Liquidazione dell’attivo immobiliare: tra “procedure competitive” e codice di rito

Gabriele Moreschini
05 Ottobre 2016

Gli Autori affrontano il tema della liquidazione dell'attivo immobiliare nel fallimento, distinguendo il modello privatistico delle “procedure competitive” ex art. 107, comma 1, l. fall. e quello pubblicistico delle “disposizioni del codice di procedura civile in quanto compatibili” ex art. 107, comma 2, l. fall. In particolare, ci si chiede se detta procedura, conformemente all'opinione che ad oggi appare dominante, debba necessariamente concludersi con atto notarile o se, invece, il trasferimento possa avvenire per il tramite di un decreto di trasferimento emanato dal giudice delegato o, ulteriormente, se l'effetto traslativo possa discendere direttamente dal verbale di aggiudicazione.
Premessa

Dopo una sintetica analisi sulle modalità di liquidazione dell'attivo previste dall'art. 107 l. fall., si affronta il tema della forma dell'atto di trasferimento di immobili a seguito di procedura competitiva di vendita ai sensi dell'art. 107, comma 1, l. fall.

In particolare, ci si chiede se detta procedura, conformemente all'opinione che ad oggi appare dominante, debba necessariamente concludersi con atto notarile o se, invece, il trasferimento possa avvenire per il tramite di un decreto di trasferimento emanato dal giudice delegato o, ulteriormente, se l'effetto traslativo possa discendere direttamente dal verbale di aggiudicazione.

A seguito dell'iter di riforme attuato nel triennio 2005-2007 il sistema della liquidazione dell'attivo fallimentare è stato profondamente modificato. Nella previgente disciplina, infatti, l'art. 108, l. fall. stabiliva che le procedure di vendita di immobili dovessero necessariamente essere attuate secondo le modalità stabilite dal codice di procedura civile per la vendita c.d. “con incanto”, prevedendosi in via residuale, e dietro autorizzazione dei creditori aventi privilegio sul bene venduto, la modalità c.d. “senza incanto”. Per i beni mobili, invece, l'art. 106 l. fall. affidava al giudice delegato il compito di stabilire “il tempo della vendita, disponendo se questa debba essere fatta ad offerte private o all'incanto, e determinando le modalità relative, sentito ove occorra uno stimatore”.

Tale sistema è stato dapprima oggetto di un intervento riformatore ad opera del D. Lgs. n. 5/2006, di impostazione più marcatamente liberista, che ha introdotto per tutte le vendite, mobiliari ed immobiliari, senza apparentemente effettuare alcuna eccezione, il modello procedimentale delle c.d. “vendite competitive”. L'art. 107, comma 1, l. fall. così come modificato nel 2006, prevedeva pertanto che “le vendite e gli altri atti di liquidazione sono effettuati dal curatore, tramite procedure competitive anche avvalendosi di soggetti specializzati, sulla base di stime effettuate, salvo il caso di beni di modesto valore, da parte di operatori esperti, assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati”. Ciò sulla base del dichiarato intento di superare “le farraginose e poco efficienti norme sulle vendite modellate sul sistema delle esecuzioni coattive individuali” (così la relazione di accompagnamento alla novella del 2006), ma senza tener conto del fatto che nel medesimo periodo, e poi con costante parallelismo (plasticamente rappresentato dal fatto che l'ultimo intervento del D.L. n. 83/2015 ha modificato sia l'art. 107 l. fall. sia il libro terzo del codice di rito), anche il sistema delle esecuzioni individuali è stato più volte riformato al fine di garantire una sua maggiore celerità ed efficienza.

L'estrema genericità del dettato normativo, unita all'esigenza riscontrata tra gli operatori del mercato di partecipare a procedure le cui regole fossero quanto più collaudate e certe possibili, hanno indotto il legislatore del decreto correttivo del 2007 a prevedere che, alternativamente al sistema appena delineato, le “vendite dei beni mobili, immobili e mobili registrati vengano effettuate dal giudice delegato secondo le disposizioni del codice di procedure civile in quanto compatibili”.

