Il rapporto tra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e la dichiarazione di fallimento

23 Novembre 2016

Ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l'esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l'agente abbia cagionato il depauperamento dell'impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività sì da esporre a concreto pericolo il soddisfacimento delle ragioni creditorie.
Massima

Ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l'esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l'agente abbia cagionato il depauperamento dell'impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività sì da esporre a concreto pericolo il soddisfacimento delle ragioni creditorie. (In motivazione la Corte ha precisato che il pericolo di un pregiudizio per i creditori non assume la concretezza richiesta dal dato normativo allorché il soggetto impoverisca una società di risorse enormi quando questa può comunque continuare a disporne di ben più rilevanti, al contrario dell'ipotesi in cui l'imprenditore si renda responsabile di una distrazione modesta ma a fronte di un patrimonio suscettibile di risentirne significativamente).

Il caso

Nella vicenda sottoposta all'attenzione della Suprema Corte all'imputato era contestata una pluralità di fatti di bancarotta fraudolenta per distrazione nonché il delitto di cui all'art. 223, comma 2, n. 1) l. fall. per avere concorso a cagionare il fallimento della società esponendo nei bilanci fatti non corrispondenti al vero.

I Giudici di merito, segnatamente, ritenevano provata la responsabilità penale dell'imputato in quanto questi - tramite la costituzione di una società che aveva lo stesso oggetto sociale della fallita, che operava negli stessi locali ed utilizzava macchinari e forza lavoro della società fallita senza corrisponderle alcun canone e comunque a mezzo di specifiche condotte distrattive nel dettaglio contestate - aveva depauperato detta ultima società a vantaggio di quella di nuova costituzione.

Le osservazioni in argomento, in ultimo, erano condivise anche dalla Corte di Cassazione, la quale riteneva infondati tutti i motivi di ricorso ed in particolare sia quelli fondati su un asserito difetto di prova circa l'esistenza di un contributo offerto dall'imputato nella commissione dei fatti delittuosi contestati, sia, per ciò che qui maggiormente interessa, quello fondato su una supposta inosservanza ed erronea applicazione da parte del Giudice di appello degli artt. 40 e 43 c.p.

La questione

L'appena menzionato motivo di ricorso, secondo cui la Corte di Appello (come del resto già il Giudice di primae curae) avrebbe fatto cattiva applicazione degli artt. 40 e 43 c.p., sottende una censura del ricorrente fondata sulla mancata osservanza, da parte della sentenza impugnata, di quanto statuito nella nota sentenza della Suprema Corte (Cass. 24 settembre 2012, n. 47502, in Cass. pen., 2013, 1429 con nota di Sandrelli, Note critiche sulla necessità di un rapporto di causalità tra la condotta di distrazione e lo stato di insolvenza nel delitto di bancarotta “propria”), secondo la quale nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione disciplinato dall'art. 216, comma 1, n. 1) l. fall. lo stato di insolvenza che origina il fallimento costituisce evento del reato, sicché deve porsi in rapporto causale con la condotta dell'agente e deve essere, altresì, sorretto dall'elemento soggettivo del dolo.

Fin da subito si coglie l'importanza degli assunti in argomento, discutendosi della nota questione costituita dal rapporto tra la struttura del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale ed i principi di offensività e colpevolezza. Com'è parimenti noto, infatti, la tradizionale giurisprudenza di legittimità, pur qualificando la dichiarazione di fallimento nei termini di elemento costitutivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale (e non già di condizione obiettiva di punibilità), la ritiene indipendente dall'atteggiamento psichico dell'agente né pretende che derivi causalmente dalla condotta; ne consegue il rischio che si possa giungere a sanzionare condotte remote rispetto all'insolvenza.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, nella sentenza qui annotata, aderisce ancora una volta al tradizionale orientamento giurisprudenziale, peraltro neppure menzionato nel corpo del ricorso dall'imputato, escludendo che l'insolvenza costituisca evento del reato (così in ultimo anche Cass. Sez. Un., 27 maggio 2016, n. 22474), in particolare osservando quanto segue:

1) il reato di cui all'art. 216, comma 1, n. 1) l. fall. diverge strutturalmente da quello di bancarotta impropria societaria disciplinato dall'art. 223, comma 2, l. fall., nel quale il legislatore ha inteso conferire immediato rilievo a condotte che cagionino o concorrano a cagionare il dissesto della società;

2) l'art. 223, comma 2, l. fall. neppure appare interpretabile quale norma di chiusura con funzioni interpretative dell'intero sistema sanzionatorio, giacché se il legislatore avesse avvertito l'esigenza di riformare le varie previsioni incriminatrici in tema di bancarotta lo avrebbe fatto in occasione della riforma di detto art. 223, comma 2, l. fall. operata nel 2002, e del resto, se già l'art. 216 comma 1, n. 1) l. fall. fosse legato eziologicamente al fallimento, non vi sarebbe più necessità di reprimere le condotte di chi abbia cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società;

3) il precetto normativo di cui all'art. 216, comma 1, n. 1) l. fall., al contrario, sanziona le condotte che abbiano depauperato l'impresa in ragione di iniziative non giustificabili col fisiologico esercizio dell'attività imprenditoriale sì da giungere a pregiudicare effettivamente le ragioni creditorie, con l'ulteriore conseguenza che la bancarotta fraudolenta patrimoniale deve qualificarsi come reato di pericolo concreto.

Osservazioni

Le conclusioni appena riportate cui è giunta la Suprema Corte appaiono pienamente condivisibili; invero il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale si contraddistingue per una diminuzione indebita del patrimonio dell'impresa che giunga a fallimento, il quale non costituisce evento del reato, cui consegue un nocumento alle ragioni creditorie, giacché detto patrimonio ne costituisce garanzia secondo il principio generale di cui all'art. 2740 c.c.

Peraltro la questione concernente la reale dimensione offensiva del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, così come strutturato dal legislatore, non può certo dirsi sopita, in quanto già si è detto del rischio che si possa giungere a sanzionare fatti remoti rispetto all'insolvenza, ovvero commessi in momenti in cui potrebbe apparire ben difficile attribuire loro una effettiva capacità lesiva, anche soltanto in termini di nocumento potenziale delle ragioni creditorie, potendo ragionevolmente ritenere il soggetto agente di disporre ancora di un patrimonio residuo sufficiente a soddisfare le obbligazioni in scadenza.

Si comprende quindi l'importanza di una verifica circa la capacità concretamente lesiva della condotta delittuosa, sì che davvero essa sia idonea a costituire pericolo per gli interessi dei creditori e cioè che appaia probabile, secondo un giudizio ex ante a base totale, che ad essa segua l'evento pregiudizievole. Un simile giudizio di pericolosità, in effetti, appare valorizzato nella sentenza qui annotata, la quale, richiamando esattamente quanto sostenuto in altra recente pronuncia della stessa quinta sezione (cfr. Cass. 16.12.2015, n. 49622), giunge a sostenere l'insussistenza del fatto allorché il soggetto impoverisca una società di risorse enormi quando questa può comunque continuare a disporne di ben più rilevanti, idonee a fornire garanzia per le possibili pretese creditorie, giacché in questo caso (a differenza dell'ipotesi dell'imprenditore che si renda responsabile di una distrazione modesta, ma a fronte di un patrimonio suscettibile di risentirne significativamente) il pericolo di un pregiudizio per i creditori non assumerebbe la concretezza richiesta dal dato normativo.

Si delinea quindi, correttamente, la necessità che, ai fini del giudizio circa la tipicità del fatto, la condotta conduca alla sottrazione del bene alla garanzia patrimoniale, anche se un giudizio prognostico di pericolo fondato su valutazioni di carattere meramente quantitativo appare non del tutto esaustivo; invero, la valutazione quantitativa costituisce parte, ancorché senza dubbio particolarmente rilevante, di una più ampia analisi del fatto che si assume delittuoso, la quale deve avere ad oggetto la finalità dell'azione, come pure viene ribadito nella sentenza in commento, nonché le condizioni tutte in cui si trovava l'impresa al momento della condotta, quali il suo avviamento e la situazione debitoria anche di prossima e ragionevole verificazione, le condizioni di mercato e perfino la posizione sociale dell'imprenditore e con essa la credibilità della quale questi ancora gode. Si comprende infatti che, nell'ipotesi in cui tali valutazioni si concludano con esito negativo per l'impresa, la sussistenza di risorse enormi appaia comunque inidonea ad eccettuare l'offensività del fatto in ragione di una insolvenza ormai inevitabile.

In conclusione, peraltro, pare possibile osservare come il caso di specie che ha originato la decisione in commento (costituzione di una società col medesimo oggetto sociale della fallita, che operava negli stessi locali ed utilizzava i macchinari e la forza lavoro della medesima società fallita senza corrisponderle alcun canone) presentasse le note e non infrequenti caratteristiche di un'azione delittuosa commisurata non tanto al valore dell'oggetto della distrazione, sì da quantificare il conseguente danno in termini per così dire statici, bensì apprezzabile in una prospettiva dinamica, tendendo a depauperare la garanzia patrimoniale non tanto di singole utilità quanto piuttosto dell'intero compendio dei beni aziendali, comprensivo di avviamento commerciale, clientela e know how (risultato cui può giungersi, in termini nella sostanza analoghi, anche tramite la stipulazione di contratti di cessione d'azienda a prezzo vile, simulato o comunque non corrisposto, ovvero tramite la stipulazione di contratti di affitto d'azienda stipulati a canone vile, simulato, non corrisposto od ancora per finalità del tutto estranee all'attività imprenditoriale), onde perseguire lo scopo della continuazione dell'attività imprenditoriale mediante la costituzione di un nuovo soggetto beneficato dal conferimento dei menzionati beni aziendali ed al netto delle passività in precedenza accumulate dalla fallita ed a questa lasciate. Non appare arbitrario dunque ritenere, anche se ciò non pare essere stato oggetto di approfondimento nel corso delle indagini, che le condotte dell'imputato potessero aver anche integrato quelle operazioni dolose atte a cagionare il fallimento di cui all'art. 223, comma 2, n. 2) l. fall., sì pure prospettandosi la sussistenza del reato di bancarotta societaria da quest'ultima norma disciplinato.

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