Le misure d’allerta in Italia de iure condendo

Chiara Lunetti
22 Giugno 2016

Il 10 febbraio 2016 il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di disegno di legge recante “delega al governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza”, che percorre il solco già tracciato dai lavori della cd. Commissione Rordorf. Il d.d.l. delega ha tra i vari obiettivi la prevenzione della crisi d'impresa e l'introduzione di incentivi ad affrontarla tempestivamente, prima che le difficoltà incontrate sfocino in uno stato d'insolvenza, irreversibile.
Le misure d'allerta del d.d.l. “per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza”

Il 10 febbraio 2016 il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di disegno di legge recante “delega al governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza” (di seguito, per brevità il “d.d.l.”), che percorre il solco già tracciato dai lavori della cd. Commissione Rordorf.

Il d.d.l. delega ha tra i vari obiettivi la prevenzione della crisi d'impresa e l'introduzione di incentivi ad affrontarla tempestivamente, prima che le difficoltà incontrate sfocino in uno stato d'insolvenza, irreversibile.

In linea con gli obiettivi della normativa europea (Raccomandazione UE 2014/135 e Regolamento UE 2015/848, relativo alle procedure di insolvenza), proprio il decreto istitutivo della Commissione Rordorf fissava, tra gli altri, l'obiettivo di “consentire alle imprese sane in difficoltà finanziaria di ristrutturarsi in una fase precoce, per evitare l'insolvenza e proseguire l'attività”. Un obiettivo, questo, attorno al quale hanno ruotato (con insuccesso) le riforme dell'ultimo decennio. Tuttavia, per quanto la bontà dell'intento sia condivisa, i meccanismi di allerta e prevenzione necessari a concretizzarlo in norma non sono mai entrati a far parte del nostro ordinamento. Un tentativo si rinviene nei lavori della c.d. “Commissione Trevisanato”, che già nel 2004 prevedeva l'introduzione di istituti di allerta e prevenzione.

Non si può che ritenere opportuno, dunque, che il d.d.l. prevede all'art. 4 l'introduzione di “procedure d'allerta e composizione assistita della crisi”. Come è sottolineato dalla relazione al d.d.l., la scelta normativa è sembrata indifferibile in considerazione dei segnali allarmanti evidenziati dalla prassi secondo cui gli imprenditori, nel timore di perdere il controllo dell'impresa e nella speranza di soluzioni miracolistiche alternative, rifuggono dal promuovere essi stessi processi di ristrutturazione precoce e, anzi, tendono a occultare il più a lungo possibile la crisi già in atto, oltre tutto con rischi di natura anche penale.

Le procedure d'allerta delineate nel d.d.l., approvato dal Consiglio del Ministri (che hanno subito alcune modifiche rispetto alla prima proposta), poggiano sui due principi-cardine della confidenzialità e della stragiudizialità dell'allerta, che rappresentano due presupposti indefettibili per il buon esito della prevenzione. Infatti, se è vero che le possibilità di salvare i valori di un'impresa in difficoltà sono direttamente proporzionali alla tempestività dell'intervento risanatore, è anche vero che deve evitarsi che il rimedio si riveli controproducente, tenuto conto che un'ostensione della crisi dell'impresa (non ancora irreversibile) può creare esiziale sfiducia del mercato e degli interlocutori dell'impresa nelle sue possibilità di risanamento.

Da un punto di vista strutturale, il meccanismo di allerta sembra allineato a quello francese, prevedendo un'allerta interna, avviata dalle segnalazioni degli organi societari, e unaesterna, affidata ai c.d. “creditori qualificati”. Le due allerte poggiano su differenti presupposti, considerando che la prima (interna) riposa sulla rilevazione, da parte degli organi societari di controllo e vigilanza, di “fondati indizi sulla crisi”, mentre l'allerta esterna dovrebbe essere attivata in caso di “perduranti inadempimenti di importo rilevante”.

Il primo stadio dell'allerta interna è affidato agli organi societari di controllo e agli incaricati della revisione, tenuti ad avvertire gli amministratori ove essi ravvisino elementi sintomatici seri della crisi. In caso di inerzia degli amministratori, o dinanzi a loro risposte non adeguate, gli organi sociali devono dare avvio alla seconda fase dell'allerta interna e avvertire della situazione di crisi in cui versa l'impresa l'Organo di composizione assistita della crisi (art. 4, comma 1, lett b), d.d.l.).

L'allerta esterna compete invece ai c.d. “creditori qualificati” (Agenzia delle Entrate, agenti della riscossione delle imposte ed enti previdenziali), i quali, nel caso di inadempimenti perduranti dell'imprenditore, dovranno segnalarli all'Organismo di composizione della crisi, pena la perdita dei privilegi sui crediti di cui sono titolari.

Entrambe le segnalazioni – interna ed esterna - confluiscono dunque innanzi a un'istituenda sezione specializzata degli organismi di composizione assistita dalla crisi di cui alla legge n. 3/2012, che deve convocare immediatamente e in via riservata l'imprenditore (individuale o societario) per individuare le possibili strategie che possano porre rimedio alla situazione di difficoltà riscontrata.

La norma condiziona queste alla “previa verifica della situazione patrimoniale, economica e finanziaria in essere”. Se ne deduce che l'imprenditore convocato dall'organo di composizione della crisi debba fornire un'aggiornata situazione economica finanziaria e patrimoniale della società.

