L’autorizzazione ai fini dell’esercizio del potere del curatore a stare in giudizio

26 Settembre 2016

L'art. 43 l. fall. conferisce al curatore la legittimazione a stare in giudizio nelle controversie relative a rapporti di diritto patrimoniale, mentre l'esercizio del potere di agire e di resistere è subordinato al rilascio dell'autorizzazione scritta da parte del giudice delegato, prevista dall'art. 25, n. 6 l. fall., che può essere rilasciata anche successivamente con effetto sanante e retroattivo ex tunc.
Il caso

La Corte d'appello di Venezia, adita in sede di reclamo avverso il decreto del Tribunale di Venezia con il quale era stata respinta un'istanza di estensione del fallimento ex art. 147 l. fall., preliminarmente ha rigettato l'eccezione di inammissibilità del reclamo sollevata dal reclamato, il quale sosteneva che il provvedimento autorizzativo ex art. 25 n. 6 l. fall. era stato emesso dal G.D. in data successiva alla scadenza del termine previsto dalla legge per la proposizione del reclamo, dovendo quindi considerarsi definitivo il decreto di rigetto, perché l'autorizzazione tardiva, benché retroattiva, non sarebbe stata idonea ad interrompere il termine per l'impugnazione e non avrebbe impedito il formarsi del giudicato.

La questione

La Corte si è pronunciata sull'eccezione preliminare di inammissibilità del reclamo sollevata dal reclamato, respingendola perché infondata.

I giudici di secondo grado hanno riconosciuto efficacia sanante retroattiva all'autorizzazione, ancorché tardiva, concessa dal giudice delegato, richiamando la giurisprudenza di legittimità sul punto, ed hanno quindi ritenuto che l'autorizzazione del giudice delegato a promuovere un'azione giudiziale è da ritenersi condizione di efficacia dell'attività processuale del curatore con la conseguenza che è possibile la sanatoria con effetto ex tunc anche nel caso in cui l'autorizzazione ad agire e resistere sia data nel successivo giudizio d'impugnazione (Cass. n. 19087/2007).

La soluzione giuridica

La decisione della Corte d'appello sull'eccezione in esame è giuridicamente corretta e pienamente condivisibile.

La questione introdotta dal reclamato, peraltro, è stata male formulata, e parte da presupposti erronei.

Secondo la tesi di quest'ultimo, da quanto è dato comprendere dalla lettura del decreto emesso in sede di reclamo, benché debba essere riconosciuta efficacia sanante retroattiva all'autorizzazione del giudice delegato, tuttavia medio tempore il provvedimento del Tribunale avrebbe acquistato definitività perché nei termini previsti dalla legge fallimentare (30 giorni ex art. 22, comma 2) per proporre il reclamo non sarebbe intervenuta una valida autorizzazione del giudice delegato a proporre il gravame e quindi il “deposito di un reclamo privo dell'autorizzazione a stare in giudizio non interrompe il decorso del termine previsto per l'impugnazione e non osta alla formazione del giudicato” .

Sennonché il termine concesso dalla legge fallimentare per impugnare il decreto di rigetto emesso dal Tribunale in sede prefallimentare è previsto a pena di decadenza e come tale non può essere interrotto; l'interruzione dei termini si applica al diverso istituto della prescrizione, e non anche alla decadenza, i cui termini sono stabiliti per l'esercizio di un diritto da parte del soggetto titolare del medesimo; in particolare i diritti potestativi processuali, quale il diritto ad agire, non possono essere esercitati in forma diversa da quella prevista dalla legge, bensì solo attraverso la proposizione della domanda giudiziale, non essendo consentita alcuna forma o modalità alternativa.

Il curatore trae la sua legittimazione a stare in giudizio in relazione ai rapporti patrimoniali del fallito in virtù degli artt. 31 e 43 l. fall., che derogano al divieto della sostituzione processuale sancito dall'art. 81 c.p.c., il quale dispone che nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui, se non nei casi espressamente previsti dalla legge.

L'art. 31 dispone che il curatore fallimentare ha l'amministrazione del patrimonio fallimentare e però non può stare in giudizio senza l'autorizzazione del giudice delegato, che deve essere rilasciata in forma scritta e prodotta in giudizio dal curatore; l'art. 43 l. fall. dispone che nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore.

L'autorizzazione da parte di un organo giurisdizionale, richiesta da disposizioni legislative anche in altre ipotesi, è diretta al controllo ed alla contestuale rimozione del limite all'esercizio del potere di agire o resistere in giudizio.

Per i giudizi in cui è parte la curatela, e la regola vale anche in grado di appello in forza del rinvio contenuto nell'art. 359 c.p.c., qualora il giudice rilevi un difetto di autorizzazione da parte del giudice delegato trova applicazione l'art. 182 c.p.c. nella sua attuale formulazione, in virtù del quale deve essere concesso alla curatela un termine perentorio per il rilascio da parte del giudice delegato dell'autorizzazione a stare in giudizio; se questa non interviene, la sanzione è l'estinzione del giudizio (per inattività della parte, ex art. 307 c.p.c.).

Dunque il diritto ad agire, anche nella specie dell'impugnazione, deve essere esercitato dal soggetto legittimato (legitimatio ad processum) entro il termine perentorio previsto dalla legge, come è avvenuto nel caso in esame; l'eventuale vizio della costituzione in giudizio, consistente nella mancanza di autorizzazione da parte del giudice, trova la sua soluzione giuridica nell'art. 182 c.p.c., comma secondo (come novellato dalla legge n. 69/2009), il quale dispone che "quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l'assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L'osservanza del termine sana i vizi e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono sin dal momento della prima notificazione".

Dalla lettura del decreto in esame pare evincersi che l'autorizzazione del giudice delegato a proporre il reclamo sia stata rilasciata ancor prima di un rilievo al riguardo e prima della concessione di un termine da parte del giudice del reclamo, e quindi a maggior ragione l'autorizzazione è da considerarsi utilmente concessa.

In base al chiaro dettato legislativo, l'autorizzazione successivamente rilasciata ha sanato sia i vizi che gli effetti sostanziali e processuali del reclamo, che doveva considerarsi pertanto tempestivamente e ritualmente proposto ab origine, mentre non si è verificata alcuna decadenza che potesse giustificare una declaratoria di inammissibilità del reclamo.

Osservazioni

La decisione della Corte di appello è conforme alla giurisprudenza di legittimità formatasi sull'argomento, sia prima della riforma dell'art. 182 c.p.c., il quale prevedeva la mera possibilità per il giudice di disporre l'integrazione con effetto sanante, sia successivamente alla novella introdotta dalla L. n. 69/2009, che ha trasformato la facoltà in obbligo.

Le Sezioni Unite, chiamate a dirimere il contrasto interpretativo sulla portata del secondo comma dell'art. 182 c.p.c., hanno affermato il seguente principio: “l'art. 182 c.p.c., comma 2, dev'essere interpretato, anche alla luce della modifica apportata dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 2, nel senso che il giudice deve promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio e indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, con effetti ex tunc, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali” (Cass. S.U. n. 9217/2010; Cass. S.U. n. 28337/2011).

Guida all'approfondimento

Oltre alle sentenze già citate nel testo, in relazione alla complessa tematica relativa alla possibilità di interpretare estensivamente le ipotesi disciplinate dall'art. 182 c.p.c., va richiamata la più recente giurisprudenza di legittimità, che ha diverse volte confermato la possibilità di estendere la previsione del novellato art. 182 c.p.c. anche alle ipotesi radicali di inesistenza o di mancata produzione in giudizio della procura alle liti, in applicazione del generale principio di conservazione degli atti processuali.

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