La fase esecutiva del concordato preventivo è da sempre oggetto di scarse attenzioni da parte della dottrina e dello stesso legislatore, che dedica a questo delicato momento – fondamentalmente – due sole disposizioni: l'art. 182 l. fall., tradizionalmente rivolto al concordato con cessione dei beni, e l'art. 185 l. fall. sulla vigilanza che in detta fase esercita il commissario giudiziale. Eppure l'importanza di una corretta esecuzione del piano concordatario è intuitiva, posto che essa consente di passare dalle mere aspettative che i creditori hanno riposto nella proposta di concordato ad un effettivo soddisfacimento delle rispettive pretese creditorie, in relazione alla natura privilegiata o chirografaria dei propri diritti e, quindi, nel rispetto dell'ordine delle cause legittime di prelazione.
Inquadramento
Avvertenza – Bussola in aggiornamento.
La fase esecutiva del concordato preventivo è da sempre oggetto di scarse attenzioni da parte della dottrina e dello stesso legislatore, che dedica a questo delicato momento – fondamentalmente – due sole disposizioni: l'art. 182 l. fall., tradizionalmente rivolto al concordato con cessione dei beni, e l'art. 185 l. fall. sulla vigilanza che in detta fase esercita il commissario giudiziale.
Eppure l'importanza di una corretta esecuzione del piano concordatario è intuitiva, posto che essa consente di passare dalle mere aspettative che i creditori hanno riposto nella proposta di concordato ad un effettivo soddisfacimento delle rispettive pretese creditorie, in relazione alla natura privilegiata o chirografaria dei propri diritti e, quindi, nel rispetto dell'ordine delle cause legittime di prelazione (art. 160, comma 2, l. fall.).
La figura centrale di questa fase è costituita dal liquidatore giudiziale, cui pure il legislatore dedica una disciplina per relationem, attingendo ad alcune disposizioni in tema di curatore fallimentare (tra le quali non è compreso l'art. 30 l. fall., così da escluderne la natura di pubblico ufficiale).
La recentissima riforma apportata con il D.L. n. 83/2015, convertito dalla L. n. 132/2015, ha quindi avuto buon gioco nell'intervenire con una disciplina di maggiore dettaglio, fondamentalmente ispirata al superiore principio di competitività dell'impresa in crisi quale strumento per la massimizzazione della recovery dei creditori: sotto un primo profilo il combinato disposto degli artt. 163-bis e (novellato) 182 l. fall. segna la fine delle ristrutturazioni mediante concordato “chiuso”, cioè realizzato mediante il trasferimento predeterminato e non modificabile del compendio aziendale o degli immobili di maggior pregio; sotto altra linea di intervento, invece, è la stessa proposta concordataria ad aprirsi alla possibile competizione di altre proposte concorrenti, come dispone il nuovo art. 163 e tutta la seconda nuova parte dell'art. 185 l. fall.
Gli effetti dell'omologazione e la durata della fase esecutiva
Afferma l'art. 181 l. fall. che con il decreto di omologazione la procedura di concordato “si chiude”. Traspare da questa disposizione l'interesse pressocchè esclusivo del legislatore per la sola fase giudiziale della procedura di concordato e per l'esigenza, più statistica che sostanziale, di rimuovere dalle pendenze dei Tribunali tutte le procedure concordatarie non appena omologate.
Se il concordato nella sua fase giudiziale “si chiude”, certamente la soddisfazione dei creditori non si realizza attraverso il decreto di omologazione, ma è affidata ad una spesso lunga e complessa attività, prevalentemente liquidatoria, che si svolge sotto la vigilanza del commissario giudiziale. Si chiude quindi la fase giudiziale e si apre quella che può icasticamente definirsi come una sorta di “terra di nessuno”, nella quale è chiamato ad operare, quasi sempre, un liquidatore giudiziale di incerta natura e legittimazione, mentre il commissario giudiziale mantiene un ruolo di semplice vigilanza, spesso con scarso effetto pratico, se si considerano i limitati poteri che in questa fase conserva il G.D. e l'esclusiva legittimazione dei creditori a domandare la risoluzione del concordato ed il fallimento (cfr. per maggiori approfondimenti la relativa voce Risoluzione e annullamento del concordato). Fino alla recente miniriforma dell'agosto 2015, inoltre, questa fase poneva problematiche anche in relazione alla natura delle operazioni liquidatorie o di cessione poste in essere, ed agli effetti purgativi o meno di esse.
La durata della fase esecutiva può essere la più varia: in effetti, se la tematica del tempo per l'adempimento della proposta, alla luce dei criteri di specificità ed analiticità che il piano deve rivestire ai sensi degli artt. 161, comma 2, lett. e) e 186-bisl. fall., non può più essere elusa dal debitore attraverso generiche prospettazioni, non di rado avviene che la scadenza dei termini previsti dalla proposta concordataria omologata si verifichi senza che l'esecuzione si sia ancora integralmente completata. Complice la crisi del mercato immobiliare e la lunghezza degli eventuali giudizi attivi e passivi, può infatti verificarsi che alla scadenza dei termini previsti per erogare i flussi finanziari ai creditori le attività di liquidazione non si siano completate. Da detta scadenza decorrerà, in caso di inadempimento non lieve, la possibilità per i creditori pregiudicati di domandare la risoluzione del concordato. La S. Corte di Cassazione ha tuttavia escluso che gli stessi possano richiedere indennizzi sulla scorta delle disposizioni in materia di irragionevole durata dei giudizi (L. 24 marzo 2001, n. 89) posto che: “in tema di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, deve escludersi la responsabilità dello Stato ai sensi della legge 29 marzo 2001, n. 89, con riferimento alla protrazione nel tempo dell'attività dei liquidatori nominati con la sentenza di omologazione del concordato preventivo, poiché, chiudendosi questo con il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione, ed essendo i liquidatori non organi della procedura pubblica, bensì mandatari dei creditori per il compimento di tutti gli atti necessari alla liquidazione dei beni ceduti, detta attività non rientra nell'organizzazione del servizio pubblico della giustizia” (Cass. 8 maggio 2012, n. 7021).
Questo non sta a significare che il fattore tempo di esecuzione del piano (ed il conseguente adempimento della proposta concordataria) sia irrilevante o possa essere dilatato a piacimento. Come avvertito, l'esigenza di analiticità del piano e della proposta, più volte rimarcata dalle recenti riforme della legge fallimentare, impone che una durata sia sempre espressamente indicata, restando - in mancanza - esclusa la possibilità di una corretta attestazione di fattibilità e precluso lo stesso giudizio di convenienza riservato ai creditori, oltre che mortificata l'esigenza di completa e qualificata informazione che gli stessi devono ricevere al fine di formare consapevolmente la propria espressione di voto.
Si è infatti osservato che “la causa concreta del concordato, intesa come funzione economica del medesimo, si invera necessariamente nel superamento della crisi, attraverso il soddisfacimento dei creditori in misura apprezzabile, in una qualsivoglia forma giuridicamente percorribile ed in un lasso di tempo ragionevolmente breve. Una anomala dilatazione della tempistica di acquisizione della liquidità necessaria per il pagamento dei creditori concorsuali […] si smarca a priori da qualsivoglia sindacato di convenienza del risultato economico conseguibile dai creditori, dovendosi ritenere che un pagamento eccessivamente dilazionato equivalga ad un “non pagamento”. Ne deriva la valutazione di inammissibilità giuridica del concordato” (Tribunale Siracusa, 15 novembre 2013, in questo portale, con nota di Amatore).
Rinviando per ulteriori notazioni al tema dell'omologazione del concordato, deve comunque sottolinearsi come il decreto di omologa abbia valore vincolante per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel Registro delle imprese del ricorso ex art. 161, siano essi privilegiati che chirografari, in relazione alla possibilità di sottoporre a falcidia i primi, nel rispetto di quanto previsto dall'art. 160, comma 2, l. fall., e di ripartire in classi diverse i secondi, purchè nel rispetto dell'ordine delle cause legittime di prelazione.
Inoltre, principale effetto del decreto di omologa è quello esdebitativo per il debitore, nel senso che lo stesso non è più tenuto a soddisfare per intero i crediti, ma soltanto quelli scaturenti dalla conformazione, quanto a modalità, tempistica e percentuale di pagamento, imposta dal medesimo decreto. Da questo punto di vista può ritenersi che il piano di concordato ed il decreto di omologazione della relativa proposta fungano da programma di liquidazione per il liquidatore giudiziale ivi nominato, il cui compito è destinato a cessare, in ipotesi fisiologica, soltanto con l'integrale esecuzione del concordato ed il versamento di quanto ottenuto in favore dei creditori.
Il decreto di omologa, avverte l'art. 184 l. fall., lascia impregiudicati i diritti dei creditori verso i fideiussori del debitore in crisi, coobbligati ed obbligati in via di regresso, ma - salvo patto contrario - è efficace anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili. La Cassazione a sezioni unite è intervenuta a dirimere l'apparente contraddittorietà della norma per l'ipotesi in cui il socio illimitatamente responsabile sia anche fideiussore della società, ritenendo che l'effetto esdebitativo in tal caso prevalga sul vincolo fideiussorio, ma non sull'eventuale ipoteca che il socio avesse concesso a garanzia dell'adempimento da parte della società: “il socio illimitatamente responsabile di una società di persone che abbia concesso ipoteca per un debito della società risponde integralmente dell'obbligazione assunta, anche a seguito dell'omologazione del concordato preventivo della società, nei limiti del valore del bene su cui insiste l'ipoteca, indipendentemente dall'applicazione dall'art. 184 l. fall.” (Cass. S.U., 16 febbraio 2015, n. 3022). Al di fuori di tale ipotesi, il pagamento della percentuale concordataria libera anche i soci illimitatamente responsabili (ovviamente per i debiti sociali e non per i debiti particolari del socio stesso, per cui continua a sussistere la responsabilità patrimoniale del debitore e la possibilità di azione anche esecutiva dei suoi creditori individuali).
La nomina del liquidatore giudiziale
In base all'art. 182 l. fall. con il decreto di omologazione, quando il concordato prevede la cessione dei beni, il Tribunale provvede alla nomina di un liquidatore giudiziale.
Tale figura, estremamente rilevante al fine di consentire l'effettivo soddisfacimento dei creditori nella misura prevista dalla proposta concordataria omologata, viene disciplinata attraverso il rinvio per relationem ad alcune disposizioni concernenti la figura del curatore.
Viene in rilievo, in primo luogo, il richiamo all'art. 28 l. fall., in forza del quale il liquidatore – come il curatore – deve possedere specifiche competenze professionali, dovendo infatti appartenere alle categorie degli avvocati, commercialisti, ragionieri, studi professionali associati o società di professionisti con designazione individuale del soggetto responsabile, oppure aver comunque svolto funzioni di amministrazione, direzione o controllo in società per azioni, sempre che non sia stato dichiarato fallito.
Particolarmente rilevante il rinvio, implicito, anche al comma 3 della stessa disposizione, in forza del quale non può essere nominato curatore (e quindi neppure liquidatore) chi sia parente o creditore del fallito o abbia concorso nel dissesto o si trovi in conflitto di interessi con la procedura.
Tale rinvio deve spingere a valutare con particolare attenzione la prassi, spesso seguita, di nominare un soggetto indicato dallo stesso debitore. Tale designazione, infatti, pur non essendo in linea di principio vietata (e spesso “suggerita” allo scopo di risparmiare sui costi della procedura), non può tuttavia ritenersi vincolante. L'interpretazione dell'espressione “se (il concordato) non dispone diversamente”, infatti, pur avendo dato adito in passato ad interpretazioni diverse, ora, alla luce della rimodulazione secondo principi di competitività dell'intera fase esecutiva del concordato e della indubbia sottolineatura degli aspetti pubblicistici delle cessioni concordatarie (quantomeno dal punto di vista funzionale e della idoneità a provocare effetti c.d. purgativi), non può che ritenersi superata quella tesi che riteneva vincolanti le indicazioni del debitore sulle modalità di esecuzione della proposta, dovendosi, comunque, ritenere le stesse oggetto di una necessaria eterointegrazione. Pertanto: “nell'ambito di concordato preventivo con cessione dei beni, può essere nominato il liquidatore indicato dalla società debitrice, in assenza di indicazioni contrarie tali da rendere inopportuna la nomina, fermo restando la vigilanza del commissario e l'obbligo di riferire al G.D. ai sensi dell'art. 185 l. fall., purché il soggetto indicato sia in possesso dei requisiti di cui all'art. 28 l. fall.” (cfr. Trib. Rimini, 1 ottobre 2015 e Trib. Ravenna, 27 ottobre 2015, in questo portale; cfr. altresì Cass. 15 luglio 2011, n. 15699).
Si è fatto il caso del liquidatore nominato dalla società contestualmente alla delibera di approvazione della decisione di addivenire alla soluzione concordataria della crisi, ovvero di altro professionista non in conflitto di interessi con la procedura, designato dal debitore unitamente ad una individuazione forfettaria dei relativi costi, in misura inferiore a quelli altrimenti dovuti.
Deve invece ritenersi superata quella prassi, che in passato aveva avuto come finalità una maggiore economicità di azione, tesa a cumulare nello stesso soggetto le funzioni di liquidatore e di commissario giudiziale: “la nomina a liquidatore della persona del già nominato commissario giudiziale collide con il requisito (di cui al combinato disposto degli articoli 182, comma 2, e 28, comma 2, legge fallimentare) che il liquidatore sia immune da conflitti di interessi, anche potenziali; situazione, questa, che si verifica, invece, nel caso in cui nella persona del liquidatore si cumulino la funzione gestoria e quella di sorveglianza dell'adempimento del concordato di cui all'articolo 185, comma 1, legge fallimentare” (Cass. 18 gennaio 2013, n. 1237).
Discussa è la doverosità o meno della nomina del liquidatore giudiziale nel caso di concordato con continuità aziendale. Nel caso di concordato in continuità diretta c.d. “puro”, la tesi negativa è assolutamente prevalente: la nomina determinerebbe infatti una sovrapposizione di competenze che spettano allo stesso imprenditore debitore che prosegue l'attività caratteristica dopo l'omologazione, con una riespansione dei propri poteri gestori, sia pure funzionalizzati (anche se non solo) al soddisfacimento dei debitori concorsuali e, pertanto, sottoposta alla vigilanza del commissario giudiziale. Inoltre, anche dal punto di vista letterale, l'art. 182 circoscrive tale nomina e l'indicazione delle modalità della liquidazione al solo caso del concordato con cessio bonorum.
Nel caso di concordato spesso definito “misto”, ossia parzialmente in continuità e parzialmente consistente nella liquidazione o cessione di beni, la nomina del liquidatore – sia pure con funzioni circoscritte alla sola parte liquidatoria -, appare forse preferibile. In questo senso, sulla scorta di una necessaria integrazione delle diverse discipline, sia Trib. Roma 31 luglio 2015, secondo cui “le diverse discipline previste per il concordato in continuità aziendale e per il concordato con cessione dei beni sono fra loro compatibili, pur assolvendo a differenti funzioni sul piano economico-sociale, ben potendo coesistere, accanto al proponente il concordato che continua a condurre l'azienda, la figura di un liquidatore designato dal tribunale con il compito ben definito e circoscritto di procedere alla vendita dei beni il cui controvalore è stato messo a disposizione dei creditori, senza assumere in alcun modo anche l'onere della gestione dell'impresa, rimessa in ogni suo profilo ai soggetti titolari secondo le regole comuni”, che Trib. Ravenna 28 aprile 2015, secondo il quale “al concordato c.d. misto, il quale preveda cioè sia la continuità aziendale sia la liquidazione di determinati elementi dell'impresa, deve essere applicata la disciplina volta a volta più confacente con la porzione di piano concordatario che viene in esame, a seconda della causa concreta perseguita dal debitore”.
Pure pertinente a questa tematica è l'affermazione secondo cui “la nomina del liquidatore, a fronte di una proposta concordataria che non la preveda e sia stata approvata dai creditori, non comporta un'inammissibile interferenza sull' "accordo" così raggiunto e rappresenta piuttosto l'esplicazione di un potere giudiziale conformativo esercitabile d'ufficio in ordine a profili meramente procedurali attinenti alla fase esecutiva del concordato e non derogabili dalle parti coinvolte” (Trib. Roma 31 luglio 2015, cit.).