A seguito dell'audizione, l'organo di composizione della crisi può, se la situazione lo richieda, individuare un intermediario tra imprenditore e suoi creditori, che avvii un processo di negoziazione (della durata massima di sei mesi) volto a individuare una soluzione concordata della crisi. L'avvio di queste negoziazioni avrebbe duplice rilevanza. Da un lato l'art. 4, comma 1, lett. e) del d.d.l. pare implicare che le attività ivi svolte possano assumere una certa importanza per una successiva istruttoria prefallimentare (o, rectius, pre-insolvenza?). Dall'altro lato, secondo quanto previsto dalla lettera e) della norma, il debitore, senza formalismi non essenziali al contraddittorio, potrebbe, nelle more dello svolgimento della procedura dinanzi all'organo per la composizioni della crisi, richiedere al giudice l'adozione di misure protettive necessarie per portare a termine le trattative in corso con i creditori (di cui vanno disciplinati “durata, effetti, regime pubblicitario, competenza ad emetterle e revocabilità d'ufficio anche in caso di atti in frode ai creditori”).

Il testo definitivo dell'art. 4, d.d.l. prevede un'ulteriore fase rispetto a quelle di cui all'originaria sua formulazione (la modificazione è stata introdotta su sollecitazione di vari soggetti, tra i quali il CNDCEC, che hanno richiesto una disciplina relativa al “seguito” dell'allerta), prevedendo che le negoziazioni sotto l'egida dell'organismo si chiudano con un'attestazione dell'organo di composizione della crisi circa l'effettiva attivazione da parte dell'imprenditore nel senso di prevenire la crisi attraverso misure idonee. Inoltre, ove l'imprenditore non abbia raggiunto un'intesa con i creditori (o nel caso in cui esso non partecipi, immotivatamente, al procedimento di negoziazione) è previsto che ne sia avvertito il presidente della sezione specializzata in materia di impresa del tribunale del luogo sede dell'impresa. Quest'ultimo avrebbe l'obbligo di convocare immediatamente l'imprenditore e, ove lo ritenga necessario, di nominare un esperto (in possesso dei requisiti di cui all'art. 67, comma 2, lett. d), l. fall.) che verifichi la situazione economica patrimoniale e finanziaria dell'impresa, predisponendo un'apposita relazione. Qualora da questa emerga uno stato di crisi, il presidente della sezione specializzata in materia di imprese dovrebbe assegnare all'imprenditore un termine per “intraprendere le misure idonee” e, in caso di inerzia, disporre la pubblicazione della relazione predisposta dall'esperto sul registro delle imprese.

Analisi critica

Le procedure d'allerta nella proposta formulata dalla Commissione Rordorf hanno destato perplessità, di cui si darà atto nelle pagine che seguono, analizzando i punti critici del meccanismo ex art. 4, d.d.l.

Partendo dalle critiche che potrebbero dirsi “ideologiche”, la Confindustria ha obiettato che, ove si scelga di far sì che la procedura svolta innanzi all'organismo di composizione della crisi sfoci in un intervento giudiziale (art. 4, comma 1, lett. h), d.d.l.), gli imprenditori potrebbero rifuggire da ogni atteggiamento propositivo e collaborativo, essendo semmai incentivati a occultare ancor più la crisi della propria impresa. Un ulteriore dubbio riguarderebbe poi il potere di allerta attribuito ai creditori istituzionali, che potrebbe indurre una distorsione nel pagamento dei creditori stessi da parte del debitore – che privilegerebbe il pagamento di questi, al fine di scongiurare l'avvio dell'allerta esterna a danno dei creditori non legittimati a promuovere l'avvio delle descritte procedure.

Si tratta, si ritiene, di osservazioni che, da un lato, non colgono il senso delle misure di cui si auspica l'introduzione e, dall'altro, rimangono (forse) ancorate a una logica non condivisibile né persuasiva, che vuole la crisi d'impresa un affare di esclusiva pertinenza del debitore e dei creditori e che, dunque, vede dette misure quali elementi di violazione dell'autonomia dell'imprenditore, consentendo a terzi di ingerirsi nella gestione dell'impresa (l'obiezione che si critica, nel rivendicare uno spazio di libertà assoluta dell'imprenditore presenta anche profili di dubbia tenuta sotto il profilo costituzionale, dal momento che l'art. 41, Cost. assoggetta detta libertà al rispetto dell'utilità sociale). D'altra parte, non si può neppure tacere che, in passato, la normativa fallimentare abbia apprestato strumenti (basti pensare all'estensione dell'automatic stay agli accordi di ristrutturazione e all'istituto del concordato in bianco) che, se applicati virtuosamente, avrebbero potuto incentivare l'imprenditore a far emergere tempestivamente la crisi. Tanto, tuttavia, non è accaduto.

Ebbene, alla luce di tali considerazioni, il d.d.l. propone l'introduzione di un meccanismo che, da un lato, fornisce all'impresa in crisi tutti gli incentivi idonei ad affrontare con serietà i segnali di difficoltà (grazie alla confidenzialità che caratterizza tutto lo svolgimento della procedura, all'assistenza degli esperti dell'organismo di composizione della crisi e alla possibilità di richiedere al tribunale una misura protettiva del patrimonio sociale dalle azioni esecutive dei creditori). Mentre, dall'altro lato, la procedura d'allerta non può prescindere dalla previsione, ove tale strumento venga utilizzato impropriamente dall'imprenditore, di un intervento correttivo dell'autorità giudiziaria, pena l'introduzione di una procedura inutile, che non solleciterebbe l'imprenditore ad affrontare con immediatezza la crisi, poiché non vi sarebbe alcuna differenza tra l'attivazione dell'allerta e l'inerzia dell'imprenditore.