Attualmente, pertanto, l'attività di liquidazione dell'attivo fallimentare è disciplinata secondo un sistema binario, oscillante tra “procedure competitive” – che la letteratura specialistica etichetta come “privatistiche” - e quelle che, per differenza, sono definite come “procedure pubblicistiche”, previste dal codice di rito. Preso atto di tale dicotomia – che, come si vedrà, rileva esclusivamente sotto il profilo procedimentale, peraltro secondo una linea di demarcazione sempre più sfocata - è necessario interrogarsi circa le possibili reciproche interferenze e contaminazioni tra i due procedimenti, la scelta tra i quali è demandata al curatore nella redazione del programma di liquidazione, che dovrà essere poi approvato dal comitato dei creditori.

Con altre parole: si ritiene che il legislatore, dopo aver ideato nel 2006 un sistema di procedure di vendita tendenzialmente autarchico, seppur estremamente vago, nel 2007 vi ha “innestato” la possibilità di ricorrere al sistema del codice di rito il quale, però, come accennato, stava contemporaneamente subendo la stessa deformalizzazione perseguita dal legislatore concorsuale. Conseguenza di tale innesto, effettuato senza alcun coordinamento con la disciplina appena elaborata delle “procedure competitive”, è stata quella di fornire all'operatore due modelli procedurali formalmente distinti, ma sostanzialmente e progressivamente speculari tra loro, la cui differenza caratterizzante, oramai, più che nel diverso grado di rigidità del procedimento, sta forse nel diverso organo, curatore o giudice delegato, posto a capo della procedura di vendita, fermo restando che entrambi possono – e nella prassi anzi così avviene – affidare le incombenze della procedura ad un professionista terzo.

Il "sistema privatistico" ex art. 107, comma 1, l. fall.

In base all'art. 107, comma 1, l. fall. il modulo procedimentale “privatistico” deve rispettare i seguenti principi fondamentali:

a) il soggetto che esegue gli atti di liquidazione è il curatore, personalmente, per il tramite di delegati ex art. 104-ter, comma 3, l. fall. o avvalendosi di soggetti specializzati ex art. 107, comma 7, l. fall.;

b) la liquidazione deve avvenire tramite:

  • procedure competitive”;
  • “sulla base di stime effettuate da parte di operatori esperti, salvo che per i beni di modesto valore”;
  • “assicurando la massima partecipazione ed informazione degli interessati a mezzo di adeguate forme di pubblicità” (la disposizione ricalca quanto previsto dall'art. 62 D. Lgs. n. 270/1999, in tema di “alienazione dei beni” nell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Sul punto v. F. D'Aquino, sub art. 107, in La Legge fallimentare, a cura di M. Ferro, Padova, 2007, 815) e, comunque, per il tramite dell'avviso ex art. 490, comma 1, c.p.c. da pubblicarsi almeno trenta giorni prima dell'inizio della procedura competitiva.

La nozione di “procedura competitiva” non trova però espressa disciplina nel sistema della legge fallimentare e, pertanto, non vi è uniformità di opinioni su quali siano i suoi caratteri fondamentali ed inderogabili. Per l'opinione più rigorosa, a nostro avviso preferibile, essa deve essere caratterizzata da:

a) un sistema incrementale di offerte;

b) adeguata pubblicità (Cass. n. 27667/2011);

c) trasparenza (attraverso la comunicazione alle parti);

d) regole prestabilite e non discrezionali di selezione dell'offerente;

e) una completa e assoluta apertura al pubblico interessato.

La riforma dal D.L. n. 83/2015, c.d. “miniriforma”, ha poi aggiunto all'art. 107, comma 1, l. fall. una serie di richiami alle disposizioni del codice di rito relative alla possibilità di versare ratealmente il prezzo di aggiudicazione (Tali previsioni in tema di pagamento rateale, sia detto per inciso, a fronte della totale libertà del curatore nel disegnare i contorni della procedura competitiva, sembra assumere più che altro una funzione di “pro-memoria”, quasi come se la funzione legislativa avesse assunto uno scopo “promozionale” delle vendite rateali, più che una funzione effettivamente precettiva), oltre ad imporre, come detto, il rispetto del regime pubblicitario di cui all'art. 490 c.p.c.