Norme applicabili al liquidatore giudiziale
Fra le ulteriori norme espressamente richiamate per disciplinare la figura del liquidatore giudiziale, si deve ricordare l'art. 29 l. fall., che impone anche a questo organo un dovere di particolare solerzia e di accettazione dell'incarico entro due giorni dalla nomina.
Sono altresì richiamate un “blocco” di norme previste per il curatore (artt. 37 – 39 l. fall.):
la prima disposizione riguarda la revoca, e stabilisce che il tribunale, su proposta del giudice delegato o su richiesta del comitato dei creditori o d'ufficio, può procedere alla cessazione anticipata dell'incarico. Ovviamente un ruolo propulsivo non irrilevante in tale vicenda la potrà rivestire il commissario giudiziale, che è tenuto a sorvegliare l'adempimento del concordato ed a riferire al giudice ogni fatto anche solo potenzialmente pregiudizievole per i creditori (arg. ex art. 185, comma 1, l. fall.); la revoca deve avvenire con un decreto motivato e nel rispetto del contraddittorio con il liquidatore (l'espressione “sentito” il liquidatore ed il comitato dei creditori sembra peraltro permettere, attesa l'atecnicità del verbo, un contraddittorio anche solo scritto, senza fissazione di un'udienza ad hoc e della preventiva notifica al liquidatore). Il decreto collegiale è reclamabile alla Corte d'appello, ma si ritiene non ricorribile in Cassazione: in tal senso si è espressa Cass. 13 marzo 2015, n. 5094;
l'art. 38 ricollega al liquidatore una ben specifica e stringente responsabilità: egli opera infatti, seppur di nomina giudiziale, come un mandatario in favore dei creditori concorsuali ed è perciò tenuto ad un obbligo di diligenza e prudenza nel compimento degli atti liquidatori, la cui violazione – particolarmente stringente anche in relazione ai requisiti di professionalità necessari per la nomina – può determinare un'azione di responsabilità, la cui legittimazione spetta al nuovo liquidatore giudiziale nominato in sostituzione di quello revocato ([così Cass. 7 luglio 2015, n. 14052, secondo cui “l'azione di responsabilità nei confronti del liquidatore giudiziale del concordato cessato o revocato spetta esclusivamente al nuovo liquidatore e non al commissario giudiziale, organo, quest'ultimo, al quale sono attribuite (nella previgente così come nell'attuale disciplina) funzioni composite di vigilanza, informazione, consulenza e d'impulso, complessivamente finalizzate al controllo della regolarità del comportamento del debitore ed alla tutela dell'effettiva informazione dei creditori, ma non anche di amministrazione o gestione, né di rappresentanza del debitore o del ceto creditorio” (tale decisione esclude altresì una legittimazione concorrente dei creditori)];
infine, l'art. 39 l. fall. disciplina il compenso, con un richiamo alle funzioni di curatore e, indirettamente, al d.m. 25 gennaio 2012, n. 30, salvo che le parti non abbiano previsto diversamente in melius per la procedura (spesso con previsione richiamata nel piano sottoposto ad omologazione, al fine di consentire ai creditori ed al tribunale di apprezzare la convenienza economica dell'indicazione da parte del debitore del professionista officiato per i compiti di liquidatore). A seguito della “miniriforma” dell'agosto 2015, eventuali acconti richiedono, salvo casi particolari, che siano state eseguite ripartizioni, anche parziali, a favore dei creditori (tale richiamo finisce ex post per convalidare quella prassi che applica alle ripartizioni in sede concordataria un modello procedimentale improntato sull'art. 110 l. fall.).
Una disposizione non richiamata è quella contenuta nell'art. 30 l. fall., da cui si esclude – come già anticipato sopra - che il liquidatore giudiziale abbia la natura di pubblico ufficiale.
In evidenza: natura del liquidatore giudiziale
La dottrina e giurisprudenza prevalenti riconducono la figura del liquidatore giudiziale a quella di un mandatario in favore dei creditori concorsuali: “La cessio bonorum non comporta alcun trasferimento immediato della proprietà dei beni in favore dei creditori e attribuisce soltanto all'organo liquidatorio della procedura la legittimazione a disporne secondo lo schema del mandato irrevocabile in quanto conferito anche nell'interesse dei terzi” (Trib. Roma 31 luglio 2015); peraltro la nomina giudiziale ne comporta la revocabilità da parte dello stesso tribunale, in presenza di una giusta causa o anche soltanto di motivi di opportunità, alle condizioni previste dall'art. 37 l. fall.
Va escluso che il liquidatore rivesta la qualifica di pubblico ufficiale: “il liquidatore giudiziale nominato nella procedura di concordato preventivo non è pubblico ufficiale, poiché ad esso, a differenza di altre figure soggettive, quali quelle del curatore, del commissario giudiziale e del commissario liquidatore, la legislazione fallimentare non attribuisce espressamente tale qualifica” (Cass. Pen. 16 gennaio 2015, n. 15951). Ancora, si è rilevato che il liquidatore giudiziale non ha l'amministrazione del patrimonio della società, poiché il debitore ammesso alla procedura di concordato preventivo subisce uno “spossessamento attenuato” e conserva l'amministrazione e la disponibilità dei beni, salve le limitazioni connesse alla natura della procedura, e di conseguenza anche la legittimazione processuale; è infatti assente nel concordato una previsione analoga a quella dettata dall'art. 43 l. fall. per il fallimento (così Cass. 3 aprile 2013, n. 8102).
Pure si è affermato da parte di Cass. S.U. 7 dicembre 2010, n. 43428, che “il liquidatore dei beni del concordato preventivo di cui all'art. 182 legge fall. non può essere soggetto attivo dei reati di bancarotta di cui agli artt. 223 e 224, richiamati nell'art. 236, comma secondo, n. 1, stessa legge, in quanto non può ritenersi ricompreso in alcuno dei soggetti ivi espressamente indicati e, in particolare, tra i “liquidatori di società”.
Sulla posizione processuale del liquidatore e per la prevalenza della tesi secondo cui resta legittimato il legale rappresentante dell'impresa, senza che si determini un'esigenza di litisconsorzio necessario con il liquidatore giudiziale, cfr. Cass. 3 aprile 2013, n. 8102 e Cass. 12 maggio 2010, n. 11520, secondo cui “in tema di concordato preventivo con cessione dei beni, il giudizio promosso dal debitore per la riscossione di un proprio credito prima dell'ammissione alla procedura e proseguito dopo l'omologazione, non richiede l'integrazione del contraddittorio nei confronti del commissario liquidatore dei beni nominato dal tribunale, non determinandosi in capo agli organi della procedura il trasferimento della proprietà dei beni e della titolarità dei crediti, ma esclusivamente dei poteri di gestione finalizzati alla liquidazione, con la conseguenza che il debitore conserva il diritto di esercitare in proprio le azioni e resistervi nei confronti dei terzi a tutela del suo patrimonio”.
La prima decisione fa però salva l'ipotesi in cui il liquidatore sia intervenuto volontariamente nel giudizio (cui deve assimilarsi il caso della chiamata diretta) per affermare che in tale evenienza si determina un'esigenza di litisconsorzio meramente processuale anche nei successivi gradi del giudizio. Nella giurisprudenza di merito le posizioni sono spesso più variegate (ad es. Trib. Prato, 8 novembre 2013 afferma la necessità di estendere il contraddittorio al liquidatore al fine di potergli opporre il giudicato).
L'esecuzione del concordato: dal concordato “chiuso” alle procedure competitive
Se la riforma del 2006-2007 era stata chiaramente ispirata da un favor per le soluzioni concordatarie alternative al fallimento (si pensi soltanto all'abbandono dell'idea che il concordato preventivo fosse appannaggio esclusivo del debitore meritevole ed alla scomparsa della soglia di sbarramento del 40% di soddisfacimento, a favore di una completa atipicità della proposta concordataria) e se, ancora, la miniriforma del 2012 aveva ulteriormente accentuato il favor debitoris (basti per tutti citare l'introduzione del concordato in “bianco” o prenotativo), si deve sicuramente evidenziare come la riforma del 2015 - disegnata dal D.L. n. 83/2015, convertito con profonde modifiche dalla legge 6 agosto 2015, n. 132 - porti ad un complessivo riequilibrio delle posizioni e degli interessi dei creditori rispetto a quelli dell'imprenditore in crisi, con il non nascosto fine di eliminare alcune “storture” applicative, quando non veri e propri “abusi” nell'utilizzo dello strumento concordatario (cfr. F. Lamanna, La legge fallimentare dopo la miniriforma del D.L. n. 83/2015, in Il civilista, 2015; di riequilibrio del rapporto debitore/creditori parla anche Ambrosini, La disciplina della domanda di concordato preventivo nella “miniriforma” del 2015, in ilcaso.it).
Uno dei principi fondamentali della “miniriforma” di agosto, accanto ad un malcelato disfavore per le soluzioni concordatarie meramente liquidatorie, è rappresentato dall'esplicita adesione alla superiore regola della “competitività”:
competitività del concordato, attraverso la possibilità - per la prima volta offerta ai creditori nel concordato preventivo - di formulare una proposta di concordato alternativa e concorrente a quella del debitore (secondo una soluzione che già era conosciuta, questa volta in favore di ogni terzo, nel concordato fallimentare);
competitività nel concordato, sottoponendo ogni cessione e vendita esecutiva del piano o progetto concordatario alla necessità di procedere preventivamente con forme competitive e di pubblicità, anche laddove la cessione sia oggetto di offerta o proposta di acquisto da parte di uno o più soggetti determinati, sì che il c.d. “test market” diviene lo strumento prescelto dal legislatore per verificare l'effettiva efficienza del piano concordatario, nell'idea che il c.d. premio rappresentato dall'esdebitazione debba conseguire soltanto attraverso un'allocazione efficiente delle risorse dell'impresa in crisi e realmente satisfattiva degli interessi dei creditori.
Si legge nella relazione di accompagnamento al disegno di legge 27 giugno che la stessa “contendibilità dell'impresa in crisi” ha la finalità di “massimizzare la recovery dei creditori concordatari e di mettere a disposizione dei creditori una possibilità ulteriore rispetto a quella di accettare o rifiutare in blocco la proposta del debitore”.
L'adozione di questo principio determina quella che in modo icastico è stata chiamata “fine dell'era delle proposte di concordato “chiuse” (così Vitiello, in questo portale Vendite concorsuali e offerte concorrenti: la fine dell'era delle proposte di concordato chiuse).
L'idea di fondo è che la “competizione” generi efficienza ed impedisca soluzioni “preconfezionate” che non abbiano in realtà lo scopo di massimizzare il soddisfacimento dei creditori, quanto, piuttosto, di impedire l'alienazione a terzi degli assets di maggiore interesse attraverso vincoli contrattuali od offerte vincolanti di soggetti “vicini” allo stesso imprenditore insolvente (quando non a questi direttamente riconducibili). E' infatti evidente che in questi casi lo causa del concordato potrebbe essere “piegata” (secondo terminologia invalsa nello studio privatistico del c.d. negozio indiretto) per perseguire uno scopo diverso da quello assunto come tipico dalla fattispecie legale concordataria, imponendo una soluzione ben precisa al trasferimento dell'impresa pur se insoddisfacente per il ceto creditorio.
Tanto premesso, occorre considerare che l'esecuzione del concordato può essere anche anticipata rispetto alla fase post omologazione.
Per la possibilità di anticipazione sovviene in particolare l'introduzione dell'istituto delle offerte concorrenti previste dal nuovo art. 163-bis l. fall., mentre, più in generale, per la fase successiva alla omologazione, l'idea della necessaria competitività delle cessioni concordatarie risulta desumibile dal novellato art. 182, comma 5, l. fall. Entrambe tali disposizioni si combinano ed hanno lo scopo di ottimizzare il soddisfacimento dei creditori e verificare che il corrispettivo previsto per la cessione a terzi dei beni e diritti costituenti l'attivo concordatario avvenga al miglior prezzo di realizzo possibile.
Giustamente si è sottolineato come l'innovazione normativa tragga spunto da alcune prassi virtuose applicate in sede giudiziaria, primo fra tutti il noto caso San Raffaele (su cui cfr. Lamanna, La legge fallimentare dopo la miniriforma del d.l. n. 83/2015,cit., 41, il quale ricorda come in quel caso la procedura competitiva applicata dal Tribunale di Milano ad un preliminare concluso in una situazione di sospetto conflitto di interessi abbia portato alla individuazione di un'offerta di ben 155 milioni di Euro superiore a quella individuata inizialmente dalla Fondazione che aveva proposto il concordato) e poi, successivamente, la vicenda della cessione dell'azienda “La Perla” avvenuta fruttuosamente nel corso di una gara competitiva applicata dal Tribunale di Bologna durante la fase preconcordataria.
Il nuovo art. 163-bis si applica sia al “pacchetto preconfezionato” con obbligazioni per il solo offerente [“quando il piano di concordato di cui all'art. 161, comma 2, lett. e) comprende una offerta da parte di un soggetto già individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore, anche prima dell'omologazione, verso un corrispettivo in denaro o comunque a titolo oneroso dell'azienda o di uno o più rami d'azienda o di specifici beni”] sia al caso in cui il concordato risulti effettivamente “chiuso” attraverso un contratto preliminare (cioè “quando il debitore ha stipulato un contratto che comunque abbia la finalità del trasferimento non immediato dell'azienda, del ramo d'azienda o di specifici beni”).
In tali casi si prevede che il Tribunale (normalmente con lo stesso decreto di ammissione alla procedura concordataria di cui all'art. 163 l. fall.) disponga la ricerca di interessati all'acquisto, dando avvio ad un procedimento competitivo, fissando quindi le modalità di presentazione delle offerte in modo che ne sia assicurata la comparabilità, gli eventuali requisiti di partecipazione degli interessati, forme e tempi di accesso alle informazioni rilevanti, modalità di rilascio da parte del commissario giudiziale e limiti di utilizzo. Il decreto fissa altresì una udienza per l'esame delle offerte, l'aumento minimo e le forme di pubblicità, fra cui in ogni caso la pubblicazione sull'istituendo portale ministeriale delle vendite di cui all'art. 490 c.p.c.
Qualora l'offerta iniziale sia diversa da quella assunta dal tribunale come base della competizione, la stessa diviene irrevocabile nel momento in cui viene modificata in conformità a quanto previsto nel decreto del tribunale.
Potrebbe darsi il caso in cui l'offerta sia presentata con una durata di efficacia talmente breve da impedire, di fatto, un'effettiva competitività (c.d. “prendere o lasciare”). Si deve ritenere che in tali casi il Tribunale possa, anche in sede di richiesta di modifiche e/o integrazioni di cui all'art. 162 l. fall., suggerire o comunque instare per un prolungamento della durata di efficacia dell'offerta, in modo da avere il tempo sufficiente a consentire un lasso di tempo minimo, di almeno 30-45 gg., di pubblicità effettiva della proposta stessa, allo scopo di evidenziare eventuali competitors la cui possibile emersione sarebbe in effetti frustrata da una pubblicità eccessivamente ristretta (per un caso di questo tipo, cfr. Trib. Ravenna, 27 novembre 2015).
Del resto, la conseguenza di una proposta concordataria fondata su un'offerta congegnata allo scopo di impedire il rispetto della competitività potrebbe porsi sul piano del difetto di fattibilità giuridica della stessa, con conseguente pronuncia di inammissibilità.
Siccome l'art. 163-bis l. fall. fa riferimento ad un'udienza, deve ritenersi che la stessa debba svolgersi necessariamente davanti al giudice delegato e che vada fissata con un congruo anticipo rispetto all'adunanza dei creditori. Poiché, infatti, potrebbe accadere che la proposta concordataria debba essere modificata in ragione dell'esito della gara, quest'ultima dovrà ragionevolmente tenersi in tempo utile non soltanto per l'adunanza dei creditori, ma, altresì, prima dello spirare del termine entro cui sono consentite modificazioni della proposta (15 giorni prima dell'udienza ex art. 174 l. fall.) e, ove possibile, anticipata al punto da poter essere recepita nella relazione del Commissario giudiziale, che, come già avvertito, deve depositare la propria relazione almeno 45 gg. prima della citata adunanza.
Opportunamente l'ultimo comma dell'art. 163-bis precisa che tale disciplina va applicata anche in fase preconcordataria (cioè ove la cessione sia prevista come atto da autorizzare ex art. 161, comma 7, l. fall.) ed altresì all'affitto d'azienda (deve ritenersi, per il vincolo indiretto che simile negozio finisce con lo stabilire rispetto alla circolazione effettivamente libera ed efficiente del complesso aziendale, vere essendo le preoccupazioni sollevate da Varotti, Appunti veloci sulla riforma 2015 della legge fallimentare, in ilcaso.it, circa le effettive possibilità di competizione da parte dei terzi quando l'azienda sia ormai passata nelle mani di un affittuario “non ostile” all'imprenditore in crisi).
Letteralmente si potrebbe pensare che resti fuori dal campo applicativo della competitività il caso in cui il piano concordatario venga presentato senza offerta e venga così ammesso dal Tribunale e, successivamente, nello spatium temporis che manca alle votazioni pervenga un'offerta vincolante che il debitore ritenga di accettare subordinatamente all'autorizzazione di cui all'art. 167 l. fall. E' evidente che, ove tale fattispecie restasse esclusa, sarebbe ben semplice aggirare la nuova disposizione. Poiché, tuttavia, la stessa appare uno dei pilastri della riforma del 2015, un simile esito interpretativo non può essere accolto. A parere di chi scrive, il caso rientra comunque sotto l'ombrello applicativo della più generale regola di pubblicità e gara posta dal nuovo art. 182, comma 5, l. fall., che, pure inserito in una norma dedicata letteralmente alle cessioni post omologa, tuttavia si rivolge “alle vendite, alle cessioni e ai trasferimenti legalmente posti in essere dopo il deposito della domanda di concordato o in esecuzione di questo”. Pertanto, in un caso come quello ipotizzato, l'autorizzazione ex art. 167 l. fall. non potrà che essere condizionata dal previo esperimento della procedura competitiva, o, al limite, essere rigettata in attesa che post omologazione si proceda alla gara (ovviamente questa seconda evenienza appare recessiva per coloro che, come chi scrive, già reputavano possibile una esecuzione anticipata della fase liquidatoria rispetto alla omologazione e colgono nella nuova norma inserita nell'artt. 182 l. fall. una sorta di chiusura del sistema, che vale ad estendere il test market e la concorrenza ad ogni ipotesi di cessione che letteralmente restasse fuori dall'ambito applicativo dell'art. 163-bis l. fall.).
Il più volte evocato nuovo art. 182 l. fall. è, invece, dedicato espressamente alla fase post omologazione e “chiude il sistema”, nel senso di imporre anche in tale fase esecutiva il rispetto delle regole di competitività delle cessioni e pubblicità delle offerte (si pensi proprio al caso di una offerta specifica che sopravvenga alla omologazione: venuta meno la possibilità di procedere ex art. 163-bis l. fall., ove fosse mancato un adeguamento dell'art. 182 l. fall. si sarebbe potuto forse dubitare della possibilità per il liquidatore giudiziale di accettare direttamente la nuova offerta, in quanto ad es. “congrua” rispetto ai valori assunti nella proposta di concordato, oppure anche in tal caso procedere preliminarmente secondo le regole di “evidenza pubblica”).
Opportunamente, perciò, l'art. 182, comma 1, l. fall. prevede che il Tribunale, in sede di determinazione delle “modalità di liquidazione”, disponga che il liquidatore effettui la pubblicità prevista dall'art. 490, comma 1, c.p.c. ed il termine entro cui la stessa debba essere eseguita.
A sua volta, con disposto ancora più generale ed imperativo, il comma 5 della stessa disposizione prevede che “alle vendite, alle cessioni e ai trasferimenti legalmente posti in essere dopo il deposito della domanda di concordato o in esecuzione di questo, si applicano gli articoli da 105 a 108-ter in quanto compatibili”.
La cancellazione dei gravami e le relazioni periodiche
Lo stesso art. 182, comma 5, l. fall., nel richiamare gli artt. da 105 a 108-ter in quanto compatibili e nell'affermare espressamente (anche qui recependo prassi virtuose già diffuse in alcuni uffici giudiziari) che la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, pignoramenti, sequestri conservativi e ogni altro vincolo “sono effettuati su ordine del giudice”, vale a rimarcare la funzione pubblicistica delle vendite inserite nelle ristrutturazioni concordatarie e la loro affinità con quelle coattive, indipendentemente dalla forma spesso privatistica avanti al notaio con cui sono destinate a concludersi.
Sul testo previgente aveva avuto modo di esprimersi Trib. Bergamo, 12 febbraio 2015, secondo cui “anche nell'ipotesi che un concordato con cessione di beni sia disciplinato dal previgente art. 182 L.F., l'operazione di vendita da parte del liquidatore giudiziale di un immobile ipotecato non necessita del consenso del creditore ipotecario, ma richiede unicamente che lo stesso ne sia informato mediante notifica; ciò in quanto il secondo comma dell'art. 107 L.F., come sostituito dal D.Lgs. 9 gennaio 2006 n. 5, già prevedeva la necessità di quel solo adempimento”.
Del pari Trib. Messina, 8 maggio 2012 aveva affermato che “le vendite effettuate dal liquidatore giudiziale del concordato preventivo in conformità alle previsioni del decreto di omologa hanno natura di "vendite forzate", non riconducibili alla libera determinazione dell'imprenditore assoggettato alla procedura concorsuale. Il giudice delegato può, pertanto, ordinare, ai sensi degli articoli 108 e 182 l. fall., la cancellazione di tutte le iscrizioni pregiudizievoli gravanti sui beni oggetto di vendita coattiva, così come prevede l'articolo 2884 c.c. (nel caso di specie, la vendita era stata eseguita mediante rogito notarile)”.
