Nuove frontiere delle società partecipate: la corretta gestione

Andrea Schirra
28 Giugno 2016

La gestione delle società partecipate dagli enti pubblici ha acquisito sempre più importanza, anche perché è stata conformata da vari interventi normativi negli ultimi anni, al fine di tutelare la finanza pubblica. Per comprendere l'attualità del tema, l'Autore analizza l'evoluzione normativa degli ultimi anni, per poi dedicare particolare attenzione alle società partecipate dagli enti territoriali. Esse, infatti, sono in numero preponderante e diffuse in tutto il territorio nazionale.
Premessa

La gestione delle società partecipate dagli enti pubblici ha acquisito sempre più importanza, anche perché è stata conformata da vari interventi normativi negli ultimi anni, al fine di tutelare la finanza pubblica.

Per comprendere l'attualità del tema inizieremo dall'evoluzione normativa degli ultimi anni. Particolare attenzione sarà dedicata alle società partecipate dagli enti territoriali. Esse, infatti, sono in numero preponderante e diffuse in tutto il territorio nazionale. Quindi, qualsiasi ufficio di procura, non solo quelli maggiori, può avere competenza ad agire sulle stesse.

Verificheremo, poi, lo stato di adempimento della normativa da parte dei legali rappresentanti delle partecipate e degli enti pubblici partecipanti.

Di fronte ad una situazione di diffusa illegalità, valuteremo gli strumenti che l'ordinamento fornisce per ricondurre a legalità la gestione delle partecipate.

Appurata l'attuale inadeguatezza dell'azione di responsabilità per danno erariale, anche a causa del recente cambio di orientamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in materia di riparto di giurisdizione sulla responsabilità degli amministratori per il danno subito dalle società pubbliche, e delle azioni civilistiche reintegratorie, seguirà un secondo focus in cui valuteremo gli strumenti a disposizione del pubblico ministero, focalizzando l'attenzione sulla richiesta di fallimento e sulla richiesta di revoca del liquidatore per giusta causa.

La corretta gestione delle società partecipate come strumento di tutela della finanza pubblica

Per comprendere l'attualità del tema è imprescindibile principiare dall'evoluzione normativa degli ultimi anni, finalizzata alla maggiore tutela della finanza pubblica.

Ciò è conseguenza, anzitutto, dell'adesione dell'Italia all'Unione Europea e dei parametri di finanza pubblica da questa imposti, parametri fattisi negli ultimi anni ancor più stringenti, per via della crisi economica globale, riverberatasi sui bilanci dei singoli Stati.

La linea guida delle novelle normative è stata, da un lato, imporre un maggiore coordinamento della finanza pubblica, attraverso la previsione di regole sempre più stringenti in materia di bilanci e contabilità, mentre, dall'altro lato, sono stati introdotti controlli finalizzati alla verifica, anche in corso di esercizio e non più ex post, del mantenimento dell'equilibrio di bilancio.

La centralità dell'esigenza di tutelare la finanza pubblica emerge anche dal fatto che ad essa si ispira sia la riforma del titolo V della Costituzione, con l'introduzione del nuovo sesto comma dell'art. 119 Cost., sia la l. cost. 1/2012, che ha riformato gli artt. 81, 97 e nuovamente il sesto comma del 119 cost.

Ruolo fondamentale è rivestito dalla novella costituzionale del 2012, che:

  • introduce il principio del pareggio di bilancio, imponendo “l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni” (art. 81 Cost.);
  • limita ulteriormente la possibilità per gli enti territoriali di ricorrere all'indebitamento, ammesso solo per finanziare spese di investimento, imponendo la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna regione sia rispettato l'equilibrio di bilancio (art. 119 Cost.).

E', quindi, di preminente rilievo assicurare gli equilibri tra le entrate e le spese del bilancio statale, vincolo già assunto dall'Italia con l'adesione al Trattato di Amsterdam del 1997 e con la sottoscrizione del Patto di stabilità e crescita.

E' ovvio che non potrà esservi alcun vero equilibrio dei conti pubblici senza che l'intero comparto pubblico allargato, e non solo lo Stato, rispetti gli obiettivi predetti.

In tale ottica si giustificano i vari obblighi imposti dallo Stato a Regioni, Enti Locali e restanti Enti Pubblici, attraverso il coordinamento della finanza pubblica e l'obbligo di raggiungere i risultati finanziari assegnati.

