Nuovamente sul diritto di difesa del debitore

Fabio Signorelli
20 Maggio 2016

In pendenza di un ricorso per concordato preventivo, ordinario o con riserva, il fallimento del debitore può essere dichiarato soltanto quando ricorrono gli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 l. fall., peraltro non sussistendo una pregiudizialità tecnico-giuridica tra le due procedure, talché la dichiarazione di fallimento non è esclusa durante le eventuali fasi di impugnazione dell'esito negativo del concordato preventivo.
Massime

In pendenza di un ricorso per concordato preventivo, ordinario o con riserva, il fallimento del debitore (su istanza del creditore o richiesta del pubblico ministero) può essere dichiarato soltanto quando ricorrono gli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 l. fall., peraltro non sussistendo una pregiudizialità tecnico-giuridica tra le due procedure, talché la dichiarazione di fallimento non è esclusa durante le eventuali fasi di impugnazione dell'esito negativo del concordato preventivo.

In presenza di un provvedimento di declaratoria di non luogo a provvedere sulla domanda di concordato preventivo depositata dal debitore, sulla base di una mera presa d'atto della rinuncia della domanda stessa, ma senza valutazione nel merito circa l'inammissibilità della domanda di concordato, e nell'assenza di una istanza di fallimento perché nelle more desistita dal creditore, la mancata concessione di un termine a difesa nonostante l'istanza espressamente formulata per replicare alla richiesta di fallimento presentata oralmente all'udienza dal pubblico ministero, comporta violazione del contraddittorio e dell'intero procedimento, dovendosi, come conseguenza, revocare il fallimento e disporre la rimessione degli atti al giudice di primo grado.

Il caso

Notificatale un'istanza di fallimento, la società debitrice presentava domanda di concordato con riserva per il tramite di consulenti di fiducia. Nelle more, i predetti professionisti, unitamente al magistrato delegato al procedimento concordatario, venivano indagati ed arrestati nell'ambito di vicende penalmente rilevanti all'interno del Tribunale di Latina. La società debitrice si affrettava, d'un canto, a revocare tutti i mandati professionali conferiti e, dall'altro, a chiedere al Tribunale la sospensione della procedura o la proroga del termine concesso ai sensi dell'art. 161, comma 6, l. fall., ottenendo solo quest'ultima.

Il commissario giudiziale depositava relazione ex art. 173 l. fall., segnalando diverse gravi criticità. Il Tribunale convocava la debitrice fissando apposita udienza con un provvedimento nel quale dava atto dei fatti rilevati dal commissario giudiziale, ma, prima di tale udienza, la società debitrice depositava comparsa di costituzione con contestuale motivata rinuncia alla domanda di concordato [dalla sentenza emerge, quasi en passant, che, nelle more del procedimento concordatario, l'unico creditore che aveva presentato istanza di fallimento aveva successivamente presentato un atto di desistenza perché nel frattempo soddisfatto].

Alla predetta udienza la società insisteva nella richiesta di declaratoria d'improcedibilità della domanda di concordato per espressa rinuncia, mentre il pubblico ministero chiedeva la dichiarazione di fallimento della debitrice. I difensori di quest'ultima chiedevano termini per controdeduzioni, ma il Collegio si riservava ogni decisione, senza concedere il richiesto termine a difesa e, a scioglimento della riserva, il Tribunale dichiarava non luogo a provvedere sulla domanda di concordato dichiarando il fallimento della società.

La fallita impugnava la sentenza di fallimento deducendo ben sei distinti motivi. Il Fallimento si costituiva assumendo l'infondatezza di tutti i motivi di reclamo; la Procura Generale concludeva per il rigetto del reclamo.

La questione e le soluzioni giuridiche

E' ormai pacifico che tra la domanda di concordato preventivo e l'istanza o la richiesta di fallimento ricorre (in quanto iniziative tra loro incompatibili e dirette a regolare la stessa situazione di crisi) un rapporto di continenza, con la conseguenza che va disposta la riunione dei relativi procedimenti, ai sensi dell'art. 273 c.p.c., se pendenti innanzi allo stesso giudice (da ultimo: Cass., SS.UU., 15 maggio 2015, n. 9935 e n. 9936. Si veda R. Amatore – L. Jeantet, Il nuovo concordato preventivo, Milano, 2013, 40 e ss.).