Da sottolineare, come accennato, la previsione dell'art. 104-ter, comma 3, l. fall. in base alla quale “il curatore può essere autorizzato dal giudice delegato ad affidare ad altri professionisti alcune incombenze della procedura di liquidazione dell'attivo”. In relazione a tale ultima disposizione è da registrare la prassi diffusissima, e ad opinione di chi scrive del tutto legittima, in base alla quale tra le “incombenze” delegabili è ricompresa la gestione dell'intera procedura di vendita competitiva. Detto in altri termini: è possibile che la procedura competitiva di vendita si svolga, sempre secondo le modalità stabilite dal curatore nel programma di liquidazione, o interamente innanzi al notaio, o interamente innanzi al curatore, ponendosi però in questo secondo caso il problema di individuare la forma dell'atto (v. infra) destinato a concludere il procedimento di vendita e a trasferire il diritto sul bene aggiudicato.

L'art. 108, comma 2, l. fall., invece, analogamente a quanto previsto dall'art. 586, comma 1, u.p., c.p.c. prevede in ogni caso la purgazione dalle trascrizioni pregiudizievoli, stabilendo che “per i beni immobili e gli altri beni iscritti in pubblici registri, una volta eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo, il giudice delegato ordina, con decreto, la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo”.

Il “sistema pubblicistico” ex art. 107, comma 2, l. fall.

In via alternativa rispetto alla procedura descritta nel precedente paragrafo il c.d. decreto correttivo n. 169/07 ha previsto, come osservato, la possibilità per il curatore, nell'ambito del programma di liquidazione, di optare per vendite che “vengano effettuate dal giudice delegato secondo le disposizioni del codice di procedura civile in quanto compatibili”. In questa prospettiva, pertanto, troveranno applicazioni le norme di cui agli artt. 570 ss. del codice di rito, con una espressa riserva di compatibilità.

Delineando, in un quadro di sintesi, la “procedura” prevista dal comma 2 dell'articolo in esame, è possibile rilevare quanto segue:

a) della procedura di vendita è dato avviso ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 490 e 570 c.p.c.;

b) l'avviso ai creditori iscritti verrà effettuato dal curatore o dal delegato del giudice ai sensi dell'art. 107, comma 3, l. fall. e non ai sensi dell'art. 498 c.p.c.;

c) le modalità di vendita potranno essere condotte tanto con incanto, quanto senza incanto;

d) nelle ipotesi di vendita senza incanto, indicata oramai come scelta elettiva della vendita forzata, il giudice delegato dovrà accettare, ai sensi dell'art. 572, comma 2, c.p.c. anche un'offerta “inferiore rispetto al prezzo stabilito nell'ordinanza di vendita in misura non superiore ad un quarto”, purché, a suo giudizio “non vi sia seria possibilità di conseguire un prezzo superiore con una nuova vendita e non sono state presentate istanze di assegnazione ai sensi dell'articolo 588“;

e) le operazioni di vendita, ed il punto è di fondamentale importanza rispetto alla presente analisi, di regola, ai sensi dell'art. 591-bis c.p.c. così come da ultimo novellato dal D.L. n. 83/2015, saranno affidate ad un professionista delegato dal giudice, salvo che quest'ultimo non “ravvisi l'esigenza di procedere direttamente alle operazioni di vendita a tutela degli interessi delle parti”;

f) una volta identificato l'aggiudicatario, il bene verrà trasferito mediante decreto del giudice delegato ai sensi dell'art. 586 c.p.c., il quale ordinerà altresì la cancellazione delle formalità pregiudizievoli.

Le disposizioni comuni ai due modelli

L'art. 107, dopo aver disciplinato i due modelli, ai commi 3, 4 e 5, prevede una serie di regole specifiche le quali devono applicarsi, per le ragioni di seguito illustrate, ad entrambi.

Il comma 3 stabilisce che il curatore deve dare notizia della procedura, “prima del completamento delle operazioni di vendita”, nel caso in cui la stessa abbia ad oggetto beni immobili o mobili registrati, a ciascuno dei creditori ipotecari o comunque muniti di privilegio. La disposizione ricalca il meccanismo previsto dal codice di rito all'art. 498 ed è evidentemente ispirata alla medesima ratio di permettere ai creditori aventi una causa legittima di prelazione di far valere la loro garanzia partecipando al concorso e quindi, nel caso di fallimento, di insinuarsi al passivo, qualora non siano già stati resi edotti del fallimento ex art. 92 l. fall. Stante l'assenza nella procedura concorsuale di un “creditore istante”, cui nell'esecuzione individuale è demandato il compito di notificare l'avviso ex art. 498 c.p.c., anche qualora si sia scelto di effettuare la vendita secondo le norme del codice di rito in assenza di provvedimento sul punto da parte del giudice delegato sarà sempre sul curatore a gravare tale incombenza.

