Inammissibilità della tardiva per l'ammissione della prelazione

Valeria Didone
12 Luglio 2016

Deve essere dichiarata inammissibile la domanda di insinuazione tardiva nel passivo di un fallimento quando è tesa al riconoscimento di una prelazione relativamente ad un credito già ammesso in via chirografaria, in assenza di fatti successivi che siano intervenuti a modificare la domanda accolta, sotto il profilo del merito, dell'entità o del grado di prelazione.
Massima

Deve essere dichiarata inammissibile la domanda di insinuazione tardiva nel passivo di un fallimento quando è tesa al riconoscimento di una prelazione relativamente ad un credito già ammesso in via chirografaria, in assenza di fatti successivi che siano intervenuti a modificare la domanda accolta, sotto il profilo del merito, dell'entità o del grado di prelazione.

Il caso

Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, la società (poi fallita) ha stipulato un contratto di finanziamento con la banca, destinando la somma ricevuta all'acquisto di immobili gravati da ipoteca e soggetti a vincolo da parte della Soprintendenza ai beni culturali e, quindi, sospensivamente condizionato al mancato esercizio della prelazione da parte del Ministero.

Dichiarato il fallimento della società acquirente, la banca ha chiesto ed ottenuto con domanda tempestiva, l'ammissione in chirografo del credito vantato, in forza del contratto di finanziamento ipotecario (con terzo datore di ipoteca) concesso ad impresa artigiana.

Dopo la declaratoria di esecutività dello stato passivo, mediante presentazione di domanda di insinuazione tardiva, il medesimo istituto ha chiesto l'ammissione in forza dello stesso contratto di mutuo, sostenendo che la domanda tardiva fosse basata su titolo diverso da quello fatto valere con la precedente insinuazione, atteso che la società acquirente, da originario mutuatario chirografario, era divenuta, senza nessuna comunicazione alla banca, debitrice ipotecaria in quanto avente causa dall'originario terzo datore.

Il Tribunale ha respinto il ricorso in opposizione con decreto avverso il quale la Banca ha proposto ricorso per cassazione.

Dopo aver chiarito che la condizione apposta al contratto di compravendita era di tipo legale (diversamente da quanto affermato dalla ricorrente) e che non gravavano, sulle parti del contratto, obblighi pubblicitari, la Suprema Corte ha respinto il gravame sull'assunto che, al momento della presentazione della domanda tempestiva, si fosse già conclusa la vendita per effetto del mancato esercizio, da parte del Ministero per i beni e le attività culturali, della facoltà di acquistare le unità immobiliari al medesimo prezzo fissato in contratto.

La questione

La principale problematica affrontata dalla Suprema Corte è quella inerente la relazione intercorrente tra la domanda di insinuazione al passivo proposta in via tempestiva e quella tardivamente presentata da uno stesso creditore.

La Cassazione ha avuto, in tal proposito, occasione di chiarire quando ed in quali casi possa dirsi ammissibile una domanda tardiva che trae origine da uno stesso titolo o situazione giuridica.

Richiamando una giurisprudenza ormai consolidata, il Collegio ha ribadito il valore di giudicato interno che assume una precedente pronuncia relativa ad un credito, rispetto alle domande tardive presentate, posto che la procedura di accertamento del passivo è unica anche se si sviluppa attraverso più fasi.

Ne deriva, pertanto, la necessità che il credito che si intende insinuare tardivamente sia diverso rispetto all'istanza tempestiva o ad altre tardive, in base ai criteri del petitum e della causa petendi.

Infine, si afferma che, quando in altri casi si è dato ingresso a domande tardive inerenti lo stesso credito già ammesso in via tempestiva, erano intervenuti, successivamente alla ammissione, fatti idonei a connotare diversamente il credito posto alla base della pretesa creditoria, potendosi fare applicazione analogica del principio secondo il quale, in presenza di una legge retroattiva che introduca nuove ipotesi di crediti privilegiati, questi assistono anche i crediti sorti anteriormente all'entrata in vigore, a prescindere dal tempo in cui sono azionati.

Le soluzioni giuridiche

Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte ha fatto applicazione di principi ormai consolidati, confermando la possibilità di ritenere ammissibile una domanda tardiva afferente un credito già ammesso al passivo di un fallimento precisando, però, entro quali limiti.

Pur se, nel testo contenuto nel r.d. n. 267/1942, l'art. 101 prevedeva espressamente che il credito insinuato in via tardiva dovesse essere “nuovo” rispetto ad altri precedentemente ammessi e nel riformato art. 101 non si ritrovi tale precisazione, la giurisprudenza ha continuato a sottolineare la necessità che la nuova domanda debba essere diversa sotto il profilo del petitum e della causa petendi, pena l'inammissibilità.

Le ragioni di una siffatta impostazione da sempre sono state fatte derivare dal carattere di giudicato interno che assume la decisione in relazione al credito già ammesso con effetto preclusivo sia del dedotto che del deducibile.

Dopo l'adozione del decreto di esecutività dello stato passivo, pertanto, non è più possibile sollevare questioni inerenti l'esistenza del credito, la sua entità o l'esistenza di cause di prelazione che lo assistono, se non attraverso i rimedi previsti dall'art. 99 l. fall. e nei limiti da questi consentiti.

Un'eccezione è ravvisabile nel caso in cui, successivamente all'ammissione al passivo, si verifichino modificazioni fattuali o intervengano disposizioni di legge che introducano nuovi privilegi.

Nel caso di specie, la banca creditrice, assumendo che si fossero modificati i rapporti intercorrenti con la fallita in virtù della nuova qualifica rivestita da questa, che, senza darne notizia alla mutuante, sarebbe divenuta debitrice ipotecaria, ha chiesto l'ammissione in via tardiva di credito ipotecario, imputando alla mancata comunicazione la proponibilità di una ulteriore domanda con la quale intendeva veder riconosciuta una prelazione non richiesta in precedenza.

La Suprema Corte ha primariamente chiarito che la condizione apposta al contratto era di tipo legale e non già volontaria, come sostenuto dalla banca, con l'effetto che sulle parti del contratto non gravava alcun obbligo di informazione relativamente al mancato esercizio della prelazione da parte del Ministero per i beni e le attività culturali e nessuna formalità di annotazione mediante cancellazione della condizione.

Il collegio, infine, ha ritenuto che la creditrice non potesse avvalersi degli orientamenti favorevoli all'ammissibilità di insinuazioni tardive mirate ad ottenere una prelazione non richiesta con la domanda tempestiva, sulla base del fatto (documentalmente riscontrabile) che la banca fosse a conoscenza dell'intervenuta cessione degli immobili e che l'avveramento della condizione si fosse già verificato al momento del deposito della domanda ordinaria.

Osservazioni

La pronuncia in commento, come detto, si pone in linea con l'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, che considera nuova una domanda diversa in base ai criteri del petitum e della causa petendi e, quindi, quella che risulta fondata su presupposti di fatto e situazioni giuridiche non prospettate né prospettabili in precedenza, così da importare il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato in giudizio e da introdurre, nella nuova fase di accertamento dei crediti, un diverso tema di indagine e di decisione.

Nel caso di specie, tenuto conto che il credito finanziato è stato utilizzato per la compravendita, sospensivamente condizionata, di immobili vincolati sarebbe stato preferibile presentare istanza di insinuazione al passivo con riserva, ex art. 96, comma 2, n. 1, l. fall.

In tal modo, si sarebbe rispettato il disposto dell'art. 93 l. fall. (che, in forza del riformato art. 101, comma 2, l. fall., è pacificamente applicabile alle domande tardive) il quale prescrive che nella domanda siano riportati gli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della pretesa creditoria, con indicazione dell'eventuale titolo di prelazione.

In sede di verifica, quindi, il Curatore avrebbe ben potuto rilevare che la condizione si era avverata ed ammettere al passivo il creditore (divenuto) ipotecario.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

In dottrina il tema è compiutamente affrontato ed approfondito da G.U. Tedeschi, L'accertamento del passivo, in Le riforme delle procedure concorsuali, A. Didone (a cura di), Giuffrè, 2016, 71 e ss. In argomento v. anche F. Lamanna, Il nuovo procedimento di accertamento del passivo, inquadramento sistematico della verifica dei crediti e dei diritti sui beni, Milano, 2006, 591 ss., 661 ss.; A. Didone, La dichiarazione tardiva di credito nel fallimento, Milano, Giuffrè, 1998, passim.

In giurisprudenza Cass., 24 giugno 2015 n. 13090 ha ritenuto ammissibile la domanda tardiva con la quale il cessionario di un credito garantito da ipoteca, ceduto unitamente all'azienda con accollo non liberatorio del cedente e già ammesso al passivo del fallimento di quest'ultimo in via chirografaria, chieda l'ammissione dello stesso credito in privilegio ipotecario a seguito della risoluzione del contratto di cessione dell'azienda e della conseguente retrocessione del bene immobile su cui grava il diritto di prelazione nel patrimonio dell'imprenditore fallito. Invero, secondo la S.C., deve trovare applicazione in via analogica il principio secondo cui, in presenza di una legge retroattiva che introduca nuove ipotesi di crediti privilegiati, questi ultimi assistono anche i crediti sorti anteriormente alla sua entrata in vigore, a prescindere dal tempo in cui siano stati azionati in sede concorsuale e, quindi, anche i crediti prima chirografari, e come tali ammessi al passivo fallimentare, con la conseguenza che tale privilegio può esercitarsi anche dopo l'approvazione dello stato passivo e fino a quando il riparto non sia divenuto definitivo, con le forme dell'insinuazione ex art. 101 l. fall.

Secondo Cass. 19 ottobre 2007, n. 22013, la domanda avente ad oggetto la prededucibilità di un credito può essere dedotta per la prima volta con lo strumento dell'insinuazione tardiva al passivo, laddove i necessari presupposti fattuali siano maturati solo successivamente al decreto con cui il giudice delegato ha dichiarato esecutivo lo stato passivo. Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione del giudice di merito che aveva ritenuto inammissibile la questione del grado del credito, insinuato in prededuzione ai sensi dell'art. 101 l. fall., in quanto tale qualità era sorta in conseguenza dell'esercizio da parte del curatore della facoltà di subentro nel contratto di locazione finanziaria in corso, esercizio comunicato al creditore solo dopo l'adunanza di verifica dello stato passivo; la preclusione del giudicato interno non è di ostacolo all'esercizio da parte del curatore della facoltà di subentro nel contratto e quindi essa neppure può essere invocata per negare l'accertamento di un diritto del creditore, che sul quel medesimo atto trovi il prospettato fondamento.

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