(Segue) Gli aspetti procedurali

Quanto agli aspetti più prettamente procedurali dell'iter delineato dal d.d.l., sarebbe opportuno che, nel passaggio parlamentare della legge delega, fossero fornite risposte ad alcune esigenze che si manifestano dinanzi allo schema delineato dall'art. 4, d.d.l.

Due osservazioni si impongono anzitutto in tema di allerta “interna”.

Come si è detto, il d.d.l. affida l'allerta endo-societaria al collegio sindacale e ai revisori dei conti (si rileva come, a differenza di quanto previsto dal sistema di francese, la Commissione Rordorf abbia escluso un dovere di allerta in capo alla rappresentanza sindacale. Il potere di allerta dei lavoratori costituirebbe un'iniziativa volta alla salvaguardia dell'occupazione e, pertanto, perfettamente in linea con il ruolo istituzionale della rappresentanza, ma si è evidentemente ritenuto che il nostro sistema non sia maturo per l'attribuzione di tale strumento ai sindacati). In capo a quei soggetti, storicamente deputati alle funzioni di vigilanza e controllo sulla società, si crea il compito di instaurare un confronto con il (solo) organo gestorio, ove siano rilevati segnali allarmanti che preludono a una situazione di crisi e, in caso tale confronto si riveli infruttuoso, ne sia data comunicazione all'organismo di composizione della crisi. L'allerta dei sindaci/revisori, delineata dall'articolo 4, comma primo, lett. b), d.d.l. prevede, rispetto all'articolata allerta dei commissaire aux comptes del diritto francese, un procedimento più scarno, consistente in due sole fasi (il confronto tra collegio sindacale e l'organo amministrativo e l'eventuale segnalazione all'organo di composizione della crisi). Un primo spunto di riflessione, dunque, attiene all'opportunità che in sede di approvazione della legge delega ci si interroghi sull'alternativa di articolare in più fasi la procedura interna alla società, al fine di creare un dialogo che gradualmente coinvolga tutti i soggetti interni (inclusi i soci e, volendo mutuare in tutto l'ordinamento francese, anche i rappresentanti sindacali), ovvero se mantenere una procedura snella e veloce, che minimizzi i tempi, considerato anche che la fase dinanzi all'organo di composizione della crisi d'impresa può durare anche sei mesi. Da un lato, infatti, la possibilità di un dialogo entro la società strutturato in più fasi - che possano essere interrotte nel momento in cui gli amministratori forniscano una risposta tempestiva ed efficace alle questioni sollevate dai sindaci, ma, al contempo, che esse possano essere riprese a partire dalla fase in cui erano state interrotte, ove si ravvisi che le misure poste in essere non siano state sufficienti a sanare la crisi - potrebbe sollecitare un meccanismo virtuoso, in cui l'individuazione di soluzioni sia condivisa da tutta la struttura societaria. Una delle perplessità che infatti sorgono dalla lettura del d.d.l. è che, con particolare riferimento alle società quotate, il risparmiatore (ma anche il socio) potrebbe per mesi non sapere che il suo investimento è a forte rischio. Dall'altro lato, il meccanismo delineato dal d.d.l. potrebbe durare diversi mesi (secondo l'art. 4, comma 1, lett. e), la sola fase dinanzi all'organismo per la composizione della crisi potrebbe durare sei mesi), con la conseguenza che articolare la fase precedente, prettamente endo-societaria, in più momenti potrebbe, da un lato, rallentare un procedimento la cui caratteristica dovrebbe essere la snellezza e la flessibilità e, dall'altro, favorire ancora una volta l'opacità nella gestione della crisi da parte dell'imprenditore. Si tratterà, dunque, di contemperare le due contrapposte esigenze di assicurare la celerità dell'allerta con il coinvolgimento di tutti i soggetti sociali coinvolti.

Una differente osservazione attiene, invece, alla diffusa critica secondo cui il compito affidato al collegio sindacale dal d.d.l. potrebbe considerarsi superfluo e pleonastico, poiché non sarebbe altro che una duplicazione dei doveri già attualmente previsti in capo a questi dalle norme del codice civile. La dottrina si divide, infatti, tra chi sostiene che la previsione di questa iniziativa di allerta si inserirebbe nel novero delle competenze già attribuite al collegio sindacale ex artt. 2381, 2403-bis, 2406, 2409-septies, c.c. (con conseguente inutilità di nuove previsioni ad hoc) e chi invece esalta la novità (anche culturale e perciò di per sé utile anche a fronte delle tradizionali previsioni codicistiche sulle attribuzioni dei sindaci) del potere di allerta, che si aggiungerebbe al complesso degli obblighi imposti agli organi di controllo dalla riforma societaria del 2003, con il risultato di accentuare l'indipendenza dell'organo sindacale.

Secondo i sostenitori del primo orientamento (tra cui, in particolare, il CNDCEC) i rimedi attualmente apprestati dalla disciplina civilistica sarebbero addirittura più incisivi rispetto al meccanismo previsto dall'art. 4, d.d.l., “dal momento che per la legge il collegio sindacale è tenuto a rimettere prima la questione all'organismo decisionale e poi, in casi estremi, ad esternalizzare il dissidio con l'organo di amministrazione, demandando al tribunale un importante ruolo di ripristino della legalità” (CNDCEC, L'Audizione in relazione allo Schema di “Disegno di legge delega recante la riforma e il riordino delle procedure concorsuali”, Roma 2 dicembre 2015, 13).