Per quanto riguarda invece il comma 4, facente parte anch'esso del “nucleo originario” del 2006, esso stabilisce – in assonanza con quanto disposto dall'art. 584 c.p.c. in tema di offerte in aumento di quinto per la vendita con incanto - che “il curatore può sospendere la vendita ove pervenga offerta irrevocabile d'acquisto migliorativa per un importo non inferiore al dieci per cento del prezzo offerto”. La norma, all'evidenza, non ponendo alcuna eccezione si applica in entrambi i modelli di vendita. Si veda, in tal senso, Trib. Pordenone, 2 febbraio 2010, che subordina la possibilità per il curatore di esercitare il potere di sospensione de quo in caso di modello procedimentale della vendita senza incanto al fatto che nel programma di liquidazione sia espressamente prevista tale facoltà.

Il comma 5, in ultimo, prescrive al curatore l'onere di dare informazione “degli esiti delle procedure” al giudice delegato ed al comitato dei creditori “depositando in cancelleria la relativa documentazione”. Nel caso in cui la procedura di vendita sia effettuata ai sensi del secondo comma dell'art. 107 l. fall., il curatore dovrà quindi informare il solo comitato dei creditori (v. M. Montanaro, sub art. 107, in Commentario alla legge fallimentare diretto da C. Cavallini, Milano, 2010, 107 ss.)

In ultimo, l'art. 108, comma 1, l. fall. attribuisce al giudice delegato, “su istanza del fallito, del comitato dei creditori o di altri interessati, previo parere dello stesso comitato dei creditori”, il potere discrezionale di “sospendere, con decreto motivato, le operazioni di vendita, qualora ricorrano gravi e giustificati motivi” ovvero, su istanza presentata dai medesimi soggetti entro dieci giorni dal deposito della relazione informativa di cui al comma 4, di “impedire il perfezionamento della vendita quando il prezzo offerto risulti notevolmente inferiore a quello giusto, tenuto conto delle condizioni di mercato”.

E' lecito chiedersi quale sia il rapporto tra la norma in esame e quella, analoga ma non del tutto coincidente, contenuta nell'art. 586 c.p.c., nella parte in cui consente al giudice, motu proprio, la sospensione per il solo caso in cui “ritenga che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto”. Ed infatti, il potere di sospensione previsto dall'art. 108 viene attribuito anche per “gravi motivi”, ma solo su istanza di determinati soggetti. E' così ragionevole ritenere che, in quanto norma speciale ed in virtù della clausola di compatibilità contenuta nel secondo comma dell'art. 107, l'art. 108 sia destinato a prevalere in parte qua sull'art. 586 anche in caso di procedura di vendita pubblicistica condotta dal giudice delegato. In altre parole: tanto nel caso di procedura di cui all'art. 107, comma 1, quanto nel caso di procedura ai sensi dell'art. 107, comma 2, le modalità di sospensione della vendita saranno sempre quelle dettate dall'art. 108.

Sulla possibile “ibridazione” dei due modelli

In base a quanto sinteticamente descritto nelle precedenti pagine, si può concludere che i due esposti modelli di vendita nella procedura fallimentare presentano, oramai, delle strettissime affinità strutturali.

Ed infatti, le sole differenze che emergono concernono: i) il diverso soggetto posto a capo della procedura: il curatore nel caso delle procedure competitive di cui all'art. 107, comma 1, il giudice delegato nelle procedure di vendita previste dal secondo comma; ii) la (apparente) diversa natura dell'atto di trasferimento del bene.

Per quanto riguarda il punto i) si tratta di una divergenza che, in realtà, tende ad assottigliarsi, essendo nella pratica le attività di vendita – condotte tanto con il modello privatistico quanto con quello affidato al giudice – affidate ad un professionista.

