindi assorbendo anche la cessione di azienda.
A questo punto, però, richiamate in estrema sintesi le più frequenti forme di concordato preventivo – e in particolare: con cessione dei beni, con cui il debitore mette a disposizione del ceto creditorio tutti i beni costituenti l'attivo di impresa; con continuità aziendale, come previsto all'art. 186-bis l. fall.; e misto, nel quale la continuità aziendale si accompagna alla cessione dei beni non strategici (ancora art. 186-bis cit.) – e ricordato come le “nuove” forme di concordato fossero già note alla dottrina e alla giurisprudenza ancor prima della riforma del diritto fallimentare di cui al D.L. 35/2005, occorre valutare la reale portata dell'art. 86, comma 5, TUIR, perché la sua formulazione originaria è anteriore alla predetta riforma e riguarda un ambito diverso dal concordato con cessione dei beni.
Va allora sottolineato che la norma di cui al comma 5 dell'art. 86 TUIR non fa specifico riferimento al concordato con cessione dei beni, anche se parte della dottrina ne dà questa lettura (per tutti G. Andreani – A. Tubelli, Profili reddituali delle plusvalenze nel concordato preventivo, in Corriere Tributario n. 13/2013) o prospetta aspetti dubitativi .
Né quest'interpretazione, né dubbi di sorta possono essere però condivisi.
Con la sentenza sopra citata, la Suprema Corte afferma testualmente: “Dall'esame dei lavori preparatori (e, in particolare, dal parere della commissione dei trenta sullo schema del T.U. [art. 127]) si ricava che l'obiettivo che si intendeva raggiungere con la disposizione in esame [art. 54, comma 6, ora art. 86, comma 5 del TUIR] era proprio quello di ridurre l'onere fiscale delle operazioni compiute nel corso della liquidazione concordataria …..”.
Tale indicazione trova conferma nella sentenza della Suprema Corte n. 22168 del 16 ottobre 2006, che recita “…… l'art. 54, comma 6 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, il quale dispone che la cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze, deve essere inteso nel senso che il trasferimento a terzi dei beni ceduti, effettuato in esecuzione del concordato, non comporta la realizzazione di plusvalenze tassabili”.
Anche l'Agenzia delle Entrate, con la ris. n. 29 del 1° marzo 2004, ha affermato che la ratio della norma era quella di “ridurre l'onere fiscale delle operazioni compiute nel corso della liquidazione concordataria”; “tale disposizione (art. 54 comma 6 ora art. 86 comma 5 TUIR), pertanto, malgrado l'ambiguità della sua formulazione……. riguarda (non la cessione dei beni ai creditori ma) il trasferimento a terzi dei beni ceduti effettuato in esecuzione della proposta di concordato” (Cass. 4 giugno 1996, n. 5112, cit.).
Sia la Cassazione, sia l'Agenzia delle Entrate sottolineano come la finalità del legislatore sia quella di ridurre l'onere fiscale delle operazioni compiute nel corso della liquidazione concorsuale e, in particolare, che il trasferimento a terzi dei beni ceduti, effettuato in esecuzione del concordato, non determini la realizzazione di plusvalenze tassabili né di minusvalenze deducibili.
Da tale contesto si evince che l'obiettivo perseguito con la disposizione in esame era ed è quello di ridurre l'onere fiscale delle operazioni compiute nel corso del concordato, al fine di incentivare il debitore insolvente – ma “meritevole” secondo la normativa ante modifiche – a proporre un tipo di procedura volta a evitare il fallimento e realizzare il migliore soddisfacimento dei creditori.
Pertanto, tenuto conto del dato letterale della norma e alla luce delle indicazioni della prassi ufficiale e della giurisprudenza, può essere affermato che oggetto dell'agevolazione è certamente la cessione dei beni comunque attuata in sede di concordato.
Di conseguenza, con riferimento alle fattispecie di concordato in precedenza indicate, si possono trarre le seguenti conclusioni.
Nel concordato con cessione dei beni – e quindi con finalità totalmente liquidatoria – la norma in esame troverà piena applicazione.
Nel concordato con continuità aziendale o misto ex art. 186-bis l. fall. l'irrilevanza fiscale delle plusvalenze e delle minusvalenze dovrebbe riguardare sia la cessione dei beni non funzionali, sia la cessione/il conferimento di azienda o di rami della stessa.
Ulteriore considerazione viene tratta dall'approfondimento riferito all'ultima parte del comma 5 dell'art. 86 TUIR, dove le plusvalenze non tassabili comprendono anche “quelle relative alle rimanenze e il valore dell'avviamento” con ciò implicitamente riconducendo nell'alveo del beneficio fiscale la cessione dell'azienda, tipologia che, ai sensi dell'art. 186-bis l. fall. rientra nel concordato in continuità, non come ipotesi tipica (continuità aziendale), ma come ipotesi alternativa (“la cessione dell'azienda in esercizio ovvero il conferimento dell'azienda da ……”: art. 186-bis cit.).
L'indicazione normativa testé richiamata conferma come il legislatore tributario, anche prima della riforma del diritto fallimentare del 2005, era perfettamente a conoscenza della duttilità del concordato preventivo, che non era limitato alla sola cessio bonorum, ma poteva articolarsi secondo diversi schemi, tanto da prevedere coerentemente nella prima parte della disposizione la cessione dei beni e nella seconda le diverse modalità attuative.
Quindi, a parere di chi scrive, per i concordati preventivi misti, per i quali “il piano può prevedere anche la liquidazione dei beni non funzionali all'esercizio dell'impresa”( Previsione contenuta nell'ultimo periodo del primo comma dell'art. 186-bis l. fall.), dovrebbe trovare applicazione il comma 5 dell'art. 86 TUIR per quanto attiene la liquidazione dei beni non strategici - se previsti come tali nella domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo e nel piano – o le ordinarie regole di tassazione del reddito di impresa per i redditi generati dalla gestione caratteristica.
Di conseguenza, la liquidazione dei beni realizzata nell'ambito di una procedura di concordato preventivo, in qualunque forma attuata, non costituisce, ai fini delle imposte dirette, realizzo di plusvalenze, né è fonte di deducibilità di minusvalenze.
Infine, quanto ai tempi di accertamento degli eventi che determinano plusvalenze o minusvalenze, la conclusione necessitata non può che essere la seguente:
- se i realizzi si determinano nella fase successiva all'omologazione del concordato, l'esercizio di competenza sarà quello in cui vengono in essere;
- se invece si determinano prima dell'omologazione, i realizzi saranno civilisticamente e aziendalisticamente recepiti nell'esercizio in cui vengono in essere, con le opportune variazioni nella dichiarazione, posto che ai sensi dell'art. 109 TUIR, non è “certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo l'ammontare”, come invece avviene una volta intervenuta l'omologazione del concordato.