Va peraltro segnalato che prima dell'ultima riforma, tuttavia, un consistente orientamento riteneva applicabile l'art. 108, comma 2, l. fall. (secondo cui “per i beni immobili e gli altri beni iscritti in pubblici registri, una volta eseguita la vendita e riscosso integralmente il prezzo, il giudice delegato ordina, con decreto, la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo”) soltanto a quelle vendite in ambito concordatario che fossero avvenute anche formalmente con le modalità pubblicistiche proprie delle vendite coattive di cui all'art. 107 l. fall.
Altro indirizzo, assimilando dal punto di vista funzionale le due diverse forme di cessione, aveva invece ritenuto la diretta applicabilità del citato art. 108, comma 2, l. fall., notando che la ricordata alienazione (id est: mediante rogito notarile e non con decreto di trasferimento) condivide a livello funzionale la medesima natura delle vendite coattive, sì che non si pongono ostacoli all'emissione del decreto c.d. purgativo dei gravami insistenti sul bene (in questo senso, fra gli altri, Trib. Aqui Terme, 9 marzo 2012, con nota adesiva di Abete, in Fall. n. 7/2012).
La nuova formulazione dell'art. 182, comma 5, l. fall. rimuove pertanto, opportunamente, ogni residuo dubbio sulla possibilità del G.D. di ordinare la suddetta cancellazione, indipendentemente dalla forma dell'atto traslativo della proprietà del bene oggetto di cessione concordataria.
Infine, proprio l'importanza della fase esecutiva del concordato risulta rimarcata dall'ultimo comma dell'art. 182 l. fall., che impone al liquidatore (nei concordati con cessione dei beni) la necessità di predisporre una relazione periodica sulla scorta del modello di cui all'art. 33, comma 5, l. fall. Tale relazione è trasmessa al Commissario giudiziale, che, a sua volta, le trasmette ai creditori. Tale passaggio “intermedio” vuole, da un lato, permettere al commissario un'effettiva attività di vigilanza e, dall'altro, secondo prassi non vietata, consente a quest'ultimo di allegare proprie considerazioni sull'andamento della liquidazione, con particolare riguardo ai casi in cui la stessa stia procedendo negativamente rispetto alle prospettive del piano o, addirittura, non stia procedendo affatto.
Nei concordati in continuità tale adempimento informativo è invece direttamente posto a carico del Commissario giudiziale dall'art. 16-bis del d.l. n. 179/2012, per il quale "il commissario giudiziale della procedura di concordato preventivo di cui all'articolo 186-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 ogni sei mesi successivi alla presentazione della relazione di cui all'articolo 172, primo comma, del predetto regio decreto redige un rapporto riepilogativo secondo quanto previsto dall'articolo 33, quinto comma, dello stesso regio decreto e lo trasmette ai creditori a norma dell'articolo 171, secondo comma, del predetto regio decreto". Ovviamente, soprattutto nei concordati nei quali è presente una qualche continuità diretta, questo deve comportare l'attribuzione al commissario del potere/dovere di richiedere all'imprenditore ogni informazione ritenuta opportuna e necessaria nell'interesse dei creditori, compresa la possibilità di esaminare la documentazione contabile della parte gestionale in continuità. Nei casi, infatti, in cui una frazione del cash flow originato dalla prosecuzione dell'attività caratteristica è destinata ad essere riversata ai creditori, apparirebbe senza dubbio incongruo e contrario alla spirito della norma appena citata, non consentire al Commissario giudiziale di analizzare l'andamento dell'impresa in funzione, scoprendo ad esempio che la stessa “brucia cassa” invece che produrla, con tutto l'interesse dei creditori, nei casi in cui lo scostamento appaia grave e risulti determinante in negativo, di attivarsi per la risoluzione del concordato senza attendere la scadenza del termine e, quindi, risultati satisfattivi ancor più disastrosi.
Una informazione completa sull'andamento della fase esecutiva appare in ogni caso un vero e proprio diritto per i creditori, tanto che il legislatore del 2012 ha specificamente provveduto su questo punto.
L'attuazione delle proposte concorrenti (rinvio)
Particolari avvertenze sono poi dedicate dal legislatore della riforma del 2015 all'ipotesi di esecuzione della proposta concorrente. Potrebbe infatti verificarsi, nel caso di omologazione della proposta concordataria proveniente da un terzo, che l'imprenditore non abbia alcun interesse all'attuazione della medesima e non collabori, restando inerte o, addirittura, “remando contro” l'effettiva applicazione della stessa.
Tale situazione è disciplinata dall'art. 185 nei nuovi commi 3 e ss. introdotti dalla recente riforma dell'agosto 2015, ponendo a carico del debitore un vero e proprio obbligo di adeguamento e di collaborazione nel dare esecuzione alla proposta di concordato presentata dal terzo creditore ed effettivamente omologata.
Per l'importanza di tale situazione, si rinvia all'apposita voce Attuazione coattiva delle proposte concorrenti (in corso di pubblicazione).
Riferimenti
Normativi
Art. 182 l. fall.
Art. 185 l. fall.
Giurisprudenza
Cass. S.U., 16 febbraio 2015, n. 3022
Cass. 3 aprile 2013, n. 8102
Cass. 8 maggio 2012, n. 7021
Trib. Roma, 31 luglio 2015
Trib. Bergamo, 12 febbraio 2015
Trib. Ravenna, 27 novembre 2015
Bibliografia
F. Lamanna, La legge fallimentare dopo la miniriforma del D.L. n. 83/2015, in Il civilista, Milano, 2015
Vitiello, Vendite concorsuali e offerte concorrenti: la fine dell'era delle proposte di concordato chiuse, in questo portale
Ambrosini, La disciplina della domanda di concordato preventivo nella “miniriforma” del 2015, in ilcaso.it