Dunque, oggi è riduttivo affermare che l'organizzazione e l'azione amministrativa devono garantire l'imparzialità ed il buon andamento, in quanto alla luce del nuovo primo comma dell'art. 97 Cost. l'agire della PA “in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea” deve assicurare “l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico”.

E' stato, quindi, correttamente affermato che, alla luce del nuovo quadro costituzionale, “l'agire della PA è conforme ai dettami della Costituzione quando è finanziariamente sostenibile” (L. De Rentiis, La violazione di norme di finanza pubblica e invalidità negoziali, relazione al Seminario Esercizio della giurisdizione e responsabilità contabile, Roma, 2015).

In quest'ottica si giustificano i continui interventi del legislatore ordinario sul piano della spesa pubblica, che conformano l'agire della P.A. ai principi di coordinamento della finanza pubblica.

Tali principi sono stati introdotti in via generale dall'art. 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (“Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione), ed attuati a livello normativo dalle previsioni della prima parte del D.Lgs. 23 giugno 2011, n. 118 intitolato “Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42”, che hanno imposto anche alle autonomie locali il rispetto del principio dell'equilibrio del bilancio quale strumento di salvaguardia della sostenibilità dell'impegno economico dello Stato.

La menzionata visione unitaria della finanza pubblica è anche alla base del sempre più articolato sistema di controlli sugli enti territoriali, finalizzati anche alla razionalizzazione degli organismi partecipati da questi.

E' un dato acquisito, infatti, che il monitoraggio del rispetto del principio dell'equilibrio dei conti pubblici potrà essere garantito solo includendo nel concetto di gestione finanziaria degli enti locali anche le società partecipate.

Gli enti territoriali devono, anzitutto, tener conto dei risultati della gestione delle partecipazioni in società controllate e degli enti del Servizio sanitario (art. 1, commi 3 e 4, D.L. n. 174/2012; art. 148-bis, D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267).

Di particolare rilievo sono anche le norme sul bilancio consolidato, introdotte dal D.Lgs. 10 agosto 2014, n. 126, integrativo del D.Lgs. 23 giugno 2011, n. 118, le norme sulla c.d. circolarizzazione dei debiti e dei crediti tra enti e organismi, e le disposizioni sull'unificazione delle banche dati degli organismi partecipati (art. 17, D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito dalla L. 11 agosto 2014, n. 114). Il fine delle disposizioni è migliorare la conoscenza del fenomeno e individuare strategie di contenimento dei costi.

L'ultimo passo in avanti della riorganizzazione delle partecipate pubbliche è dato dall'approvazione dello schema di decreto legislativo recante il Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica, adottato nella deliberazione preliminare del Consiglio dei Ministri del 20 gennaio 2016, in attuazione dell'art. 18 L. n. 124/2015, recante delega al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche.

Di particolare interesse è il principio generale sancito dall'art. 1, comma 3, dello schema, per cui si applicano le disposizioni sulle società contenute nel codice civile e nelle norme di settore, salvo deroga contenuta nel medesimo Testo Unico. Tale principio, in realtà, potrà essere notevolmente depotenziato in virtù del disposto dell'art. 1, comma 4, in base al quale restano ferme le disposizioni che disciplinano le società a partecipazione pubblica costituite per gestire “servizi di interesse generale” o per il perseguimento di una “specifica missione di pubblico interesse”.

Portano ad opinare in tal senso sia l'ampiezza e genericità delle locuzioni utilizzate per indicare i servizi e gli interessi pubblici gestiti tramite le società da sottrarre al regime civilistico, sia il fatto che le disposizioni che prevedono esenzioni potranno essere anche di origine governativa (regolamenti governativi e ministeriali).

In sintesi, il Governo attuale, con tale ultima disposizione, si riserva il potere (non esclusivo, ma condiviso con il Parlamento) di prevedere quali singole società o, anche, quali interi settori di attività imprenditoriali partecipate dagli enti pubblici saranno sottratti alla disciplina del codice civile.

Piani operativi di razionalizzazione degli organismi partecipati

Di particolare interesse operativo è l'avvio del programma di razionalizzazione degli organismi partecipati (aziende speciali, istituzioni e società direttamente o indirettamente controllate da una pubblica amministrazione), da parte del Commissario straordinario per la spending review, previsto dall'art. 23, D.L. 24 aprile 2014, n. 66, convertito dalla L. 23 giugno 2014, n. 89.

I piani riguardano tutte le società detenute dagli enti territoriali, senza che rilevi la natura del servizio affidato. Essi dovevano essere predisposti da Presidenti di Regione e Provincie e Sindaci entro il 31 marzo 2015 (art. 1, comma 612, L. n. 190/2014).

E' evidente l'urgenza posta dal legislatore ed il profilo strategico dell'operazione di riordino del settore, anche perché affidata al vertice politico dell'Ente locale.

In linea generale, invece, preposto all'elaborazione degli atti di indirizzo sugli enti vigilati/partecipati è l'organo consiliare, avente poteri di controllo e indirizzo politico – amministrativo dell'ente locale.

Particolarmente importante è, ancora, l'art. 1, comma 611, L. n. 190/2014 che, ai fini del riferito processo di razionalizzazione, detta, con riferimento alle società partecipate che gestiscono i servizi cd “strumentali”, i seguenti criteri:

a) eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche mediante messa in liquidazione o cessione;

b) soppressione delle società che risultino composte da soli amministratori o da un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti;

c) eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali, anche mediante operazioni di fusione o di internalizzazione delle funzioni.

Come vedremo nel prossimo focus dedicato – tra l'altro - alla liquidazione delle partecipate pubbliche, sono di interesse anche le disposizioni che impongono la liquidazione delle società in housediverse da quelle che gestiscono servizi pubblici locali in caso di perdite registrate per quattro dei cinque esercizi precedenti (art. 1, comma 555, L. n. 147/2013). Disposizioni da leggere alla luce del riferito nuovo quadro normativo.

Nel solco del medesimo controllo dei conti del settore pubblico allargato si inserisce la disordinata recente normazione vincolistica, riferibile anche alle società partecipate (tra cui il D.L. n. 112/2008, conv. in L. n. 133/2008, il D.L. n. 52/2012 conv. in L. n. 94/2012, il D.L. n. 95/2012 conv. in L. n. 135/2012, la L. n. 296/2006, il D.L. n. 174/2012 conv. in L. n. 213/2012, il D.L. n. 179/2012 conv. in L. 221/2012, la L. n. 190/2012, il D.Lgs. n. 33/2013), recante disposizioni eterogenee tra di loro.

Tali periodici interventi del legislatore statale hanno introdotto, tra l'altro, numerosi vincoli assunzionali sempre più stringenti e limiti di varia natura alle spese deliberabili dai C.d.A. delle società partecipate, oltre che norme speciali finalizzate ad evitare le frequenti elusioni del dettato normativo.

Disposizioni legislative recenti hanno fissato, inoltre, obblighi inderogabili valevoli per le pubbliche amministrazioni (es. limitazioni o divieti di costituzione di società di capitali, obblighi di modificazioni statutarie, regole di dismissione delle partecipazioni, previsione ex lege dell'oggetto sociale, limitazioni della capacità negoziale, previsione di nullità/inefficacia per taluni contratti, meccanismi legali di predeterminazione della composizione degli organi di amministrazione e di controllo, determinazione ex lege dei compensi degli amministratori e della durata degli incarichi, norme restrittive in materia di conferimento di incarichi esterni, ecc.), tali da configurare nel loro complesso un vero e proprio regime di diritto innegabilmente “derogatorio” rispetto a quello applicabile alle comuni società, che fortemente risente della varietà delle forme societarie (alcuni metaforicamente parlano di “galassia delle società pubbliche”, Auriemma, Problematiche applicative della Giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione in tema di riparto di giurisdizione relativamente alle Società partecipate dagli Enti Pubblici, relazione al Seminario Esercizio della giurisdizione e responsabilità contabile, Roma, 2015).

Lo stato attuale di gestione degli organismi partecipati, con particolare riferimento a quelli partecipati da enti territoriali

Riassumendo: anche in seguito ad obblighi normativi sovranazionali, si è affermato il concetto di finanza pubblica allargata, come dimostrato dai recenti stringenti obblighi di monitoraggio della spesa pubblica, estesi agli enti locali, e di razionalizzazione del numero e dei costi delle Società partecipate dagli enti pubblici.

In tale ottica sono stati rafforzati i poteri delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti, che hanno approfondito analiticamente la gestione degli enti partecipati, sia nel contesto delle verifiche sulla sana gestione finanziaria, con referti ad hoc, che nell'ambito delle relazioni allegate al giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione.

Da tali relazioni emerge uno stato di attuazione degli obblighi di sana gestione finanziaria da parte degli enti locali ampiamente insoddisfacente (si veda, in particolare, la deliberazione n. 24/SEZAUT/2015/FRG della Corte dei Conti, Sez. Autonomie, intitolata “Gli organismi partecipati degli enti territoriali. Osservatorio sugli organismi partecipati /controllati dai Comuni, Province, e Regioni e relative analisi” che riassume lo stato attuale dell'andamento della finanza regionale e locale sotto il profilo della gestione finanziaria delle società partecipate).

Segnatamente, con particolare riferimento agli organismi partecipati dalle Regioni, le Sezioni regionali di controllo hanno evidenziato:

a) il forte indebitamento di alcune società partecipate;

b) la mancata assunzione della deliberazione motivata di ricognizione delle partecipazioni in atto (art. 3, comma 28, L. n. 244/2007).

c) la mancata allegazione dei rendiconti degli organismi partecipati;

e) le carenze nell'esercizio delle verifiche spettanti al socio;

f) la mancata conciliazione dei rapporti debiti/crediti con gli organismi partecipati, oltre alla sussistenza di crediti di importo elevato vantati dalla Regione nei confronti dei medesimi soggetti;

g) l'incremento dell'indebitamento della Regione per il finanziamento di società partecipate;

h) l'espansione delle spese per il personale impiegato presso i principali organismi partecipati, per effetto dell'aumento del numero dei dipendenti e dei relativi costi;

i) l'aumento delle spese per studi ed incarichi di consulenza;

l) l'incremento dei compensi percepiti dagli amministratori;

m) il mancato rispetto dei vincoli di finanza pubblica perpetrato mediante l'abuso dello strumento societario;

n) la mancata adozione del piano di razionalizzazione delle partecipazioni societarie;

o) rilevanti situazioni creditorie degli enti locali nei confronti di proprie partecipate; situazioni, queste, che si riflettono sugli equilibri finanziari dei predetti enti;

p) l'elusione dei vincoli di finanza pubblica in materia di indebitamento, di spesa per il personale e di affidamento consulenze;

q) l'irregolare gestione dei flussi finanziari diretti ed indiretti del Comune verso la propria società partecipata;

r) il mancato raggiungimento dell'equilibrio finanziario dell'ente locale per iscrizione di residui attivi di difficile escussione verso la società.

Analoghe problematiche sono state evidenziate dalle Sezioni regionali nell'ambito dei controlli previsti dall'art. 148-bis, comma 2, D.Lgs. n. 267/2000, in materia di sana gestione delle partecipazioni da parte degli enti locali.

Come esempio è opportuno sintetizzare la situazione stigmatizzata dalle Sezioni Unite della Corte dei Conti per la Regione siciliana che, constatata una generalizzata scarsa attenzione agli obblighi di legge ed un non infrequente ostacolo, posto dalle società partecipate, ai controlli, peraltro tardivi ed inadeguati, hanno sollecitato una radicale riforma delle società partecipate dagli enti locali regionali. Particolarmente grave, segnala la Corte dei Conti reg. Sicilia, è anche il continuo sostegno finanziario a dette società da parte degli enti locali, nonostante le ripetute omissioni degli organi di amministrazione e le gravi violazione di legge nella gestione e assunzione del personale, con conseguente vanificazione degli obiettivi di razionalizzazione delle spesa e di trasparenza (Corte dei Conti, Sezioni Riunite per la Regione Siciliana, dec. 2/2015/PARI).

Problematiche applicative della giurisprudenza delle Sezioni Unite in tema di riparto di giurisdizione

La cennata situazione di illegalità diffusa nel campo delle società partecipate è profondamente ingiusta e causa plurimi effetti distorsivi:

  • dell'equilibrio dei conti pubblici,
  • tra gli operatori economici, per le note esternalità negative riconducibili all'insolvenza dell'imprenditore commerciale.

Oltre ai tradizionali poteri di intervento del pubblico ministero presso il giudice ordinario, uno strumento per reprimere tali condotte potrebbe essere rappresentato dall'azione delle procure della Corte dei Conti, finalizzata al ristoro del danno erariale.

(Segue) La responsabilità degli amministratori per il danno subito dalle società pubbliche. La prima fase

Negli ultimi anni vi è stata un'evoluzione della giurisprudenza di legittimità sull'individuazione del giudice competente a conoscere del danno prodotto dagli amministratori alle società a partecipazione pubblica.

Da ultimo la Cassazione, dichiarando la giurisdizione del giudice ordinario, ha dato prevalenza alla natura giuridica delle predette società, piuttosto che alla natura pubblica delle risorse gestite.

In precedenza, sino al 2003, l'orientamento della Corte regolatrice era consolidato nell'affermare la giurisdizione dell'a.g.o. nelle controversie aventi ad oggetto la responsabilità per i danni recati agli enti pubblici economici dai loro amministratori e dipendenti mediante comportamenti riconducibili allo svolgimento dell'attività imprenditoriale e nell'attribuire alla Corte dei conti la giurisdizione di responsabilità in relazione ai danni prodotti nell'esercizio di attività organizzative o a carattere autoritativo (Cass. 5 febbraio 1969, n. 3636; Cass. 18 luglio 1979, n. 4244; Cass., S.U., 2 marzo 1982, n. 12821; successivamente, tra le molte, S.U. 11 febbraio 2002, n. 1945).

Successivamente, in conseguenza di una avvertita esigenza di correttezza nella spesa del denaro pubblico, l'ordinanza delle Sezioni Unite 22 dicembre 2003, n. 19667, accolse una nozione di P.A. comprensiva, per la prima volta, degli enti pubblici economici, estendendo l'ambito della responsabilità amministrativa per danno erariale nei confronti di amministratori e dipendenti.

Il presupposto era che, comunque, si trattasse di soggetti pubblici per definizione, in quanto istituiti per il raggiungimento di fini del pari pubblici attraverso risorse di eguale natura.

In tal modo si spostava il baricentro del riparto di giurisdizione non più sul quadro di riferimento (diritto pubblico o privato) nel quale si collocava la condotta produttiva del danno, ma sul fatto che il danno si riverberasse sul patrimonio pubblico.

L'anno successivo, in relazione alla responsabilità degli amministratori e dipendenti di società con capitale detenuto, in tutto o in parte, da una P.A., la Cassazione puntualizzò che, ai fini della costituzione del rapporto con il quale soggetti privati vengono funzionalmente inseriti nell'organizzazione amministrativa e partecipano delle relative attribuzioni, si prescinde dalla natura dell'atto di investitura e dalla natura giuridica del terzo che riceve l'investitura.

In particolare, ai fini della giurisdizione, la Cassazione sanciva che non occorreva accertare se il danno fosse stato subito in via diretta dalla società o dall'ente pubblico-socio, ciò appartenendo al merito della domanda.

(Segue) La fase attuale: la giurisdizione del giudice ordinario

Con l'art. 16-bis, D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, convertito dalla L. 28 febbraio 2008, n. 31, il legislatore prende posizione sul riparto di giurisdizione G.O – Corte Conti per le società quotate, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti pubblici, inferiore al 50% e le loro controllate: la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti è regolata dalle norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario (sul punto Ibba, Le Società a partecipazione pubblica, oggi, in Il Nuovo Diritto delle Società, 2010, 3, 18. L'autore, individuate le varie tipologie di società a partecipazione pubblica, passa in rassegna critica anche la novità legislativa in esame, giungendo a conclusioni divergenti da quelle del presente scritto, ritenendo maggiormente rispondente a equità e conforme ai principi di sistema la competenza del giudice civile sulle azioni di responsabilità per danni causati dagli amministratori alle società partecipate dagli enti pubblici).

Successivamente, la Corte di Cassazione (Cass. S.U. 19 dicembre 2009, n. 26806, confermata dalla successiva giurisprudenza. Tra i commenti vedasi, Cagnasso, La responsabilità degli amministratori di Società a partecipazione pubblica secondo una recente e innovativa sentenza della Corte di Cassazione, in Il Nuovo Diritto delle Società, 2010, 3, 36) ha rimeditato l'orientamento consolidato, stabilendo un criterio generale di riparto della giurisdizione, applicabile in ogni ipotesi in cui si ravvisi la presenza di una pubblica amministrazione nel capitale sociale, nel quale l'elemento discriminante consiste nella produzione di un danno arrecato direttamente al socio pubblico o, invece, al patrimonio sociale.

Non sussiste, quindi, la giurisdizione del giudice contabile sugli amministratori per il solo fatto che trattasi di società non quotata oppure di quotataa partecipazione minoritaria, bensì occorre verificare, caso per caso, quale patrimonio è inciso dal danno (Ibba, Responsabilità degli amministratori di società pubbliche e giurisdizione della Corte dei conti, in Giur. comm., 2012, I, 641).

Così, la sentenza a S.U. 26806/2009 (confermata, poi, da Cass. S.U. 26823/13, Cass. S.U. 5491/14, Cass. S.U. 7177/14, Cass. S.U. 15594/14, Cass. S.U. 22609/14) ha escluso la giurisdizione contabile sull'azione di responsabilità degli amministratori e dei dipendenti della società a partecipazione pubblica per i danni ad essa arrecati.

In sintesi, nel pieno rispetto dei principi generali di settore, la società di capitali:

  • è un soggetto di diritto pienamente autonomo e distinto sia rispetto ai soci che a coloro che rivestono funzioni organiche;
  • non perde la natura di soggetto privato per il solo fatto che il suo capitale sia alimentato anche da conferimenti provenienti dallo Stato o da altro ente pubblico, salvo nei casi di società caratterizzate da uno statuto giuridico speciale (come, ad esempio, Poste Italiane S.P.A. e, secondo alcuni, Cassa Depositi e Prestiti), le quali hanno natura sostanzialmente pubblica;
  • un rapporto di servizio può sussistere tra società ed ente pubblico, non tra quest'ultimo e gli amministratori della società;
  • l'interesse sociale è cosa differente dall'interesse pubblico;
  • la società è titolare di un proprio patrimonio, non riferibile ai proprietari delle quote di partecipazione;
  • quindi il danno a carico della società non è erariale perché non è riferibile direttamente all'ente pubblico-socio, stante la distinta personalità giuridica e autonomia patrimoniale della società rispetto ai soci (sebbene tale danno possa indirettamente ripercuotersi anche sui soci e sul valore della loro partecipazione, si tratta di un danno subito in via diretta dal patrimonio sociale della società alla quale soltanto spetta il risarcimento: a tal fine soccorre l'azione sociale di responsabilità esercitata dalla società - art. 2393 c.c. - o dai soci e quindi anche dal socio pubblico - artt. 2393-bis e, per le s.r.l., 2476, comma 3, c.c. -, a tutela dell'interesse sociale);
  • quando vi sono anche soci privati, è impossibile escludere l'esperibilità degli ordinari strumenti di tutela approntati dal codice civile a beneficio della società (e dei soci privati, nonché eventualmente dei creditori).

Sarà, quindi, l'azione sociale di responsabilità la sede di cognizione dei danni cagionati dagli amministratori al patrimonio sociale, ai sensi degli artt. 2392 e ss. c.c.

Residua, invece, la giurisdizione contabile:

  1. nei confronti «di chi, quale rappresentante dell'ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, in tal modo pregiudicando il valore della partecipazione». Si tratta, infatti, di danno arrecato all'ente pubblico non dall'amministratore della società, ma dal rappresentante dell'ente nella società, la cui responsabilità amministrativa sorge nel rapporto contrattuale organico con l'ente pubblico. Il danno erariale, quindi, è configurabile sotto altra forma ed in capo ad altri soggetti: «la circostanza che l'ente pubblico partecipante possa tuttavia risentire del danno inferto al patrimonio della società partecipata, quando esso sia tale da incidere sul valore o sulla redditività della partecipazione, può eventualmente legittimare un'azione di responsabilità della procura contabile nei confronti di chi, essendo incaricato di gestire tale partecipazione, non abbia esercitato i poteri ed i diritti sociali spettanti al socio pubblico al fine d'indirizzare correttamente l'azione degli organi sociali o di reagire opportunamente agli illeciti da questi ultimi perpetrati» (Cass., S.U., 12 ottobre 2011, n. 20941);
  2. nei confronti degli amministratori e dei sindaci che, compromettendo la ragione stessa della partecipazione dell'ente pubblico, causano un danno direttamente al socio pubblico: l'azione per danno erariale davanti alla Corte dei conti concorre con l'azione individuale del socio ex artt. 2395 e 2476, comma 6, c.c., «né si pongono difficoltà derivanti dalla possibile concorrenza di siffatta azione con quella ipotizzata in sede civile dai citati artt. 2395 e 2476, sesto comma, poiché l'una e l'altra mirerebbero al medesimo risultato»;
  3. nei confronti degli amministratori delle società c.d. in house, in presenza dei tre requisiti per l'affidamento senza gara (partecipazione pubblica totalitaria; attività prevalente nei confronti del socio pubblico; sussistenza del controllo analogo). Si noti come l'ambito delle società cd. in house è destinato ad ampliarsi a seguito dell'emanazione della direttiva comunitaria n. 2014/24/UE del 26 febbraio 2014, che estende il modello dell'in house alla partecipazione privata di minima entità, che non comporta l'esercizio di un'influenza dominante sulla persona giuridica controllata.

L'eventuale natura di organismo di diritto pubblico non ostacola, invece, la giurisdizione del giudice ordinario per danni inferti direttamente al patrimonio della società per azioni (nonostante la partecipazione pubblica totalitaria), trattandosi di istituti che operano su piani differenti e rispondono a diversi principi normativi ed a diverse finalità. Il primo attiene, infatti, alla disciplina di derivazione comunitaria in materia di procedure di aggiudicazione ad evidenza pubblica di appalti e quindi di scelta da parte della società del contraente privato; il secondo concerne la responsabilità amministrativa-risarcitoria dell'amministratore o del dipendente nei confronti della società (Cass. S.U. 9 marzo 2012, n. 3692).

Tale regola di riparto della giurisdizione è ribadita nello schema di decreto legislativo recante il Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica, adottato nella deliberazione preliminare del Consiglio dei Ministri del 20 gennaio 2016, in attuazione dell'art. 18 L. n. 124/2015, recante delega al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche.

L'articolo 12 dello schema di decreto stabilisce, infatti, che:

  1. i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, salvo il danno erariale;
  2. costituisce danno erariale esclusivamente il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti, ivi compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti che abbiano con dolo o colpa grave trascurato di esercitare i propri diritti di socio, pregiudicando il valore della partecipazione.

La bozza di norma risente delle genericità che caratterizza buona parte dello schema di Testo Unico, in quanto non distingue tra danno diretto ed indiretto all'ente partecipante e pare, comunque, fare un implicito rimando ai criteri di riparto della giurisdizione elaborati dalla Cassazione.

In conclusione, per effetto della norma limitativa di cui al citato art. 16-bis e della riferita interpretazione giurisprudenziale, attualmente coesistono diverse fattispecie, tra loro disarticolate:

a. la Corte conti è sempre competente nelle ipotesi di società in house (Cass., S.U., n. 26283/2013);

b. la Corte dei conti è sempre priva di giurisdizione per i danni cagionati dagli amministratori delle quotate partecipate in misura inferiore al 50% (art. 16-bis, D.L. n. 248/2007);

c. nelle altre società (non quotate e quotate maggioritarie) il giudice competente va individuato in relazione alla tipologia del danno:

  • in caso di danno al patrimonio della società, sussiste la giurisdizione dell'autorità giurisdizionale ordinaria (azione sociale di responsabilità ex art. 2392 e ss. c.c.).
  • nei casi, residuali, di danno diretto al patrimonio del socio pubblico, è competente il giudice contabile. Un esempio è dato dal danno all'immagine della pubblica amministrazione, trattandosi di nocumento arrecato alla reputazione dell'ente proprietario la cui riconducibilità entro i parametri della giurisdizione contabile è confermata dall'art. 17, comma 30-ter, L. 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dal D.L. 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 ottobre 2009, n. 141.
Conseguenze pratiche dell'attuale sistema di riparto della giurisdizione

Secondo la Cassazione, lo spostamento dalla Corte dei Conti alla Magistratura Ordinaria dell'asse della tutela giurisdizionale per i danni causati alle società a partecipazione pubblica non è foriero di lacune nella tutela dell'interesse pubblico: infatti, l'azione di responsabilità può essere esercitata anche da una minoranza qualificata dei soci nella s.p.a. (art. 2393-bis c.c.) e da ciascun socio nella s.r.l. (art. 2476, comma 3, c.c.).

Quindi, il socio pubblico può tutelare i propri interessi e, qualora resti inerte, il suo rappresentante legale, o chi aveva il potere di agire per suo conto, saranno oggetto d'azione del procuratore contabile.

Restano, poi, salve le situazioni specifiche, relative alle società che, avendo uno statuto giuridico speciale, sono riconducibili alle cc.dd. società legali.

Il ragionamento è semplicistico e non regge ad una semplice verifica pratica.

Anzitutto, lo scarso utilizzo delle azioni sociali civilistiche reintegratorie, nell'area delle società a partecipazione pubblica, è un dato statistico inconfutabile.

Inoltre, secondo le regole attuali di riparto della giurisdizione, il pm contabile non può perseguire direttamente condotte di mala gestio ma deve attendere e verificare:

  • che il danno si verifichi in capo alla società;
  • che i rappresentanti degli enti pubblici partecipanti abbiano contezza di tale accadimento, ciò che potrà avvenire in via solo eventuale, quando il sistema di controlli interni alla società sia funzionante tempestivamente, a meno che non si voglia gravare il rappresentante dell'ente pubblico di un complesso onere di verifica del bilancio consolidato dell'ente pubblico e dei bilanci delle partecipate, da cui potrebbe emergere la spia di un evento di danno;
  • che, nonostante la notizia dell'evento dannoso, i rappresentanti abbiano trascurato di esercitare i propri diritti di socio, con dolo o colpa grave;
  • che tale condotta omissiva abbia pregiudicato il valore della partecipazione, con conseguente onere sul pm contabile di dimostrazione che, ove puntualmente azionati gli strumenti civilistici di tutela dei diritti del socio, il valore della partecipazione dell'ente pubblico sarebbe stato maggiore di quello attuale.

Infine, ulteriore filtro è dato dal fatto che di tale danno diretto al patrimonio dell'ente pubblico il pm contabile deve, ovviamente, avere a sua volta contezza, attraverso una notizia qualificata di danno erariale, senza che gli sia consentito un controllo generalizzato dell'operato degli enti pubblici in relazione alla gestione delle proprie partecipazioni societarie. Residua la cognizione piena in caso di società in house, peraltro di numero limitato, rispetto al complesso delle partecipate.

E' evidente il rischio di arretramento della tutela degli interessi economici pubblici, considerate le garanzie fornite dal giudizio di responsabilità amministrativo-contabile il quale:

  • è instaurato dall'azione del PM contabile, che ha strumenti molto più incisivi, rispetto a quelli del socio; si pensi anche solo al potere di effettuare atti di indagine (tra cui acquisizioni di documenti, perquisizioni e sequestri) delegandoli a p.g. specializzata;
  • ha ad oggetto l'accertamento dell'inosservanza dei doveri inerenti ad un rapporto di servizio;
  • è destinato a dare tutela all'interesse pubblico generale al buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.) ed al corretto impiego delle risorse pubbliche, attraverso l'azione officiosa del Pubblico Ministero contabile;
  • persegue una funzione non già riparatoria e integralmente compensativa, ma essenzialmente o prevalentemente sanzionatoria, con una disciplina che si caratterizza per una "combinazione di elementi restitutori e di deterrenti" (cfr. Corte Cost., n. 371/1998 e n. 453/1998);
  • può essere instaurato e definito anche quando il giudizio civile sia già arrivato a decisione, con l'unico limite del divieto di duplicazione delle pretese risarcitorie che impone di tener conto, con effetto decurtante di quanto già liquidato in altra sede, che il debitore può far valere, se del caso, anche in fase di esecuzione;

A fronte di tale erosione della cognizione della Corte dei Conti, attualmente non può essere considerato un valido rimedio l'esercizio delle azioni sociali civilistiche reintegratorie.

In conclusione: è ragionevole prevedere che del danno arrecato risponderanno non coloro che lo hanno causato ma, con notevole ritardo e sporadicamente, coloro che non hanno agito per reintegrare il patrimonio della società partecipata dalla p.a.

Contenuto tratto dalla relazione tenuta al VI Seminario dei G.D. e dei P.M. sulle procedure concorsuali, Venezia, Isola di San Servolo, 20-21-22 maggio 2016

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario