Acquisizione d’ufficio del fascicolo della verifica crediti nel procedimento d’impugnazione

31 Maggio 2016

Il ricorso con il quale si propone domanda di ammissione allo stato passivo non è un documento probatorio del credito e non può, pertanto, ritenersi compreso fra i documenti che, nell'ipotesi in cui il giudice delegato abbia respinto, in tutto o in parte, la domanda, devono essere prodotti a pena di decadenza, ai sensi dell'art. 99, comma 2, l. fall. al momento del deposito del ricorso in opposizione.
Massima

Il ricorso con il quale, a norma dell'art. 93 l. fall., si propone domanda di ammissione allo stato passivo non è un documento probatorio del credito e non può, pertanto, ritenersi compreso fra i documenti che, nell'ipotesi in cui il giudice delegato abbia respinto, in tutto o in parte, la domanda, devono essere prodotti a pena di decadenza, ai sensi dell'art. 99, comma 2, l. fall. al momento del deposito del ricorso in opposizione. Ne deriva che qualora, in sede di opposizione allo stato passivo, una copia della domanda di ammissione non risulti allegata né al fascicolo di ufficio, né a quello di una delle parti, il tribunale, che non sia in grado di ricostruire sulla scorta degli ulteriori atti processuali il contenuto di quella e che ne ritenga l'esame indispensabile alla decisione, deve provvedere alla sua acquisizione.

Il caso

La vicenda riguarda un'opposizione allo stato passivo promossa da una s.n.c. il cui credito era stato respinto dal Giudice Delegato in sede di verifica crediti e dal Tribunale adito ex artt. 98-99 l. fall.

Nel decreto impugnato i giudici avevano rigettato la pretesa della società rilevando la mancata produzione da parte della s.n.c. della copia conforme della domanda di insinuazione al passivo con l'attestazione del deposito in cancelleria, della copia conforme del provvedimento impugnato, del fascicolo prodotto in sede di insinuazione al passivo, dell'avviso ex art. 97 l. fall. firmato dal curatore non essendo tenuto il Tribunale a recuperare d'ufficio tali elementi.

La società ricorreva allora in Cassazione.

Le questioni

La natura delle opposizioni allo stato passivo. Le tre forme di impugnazione avverso lo stato passivo previste dagli artt. 98-99 l. fall. sono oggi strutturate come un giudizio d'impugnazione che si svolge con rito camerale, funzionale alle esigenze di celerità tipiche della procedura fallimentare.

In realtà, sarebbe meglio parlare di “cameralità ibrida” (così Costa, L'accertamento del passivo e dei diritti personali e reali dei terzi su beni mobili e immobili, in Il diritto fallimentare riformato a cura di Schiano di Pepe, Padova, 2007, 370) poiché il procedimento de quo ha ben pochi aspetti in comune con quello disciplinato dagli art. 737 e seguenti c.p.c.

Le impugnazioni dello stato passivo, in effetti, non sono caratterizzate dalla sommarietà della cognizione, dall'officiosità dell'istruzione e dalla deformalizzazione del rito.

Pur concludendosi con un provvedimento che ha la forma del decreto, prevedono una cognizione piena, con l'assunzione di vere e proprie prove richieste su istanza di parte e non una semplice raccolta di sommarie informazioni.

A differenza della fase di verifica crediti, nella fase di impugnazione è necessaria l'assistenza tecnica di un difensore, essendo impossibile la presenza del solo creditore (infatti il ricorso sottoscritto personalmente solo dalla parte è giuridicamente inesistente, così Cass. n. 2137/1974).

Da questo quadro complessivo brevemente tratteggiato si comprende come il giudizio ex art. 98-99 l. fall. possa essere considerato un vero e proprio procedimento a cognizione e contraddittorio pieni seppur celebrato con rito speciale e non ordinario, volto al riesame della prima fase sommaria (Montanari, Art. 99 l. fall., in Il nuovo diritto fallimentare, Commentario diretto da Jorio, Bologna, 2006, I , 1504).

In altre parole, il procedimento di impugnazione è oggi altamente giurisdizionalizzato, rispettoso del contraddittorio, dell'imparzialità del giudice e scevro da elementi di inquisitorietà che lo caratterizzavano nella versione ante 2006 (Pajardi, Codice del fallimento, 2013, 1200).

L'accertamento del passivo si conferma quindi nel complesso come un procedimento a struttura bifasica, con facoltà di utilizzare nella seconda fase eventuale ex art. 98-99 l. fall. il materiale espositivo e probatorio già dedotto nella prima parte necessaria.

Riassumendo il dibattito dottrinale e giurisprudenziale in materia, tre sono le teorie fondamentali che spiegano il rapporto tra queste due fasi.

  1. Secondo un'impostazione, le impugnazioni dello stato passivo devono essere concepite come secondo grado di giudizio (così Cass. n. 6900/2010 e Cass. n. 22108/2007), analogo all'appello, retto dall'effetto devolutivo di cui agli artt. 345 e 346 c.p.c. con conseguente impossibilità di prendere in esame gli aspetti non dedotti precedentemente dal ricorrente (salvo quelli rilevabili d'ufficio), né eccezioni non sollevate tempestivamente dal curatore o dai creditori concorsuali dinanzi al giudice delegato (cioè nel progetto di stato passivo e all'udienza di verifica crediti). Corollari sono quindi il principio di immutabilità della domanda e il divieto di proposizione di richieste nuove, diverse per petitum e causa petendi; vizi questi ovviamente rilevabili anche d'ufficio. Secondo tale tesi, il ricorso dovrà fondarsi dunque sugli stessi (e soli) fatti costitutivi della domanda che potranno essere eventualmente ulteriormente precisati allegando fatti secondari o illustrati con una diversa qualificazione giuridica, ma sempre nei limiti della domanda originaria, immutabile ex art. 94 l. fall. (così spiega Pajardi, Codice del Fallimento, 2013, 1207-1208). L'effetto che si viene a determinare è allora affine a quanto avviene nel giudizio di appello retto dalla specificità dei motivi (come prescrive il punto 3 dell'art. 99 l. fall.). La devoluzione, quindi, non è automatica, ma di revisione della decisione resa in prime cure nei limiti del devolutum e delle censure sollevate (spiega in questi termini Vella, Art. 99 l. fall., La legge fallimentare, Ferro, 2011, 1094)
  2. Secondo una differente teoria (si legga in tal senso Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, 2009, 564), la ricostruzione del ricorso ex art. 98-99 l. fall. come secondo grado di giudizio non sarebbe corretta. La fase sommaria di verifica crediti e l'eventuale impugnazione sono invece da intendere come un unico grado di cognizione di merito destinato a sfociare in una decisione ricorribile in Cassazione con una dinamica per certi aspetti assimilabile all'opposizione a decreto ingiuntivo (soprattutto con riferimento al rimedio dell'opposizione). La vera differenza rispetto all'impostazione prima descritta è che, considerando il tutto come un unico grado di merito, non si verificano né l'effetto devolutivo, né le relative preclusioni rispetto alla fase sommaria di verifica dei crediti dinanzi al giudice delegato. Emerge così un rapporto di forte unitarietà tra i due giudizi, tale per cui l'opposizione allo stato passivo costituisce la prosecuzione di una vicenda cognitiva unitaria, stante la natura e l'efficacia meramente endoconcorsuali delle decisioni assunte al loro esito (così riassume Patti, Le impugnazioni: natura e struttura, in Il Fallimento, 2011, 9, 1107 e Trib. Napoli 7 gennaio 2009).
  3. Affine alla prima tesi è l'orientamento che, pur riconoscendo pacificamente il carattere impugnatorio delle opposizioni, esclude che tale secondo grado possa essere ricondotto entro gli schemi rigidi del giudizio di appello disciplinato dagli artt. 339 e seguenti c.p.c. Come ricorda Patti (op. cit., 1110) il nostro ordinamento distingue tra gravami in senso lato e impugnazioni in senso stretto. Nei primi, il giudice di secondo grado è investito in modo immediato, diretto ed integrale della cognizione dell'intero rapporto giuridico oggetto del primo grado. Di fatto si celebra un novum iudicium con una devoluzione automatica, generale, a critica libera. In tale ambito sono ammesse nuove produzioni documentali, nuove prove, nuove eccezioni e allegazioni. Diversamente, l'impugnazione in senso stretto – il cui paradigma di riferimento è l'appello ex art. 339 e seguenti c.p.c. – si presenta come revisio prioris istantiae con una devoluzione non automatica, non a critica libera, ma strettamente legata ai motivi formulati, e con il generale divieto dei nova (come prescrive l'art. 345 c.p.c.). In tale sede il giudice di secondo grado esamina prima i vizi denunciati (fase rescindente) e soltanto a seguito dell'accertamento di tali censure procede a riformare il provvedimento impugnato (fase rescissoria). Secondo tale teoria, il giudizio di impugnazione dello stato passivo oscilla tra questi due poli estremi.

Alla luce della giurisprudenza oggi prevalente, il procedimento in esame risulta caratterizzato da una devoluzione non automatica, ma neppure rigidamente ancorata all'enunciazione dei motivi come impone l'appello ordinario.

Un'impugnazione a critica libera, non essendo prestabilito il catalogo delle censure esperibili, ma a cognizione vincolata dall'oggetto delle obiezioni mosse alla decisione, e con efficacia sostitutiva poiché tendente alla sostituzione della decisione impugnata con un'altra di merito (così Celentano, I nova nel giudizio di opposizione allo stato passivo, in Fallimento 1/2011, 63).

Un giudizio sicuramente impugnatorio, ma non di appello, in cui gli elementi dell'art. 99 l. fall., numero 3 vanno intesi come “ragioni di censura (sia pure non rigorosamente formulate, sotto il profilo della specifica confutazione argomentativa della ratio decidendi) del provvedimento impugnato così da individuarne chiaramente la parte (o le parti) impugnate e da precluderne la formazione di un giudicato endofallimentare, proprio perché costitutive dell'atto di impugnazione, quale richiesta di un riesame della medesima vicenda oggetto del procedimento, come decisa da provvedimento del primo giudice” (così Patti, Le impugnazioni: natura e struttura, cit. 1113).

Secondo tale impostazione, sono vietate senz'altro domande nuove, stante il ricordato principio di immutabilità della domanda svolta dal creditore come previsto dall'art. 94 l. fall., e così pure escluse sono le domande riconvenzionali in quanto neppure previste dall'art. 99 l. fall. con riferimento al contenuto della memoria difensiva.

La domanda ex art. 93 l. fall. serve però solo ad individuare il diritto dedotto, in modo che le eventuali preclusioni maturare nella fase dinanzi al giudice delegato non si ripercuotono sulla seconda fase (così osserva Pajardi, Codice del Fallimento, 2013, 1208).

In ordine ai mezzi di prova, non opera quindi il divieto di cui all'art. 345 c.p.c. e si ritengono possibili nuove produzioni e richieste istruttorie nel giudizio di impugnazione solo nei limiti di cui all'art. 99 l. fall., cioè entro e non oltre il ricorso introduttivo (per il ricorrente) o la memoria difensiva di costituzione (per il resistente) depositata almeno 10 giorni prima dell'udienza fissata dal giudice (in tal senso Cass. n. 4708/2011; Trib. Milano 4 marzo 2008 e Cass. n. 19697/2009; Trib. Milano 8 gennaio 2008).

Tale concessione è ovviamente figlia della concezione dell'opposizione al passivo come impugnazione di carattere “aperto”, ma discende anche dall'intenzione di evitare che una fase sommaria e “spedita” come quella di verifica crediti (nella quale non è neppure necessaria la difesa tecnica di un legale) possa comportare preclusioni che si propaghino nella seconda fase.