Invero, una lettura attenta del dettato normativo relativo al controllo affidato al collegio sindacale alla luce dell'obiettivo dell'emersione anticipata della crisi fa emergere l'importante ruolo che possono e devono svolgere i sindaci per favorire la prevenzione della crisi. L'attività di vigilanza del collegio sindacale viene (dovrebbe essere, almeno) svolta in via continuativa e in concomitanza alla gestione sociale. Questo deve riunirsi almeno ogni novanta giorni e partecipare alle riunioni dell'assemblea, del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo. Ove, nell'espletamento delle proprie funzioni, “ravvisi fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere” il collegio sindacale deve convocare l'assemblea, previa comunicazione al presidente del consiglio di amministrazione. L'espressione impiegata dall'art. 2406, c.c. (“fatti censurabili di rilevante gravità”) si rivela particolarmente interessante ai fini della specifica questione che qui ci occupa. Essa potrebbe infatti essere interpretata nel senso di comprendere nel suo significato anche i comportamenti suscettibili di essere valutati dal collegio sindacale come particolarmente gravi, per il rilievo diretto o indiretto che tali condotte assumerebbero sulla determinazione causale di difficoltà (di ordine patrimoniale, finanziario o anche puramente economico e persino di ordine organizzativo) tali da lasciar presagire una crisi imminente. Analogamente, si potrebbe argomentare con riferimento alla previsione dedicata alla denuncia da parte dei soci di “fatti censurabili” al collegio sindacale, in virtù della quale “se la denunzia è fatta da tanti soci che rappresentino un ventesimo del capitale sociale o un cinquantesimo nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il collegio sindacale deve indagare senza ritardo sui fatti denunziati e presentare le sue conclusioni ed eventuali proposte all'assemblea; deve altresì, nelle ipotesi previste dal secondo comma dell'art. 2406, c.c., convocare l'assemblea”. La considerazione che dalla lettura delle norme menzionate possa emergere un dovere del collegio sindacale in materia di prevenzione del dissesto sembrerebbe confermata anche dal comma sesto dell'art. 2409, c.c., ove si prevede che “l'amministratore giudiziario, oltre alla resa del conto al tribunale e la convocazione dell'assemblea per la nomina dei nuovi amministratori e sindaci, possa proporre se del caso [...] la sua ammissione ad una procedura concorsuale”.

Dalla lettura di tali norme emerge un assetto che indubbiamente presenta notevoli similitudini con quello francese, che prevede l'attivazione delle procedure d'allerta da parte dei commissaires aux comptes. Tuttavia, a ben vedere, le disposizioni citate sembrano conferire ai sindaci un potere di vigilanza sull'emersione della crisi d'impresa esclusivamente attivabile in relazione a fatti che dipendano da comportamenti dell'organo di amministrazione in contrasto con norme di legge o dello statuto. La reazione del collegio sindacale sarebbe dunque necessariamente collegata all'azione dell'organo gestorio. Eppure tale relazione di biunivocità esclusiva non esiste: la crisi d'impresa può certamente non derivare da irregolarità nella gestione. Le cause delle crisi d'impresa, infatti, ben possono imputarsi a fattori - che nulla hanno a che vedere con comportamenti censurabili degli organi gestori e della organizzazione dell'impresa - che, pur esterni all'impresa stessa, sono in grado di condizionarne il funzionamento e l'efficienza della stessa e dove, dunque, anche i comportamenti più virtuosi degli amministratori possono rivelarsi del tutto ininfluenti. In altre parole, sembra mancare un potere di controllo esercitato dal collegio sindacale che prenda in considerazione fattori differenti dalle irregolarità dell'amministrazione. Si aggiunga la dolente constatazione che nella prassi, anche laddove rilevi “segnali d'allarme”, l'azione del collegio sindacale si è rivelata il più delle volte tardiva, quando non confinata nell'inerzia.

Aspettarsi infatti nella maggior parte dei casi che l'organo di controllo scelto dalla società si attivi tempestivamente, e addirittura in prevenzione, è forse un eccesso di ingenuità. Vero è, invece, che l'organo di controllo dovrebbe rivestire un'importanza fondamentale nella dinamica delle società di capitali, ma, per poter funzionare, la scelta del controllore dovrebbe essere sottratta al controllato e rimessa ad un terzo imparziale. Parlando poi di società quotate, il quadro normativo, pur mostrando oggi un chiaro intendimento del legislatore nell'attribuire ai collegi sindacali un ruolo centrale nel governo dei flussi informativi societari (che, lo si è visto, costituisce la base per la diagnostica della crisi), dovrebbe poggiare su adeguate sanzioni, per veder valorizzata la doverosità dei comportamenti reattivi richiesti ai sindaci stessi (secondo il CNDCEC, la vigilanza del collegio sindacale nella crisi di imprese collettive (anche quotate) è già stata compiutamente disciplinata dagli artt. 11.1 e 11.2 delle Norme di comportamento per il collegio sindacale di società non quotate). Secondo la vigente normativa, anche i revisori possono, e devono, rilevare nella loro attività elementi di criticità emergenti dai conti utili all'attività di revisione. Ma anche quando si spingono verso un'attestazione no clean, i revisori non possono ancora orientare l'azienda verso l'utilizzo degli strumenti di risanamento, anche quando rilevino elementi critici i cui effetti si possono riverberare negativamente sulla continuità aziendale, dovendo sempre sottoporre il tema all'organo di gestione e informarne il collegio sindacale. I citati soggetti preposti al controllo non possono dunque, allo stato attuale, esercitare alcuna iniziativa per così dire “autonoma” che solleciti l'imprenditore e i soci ad adottare un idoneo strumento di risanamento, né possono rivolgersi direttamente al giudice perché questo convochi l'imprenditore. E questa sarebbe la ragione ultima che imporrebbe l'introduzione delle procedure d'allerta ad integrazione di un sistema che, ad ogni modo, sembra già orientato nella giusta direzione.

Un sistema di allerta, che preveda l'introduzione di obblighi ulteriori di controllo da parte di sindaci potrebbe favorire il superamento della prospettiva classica di inquadramento dell'attività sindacale come controllo ex post su atti ed eventi già compiutamente conclusi e dovrebbe in concreto portare a privilegiare la prospettiva della vigilanza sull'attività nel suo complessivo svolgersi, più vicina al controllo in tempo reale just in time di matrice aziendalistica (ma anche nel senso in cui le attività materiali di produzione e vendita dei beni e servizi sono controllate in continuo), e aprire nuovi scenari nella ricostruzione della funzione e della correlata responsabilità del collegio sindacale (D. Caterino, La funzione del collegio sindacale delle società quotate, tra “prevenzione” e “allerta” della crisi d'impresa, in Studi in onore di Umberto Belviso, 360).

(Segue) Le misure premiali

Per potenziare la portata dell'allerta, il d.d.l. prevede all'art. 4, comma 1, lett. g) l'introduzione di misure premiali per l'imprenditore che si adoperi attivamente e riesca ad arginare con successo la crisi. Come correttamente precisato dalla relazione al d.d.l., la prospettiva di successo dell'allerta dipende in gran parte dalla propensione degli imprenditori ad avvalersene tempestivamente e, perciò, “appare necessario configurare un sistema di incentivi per chi vi ricorra”. Compito del legislatore sarà dunque quello di precisare quali concretivantaggi possano essere riconosciuti per il buon esito della procedura di allerta, certificata dall'organo di composizione della crisi. Tali incentivi potrebbero essere di natura fiscale (seguendo l'impostazione già adottata in materia di mediazione dall'art. 20, D.lgs. n. 28/2010, ove sono previste agevolazioni fiscali volte alla promozione del procedimento di mediazione, potrebbe essere previsto un credito di imposta per le imprese che abbiano tempestivamente avviato la procedura d'allerta. Si potrebbero altresì prevedere agevolazioni fiscali, quali ad esempio, l'esenzione dal pagamento delle imposte di bollo e di registro), ovvero esimenti o limitazioni dell'eventuale responsabilità solidale (e sussidiaria) con l'organo di amministrazione sul piano civilistico (I. Nocera, Procedure di allerta: obblighi degli organi di controllo e strumenti premiali, in questo portale), ovvero, l'esenzione dall'imputazione per reati di bancarotta in un successivo concordato o fallimento.

A ben vedere, una misura premiale per l'imprenditore virtuoso è già nel d.d.l., che ammette l'imprenditore a richiedere al giudice l'adozione di misure protettive per portare a termine le trattative in corso (art. 4, comma 1, lett. f) del d.d.l.). Parimenti, la norma in esame prevede l'introduzione di disincentivi per l'imprenditore (quindi non solo per l'organo amministrativo, ma anche per il collegio sindacale e i revisori, in quanto soggetto legittimati a lanciale l'allerta) che non ricorra alla procedura d'allerta pur quando sussistano le condizioni che la renderebbero doverosa.

Tra le possibili sanzioni, è stata opportunamente prevista una nuova fattispecie di bancarotta semplice ai sensi degli artt. 217 e 224, l. fall. Inoltre, si potrebbe prevedere che, in seguito all'inosservanza del dovere di allerta, i soggetti preposti alla segnalazione della crisi perdano eventuali privilegi o in genere diritti di prelazione, rispetto ai crediti che gli stessi vantino verso l'impresa in caso di successivo fallimento (o apertura di una procedura di concordato) di quest'ultima (ed infatti il compenso spettante all'organo sindacale per l'attività svolta successivamente all'ammissione della società alla procedura di concordato preventivo e fino all'omologa è da considerare in prededuzione, a differenza del compenso inerente all'attività precedente al concordato da considerarsi di natura privilegiata ex art. 2751-bis, n. 2, c.c.).

Se, infatti, è indubbio che il nostro ordinamento non preveda una sanzione di questo genere (ma il d.d.l. ne prevede l'introduzione con riferimento ai privilegi delle pubbliche amministrazioni legittimate ad attivare l'allerta esterna), contemplando esclusivamente l'azione di responsabilità e l'eventuale risarcimento dei danni cagionati, potrebbe invero prospettarsi, in una prospettiva de iure condendo, che anche nel sistema italiano sia prevista la perdita di privilegio quale sanzione derivante dall'inosservanza di un dovere stabilito da legge, attraverso una soluzione normativa simile a quella prevista dal legislatore francese in tema di privilegi delle Amministrazioni.

Estremamente rilevante è poi la previsione di cui all'art. 13, comma 1, lett. f), d.d.l., che estendela tutela di cui all'art. 2409, c.c. anche alle società a responsabilità limitata. La possibilità che anche i soci di s.r.l. possano avviare il procedimento di denunzia al tribunale per gravi irregolarità rappresenta un'efficace risposta alla grave lacuna del sistema di allerta (presente anche nell'ordinamento francese) costituita dall'impossibilità di attivare la procedura nelle società che sono prive del collegio sindacale. La considerazione che il tessuto societario italiano sia per lo più costituito da società a responsabilità limitata prive del collegio sindacale (come correttamente menzionato dalla Relazione, delle società iscritte nel registro delle imprese, 1.441.797 rivestono la forma delle società a responsabilità limitata, a fronte delle 40.000 s.p.a.) avvalora l'utilità pratica dell'innovazione.

Con lungimiranza, la Commissione Rordorf ha dunque previsto (con una sorta di ritorno alla situazione ante-riforma) che il rimedio di cui all'art. 2409, c.c. sia ammesso in ogni tipo di società di capitali, escludendo espressamente “l'equivalenza dei poteri attribuiti ai componenti della società a responsabilità limitata” ex art. 2476, comma 2 e 3, c.c. con “l'area di operatività dell'art. 2409 c.c. [che] rispetto a questi mezzi è comunque significativamente più ampia”.

(Segue) Il controllo esterno

Quanto invece all'allerta esterna, si è detto che essa muove da una segnalazione da parte di creditori qualificati quali l'Agenzia delle entrate, gli agenti della riscossione delle imposte e gli enti previdenziali, agli organi di controllo della società o, in mancanza all'organismo di composizione della crisi, circa il perdurare di inadempimenti di importo rilevante.

Una precisazione che si renderà necessaria da parte del legislatore attiene all'alternativa segnalazione dei creditori “all'organo di controllo della società o, in mancanza, all'organismo di composizione della crisi”. Dalla lettera della norma sembrerebbe infatti che, ove i creditori istituzionali abbiano a che fare con il perdurante inadempimento di una società dotata di un organo di controllo (collegio sindacale o sindaco unico), essi debbano necessariamente indirizzare una segnalazione al collegio sindacale del proprio debitore (che, dunque, dovrebbe a propria volta attivare un'allerta interna?).

Qualora invece la società debitrice non sia dotata di un organo di controllo, la segnalazione dovrebbe essere indirizzata direttamente all'organo di composizione della crisi. Sarebbe opportuno che, in sede di approvazione della legge delega, sia chiarito se, con riferimento alle società la cui forma preveda il collegio sindacale, la segnalazione dei creditori esterni debba essere necessariamente indirizzata alla società stessa (necessità che, a parere di chi scrive, comporterebbe un'inutile lungaggine nell'allerta) o se i creditori esterni possano scegliere, a seconda della gravità dell'inadempimento del debitore, se instaurare un dialogo con la società (prospettandole di adire l'organo di composizione della crisi, in caso di perdurante inadempimento del debitore).

La precisazione non è di natura meramente lessicale, poiché ove venga accolta l'attuale formulazione si configurerebbe una rilevante differenza nell'incidenza dell'allerta esterna su istanza dei creditori. Per alcune società (in particolare le s.r.l.) la consapevolezza che un “perdurante inadempimento di importo rilevante” potrebbe legittimare terzi ad adire direttamente l'organo di composizione della crisi (e quindi, pur nella formale permanenza della riservatezza, a esternalizzare la crisi) potrebbe avere un'incidenza sensibilmente maggiore rispetto alla diversa percezione di imprese, dotate di un collegio sindacale, a cui invece sarebbe indirizzata in prima battuta la segnalazione. Inoltre, per questioni di reciprocità, si ritiene che debba essere anche previsto che la segnalazione dei creditori qualificati debba essere inoltrata anche in ogni altro caso in cui lo stato di morosità sia venuto meno (per esempio, in campo fiscale, all'accoglimento di un ricorso davanti agli organi della giustizia tributaria).

Per quanto riguarda i soggetti legittimati, il d.d.l. affida l'allerta esterna alla pubblica amministrazione e, in particolare, ai c.d. “creditori istituzionali”, che sono in grado di cogliere immediatamente gli inadempimenti di “automatica rilevabilità”, connessi a reiterati inadempimenti di obblighi previdenziali da parte delle imprese (i.e. obblighi fiscali, contributivi e previdenziali). L'attribuzione alle amministrazioni statali del compito di effettuare segnalazioni in ordine ai mancati pagamenti di crediti pubblici assumerebbe una significativa portata se si considera la tendenza dell'imprenditore medio di iniziare a non pagare con regolarità quegli enti che, per la loro struttura, possiedono una capacità di reazione meno efficace in termini di rapidità. Tuttavia, non sembra infondata la preoccupazione relativa all'incapacità della pubblica amministrazione di far fronte a questa incombenza e, per questo, parrebbe opportuno che, tra i soggetti tenuti ad effettuare le segnalazioni, siano incluse anche altre figure. Per esempio, potrebbero essere legittimate le società erogatrici di servizi di somministrazione di energia, i cui crediti vengono generalmente onorati con regolarità, pena il rischio di interruzione della fornitura del servizio. Il mancato pagamento di tali debiti può essere assunto a indice rivelatore della gravità e dell'irreversibilità della crisi.

Anche le banche potrebbero aggiungersi al novero dei creditori qualificati, legittimati a lanciare l'allerta esterna. Ed infatti, le banche sono in grado di avere una visione aggiornata della situazione dell'impresa, di cui costantemente devono monitorare la solidità. Inoltre, gli istituti bancari dispongono di una serie di strumenti (ad esempio, i rating attribuiti alle posizioni di credito) e di banche dati (si pensi alla Centrale dei Rischi o la Centrale di allarme interbancaria) che consentono di individuare i “cattivi pagatori” e che potrebbero rivelarsi particolarmente utili per l'emersione anticipata della crisi (si riconosce, tuttavia, che l'attribuzione del potere di segnalazione in capo alle banche potrebbe essere particolarmente delicato e meriterebbe un'attenta riflessione). Tuttavia è anche da chiedersi se sia corretto delegare forzosamente a soggetti privati di questa natura (che a fronte di ciò dovrebbero sostenere costi e assumersi responsabilità) funzioni che sono essenzialmente a tutela della collettività, come tali pubbliche in senso lato e perciò più equamente allocate in capo alla pubblica amministrazione. Potrebbe prevedersi anche un'estensione della legittimazione al PM, in considerazione degli interessi coinvolti superindividuali.

È di tutta evidenza che l'iniziativa attribuita a soggetti esterni, ancorché di natura stragiudiziale, non può essere “a costo zero”. Non può, cioè, non attribuirsi una responsabilità per omissione di queste iniziative ai soggetti legittimati. Per questo, correttamente, il d.d.l. prevede, quale sanzione per la mancata o tardiva attivazione da parte dell'amministrazione, che questa perda i privilegi accordati ai crediti di cui la stessa sia titolare (ancorché non si capisca la ragione dell'espunzione dal testo definitivo del d.d.l. della responsabilità dirigenziale, che sarebbe opportuno reintrodurre in sede di conversione). Parimenti dovrebbero essere introdotte sanzioni laddove i creditori qualificati (anche nel caso in cui il numero ne venga ampliato) compiano una valutazione circa lo stato di crisi segnalato che si riveli poi errata.

La riuscita della procedura d'allerta è affidata, in buona sostanza, ad un'apposita sezione specializzata agli organismi di composizione della crisi, istituiti dalla legge 27 gennaio 2012, n. 3 e dal D.M. 24 settembre 2014, n 202. Le funzioni svolte da tali organismi (non meramente conciliative, ma anche di consulenza e redazione di attestazioni), infatti, sono sembrate particolarmente adatte per gestire stragiudizialmente i primi stadi della crisi attraversata dall'impresa. Ed invero, gli organismi di composizione della crisi sono sembrati il punto d'incontro di opposte esigenze: da un lato, quelle dell'imprenditore, per il quale il fatto che la crisi sia gestita fuori dal tribunale rappresenta una rassicurazione che non si versi in una procedura prodromica al fallimento; dall'altro, quelle dei creditori, che dovrebbero trovare in tali strutture un supporto particolarmente qualificato per la negoziazione e la composizione assistita della crisi e, infine, quelle del sistema giudiziario, per cui una gestione stra-giudiziale dell'allerta non può che avere vantaggi in termini deflattivi del contenzioso civile e commerciale.

Tuttavia, non possono tacersi alcune perplessità. La prima concerne la composizione dell'istituenda sezione specializzata. È stato infatti eleminato, nel testo definitivo del d.d.l., il riferimento ai requisiti di “competenza tecnica, esperienza e indipendenza, anche rispetto a situazioni di conflitto d'interessi” che erano prima necessariamente richiesti per i professionisti deputati a tale funzione. Si è giustamente sottolineato che “se ci si credesse davvero, lì si dovrebbero convogliare le più elevate professionalità: aziendalisti, avvocati, advisor finanziari e industriali e magistrati in pensione muniti di grande esperienza nel settore” (Fabiani, Di un ordinato ma timido disegno di legge delega sulla crisi d'impresa, in Il Fallimento, 2016, 3, 267). É infatti indispensabile che la gestione della crisi sia affidata ad un soggetto esperto.

In secondo luogo, un rischio che non può essere aprioristicamente eliminato è quello del conflitto di interessi in capo ai professionisti “arruolati” con le parti coinvolte. É dunque opportuno che il legislatore specifichi i requisiti di cui devono essere in possesso i professionisti che comporranno la sezione specializzata dell'organismo di composizione della crisi, che potrebbero essere gli stessi del professionista di cui all'art. 67, comma 3, lett. d), l. fall. o, in subordine, quelli di cui all'art. 28, comma 1, lett. a) e lett. b), l. fall.

Ulteriore specificazione richiesta al legislatore inerisce alla natura della “soluzione concordata” a cui dovrebbero addivenire il debitore e i creditori con l'assistenza dell'organo di composizione della crisi e del professionista “di adeguata professionalità” da quest'ultimo prescelto. Ed infatti, deve intendersi che l'organo di composizione indirizzi il debitore verso la stesura di un piano attestato di risanamento, un accordo di ristrutturazione (o, nei casi di crisi più gravi, a depositare un ricorso per concordato preventivo), mentre è affidato al professionista di cui all'art. 4, comma 1, lett. e) il compito di assistere concretamente l'imprenditore nelle negoziazioni con i creditori e nella redazione di un piano economico-finanziario contenente la strategia di uscita dalla crisi, a seconda dello strumento giuridico prescelto per il riorientamento dell'impresa al successo.

(Segue) Le misure a tutela del patrimonio

Come si è già avuto modo di sottolineare, buona parte del successo delle procedure d'allerta è riposta nella propensione dell'imprenditore a farvi ricorso. Oltre alle misure premiali di cui si è già parlato, il legislatore ha previsto un ulteriore incentivo per il debitore in difficoltà ad uscire allo scoperto e gestire la crisi con prontezza, ossia la possibilità di richiedere al giudice, senza eccessive formalità se non quelle strettamente necessarie a garantire il contraddittorio, che siano disposte misure protettive del proprio patrimonio necessarie a portare a termine le trattative. In altre parole, la lett. f) dell'art. 4 introduce un ulteriore automatic stay che può essere concesso nel corso dei sei mesi nei quali si svolge la fase di composizione assistita della crisi.

Due osservazioni si impongono sul punto. Da un lato si richiama qui quella dottrina che vorrebbe l'estensione della legittimazione per l'accesso al giudice non solo al debitore, ma a tutti i protagonisti del palcoscenico della crisi che l'organismo di composizione della crisi abbia coinvolto. Pur teoricamente positiva, tale proposta si scontra con due fattori: il primo di carattere pratico, la considerazione che un creditore inverosimilmente adirà il giudice per richiedere la disposizione di misure che proteggano il debitore dalle aggressioni (anche di altri creditori). La seconda, di carattere sistematico, è che non si vede la ragione di tale estensione, posto che nelle altre ipotesi in cui l'automatic stay è previsto (in ambito di accordi di ristrutturazione e di concordato preventivo) la legittimazione spetta al solo debitore. Dall'altro lato, si teme che la previsione di un (ennesimo) ombrello protettivo da azioni cautelari ed esecutive possa essere utilizzato abusivamente, nell'ambito di una procedura che si svolge interamente al di fuori del tribunale.

Alcune riflessioni vanno infine dedicate allo strumento dell'intervento del giudice previsto in caso di esito negativo della procedura di composizione della crisi.

La versione finale del d.d.l., superando la precedente bozza che nulla prevedeva in proposito, ha introdotto un potere di convocazione dell'imprenditore da parte del presidente dalla sezione specializzata del tribunale del luogo della sede dell'impressa e la possibilità che il presidente stesso incarichi un professionista qualificato, che verifichi la situazione patrimoniale e finanziaria dell'impresa. Ove dalla relazione del professionista emerga uno stato di crisi, il presidente assegna al debitore un congruo termine per porvi rimedio, decorso inutilmente il quale è disposta la pubblicazione della relazione dell'esperto nel registro delle imprese.

Un primo spunto di riflessione attiene alla specializzazione dei giudici addetti alla materia concorsuale, che dovranno operare in seno alle sezioni specializzate in materia di impresa. Si tratta, si ritiene, di un buon compromesso tra l'attuale assetto e la soluzione adottata in Francia, ove la delicata fase della pre-insolvenza è affidata ai juges consulaires, che sono magistrati non togati di estrazione imprenditoriale (in Francia, infatti, si potrebbe dire che il potere in esame poggi sull'autorità "morale" del juge sugli imprenditori). I requisiti per intraprendere la carriera di juge consulaire sono: essere dirigente d'impresa; avere un casellario giudiziario limpido; avere più di trent'anni; candidarsi presso la préfecture; essere eletti in elezioni che si svolgono nel mese di ottobre ogni cinque anni; prestare giuramento davanti alla corte di appello; prendere servizio alla riunione annuale del tribunale. Per diventare Presidente del tribunale di commercio occorre candidarsi, previo espletamento della funzione di giudice del tribunale di commercio per almeno quattro anni; essere eletti dall'assemblée générale (annuale) del tribunale. Come ha specificato la presidente del tribunale di commercio di Nanterre, incontrata nel 2014: "siamo persone in grado di conoscere l'impresa, qual è il vero funzionamento del suo business grazie ad un'esperienza autentica della vita dell'impresa, che ci permette di giudicare la situazione della stessa, soprattutto sulla base dei bilanci"). Scopo del colloquio tra il debitore e il giudice – che, in questa fase, parrebbe privo di poteri coercitivi sull'imprenditore, potendo solo nominare il professionista attestatore e disporre la pubblicazione della relazione da quest'ultimo redatta – dovrebbe essere quello di far prendere coscienza all'imprenditore della situazione compromessa dell'impresa e della necessità di porvi rimedio, con una sorta di operazione di sola moral suasion. Pur nella positiva considerazione del ruolo (specializzato) del giudice, meno positiva è la valutazione della funzione attribuitagli nelle procedure d'allerta, che pur si riconosce essere nel nostro ordinamento la migliore soluzione possibile, frutto della composizione dei differenti e contrapposti interessi sottesi all'introduzione di tali procedure.

La perplessità muove dalla considerazione che, essendo affidato l'accesso alla procedura di concordato preventivo (e in generale di tutte le procedure pre-insolvenza) all'esclusiva iniziativa dell'imprenditore, non si vede quale efficacia possa avere su un soggetto che si ostina a non rimediare alla crisi (in questa fase, l'imprenditore sarebbe già stato sollecitato ad attivarsi quanto meno dall'organismo di composizione della crisi d'impresa e dal presidente del tribunale) rendere pubblico un provvedimento che faccia sì ostensione della crisi dell'impresa, scoraggiando eventuali terzi a contrattare con la stessa, ma che nessuna ulteriore conseguenza può avere. In altre parole, non volendo attribuire al giudice un potere d'iniziativa ex officio, e limitando la legittimazione ad avviare le procedure concorsuali finalizzate al risanamento dell'impresa al solo soggetto che, spesso, ne è anche la causa, sembra che la sola pubblicazione della relazione redatta dall'esperto, attestante lo stato di crisi (che, secondo l'innovazione prevista dalla riforma, non includerebbe più l'insolvenza), rappresenti un esito delle procedure d'allerta poco efficace, se non accompagnate dall'estensione della legittimazione anche a terzi soggetti (G. M. Nonno, La concorrenza nel concordato preventivo: proposte competitive, in Il Quotidiano Giuridico, 22 luglio 2015).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario