Il privilegio in materia di interventi di sostegno pubblico alle imprese

03 Agosto 2016

Il D. Lgs. 123/1998 individua i principi che regolano i procedimenti amministrativi concernenti gli interventi di sostegno per lo sviluppo delle attività produttive da parte delle amministrazioni pubbliche. Tali benefici possono essere attribuiti in una delle forme previste dall'art. 7 e revocati qualora si verifichi una delle fattispecie di cui all'art. 9.
Il quadro normativo

Il D. Lgs. 123/1998 individua i principi che regolano i procedimenti amministrativi concernenti gli interventi di sostegno per lo sviluppo delle attività produttive da parte delle amministrazioni pubbliche; tali benefici possono essere attribuiti, secondo quanto previsto dall'art. 7, in una delle seguenti forme: credito d'imposta; bonus fiscale (“secondo i criteri e le procedure previsti dall'art. 1 del D.L. n. 23 giugno 1995, n. 244, convertito, con modificazioni dalla L. n. 8 agosto 1995, n. 341”); concessione di garanzia; contributo in conto capitale; contributo in conto interessi; finanziamento agevolato.

Il successivo art. 9 individua le fattispecie di revoca dei suddetti benefici, riconducibili essenzialmente alla deviazione dallo scopo del finanziamento o della prestazione di garanzia, e costituite (i) dall'assenza dei requisiti per l'accesso al beneficio ovvero dall'incompletezza o dall'irregolarità della documentazione giustificativa, “per fatti comunque imputabili al richiedente e non sanabili”(comma 1 ) (ii) dall'alienazione, cessione o distrazione dei beni acquistati con l'intervento nei cinque anni successivi alla sua concessione “ovvero prima che abbia termine quanto previsto dal progetto ammesso all'intervento”(comma 3) (iii) da “azioni o fatti addebitati all'impresa beneficiaria”(comma 4).

Ciò posto, il comma 5 del suddetto articolo stabilisce che “Per le restituzioni di cui al comma 4 i crediti nascenti dai finanziamenti erogati ai sensi del presente decreto legislativo sono preferiti a ogni altro titolo di prelazione da qualsiasi causa derivante, ad eccezione del privilegio per spese di giustizia e di quelli previsti dall'art. 2751-bis c.c. e fatti salvi i diritti preesistenti dei terzi. Al recupero dei crediti si provvede con l'iscrizione al ruolo, ai sensi dell'art. 67, comma 2, D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, delle somme oggetto di restituzione, nonché delle somme a titolo di rivalutazione e interessi e delle relative sanzioni”.

Il coevo D. Lgs. 143/98 ha creato l'Istituto per i servizi assicurativi del commercio estero (SACE), ente pubblico economico successivamente privatizzato e trasformato in S.p.A. a capitale interamente pubblico (ad opera dell'art. 6 del D.L. n. 269/2003, convertito con modificazioni nella L. n. 326/2003), autorizzato, tra l'altro, a rilasciare garanzie e coperture assicurative a favore delle imprese in relazione ai rischi connessi alla loro attività con l'estero e all'internazionalizzazione dell'economia (art. 2).

Vanno menzionati anche gli artt. 2, comma 100, L. n. 662/1996 e 15, L. 266/97 in materia di agevolazioni a favore delle piccole e medie imprese. Infatti, come si vedrà, nella casistica giurisprudenziale il privilegio ex art. 9, comma 5, d. lgs. 123/1998 è stato in più occasioni invocato proprio con riferimento alle garanzie prestate ai sensi delle norme sopra richiamate, sul presupposto che, a seguito dell'escussione della garanzia, il credito vantato dal garante a titolo di surroga nei diritti del soggetto erogatore del finanziamento nei confronti dell'impresa beneficiaria rientri nell'ambito di applicazione dell'art. 9, comma 5, D. Lgs. 123/1998.

Sulla natura generale o speciale del privilegio ex art. 98, comma 5, D.LGS. 123/1998

Un primo problema interpretativo posto dall'art. 9, comma 5, D. Lgs. 123/1998 è quello relativo alla natura generale o speciale del privilegio da esso istituito. La questione, evidentemente, non è priva di importanti riflessi pratici, posto che il riconoscimento della natura speciale del privilegio imporrebbe al creditore che lo invoca l'onere di indicare specificamente, a pena di inaccoglibilità della relativa domanda, i beni su cui esso è destinato a ricadere, come previsto dall'art. 93, comma 3, n. 4, l. fall.

Sul punto, anche in considerazione della scarsa chiarezza della norma al riguardo, si registrano opinioni discordanti.

Secondo una prima tesi (espressa da D. Galletti, Il privilegio generale, anzi speciale, di SACE nel concordato preventivo omologato, in questo portale), detto privilegio avrebbe natura speciale, in quanto assisterebbe il credito del finanziatore solo allorché il beneficio poi revocato fosse destinato all'acquisto di macchinari, impianti e beni produttivi in genere (finalità cui sembrerebbero fare riferimento alcune disposizioni del decreto legislativo in parola: cfr., ad esempio, l'art. 4, comma 6, o il comma 3 dello stesso art. 9), con prelazione sugli stessi; il che però - come osservato dallo stesso Autore - limiterebbe notevolmente l'ambito di applicazione del privilegio de quo, posto che nella maggioranza dei casi non sono individuabili specifici beni cui l'erogazione della provvista può essere vincolata. Si è allora cercato di sostenere che il privilegio in parola si atteggerebbe come speciale quando il finanziamento pubblico sia vincolato, per l'appunto, all'acquisto di specifici beni mobili o immobili o ad altre operazioni commerciali ad essi inerenti, e come generale negli altri casi (così L. Andretto, Natura privilegiata del credito per restituzione di finanziamenti pubblici: il caso della SACE, nota a Trib. Tolmezzo, 11 marzo 2013,in Fall., 2014, 2, 224); sennonché, quest'ultima soluzione desta qualche perplessità, tenuto conto, da un lato, che la natura generale o speciale del privilegio dovrebbe discendere dalla legge e non dal regolamento negoziale divisato dalle parti, dall'altro, che detta soluzione comporterebbe un ingiustificato trattamento di sfavore per i crediti relativi a finanziamenti diretti all'acquisto di specifici beni, i quali godrebbero della prelazione unicamente sui beni stessi, laddove negli altri casi il privilegio de quo si eserciterebbe sull'intero patrimonio mobiliare del fallito.

Anche il panorama giurisprudenziale, sul punto, appare tutt'altro che omogeneo: a favore della natura generale del privilegio si è espresso Trib. Mantova, 8 maggio 2012, facendo leva, tra l'altro, sulla clausola di salvaguardia dei “diritti preesistenti dei terzi”presente nello stesso art. 9, comma 5, D. Lgs. 123/1998, che richiamerebbe l'analoga previsione contenuta nell'art. 2747, comma 1, c.c. in materia di privilegio generale, nonché, da ultimo, Trib. Rimini, 22 marzo 2016 (ord., inedita);nel senso opposto, si veda invece Trib. Padova, 23 luglio 2012.

Presupposti di applicabilità: finanziamenti e prestazioni di garanzia

Come si è anticipato, il privilegio qui in esame viene frequentemente invocato in relazione a garanzie prestate ai sensi della normativa di settore in materia di interventi a favore delle imprese (richiamata al precedente paragrafo 1), in particolare da parte dell'Istituto per i servizi assicurativi del commercio estero, ora SACE S.p.A.; accade cioè che, a seguito dell'escussione della garanzia da parte del soggetto erogatore del finanziamento (generalmente un Istituto di credito), il garante (o il concessionario per la riscossione che abbia nel frattempo proceduto all'iscrizione a ruolo esattoriale straordinario ex art. 9, comma 5, D. Lgs. 123/98) si insinui al passivo della procedura concorsuale aperta nei confronti del beneficiario della provvidenza chiedendo il riconoscimento del suddetto privilegio. Sennonché, in simili casi, ostano a tale riconoscimento essenzialmente due ordini di argomenti. Il primo attiene alla formulazione letterale dell'art. 9, comma 5, D. Lgs. 123/98, il quale (come è stato evidenziato, tra gli altri, da Cass., 2 marzo 2012, n. 3335, nonché dal Tribunale di Milano in due successive pronunce del 17 febbraio 2011 e del 3 luglio 2014, in questo portale) non contiene alcun riferimento alla normativa di settore sopra richiamata, limitandosi ad attribuire natura privilegiata al credito restitutorio derivante dalla revoca dei finanziamenti erogati ai sensi dello stesso D. Lgs. 123/98; il che, evidentemente, impedisce, anche in considerazione del principio di tassatività dei privilegi e della natura eccezionale delle norme istitutive degli stessi, di estendere l'applicazione del privilegio de quo al di fuori delle ipotesi espressamente considerate dalla norma (in tal senso si veda anche, da ultimo, Trib. Pistoia, 14 maggio 2015).

Ma, soprattutto, il riconoscimento di detto privilegio a favore del garante, che si sia surrogato nei diritti del finanziatore nei confronti del soggetto finanziato poi fallito, confligge (in presenza, s'intende, di un finanziamento chirografario) con i principi generali in materia di surrogazione legale ex art. 1203 c.c., in forza dei quali, come noto, il creditore surrogato non può che subentrare nella stessa posizione del creditore originario sostituito (in tal senso, si veda, tra gli altri, Trib. Milano, 3 luglio 2014, cit.); né appare convincente la tesi secondo cui, in tali casi, il privilegio a favore del garante discenderebbe direttamente dalla legge (speciale) e non dalla surroga (così Trib. Padova, 23 luglio 2012, cit.), posto che nella normativa speciale qui esaminata non è ravvisabile alcuna deroga ai principî che reggono l'istituto della surrogazione.

Assai meno pregnante, ai fini della riconoscibilità del privilegio in esame, appare la circostanza (cui hanno invece attribuito rilievo alcune pronunce di merito: cfr., tra le altre, Trib. Tolmezzo, 11 marzo 2013, cit., Trib. Torino, 2 luglio 2014, in questo portale, nonché, da ultimo, Trib. Vicenza, 5 febbraio 2016, decr., e Trib. Bologna, 22 marzo 2016, ord., inedite) che il contratto di finanziamento contenga o meno un espresso riferimento al D. Lgs. 123/1998, posto che (come opportunamente rilevato da L. Andretto, op. cit., 227, nonché, in giurisprudenza, da Trib. Pistoia, 14 maggio 2015, cit., Trib. Milano, 3 luglio 2014, cit. e Trib. Rimini, 22 marzo 2016, cit.) l'operatività del privilegio, necessariamente stabilito dalla legge in considerazione della causa del credito ex art. 2745 c.c., non può subordinarsi alla volontà espressa dalle parti in sede negoziale.

Ancora sui presupposti di applicabilità: distinzione tra revoca dell'intervento e inadempimento civilistico del beneficiario

Un'ulteriore questione interpretativa che si è posta in sede di applicazione dell'art. 9, comma 5, D. Lgs. 123/1998 attiene alla riconoscibilità o meno della causa di prelazione ivi prevista, oltre che nell'ipotesi – espressamente contemplata dalla norma – di revoca del finanziamento ai sensi dello stesso art. 9, anche nel caso in cui il beneficiario si sia reso inadempiente all'obbligo di rimborsare il finanziamento concessogli, con conseguente risoluzione del relativo contratto. Trattasi, evidentemente, di due fattispecie non assimilabili tra loro, posto che la revoca del beneficio ex art. 9 D. Lgs. 123/98 è un provvedimentoavente natura sanzionatoria rispetto a condotte illecite del beneficiario, tassativamente indicatedai commi 1 e 3 dello stesso art. 9, nonché dal successivo comma 4 (il quale fa riferimento, con una sorta di formula di chiusura, alle ipotesi di revoca “disposta per azioni o fatti addebitati all'impresa beneficiaria”), riconducibili, come detto, a una deviazione dallo scopo del finanziamento o della prestazione di garanzia; di contro, la mancata restituzione del mutuo nei termini contrattualmente previsti integra un mero inadempimento civilistico, come tale apparentemente non rientrante nella previsione di cui all'art. 9, comma 5, D. Lgs. 123/1998. Sulla scorta di tale argomento, la giurisprudenza ha generalmente negato la riconoscibilità del privilegio in esame nelle ipotesi di mero inadempimento contrattuale del beneficiario dell'erogazione (cfr., in tal senso, le già citate Trib. Padova, 23 luglio 2012, Trib. Torino, 2 luglio 2014, Trib. Milano, 3 luglio 2014 e Trib. Vicenza, 5 febbraio 2016).

Quest'ultima soluzione, tuttavia, finisce innegabilmente per determinare, nell'ambito dei crediti relativi a interventi erogati ex D. Lgs. 123/1998, una disparità di trattamento fondata unicamente sulla circostanza – all'evidenza non imputabile al creditore – che il beneficiario della provvidenza si sia reso o meno responsabile di una delle condotte illecite specificamente indicate dall'art. 9 del medesimo decreto legislativo. È forse proprio tale considerazione che ha recentemente indotto un Giudice Delegato del Tribunale fallimentare di Roma ad attribuire il privilegio in esame a un credito da restituzione di denaro dato a mutuo in ragione della risoluzione di diritto del relativo contratto ex art. 1456 c.c., ravvisando un'identità di ratio tra tale fattispecie e quella di revoca del finanziamento disposto dalla Pubblica Amministrazione, “dal momento che la ragione fondante la causa generale di prelazione di diritto speciale è quella della restituzione allo Stato del denaro che tramite soggetti abilitati viene dato agli imprenditori per le finalità pubbliche precisate nello stesso D.lgs. n. 123/1998” (Trib. Roma, 9 dicembre 2015, decr., inedita; nel medesimo senso, si veda anche, da ultimo, Trib. Rimini, 22 marzo 2016, cit.).

Sennonché, l'operazione ermeneutica compiuta dal giudice capitolino appare di dubbia compatibilità con il già richiamato principio di tassatività dei privilegi, che impone di limitare il ricorso all'interpretazione analogico-estensiva delle norme istitutive degli stessi. È ben vero, infatti, che le Sezioni Unite della Cassazione, nella nota sentenza n. 11930 del 30 aprile 2010 (inerente peraltro al diverso tema dei privilegi sui crediti per tributi degli enti locali ex art. 2752 c.c.) hanno riconosciuto la possibilità di ricorrere a un'interpretazione estensiva delle norme de quibus, sia pure nei limiti della “massima espansione della portata semantica dell'espressione legislativa”, consentendone così l'applicazione anche a fattispecie non espressamente previste dalla norma, ma rispetto alle quali appaia invocabile, in relazione alla causa del credito, la medesima ratio legis (operando, in tal caso, il meccanismo del rinvio “formale”, che permette l'applicazione della norma istitutiva del privilegio a una fattispecie disciplinata da una norma entrata in vigore in un momento successivo); tuttavia, la Cassazione ha limitato espressamente il ricorso a tale procedimento alle sole cause di prelazione previste dal codice civile, atteso il loro carattere generale e la loro rispondenza “ad un criterio di equità discendente dallo stesso art. 3 Cost.”, ferma restando la natura di ius singulare, “con tutte le conseguenze interpretative connesse, delle norme settoriali istitutive di singoli privilegi, quale è certamente quella qui in esame.

Alla luce dei principi suesposti, dunque, l'estensione del privilegio ex art. 9, comma 5, D. Lgs. 123/1998 all'ipotesi di risoluzione del contratto di finanziamento per inadempimento del beneficiario appare alquanto problematica, salvo che si voglia includere tale inadempimento tra le “azioni o fatti addebitati all'impresa beneficiaria”presi in considerazione dal comma 4 del D. Lgs. 123/1998, a sua volta richiamato dal successivo comma 5 (soluzione, quest'ultima, cui sembrerebbe aderire Trib. Mantova, 8 maggio 2012, cit.); sennonché, tale locuzione normativa parrebbe in realtà fare riferimento ad intenzionali condotte abusive poste in essere dal beneficiario, più che alla semplice mancata restituzione – in ipotesi incolpevole – del finanziamento da lui percepito (come ritenuto anche da Trib. Bologna, 22 marzo 2016, cit.).

In conclusione

Riepilogando le considerazioni fin qui esposte, la prassi applicativa dell'art. 9, comma 5, D. Lgs. 123/1998 ha fatto emergere tre principali questioni interpretative, relative rispettivamente (i) alla natura generale ovvero speciale del privilegio istituito dalla norma in oggetto, (ii) alla possibilità o meno di estendere detto privilegio alle garanzie prestate dai soggetti abilitati ai sensi della normativa di settore in materia di interventi a favore delle imprese, (iii) alla riconoscibilità o meno della causa di prelazione in esame in presenza di un mero inadempimento civilistico del beneficiario dell'intervento.

Sennonché, come si è visto, la formulazione tecnicamente approssimativa della norma ha impedito la formazione di orientamenti giurisprudenziali univoci su tali argomenti. Pertanto, in mancanza di sicuri punti di riferimento nell'ambito della normativa speciale, appare inevitabile fare ricorso ai principi generali che regolano la materia, e in primis a quello della tassatività (o tipicità) dei privilegi, attesa la natura derogatoria degli stessi rispetto alla par condicio creditorum sancita dall'art. 2741 c.c.; il che impone, per quanto rileva in questa sede, di adottare un'interpretazione restrittiva dell'art. 9, comma 5, D. Lgs. 123/1998.

Sulla scorta di tali considerazioni, dovrebbe darsi una risposta tendenzialmente negativa alle ultime due questioni sopra indicate, mentre la prima, come si è visto, rimane tuttora aperta, attesa l'estrema incertezza determinata dalla laconicità del dato normativo con riguardo alla natura generale o speciale del privilegio in esame. Ciò premesso, a quest'ultimo proposito parrebbe preferibile – pur con tutte le cautele del caso – la tesi della natura generale di detto privilegio, tenuto conto che la limitazione dell'ambito di applicabilità dello stesso, che deriverebbe dalla sua natura speciale, da un lato, necessiterebbe forse di un'espressa previsione normativa in tal senso (come ritenuto, da ultimo, da Trib. Rimini, 22 marzo 2016, cit.), dall'altro, non parrebbe sorretta da un'adeguata ratio, anche in considerazione dell'estrema varietà delle iniziative imprenditoriali sovvenzionate tramite gli interventi previsti dal D. Lgs. n. 123/1998, iniziative che (soprattutto con l'avvento della new economy) implicano sempre più frequentemente operazioni economiche relative a servizi anziché a beni materiali specificamente individuati; il che, come si è detto, finirebbe per privare la norma istitutiva del privilegio de quo, laddove venisse affermata la natura speciale di quest'ultimo,di un'apprezzabile sfera di operatività.

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