Analogamente, entro gli stessi limiti sono ammissibili eccezioni ed allegazioni nuove, svolte dalle parti e dal curatore (così Cass. n. 8246/2013).

Infatti, ricordano ancora recentemente Cass. n. 8929/2012 e Cass. n. 7918/2012 (proprio con riferimento alla posizione del curatore), pur trattandosi di giudizio di natura impugnatoria, nell'opposizione allo stato passivo non operano le preclusioni di cui all'art. 345 c.p.c. ed è quindi possibile sollevare eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio, non sottoposte all'esame del giudice delegato.

Il curatore può quindi rimediare ad eventuali inerzie od omissioni in cui sia incorso durante la fase di verifica crediti, sollevando eccezioni o contestando fatti nell'interesse della massa dei creditori, e i creditori stessi possono sollevare eccezioni siano essi impugnanti o siano intervenuti ex art. 99, comma 6, l. fall. (sempre Pajardi, Codice del Fallimento, 2013, 1208).

Si è osservato al riguardo che il diritto alla prova e il diritto di difesa “compressi” per le esigenze di celerità dinanzi al Giudice Delegato, si “riespandono” nella fase a cognizione piena senza preclusioni (così D'Orazio L'acquisizione d'ufficio della domanda di ammissione al passivo da parte del tribunale in sede di reclamo ex art. 99 l. fall., in Fallimento, 2014, 6, 657 e Cass. n. 4708/2011).

Le sentenze citate ricordano infatti che lo svolgimento sommario della fase di verifica crediti, senza neppure il ministero di un difensore, non può pregiudicare le possibilità di difesa delle parti, che potranno essere pienamente ed esaustivamente esercitate a mezzo di un legale nella successiva fase a cognizione piena ed esauriente entro i termini fissati dall'art. 99 l. fall.

Le soluzioni giuridiche e osservazioni

Inquadrate così a “grandi linee” le teorie sulla natura giuridica delle impugnazioni, occorre verificare su quali aspetti problematici è stata posta l'attenzione della Suprema Corte e come la stessa abbia operato per dirimerli.

La mancata produzione del fascicolo della verifica crediti. Il primo problema è relativo a come debba operare il Giudice dell'opposizione se il ricorrente ha omesso di produrre il fascicolo della fase di verifica crediti e l'originale o copia conforme della domanda di ammissione al passivo.

Il Tribunale di Palermo, con rigore, ha giudicato inammissibile il ricorso ex art. 98-99 l. fall. ritenendo di non essere tenuto a recuperare d'ufficio tali elementi. Secondo il Collegio si trattava in altre parole di documenti che parte ricorrente avrebbe dovuto produrre e, non avendo provveduto, sarebbe incorsa nelle preclusioni di cui all'art. 99 l. fall.

Il Tribunale siciliano ha “preso alla lettera” le modifiche della norma citata intervenute con il decreto correttivo n. 169/2007, che ha abolito la possibilità per il Tribunale di assumere informazioni anche d'ufficio e di ammettere la produzione di ulteriori documenti rispetto a quelli indicati nel ricorso introduttivo (o nella memoria di costituzione).

Infatti, in ossequio al principio dispositivo che regge tutta la fase di verifica crediti e in conformità ai principi di imparzialità e terzietà ai quali deve attenersi l'organo giudicante, è oggi escluso qualsiasi potere officioso di carattere integrativo delle deduzioni delle parti o di carattere inquisitorio rispetto all'accertamento delle pretese dei “contendenti”.

Il materiale probatorio è dunque solo quello prodotto dalle parti o tutt'al più recuperato ex artt. 210 o 213 c.p.c., non potendo il Tribunale acquisire d'ufficio i documenti contenuti nella domanda di ammissione al passivo, ma non riprodotti dal curatore o dal creditore nel giudizio di impugnazione (così sottolinea Staunovo-Polacco, In tema di prova dell'anteriorità del credito nell'accertamento del passivo fallimentare, in Fallimento, 2011, 679 e seguenti; vedi in tal senso anche Trib. Roma 24 ottobre 2011).

In argomento la stessa Cassazione aveva in passato escluso l'acquisizione d'ufficio del fascicolo fallimentare relativo alla fase di verifica crediti dinanzi al giudice delegato (così Cass. n. 22711/2010).

Conformemente, invece, ad un orientamento più recente (in tal senso Cass. n. 3164/2014 e Cass. n. 18253/2015), nella decisione in commento– pur confermando espressamente l'operatività del principio dispositivo sopra ricordato e caratteristico di qualunque ordinario giudizio di cognizione a natura contenziosa – la S. Corte osserva che, in realtà, il ricorso con il quale si propone domanda di ammissione al passivo non può essere considerato alla stregua di un documento e pertanto non può essere annoverato tra quelli da produrre a pena di decadenza secondo le preclusioni di cui all'art. 99, n. 4, l. fall.

Esso può quindi essere acquisito d'ufficio dal giudice dell'opposizione (compresa la domanda di ammissione al passivo stessa) se il tribunale non è in grado di ricostruire il tenore della richiesta ex art. 93 l. fall. e se lo ritiene indispensabile per la decisione.

Di fatto, la mancanza di tali elementi non può condurre, da sola, ad una pronuncia di rigetto.

Anzi, la sentenza in commento ricorda che, ove il Giudice ravvisi una questione rilevabile d'ufficio decisiva per le sorti della controversia, deve necessariamente provocare il contraddittorio tra le parti sul punto, pena la nullità del provvedimento emesso (così Cass. n. 15194/2008 e n. 20935/2009).

In pratica, come ricordato nel precedente di Cass. n. 3164/2014, occorre applicare alla fattispecie l'art. 168, comma 2, c.p.c. e l'art. 36 disp. att. c.p.c.

Di conseguenza il cancelliere, nel formare il fascicolo d'ufficio dell'opposizione, deve inserire (non essendo espressamente prevista la formazione, all'interno del fascicolo d'ufficio della procedura, di un apposito fascicolo d'ufficio del singolo procedimento sommario introdotto dal creditore con la domanda di ammissione al passivo, tanto più oggi che tutto il fascicolo fallimentare è “telematico”) anche una copia del ricorso introduttivo.

Per rimarcare le differenze del procedimento in questione rispetto all'appello, si è osservato (D'Orazio, L'acquisizione d'ufficio della domanda di ammissione al passivo da parte del tribunale in sede di reclamo ex art. 99 l. fall., in Fallimento 6/2014,. 655 e seguenti) che, così decidendo, la Cassazione (così come nella sent. n. 3164/2014) non fa riferimento all'art. 347 c.p.c., ma implicitamente è come se richiamasse l'art. 738, comma 3, c.p.c. per i procedimenti in camera di consiglio.

Anzi, proprio perché il gravame in questione non rientra nei canoni dell'appello, non trova applicazione l'art. 345 c.p.c. E pertanto il creditore che non abbia vista accolta la propria domanda di ammissione al passivo può proporre le eccezioni e depositare i documenti ritenuti rilevanti anche se non abbia presentato alcuna osservazione ex art. 95, comma 2, l. fall. (in senso analogo Trib. Udine 21 maggio 2010 con commento di Liuzzi, Progetto di stato passivo, assenza di osservazioni e opposizione, in Fallimento, 2011, 3, 365 e seguenti).

Prosegue la Corte, nella decisione in commento, spiegando che la ratio delle impugnazioni dello stato passivo è quella di eliminare un provvedimento emesso sulla base di una cognizione sommaria (in sede di verifica crediti), mentre solo gli atti introduttivi ex art. 98-99 l. fall. rappresentano la barriera di preclusione per le produzioni documentali e le richieste istruttorie.

Dal sistema sopra delineato emerge altresì che la verifica della tempestività della proposizione del ricorso ex art. 99 l. fall. è onere del curatore.

Contrariamente a quanto deciso dal Tribunale di Palermo, non è parte ricorrente a dover provare di aver proposto l'impugnazione dei termini di legge.

Deve provvedere in tal senso l'organo della procedura – se intende formulare l'eccezione di tardività – producendo l'avviso di ricevimento dalla raccomandata ex art. 97 l. fall. (oggi la PEC - in senso analogo Cass. n. 6799/2012), tanto più che, come sopra ricordato, il Tribunale stesso ha il potere/dovere di acquisire d'ufficio il fascicolo fallimentare accertando così se l'avviso ex art. 97 l. fall. sia stato allegato agli atti. Dalla ripartizione degli oneri probatori descritti consegue che, in caso di mancato reperimento dell'avviso, deve ritenersi tempestiva l'opposizione proposta entro un anno dal deposito (così Cass. n. 17829/2005).

La mancata produzione della copia autentica del provvedimento impugnato. L'altro aspetto interessante della sentenza in commento è relativo alla mancata produzione di una copia conforme del provvedimento impugnato. A lungo si è discusso circa le conseguenze di tale omissione.

Secondo l'opinione che vede l'opposizione allo stato passivo affine all'appello, analogamente a quanto prevede l'art. 347, comma 2, c.p.c., è indispensabile per il ricorrente produrre la copia autentica del provvedimento contestato, pena l'improcedibilità del ricorso (così Trib. Napoli 19 dicembre 2007).

Prima delle riforme del 2006-2007 simile “sanzione” appariva generalmente fuori luogo, stante il potere di acquisizione d'ufficio del fascicolo fallimentare, ma oggi il dibattito si è riacceso.

Recentemente la Cassazione, con la decisione n. 6804 del 4 maggio 2012, ha stabilito che la copia autentica del provvedimento – comunque indispensabile per la decisione – può essere prodotta in qualsiasi momento da qualunque parte interessata.

La Suprema Corte ha altresì specificato che la mancata produzione con il ricorso della copia autentica del provvedimento impugnato non costituisce mai causa di improcedibilità dell'opposizione.

In primo luogo, perché il procedimento ex art. 99 l. fall., pur essendo di carattere impugnatorio, non è assimilabile all'appello ex art. 339 e seguenti c.p.c., confermando quindi indirettamente la teoria del gravame “aperto” sopra brevemente ricordata.

Secondariamente, perché l'art. 99 l. fall. non impone tale allegazione (in senso conforme Trib. Napoli 17 novembre 2010 e Cass. n. 2677/2012).

Sotto altro profilo, la sentenza n. 6804/2012, confermando i recenti arresti giurisprudenziali della Suprema Corte (in tal senso Cass. n. 14869/2004 e Cass. n. 6936/2003) ha ricordato che neppure l'art. 347, comma 2, c.p.c. – pur esprimendo un principio di carattere generale per tutte le impugnazioni (al fine di assicurare l'effettivo esame del provvedimento impugnato da parte del giudice di secondo grado) – prevede espressamente come sanzione l'improcedibilità del gravame, essendo possibile per il giudice dell'impugnazione desumere la conoscenza del provvedimento contestato dal complesso delle risultanze processuali (anche dall'eventuale trascrizione integrale del provvedimento negli atti di causa; così Cass. n. 2677/2012)

La decisione in commento condivide integralmente i principi citati e cassa il decreto impugnato del Tribunale siciliano ricordando inoltre la S. Corte di non poter pervenire essa stessa alla decisione della controversia su una questione rilevabile d'ufficio senza averla prima sottoposta specificamente alle parti riaprendo il dibattito sulla stessa e consentendo le rispettive difese.

Conclusioni

Con la decisione in commento, la Cassazione conferma gli orientamenti più recenti in tema di opposizioni allo stato passivo sposando la tesi secondo la quale i procedimenti ex art. 98-99 l. fall., pur rientrando pacificamente nel novero delle impugnazioni, sono comunque diversi dall'appello previsto dagli artt. 339 e seguenti c.p.c. con logiche, preclusioni e caratteristiche diverse.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario