Rilevanza della frode ai creditori nel giudizio di omologazione del concordato

Stefania Ligas
15 Giugno 2016

Nell'atto di frode rilevante ai sensi dell'art. 173 l. fall., non rientra qualunque comportamento che anche indirettamente possa risultare tale da incidere sulle future aspettative del ceto creditorio, ma solo il comportamento consistente nella condotta volta ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori stessi e quindi tali che, se conosciute, avrebbero presumibilmente comportato una diversa e negativa valutazione della proposta.
Massima

Nell'atto di frode rilevante ai sensi dell'art. 173 l. fall., non rientra qualunque comportamento che anche indirettamente possa risultare tale da incidere sulle future aspettative del ceto creditorio, ma solo il comportamento consistente nella condotta volta ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori stessi e quindi tali che, se conosciute, avrebbero presumibilmente comportato una diversa e negativa valutazione della proposta; l'atto in frode ai creditori risulta individuabile in ogni attività posta in essere allo scopo di celare il patrimonio del debitore influenzando il giudizio dei creditori, mentre non danno luogo di per sé a revoca della procedura scelte gestionali pregiudizievoli, in quanto non ogni intervento sul patrimonio del debitore è qualificabile come atto di frode, ma solo l'attività del proponente volta ad occultarlo.

Il caso

Nell'ambito di un giudizio di omologazione di concordato preventivo, il Tribunale di Ravenna si trova a dover decidere, a seguito dell'opposizione presentata da una società creditrice dissenziente, se il comportamento che si sostiene essere stato tenuto dalla società debitrice (del quale, peraltro, non viene fornita alcuna descrizione in sentenza) presenti i requisiti di cui all'art. 173 l. fall. e sia, pertanto, ostativo alla omologazione della proposta concordataria.

La questione

In sede di giudizio di omologazione di concordato preventivo, una società, creditore dissenziente, presenta opposizione con contestuale richiesta di dichiarazione di fallimento della società ricorrente, affermando, tra l'altro, che sarebbero stati posti in essere comportamenti rilevanti ai sensi dell'art. 173 l. fall., idonei, pertanto, a determinare il diniego della omologazione.

Innanzitutto, il Tribunale di Ravenna, con riferimento alla tipologia di opposizione proposta, precisa come non sia stata sollevata né vi sia spazio alcuno per la discussione di merito o di convenienza della proposta ai sensi dell'art. 180, comma 4, l. fall. (c.d. cram down), poiché la stessa creditrice ha escluso di voler investire tale aspetto, con la conseguenza che esula dal profilo valutativo del Collegio ogni questione di convenienza anche comparativa rispetto a diverse e alternative soluzioni liquidatorie.

Le contestazioni svolte dall'opponente chiamano in causa, infatti, il concetto di “frode ai creditori” di cui all'art. 173 l. fall. e il Tribunale precisa, a tal riguardo, che – quantomeno con riferimento alla disciplina applicabile alla presente procedura – il tema relativo a presunte irregolarità contabili pregresse, ove non sia posta in discussione la completezza e veridicità della situazione economico-patrimoniale aggiornata al momento del deposito del piano concordatario, esula completamente dal tema della “frode ai creditori”.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Ravenna, al fine di decidere sull'omologazione del concordato proposto, delinea il concetto di “frode ai creditori” rilevante ai sensi dell'art. 173 l. fall. prendendo le mosse da precedenti pronunce giurisprudenziali.

A tal riguardo il Collegio si rifà, in particolare, a quanto affermato dalla sentenza della Cassazione Civile n. 13818 del 23 giugno 2011: in essa la Suprema Corte ha chiarito che nell'atto di frode non rientra qualunque comportamento che, anche indirettamente, possa risultare tale da incidere sulle aspettative del ceto creditorio, ma solo quel comportamento consistente “nella condotta volta ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori stessi e quindi tali che, se conosciute, avrebbero presumibilmente comportato una diversa e negativa valutazione della proposta […]“.

In base a tale pronuncia di legittimità, l'atto in frode ai creditori risulta ravvisabile nel caso in cui sia posta in essere un'attività finalizzata a occultare il patrimonio, in modo da alterare la percezione dei creditori circa la reale situazione del debitore e influenzandone, quindi, il giudizio, mentre non danno luogo a revoca della procedura scelte gestionali pregiudizievoli in quanto nessun intervento sul patrimonio del debitore è di per sé qualificabile come atto di frode, ma solo l'attività del proponente volta ad occultarlo”.

Una differente interpretazione, infatti, avrebbe l'effetto di reintrodurre quel giudizio di meritevolezza che è stato espunto dal legislatore in sede di riforma del concordato.

Il Collegio, poi, richiamando la pronuncia della Corte di Cassazione del 26 giugno 2014, fornisce un'ulteriore precisazione in merito, ossia che, qualora il commissario giudiziale accerti che vi sono stati comportamenti consistenti nell'occultamento o dissimulazione dell'attivo, nella dolosa omissione della denuncia di uno o più creditori, nella esposizione di passività insussistenti o nella commissione di altri atti di frode da parte del debitore, ciò comporterà la revoca dell'ammissione al concordato, a norma dell'art. 173 l. fall., indipendentemente dal voto espresso dai creditori in adunanza.

Ciò presuppone, quindi, che il comportamento decettivo del debitore avvenga e perduri nell'ambito della proposta, risultando irrilevante a tale fine (ma rilevando al più solo ai fini di una valutazione comparativa di convenienza), che l'atto gestorio eventualmente negligente sia superato dal deposito e dalla offerta in visione ai creditori di una situazione aggiornata veritiera.

Il Tribunale di Ravenna, inoltre, osserva come non sia affatto chiaro se la recente modifica dell'art. 172 l. fall., operata dalla “mini riforma” del 2015 (non applicabile nel caso di specie) incida su un evento rilevante ai sensi dell'art. 173 l. fall., posto che l'esigenza che il Commissario giudiziale illustri comparativamente le utilità che una procedura fallimentare potrebbe apportare attraverso azioni risarcitorie e revocatorie, sembra giustificare un'esigenza di completezza informativa preliminare al più corretto esercizio del voto, ma non vale ex se ad introdurre un caso di frode che, sia pure a fronte di un oscillante dibattito, e ferma l'eventuale configurabilità dell'abuso concordatario, presuppone un comportamento endoprocedimentale “scorretto” del debitore, il solo che può giustificare l'affermazione della citata Cass. 26 giugno 2013, secondo cui “il legislatore ha inteso sbarrare la via del concordato al debitore il quale abbia posto dolosamente in essere gli atti contemplati dal citato articolo 173, individuando in essi una ragione di radicale non affidabilità del debitore medesimo”.

Da ultimo, il Collegio precisa che, nel caso di specie, non è stata dedotta da parte della creditrice opponente, né è ravvisabile, una più complessa ed articolata scelta abusiva dello strumento concordatario e che, in ogni caso, come ricordato anche dalla decisione del Tribunale Piacenza del 12 febbraio 2015, resta ferma la possibilità dell'azione ex art. 2394 c.c. da parte del creditore che si ritenga leso da comportamenti degli amministratori e sindaci pur a fronte della sottoposizione della relativa società a concordato preventivo con cessione dei beni.

Alla luce di quanto affermato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, che ha individuato le caratteristiche in presenza delle quali determinate condotte della società che ha presentato una proposta di concordato preventivo possono precluderne l'omologazione, il Tribunale di Ravenna afferma che, nel caso di specie, la condotta asseritamente posta in essere che, come detto, non viene esplicitata nell'ambito della sentenza in esame, non presentando tali requisiti, non rientra nelle ipotesi contemplate dall'art. 173 l. fall. e omologa pertanto la proposta della società ricorrente.

Osservazioni

Prendendo lo spunto da quanto affermato dai giudici del Tribunale di Ravenna, in linea con autorevoli pronunce della Corte di Cassazione, appare interessante ricordare, come, con riferimento al concetto di frode ai creditori ex art. 173 l. fall., sia stato altresì precisato in giurisprudenza che gli atti di frode disciplinati da tale norma non coincidono necessariamente né con quelli che devono ritenersi tali da un punto di vista civilistico – come ad esempio contratti in frode alla legge, con causa o motivo illecito, simulati ovvero soggetti a revocatoria –, né con le fattispecie di reatopreviste dagli artt. 216 e seguenti l. fall.

Configurano, infatti, “atti di frode” tutti quei comportamenti che:per quanto dotati di una portata interna alla procedura concorsuale, siano nondimeno finalizzati a frodare le ragioni del ceto creditorio, nel senso di inficiare il percorso formativo del consenso che i creditori sono chiamati ad esprimere sulla proposta. Si tratta, in sostanza, di quegli atti che consentono di prospettare ai creditori, al fine di ottenerne il consenso, una surrettizia, incongrua ed errata rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell'impresa debitrice(cfr. Tribunale di Siracusa, 20 dicembre 2012).

Guida all'approfondimento

Si segnala una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione del febbraio 2016 (Cass. Civ., Sez. I, 22 febbraio 2016, n. 3409) la quale, confermando l'orientamento giurisprudenziale condiviso dal Tribunale di Ravenna nella sentenza in esame, ha delineato, ancora una volta, in maniera chiara quali devono essere gli elementi oggettivi e soggettivi in presenza dei quali si può parlare di atti in frode ai creditori rilevanti ex art. 173 l. fall.

In particolare, nell'ambito di tale sentenza si afferma che gli “atti di frode” vanno intesi, sul piano oggettivo, come le condotte volte ad “occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori, aventi valenza potenzialmente decettiva per l'idoneità a pregiudicare il consenso informato dei creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione”(cfr. Cass. 29 luglio 2014, n. 17191, con riguardo all'esistenza di un credito di rilevante importo non dichiarato dalla società debitrice nelle sue scritture contabili).

Gli atti di frode, inoltre, devono essere “accertati” dal commissario giudiziale e possono sostanziarsi tanto in un fatto successivamente scoperto, in quanto in precedenza ignoto ai creditori nella sua materialità, quanto in un fatto comunque non adeguatamente e compiutamente esposto in sede di proposta di concordato e relativi allegati (cfr. Cass. 18 aprile 2014, n. 9050).

Sul piano soggettivo, invece, il comportamento deve essere stato posto in essere con dolo, inteso come volontarietà del fatto (cfr. Cass. n. 23387/2013 e n. 17038/2011).

A tal riguardo, La Corte precisa che non è corretto assimilare gli atti pregiudizievoli per i creditori e gli atti di frode come definiti dall'art. 173 l. fall., in quanto, come sottolineato anche dalla sentenza del Tribunale di Ravenna oggetto del presente commento, “ogni diversa estensione del controllo rischierebbe di reintrodurre quel giudizio di meritevolezza, che la riforma ha deliberatamente escluso, restando al giudice il mero controllo della fattibilità della proposta concordataria e competendo, invece, esclusivamente ai creditori la valutazione afferente la probabilità di successo economico del piano ed i rischi inerenti (Cass. 25 settembre 2013, n. 21901; conf. n. 11014 del 2013, n. 13083 del 2013; Sez. Un. n. 1521 del 2013)”.

Gli atti di frode rilevanti ex art. 173 l. fall., secondo quanto precisato dalla pronuncia della Cassazione del febbraio 2016, in buona sostanza, presuppongono quindi: “a) l'esistenza di un dato di fatto occultato afferente il patrimonio del debitore tale da alterare la percezione dei creditori, risultando una divergenza tra la situazione patrimoniale dell'impresa prospettata con la proposta di concordato e quella effettivamente riscontrata dal commissario giudiziale; b) il carattere doloso di detta divergenza, quale volontarietà del fatto”.

Nel caso in cui non sussistano tali elementi, la fattispecie che legittima il diniego di omologazione non viene, infatti, integrata.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti e le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento.

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