Ne discende pacificamente, secondo l'interpretazione giurisprudenziale assolutamente prevalente, che in pendenza d'un'istanza di fallimento e d'una domanda di concordato (anche con riserva) è necessario coordinare le due procedure, che tra loro non hanno carattere di pregiudizialità, pur dovendo darsi priorità alla seconda (M. Montanari, Concordato preventivo e istruttoria prefallimentare tra <<pregiudizialità>> e <<coordinamento delle procedure>>: una trasformazione soltanto apparente, in Dir. fall., 2014, I, 285 e ss.).

Da ciò deriva, come conseguenza logico-giuridica, che, in pendenza di una procedura di concordato preventivo, il fallimento dell'imprenditore può essere pronunciato soltanto in alcuni casi tassativi: I) quando la domanda di concordato sia stata dichiarata inammissibile; II) quando sia stata revocata l'ammissione alla procedura; III) quando la proposta di concordato non sia stata approvata e IV) quando, all'esito del giudizio di omologazione, sia stato respinto il concordato.

Nel caso in esame, tuttavia, i fatti e le situazioni giuridiche erano completamente diverse da una situazione comune i) sia perché l'imprenditore aveva rinunciato espressamente alla domanda di concordato (non avendo nemmeno potuto, a seguito dell'arresto dei propri professionisti, predisporre il piano né, tanto meno, produrre un'attestazione del piano stesso) prima che il Tribunale potesse vagliarne il merito, tanto che quest'ultimo si è limitato a dichiarare il non luogo a provvedere sulla domanda di concordato sulla base di una mera presa d'atto della rinuncia alla domanda stessa, ii) sia perché, nel frattempo, non era (più) pendente nemmeno l'unica domanda di fallimento a suo tempo presentata, posto che l'unico creditore aveva ritualmente desistito.

Fatto si è che, dinanzi alla richiesta di fallimento presentata verbalmente dal Pubblico Ministero nel corso dell'udienza (nella quale l'imprenditore avrebbe dovuto prendere posizione circa il contenuto della relazione del Commissario giudiziale ai sensi dell'art. 173 l. fall., prima del deposito della quale lo stesso imprenditore si era costituito dichiarando di rinunciare alla domanda di concordato) un vulnus al diritto di difesa dell'imprenditore veniva inferto – secondo la Corte - dal Tribunale che, di fronte all'espressa istanza di un termine a difesa del debitore che ben avrebbe potuto dimostrare l'eventuale mancanza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento, aveva preferito ignorare tale insopprimibile esigenza di difesa, dichiarando de plano il fallimento dell'imprenditore.

Né, come ha sottolineato la Corte d'Appello, il Tribunale avrebbe potuto richiamare l'ormai consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale il subprocedimento diretto alla declaratoria del fallimento si apre nell'ambito di una procedura unitaria nella quale il debitore ha già formalizzato il rapporto processuale innanzi al Tribunale, il cui eventuale sbocco nella dichiarazione di fallimento deve essergli noto sin dal momento della proposizione della domanda di concordato, ed ancor più dopo aver preso conoscenza dell'emissione del decreto con cui il tribunale dichiara l'inammissibilità della proposta (ma non è questo il caso in esame) e trasmette gli atti al Pubblico Ministero, con la conseguenza per cui la mancanza di un'apposita istruttoria prefallimentare non preclude di per sé al debitore l'espletamento di mezzi di difesa più adeguati al caso per contrastare l'eventuale richiesta di fallimento (Cass., 6 maggio 2014, n. 9730), dovendosi, invece, sempre secondo la Corte territoriale, valorizzare il principio opposto, mutuato dall'art. 162 l. fall. (sia vecchio sia nuovo testo), che impone l'instaurazione del contraddittorio ogni qual volta, in concreto, siano apportati elementi ulteriori rispetto a quelli già acquisiti al procedimento, ostativi all'ammissione dell'imprenditore alla procedura concordataria oppure a dimostrazione del suo stato d'insolvenza (Cass., 26 settembre 2013, n. 22089), e tutto ciò a prescindere dal fatto che (come nel caso concreto) la procedura concordataria sia stata rinunciata dall'imprenditore e contro di lui non esistano istanze di fallimento.

Conclusioni

Alla Corte d'Appello va riconosciuto d'aver compiuto una ricognizione completa dei fatti e della particolare situazione “ambientale” all'interno del Tribunale di Latina, recependo un'istanza difensiva che, invece, frettolosamente, era stata ignorata dal Tribunale.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento.

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