Per quanto riguarda invece il punto ii), secondo la dottrina maggioritaria (cfr. L. Iannicelli, Liquidazione “in senso stretto”, procedimenti di distribuzione del ricavato e rendiconto del curatore: profili processuali, in A. Jorio - B. Sassani (a cura di), Trattato delle procedure concorsuali, III, Milano, 2016, 445; G. Miccolis, La vendita dei beni, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali diretto da F. Vassalli, F.P. Luiso - E. Gabrielli, II, Torino, 2014, 720; C. Miraglia, Le vendite fallimentari: aspetti sostanziali, in Trattato di diritto fallimentare diretto da V. Buonocore - A. Bassi, Padova, 2011, 368; A. Stefani, Il ruolo del notaio nelle procedure competitive, in questo portale. Per la prassi v. le Linee guida alle vendite competitive nel fallimento elaborate dal CDOEC, febbraio 2016) esso costituirebbe uno - se non il più rilevante - tra i fattori di differenziazione. Per concludere il procedimento di vendita e quindi realizzare l'effetto traslativo in capo all'aggiudicatario sarebbe necessario, secondo questa ricostruzione, un atto privatistico – e quindi notarile per gli immobili – nel caso di procedura competitiva di cui al primo comma, mentre per la procedura di cui al secondo comma, alla luce dell'art. 586 c.p.c., il trasferimento del diritto consegue senza dubbio al decreto di trasferimento emesso del giudice delegato.

L'impossibilità di concludere la procedura competitiva di cui al primo comma con un decreto di trasferimento del giudice sarebbe imposta, secondo alcuni (Fazzari, L'atto notarile di trasferimento a seguito di vendita fallimentare, Studio CNN n. 16-2011/E, 8), dalla scelta del legislatore di prevedere all'art. 108, comma 2, l. fall. un autonomo e separato provvedimento del giudice delegato di cancellazione delle formalità pregiudizievoli, il cui contenuto è invece già previsto dall'art. 586, comma , c.p.c. per il decreto di trasferimento.

Sulla correttezza di tale ultima argomentazione, nonché su quella più ampiamente diffusa, fondata a ben vedere unicamente sul parallelismo tra “natura privata” della procedura e dell'atto conclusivo della medesima, è, tuttavia, possibile sollevare alcune perplessità.

Tale dicotomia - che corre sul crinale di una pretesa differenziazione delle procedure esecutive e di quelle fallimentari in relazione alla loro “natura”, rinvenibile anche nel dibattito circa l'applicabilità alle vendite fallimentari delle disposizioni di cui agli art. 2919 ss.c.c. - appare invero il frutto di un eccesso di concettualismo che non trova riscontro nei singoli dati normativi e del quale non si comprende appieno l'utilità (Concettualismo che appare essere lo stesso che ispira le disquisizioni, parimenti nutrite, in merito all'applicabilità alle vendite fallimentari ed esecutive concluse con atto notarile sia delle numerose disposizioni in tema di regolarità urbanistico-catastali richieste per i trasferimenti tra privati, sia, come appena accennato, delle disposizioni in tema di vendita forzata dettate dal codice civile agli artt. 2919 ss. L'argomentazione giuridica sovente utilizzata a tal fine pretende infatti di individuare le norme concretamente applicabili in virtù di una previa definizione sulla “natura” – pubblicistica o privatistica – di tali vendite. Per un esempio di tale tendenza e una ricognizione delle più recenti opinioni v. il contributo di G. Liotti, L'intervento notarile nel trasferimento di beni all'interno della procedura fallimentare: problemi formali ed applicativi, in Notariato, 2015, 47 ss. La questione dovrebbe invece essere affrontata secondo una prospettiva teleologica, interrogandosi sulla funzione svolta dalle vendite fallimentari, quale che sia, in concreto, il modello procedimentale adottato per giungere al perfezionamento delle stesse, v. in tal senso M. Perrino, La liquidazione dei beni nel fallimento e nei concordati mediante cessione, in Giur. comm., 2009, 680 ss; nonché A. Carratta, Liquidazione e ripartizione dell'attivo nel fallimento e tutela giurisdizionale dei diritti, parte prima, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, 853 ss. e, in particolare, la bibliografia citata alla nt. 44).

Se, infatti, è indubbio che la scelta di politica legislativa presupposta dall'intervento del 2006 è stata quella di semplificare le procedure di vendita fallimentare liberando il curatore dalla necessità di utilizzare i rigidi schemi dell'esecuzione forzata. Se, ancora, è altrettanto indubbio che il decreto correttivo del 2007 si sia mosso nella diversa e per certi versi opposta direzione di fornire agli operatori del settore la possibilità di utilizzare un modello procedimentale che richiama interamente, nei limiti della compatibilità, le norme del codice di rito. Si deve, allora, concludere, all'esito di una lettura di sintesi, che il sistema, ad oggi, prevede due distinti modelli: uno “deformalizzato” e uno “rigido” che comunicano tra di loro tramite un processo osmotico. Mentre, infatti, è corretto affermare che il modello “rigido” non può essere eccessivamente “contaminato”, pena il suo ridursi nel primo modello, nulla impedisce, di contro, di inserire nel primo, traendoli dal secondo, quegli elementi di rigidità ritenuti necessari, o quantomeno opportuni (Si è osservato in proposito che la tanto declamata “privatizzazione” operata dalle recenti riforme “anziché legittimare affrettate assimilazioni tra circolazione dei beni endo ed extra concorsuale, sollecita piuttosto l'interprete a procedere ad una sintesi necessaria nell'affrontare il tema della liquidazione concorsuale dei beni, fra: profili, problemi e prospettive negoziali; ed esigenze e regole del concorso. O, in altre parole: fra la considerazione della negozialità e della privatizzazione delle forme circolatorie; ed il riconoscimento della sostanza coattiva e forzata delle stesse vicende circolatorie, con conseguente applicazione, quantomeno parziale, del relativo regime delle vendite forzate”, v. M. Perrino, La liquidazione dei beni nel fallimento, cit.). Questo, del resto, si ritiene sia stato l'intento da ultimo perseguito dal legislatore del D.L. n. 83/2015 là dove, come osservato, ha innestato, questa volta sì obbligatoriamente, il modello deformalizzato con diretti richiami a disposizioni del codice di rito.

In conclusione, non si comprende per quale motivo non si possa prevedere, utilizzando il modello di cui al primo comma dell'art. 107, una procedura in cui la selezione dell'aggiudicatario è portata avanti con modalità competitive dal curatore e l'atto di trasferimento è emanato dal giudice. Là dove, di contro, l'utilità di tale modulo è più che evidente, comportando essa un risparmio di spesa complessiva (che sarebbe a carico dell'aggiudicatario) che si traduce in una maggiore appetibilità del bene posto in vendita (E v. al riguardo lo studio empirico condotto da A. Fiore, Le vendite fallimentari nelle procedure nuovo rito: un primo bilancio sugli effetti della riforma, in Riv. dott. comm., 2014, 361 ss. nel quale si sottolinea come nella prassi dei Tribunali, nella quale si riscontra in percentuale una netta preferenza per il modulo procedimentale di cui all'art. 107, comma 2, l. fall., tra i motivi di preferibilità vi sono il risparmio di spesa per l'aggiudicatario. In dottrina v. anche G. Bongiorno, La liquidazione dell'attivo nel fallimento e le c.d. «procedure competitive», in Dir. fall., 2012, I, 135 ss.). In termini più strettamente operativi, qualora si accedesse all'impostazione appena prospettata, ne conseguirebbe la necessità per il curatore di raccogliere, anche adiuvato dal professionista incaricato della stima, tutte le informazioni e i documenti necessari all'emanazione del decreto di trasferimento. Necessità, quest'ultima, del resto del tutto normale nell'ipotesi in cui si opti per la procedura di vendita secondo le norme del codice di rito.

Quanto osservato, si badi bene, non impedirebbe, in ipotesi di particolare complessità (beni dalla provenienza incerta, difformità catastali, problemi urbanistici) di ricorrere, al fine di evitare ogni intralcio, alla consolidata esperienza notarile cui affidarsi per la redazione dell'atto di trasferimento.

In ultimo, si segnala un'isolata pronuncia giurisprudenziale (Cfr. Trib. Pescara 3 aprile 2012, resa in una controversia ex art. 113-bis disp. att. c.c., - sulla scia di quanto osservato da U. Apice, Il Fallimento e gli altri procedimenti di composizione della crisi, Torino, 2012, 306 nt. 87 - secondo cui “la vendita fallimentare effettuata dal curatore ai sensi dell'art. 107, l. fall. è a tutti gli effetti equiparabile alla vendita effettuata nell'ambito della procedura esecutiva e poiché il curatore riveste qualifica di pubblico ufficiale, si deve ritenere che i verbali di aggiudicazione delle vendite da lui effettuate costituiscano titolo idoneo per la trascrizione delle medesime nei registri immobiliari” e, in modo ancor più esplicito, la circolare operativa del Trib. Pescara, 20 giugno 2013, la quale espressamente esclude la possibilità in caso di vendite competitive di avvalersi del decreto di trasferimento del giudice delegato), secondo la quale nella procedura competitiva di cui al primo comma il titolo di trasferimento potrebbe essere costituito, sic et simpliciter, dal verbale di aggiudicazione redatto dal curatore, in quanto pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede ex art. 2699 c.c.

Si è però ribattuto, in primo luogo, che sarebbe lo stesso dato normativo, e in particolare l'art. 108, comma 1, l. fall. là dove prevede la possibilità per il giudice delegato di “impedire il perfezionamento della vendita”, a impedire di considerare come avvenuto l'effetto traslativo già al momento dell'aggiudicazione, che, a ben vedere, costituisce momento necessariamente anteriore all'eventuale esercizio da parte del giudice delegato del detto potere di sospensione (S. Fazzari, L'atto notarile di trasferimento, cit., 7). In secondo luogo, da un punto di vista più eminentemente pratico, si è osservato che “se la funzione del titolo di acquisto è soprattutto quella di dare alle parti, ed ai terzi, certezza circa il diritto trasferito, non pare possa assolvere tale funzione un verbale di vendita che, invece, è atto finalizzato a documentare piuttosto il rispetto dei criteri di individuazione dell'acquirente” (S. Fazzari, L'atto notarile di trasferimento, cit., 8).

Le due obiezioni, però, non convincono.

Non la prima, in quanto, da un punto di vista strettamente esegetico, e senza voler entrare nelle ben note dispute che hanno affaticato e continuano ad affaticare i processualcivilisti in merito al momento in cui nell'esecuzione forzata si verificherebbe l'effetto traslativo in favore dell'aggiudicatario, l'eventuale mancato “perfezionamento della vendita” a seguito dell'intervento sospensivo del giudice delegato ex art. 108, comma 1, l. fall. va letto più in un'ottica procedimentale, come condizione ostativa alla conclusione del procedimento stesso, e non sembra necessariamente implicare la necessità di un successivo atto formale avente carattere traslativo.

Non la seconda, in quanto essa si basa essenzialmente su considerazioni di ordine meramente pratico e contingente che potrebbero essere agevolmente superate con una redazione anticipata da parte del curatore, ad esempio avvalendosi dell'ausilio del perito estimatore (In tal senso v. infatti la citata circolare operativa del Trib. Pescara (nt. 9), la quale richiede che la perizia di stima ex art. 107, 1 comma indichi: “titolarità, confini, cronistoria dati catastali, dati catastali, parti comuni, caratteristiche costruttive prevalenti, stato di occupazione, provenienze ventennali, formalità pregiudizievoli, profili urbanistici, regolarità edilizia, vincoli od oneri condominiali, stima/formazione lotti, formalità da cancellare con il decreto di trasferimento”), del verbale di aggiudicazione arricchendolo di tutti i requisiti necessari ad attuare l'effetto traslativo.

D'altra parte l'art. 2699 c.c. ai fini dell'identificazione della nozione legale di atto pubblico pone due soli requisiti: uno soggettivo, che l'atto sia formato da una pubblico ufficiale, e uno funzionale, per cui a tale pubblico ufficiale deve essere attribuita la potestà documentaria o attestativa. Ciò detto, non sussistendo dubbi sulla qualifica di pubblico ufficiale del curatore fallimentare, il dubbio potrebbe invece sorgere sulla attribuzione o meno a costui di una potestà certificatrice degli esiti della procedura competitiva. Tutto ciò senza considerare, ma il punto meriterebbe un trattazione ben più approfondita di quella consentita dall'economia del presente lavoro, che in virtù del carattere non tassativo della definizione posta dall'art. 2699 c.c. è ben possibile che le condizioni di esistenza e conoscibilità di un potere certificativo con effetti erga omnes siano normalmente desunte aliunde e che, nel caso di specie, dette condizioni ben potrebbero essere desunte dallo stesso art. 107, comma 1, l. fall. che attribuisce al curatore la cura e la direzione della procedura competitiva.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario