Linee di credito autoliquidanti e scioglimento ex art. 169 bis l.fall.

Valeria Bisignano
07 Dicembre 2016

Qualora una società, in sede di ammissione alla procedura di concordato preventivo in continuità, venga autorizzata allo scioglimento, ex art. 169-bis L.F., di alcuni contratti bancari assicuranti linee di credito autoliquidanti, allo scioglimento del rapporto principale consegue anche quello di tutti i patti accessori, incluso il patto di compensazione.
Massime

1. Qualora una società, in sede di ammissione alla procedura di concordato preventivo in continuità, venga autorizzata allo scioglimento, ex art. 169-bis l.fall., di alcuni contratti bancari assicuranti linee di credito autoliquidanti, allo scioglimento del rapporto principale consegue anche quello di tutti i patti accessori, incluso il patto di compensazione.

2. In sede di reclamo avverso il decreto del tribunale che, pendente una procedura di concordato preventivo, ha autorizzato lo scioglimento di alcuni contratti ex art. 169-bis l.fall., non è consentito all'altro contraente, cui sia stata data rituale comunicazione dell'istanza avanzata dal proponente e che, nel termine concesso, non abbia presentato controdeduzioni di sorta, di dolersi della ristrettezza del detto termine. Ciò poiché l'art. 169-bis l.fall. si limita a prescrivere, senza alcuna formalità specifica, la sua mera audizione.

3. La mancata inclusione dei contratti bancari tra quelli cui, ai sensi del IV comma dell'art. 169-bis l.fall., non si applica il predetto articolo, comporta la piena applicabilità di quest'ultimo.

4. Nell'ambito di una procedura di concordato preventivo, in caso di richiesta di scioglimento ai sensi dell'art.169-bis l.fall. di contratti bancari di anticipazione di fatture con annesso patto di compensazione, l'accertamento demandato al Tribunale si risolve nella verifica della funzionalità della richiesta rispetto alla realizzazione del piano concordatario ed all'interesse della massa dei creditori alla tenuta del piano stesso.

Il caso

Il Tribunale di Bergamo ammetteva una società per azioni alla procedura di concordato preventivo in continuità, autorizzando tra l'altro, ai sensi dell'art. 169-bis l.fall.., lo scioglimento di alcuni contratti bancari, già sospesi in fase di domanda prenotativa inizialmente avanzata. Tali contratti, che assicuravano linee di credito autoliquidanti, prevedevano – secondo lo schema tipico di operazioni siffatte – una combinazione di negozi collegati: cioè l'anticipazione parziale della somma oggetto del credito del cliente su presentazione di fattura, nell'ambito di un contratto di apertura di credito, dietro conferimento, da parte del cliente alla banca, di un mandato all'incasso in rem propriam del credito oggetto dell'anticipazione; mandato assistito da un patto di compensazione tra il credito della banca per l'avvenuta anticipazione e il debito della stessa banca derivante dall'incasso del credito oggetto dell'anticipazione

Gli istituti di credito interessati proponevano reclamo avverso il decreto di autorizzazione, chiedendone la revoca od in subordine che si disponesse lo scioglimento dei contratti in questione senza pregiudizio per i mandati all'incasso ed il patto di compensazione relativi alle anticipazioni precedentemente eseguite. In particolare, eccepivano la ritenuta violazione del contraddittorio, per la eccessiva ristrettezza dei termini concessi a difesa, e nel merito allegavano l'inapplicabilità dell'art. 169-bis ai contratti bancari (o in subordine l'efficacia solo ex nunc dello scioglimento) e l'omessa verifica di coerenza del tribunale tra lo scioglimento ed il contenuto del piano. La Corte di Appello di Brescia adita rigettava il reclamo, ritenendo infondati tutti i motivi di censura.

La questione

I due provvedimenti in rassegna affrontano una serie di questioni assai dibattute in giurisprudenza ed in dottrina, tra le quali meritano approfondimento: 1) il concetto di pendenza contrattuale ex art. 169-bis l.fall. novellato; 2) il problema dell'ammissibilità dello scioglimento dei contratti bancari c.d. autoliquidanti; 3) la questione dell'operatività e della validità della clausola di compensazione, agli stessi contratti connessa, post scioglimento.

A tali problemi, il Tribunale di primo grado fornisce una soluzione articolata, ritenendo: (i) integrato il presupposto della previa instaurazione del contraddittorio, atteso che le banche avevano avuto rituale comunicazione dell'istanza, senza presentare alcuna controdeduzione nei termini concessi; (ii) che le linee di credito autoliquidanti con mandato all'incasso e patto di compensazione dovessero intendersi come complesso di negozi giuridici strettamente connessi; (iii) che, conseguentemente, fossero da ritenere pendenti tali contratti siccome “non interamente eseguiti da entrambe le parti”; (iii) che lo scioglimento di detti contratti fosse coerente con il contenuto del piano e con l'interesse dei creditori, rinviando ad un giudizio ordinario il profilo relativo alla quantificazione dell'indennizzo previsto dalla legge.

La complessiva soluzione viene condivisa dai giudici di secondo grado, secondo i quali è pacifica, dal tenore letterale dell'art. 169-bis, la sua applicabilità anche ai contratti bancari; con l'ulteriore conseguenza che lo scioglimento del negozio principale non può che comportare quello di tutti i patti accessori, compreso il patto di compensazione invocato dai reclamanti. Inoltre, per il Collegio lo scioglimento appare funzionale al contenuto della proposta, non basata sulla prosecuzione delle linee autoliquidanti, ma sull'intervento di un terzo assuntore; e si dimostra privo di censure il provvedimento di primo grado, nella parte in cui ha garantito ai contraenti istituti bancari un seppur esiguo ma sufficiente termine per eventuali controdeduzioni.

Il presente contributo si propone di compiere una breve riflessione sui nodi problematici sottesi a fattispecie del tipo in discorso, anche e soprattutto alla luce delle modifiche all'art. 169-bis apportate dall'art. 8 del D.L. 27 giugno 2015, n. 83 (modificato dalla legge di conversione del 6 agosto 2015, n. 132), applicabile, ratione temporis, al caso di specie. Il Decreto ha difatti modificato la rubrica dell'art. 169-bis, denominandola “contratti pendenti”, consentendo così ai primi commentatori di richiamare la nozione di rapporti pendenti di cui all'art. 72 l.fall. ed escludendo che la sospensione o lo scioglimento possano essere richiesti con riguardo ai contratti unilaterali o a quelli già compiutamente eseguiti da una sola parte al momento dell'apertura della procedura.

Si tratta in particolare di comprendere se è ancora configurabile l'esistenza in capo all'imprenditore del diritto potestativo (in tal modo qualificato da Tribunale di Monza, 27 novembre 2013, n. 12609) di richiedere al Tribunale (o al G.D. dopo l'ammissione alla procedura) l'autorizzazione allo scioglimento (o alla sospensione) di quei contratti di anticipazione bancaria su crediti pendenti al momento della domanda, pur in mancanza del fisiologico rientro della banca. L'interrogativo è cioè se tali contratti siano qualificabili come “pendenti” ove l'erogazione sia avvenuta prima della presentazione del ricorso, senza che la banca abbia proceduto all'incasso del credito ceduto.

Con riguardo all'ambito di applicazione della norma, precedentemente alla riforma del 2015 era dibattuto se il lemma “contratti in corso di esecuzione” dovesse essere interpretato in modo più ampio rispetto a quello dell'art. 72 l.fall. (contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti da entrambe le parti quando è dichiarato il fallimento nei confronti di una di esse).

A seguito dell'opera di ridefinizione legislativa del 2015, della cui portata “controriformista” molto si discute (cfr. Ambrosini S., La disciplina della domanda di concordato preventivo nella “miniriforma” del 2015, in Ilcaso.it.), il contrasto sembra definitivamente sopito, con la riconduzione (pare) ad unità della nozione di “pendenza” del rapporto tanto nel fallimento, tanto nel concordato preventivo.

Di guisa che contratti pendenti, suscettibili di scioglimento in entrambe le procedure, saranno da considerarsi solo quei contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti da entrambe le parti alla data di presentazione del ricorso, ovverosia contratti a prestazioni corrispettive bilateralmente ineseguiti.

Tale assunto è destinato ad incrinare la tenuta dell'interpretazione prevalente ante riforma, secondo cui l'art. 169-bis l.fall.. permetteva al debitore lo scioglimento anche di rapporti nei quali solo una delle prestazioni non fosse stata compiutamente eseguita, orientamento che traeva origine proprio da controversie aventi ad oggetto anticipazione bancarie concesse a fronte di cessioni di crediti ovvero mandati all'incasso.

Il decreto del Tribunale di Bergamo sul punto sembra accogliere una nozione lata di pendenza, là dove rileva che “l'esame dei regolamenti dei contratti in esame, che assicurano linee di credito auto liquidanti, consente di ritenere i negozi in parola rientranti a pieno titolo nel novero dei contratti pendenti, in quanto non interamente eseguiti da entrambe le parti”; dal che il Collegio bresciano, come detto, fa derivare l'automatico scioglimento altresì dei patti accessori, tra cui quello di compensazione.

Le soluzioni giuridiche

Preliminarmente, è opportuno delineare il quadro di indagine. Le questioni che vengono in rilievo sono essenzialmente tre, riassumibili come segue.

a) In ragione del peculiare atteggiarsi della nozione di “pendenza”, di cui al novellato art. 169-bis l.fall., i contratti bancari autoliquidanti possono, pur in mancanza di riscossione dei crediti anticipati da parte della banca (id est del suo fisiologico rientro), considerarsi pendenti in quanto non completamente eseguiti reciprocamente?

b) In caso positivo, il mandato all'incasso con annesso patto di compensazione a favore della banca deve anche esso considerarsi sciolto, unitamente al contratto cui accede ove disciolto ai sensi dell'art. 169-bis l.fall., con efficacia ex tunc,o deve invece ritenersi che lo stesso sopravviva, siccome stipulato prima dell'ammissione del debitore alla procedura?

c) Quale criterio deve seguire il Tribunale nella valutazione della meritevolezza dell'istanza di autorizzazione allo scioglimento del rapporto pendente?

Sin dalle prime prassi operative, frequenti sono state le applicazioni dell'art. 169-bis al settore bancario, con particolare riguardo ai contratti di finanziamento atipici ed ai cc.dd. “contratti di liquidità” (denominazione proposta per la prima volta da Ferro Luzzi P., Lo sconto bancario, in Riv. dir. comm., I, 1977) categoria eterogenea nella quale trovano collocazione per l'appunto le linee di credito “autoliquidanti”.

Come detto, nella formulazione originaria, la rubrica e il primo comma della disposizione facevano riferimento ai “contratti in corso di esecuzione” e la diversa locuzione allora rinvenibile rispetto a quella della rubrica dell'art. 72 l.fall. (rapporti pendenti) aveva animato il dibattito in ordine al diverso ambito di applicazione delle due norme.

Mentre una parte della dottrina e della giurisprudenza (App. Genova, decr. 10 febbraio 2014, in questo portale, con nota di Staunovo Polacco, Preconcordato: sospensione e scioglimento dei contratti prima della presentazione del piano; Trib. Genova, decr. 4 novembre 2013, in Fall. 793 ss.; Fabiani m., Per una lettura costruttiva della disciplina dei contratti pendenti nel concordato preventivo, in Ilcaso.it, 2013; Inzitari B., Contratti in corso di esecuzione nel concordato: art. 169-bis l.fall., in questo portale) riteneva che l'art. 169-bis consentisse lo scioglimento anche dei contratti rispetto ai quali una delle prestazioni fosse stata compiutamente eseguita (concludendo per la possibilità del debitore di sciogliersi dal contratto di anticipo, anche nel caso in cui la banca avesse già erogato il credito ma non provveduto all'incasso), altra opzione ermeneutica faceva coincidere semanticamente le due locuzioni normative, inferendone l'impossibilità di scioglimento dei rapporti di anticipazione qualora la prestazione di una delle due parti (solitamente la banca) fosse già stata eseguita, per il venir meno del sinallagma negoziale (F. Lamanna, La nozione di “contratti pendenti” nel concordato preventivo, in www.ilFallimentarista, 7 Novembre 2013).

La novella del 2015 ha apportato, per quanto qui interessa, due rilevanti variazioni alla norma. È stata modificata la sua rubrica (da “contratti in corso di esecuzione” a “contratti pendenti”) ed è stata sostituita l'espressione “contratti in corso di esecuzione” con quella “contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti”.

Tendenzialmente univoci sono apparsi i primi commenti (Martinelli M., L'art. 169 bis l.f. dopo la novella del d.l. 83/2015 (convertito, con modificazioni, dalla l. n. 132/2015): the king is dead?, in Ilcaso.it, 20 ottobre 2015, 14; F.Lamanna, La legge fallimentare dopo la miniriforma del D.L. n. 83/2015, in IL CIVILISTA, 2015; Varotti L., Appunti veloci sulla riforma 2015, ivi, 18 agosto 2015, 10 ss.): in adesione all'orientamento giurisprudenziale (seppur solo di merito) prevalente, il legislatore ha voluto adottare l'impostazione più restrittiva tra le due sopra citate, con la conseguenza che soggetti a scioglimento o sospensione nel concordato sono solo i rapporti sinallagmatici inseguiti, in tutto o in parte, da entrambi i contraenti.

Da questo angolo prospettico sono senz'altro degni di rilievo i due decreti che si commentano (relativi ad un ricorso ex art. 161, comma 6, l.fall.), che qualificano tali negozi come pendenti siccome non ancora eseguiti da entrambe le parti, nonostante l'effettiva erogazione di una porzione del credito da parte degli istituti di credito, ancora in attesa di procedere all'incasso.

Per vagliare la correttezza di tale percorso argomentativo, deve esaminarsi la fattispecie negoziale di specie nel suo complesso, soffermandosi sulla natura del finanziamento concesso dalla banca al debitore che ha avuto accesso al concordato preventivo. Ciò per accertare, nel rispetto della natura giuridica del tipo contrattuale e del suo collegamento funzionale al risultato economico realmente perseguito dalle parti, se ed a partire da quale momento la fase esecutiva del rapporto di finanziamento sia già esaurita ex uno latere (della banca, in ipotesi ormai interessata al solo incasso) ovvero non ancora completamente eseguita bilateralmente.

Tramite la fattispecie negoziale in esame, la banca anticipa al cliente l'importo di crediti non ancora scaduti che egli vanta nei confronti di terzi. La prassi distingue due tipi di anticipazione, semplice ed in conto corrente. Mentre nel primo caso (c.d. “anticipazione a scadenza fissa”) in capo alla banca si individua l'obbligo di fornire l'intera somma di danaro al momento della conclusione del contratto, che il sovvenzionato ha diritto di prelevare in un'unica soluzione, nel secondo caso la somma viene appunto accreditata in un conto corrente intestato al cliente anticipato, con facoltà di operare prelievi in più tranches e obbligo di restituire un importo pari al saldo debitorio. In tal caso pertanto la banca mette a disposizione un determinato fido ed il cliente ha possibilità di attingervi a più riprese.

A sua volta, l'anticipo può avvenire o tramite cessione pro solvendo dei crediti (ove entrambe le prestazioni risultano immediatamente esaurite) ovvero tramite il conferimento alla banca da parte del cliente di un mandato irrevocabile ad incassare direttamente il credito anticipato, senza trasferirne la titolarità ma solo la legittimazione alla riscossione.

Ciò che è essenziale è pertanto il collegamento negoziale tra l'anzidetta apertura di credito ed il contratto di mandato in rem propriam, che funge da controprestazione dell'apertura del credito (garantendo alla banca il rientro dell'anticipazione, cfr. Trib. Monza, 27 novembre 2013, n. 12609, cit.), cui si accompagna un patto di compensazione tra il credito restitutorio derivante dalle anticipazioni della banca ed il debito che trova titolo nelle riscossioni.

Per giurisprudenza maggioritaria (Trib. Milano, 19 marzo 2013, in Riv. dott. comm., 2013, 681; Trib. Verona, 30 gennaio 2013, in Il Fallimento., 2013, 623; Trib. Vicenza, 25 giugno 2013, in Ilcaso.it) in tali fattispecie il sinallagma è solo genetico e non funzionale: una volta che la banca mette a disposizione del beneficiario la somma pattuita, ciò che residua è esclusivamente la prestazione restitutoria a carico di quest'ultimo, tanto che non manca chi li assimila, sul piano fattuale, a fattispecie unilaterali. In tal senso, gli eventuali obblighi accessori della banca (ad esempio quelli di rendiconto o di gestione) non inciderebbero sulla struttura fondamentale del rapporto: ciò che può ravvisarsi in tali fattispecie è una sola prestazione, non diversamente da quanto avviene nel mutuo.

Altra minoritaria giurisprudenza (Trib. Busto Arsizio, 11 febbraio 2013, in Ilcaso.it; Trib. Monza 8 agosto 2013, ivi; Trib. Genova, 4 novembre 2013, ivi; nella dottrina più recente, De Pra A., Concordato preventivo e contratti in corso (con uno sguardo ai contratti bancari), in Giur. comm., 2014, II,55 ss.) ha ritenuto che tali fattispecie siano rapporti perfettamente bilaterali, permanendo comunque, durante l'intero rapporto, attività anche a carico della banca, quali l'incasso dei crediti, la loro compensazione e più in generale l'obbligo di tenere un comportamento diligente.

Invero, la struttura negoziale poco riguarda la questione dell'applicabilità dell'art. 169-bis.

Come rilevato dalla giurisprudenza (anche quella in commento), il contratto di anticipazione va valutato quale insieme unitario di pattuizioni connesse e dipendenti; in tal senso, ove, al momento della richiesta di scioglimento da parte del debitore, l'istituto abbia erogato solo parte del relativo importo e i crediti ceduti debbano ancora essere incassati, le reciproche prestazioni delle parti non possono dirsi esaurite, poiché perdura anche in capo alla banca l'obbligazione consistente nell'anticipare, entro i limiti del fido pattuito, nuova carta commerciale.

In applicazione di tale principio, può definirsi contratto pendente, bilateralmente ineseguito il contratto di anticipazione che rappresenti una modalità di erogazione di una più ampia apertura di credito regolata in conto corrente ed utilizzata dal cliente sotto forma di anticipo di singole fatture, in relazione al quale non risultino del tutto esaurite la prestazione principale della banca e l'esazione integrale di tutti i crediti in forza di mandato all'incasso.

Ciò con conseguente possibilità di scioglimento ai sensi dell'art. 169-bis l.fall. e venir meno - dalla data dell'autorizzazione - degli obblighi inerenti al contratto di conto corrente, del diritto della banca di incassare i crediti ai sensi del mandato all'incasso, nonché della possibilità di effettuare la compensazione nei confronti dell'imprenditore, in quanto patto accessorio inevitabilmente influenzato dalle vicende del suo principale.

Analoghe considerazioni, secondo molte decisioni, valgono pure nel caso in cui la banca abbia erogato l'intero ammontare oggetto dell'anticipazione, ma residuino le pattuizioni relative al conto corrente (che continuerebbe a trovare esecuzione) ed al mandato all'incasso con il relativo patto di compensazione. Considerato cioè il negozio in modo unitario e tenuto conto che più prestazioni devono ancora trovare attuazione, non potrebbe neppure in tal caso negarsi la sussistenza di un contratto pendente suscettibile di scioglimento.

Accogliendo tale tesi, e concludendo per la possibilità dello scioglimento dei contratti al loro esame, anche i due provvedimenti, ed in particolare quello della Corte di Appello di Brescia, pervengono ad affrontare il tema della validità del “patto di compensazione” ad essi annesso, in forza del quale la banca che abbia anticipato, in tutto o in parte, crediti rappresentati da effetti presentati dall'imprenditore prima della domanda di concordato preventivo affinchè se ne curi l'incasso, ha diritto di trattenere quanto pagato dal terzo debitore fino a concorrenza del proprio credito restitutorio derivante dalla concessa anticipazione (con la doverosa precisazione che il meccanismo configurato integra una fattispecie di natura compensatoria in senso improprio. In argomento si veda, fra i contributi più recenti, Cederle V., Anticipazione di crediti e concordato preventivo: la banca mandataria tra obblighi restitutori e patto di compensazione, in Il Fallimento, 2010).

A seguito dell'introduzione nel 2006 della norma in commento, una cospicua giurisprudenza ha sostenuto fermamente l'inefficacia di tale patto in seguito a sospensione/scioglimento del contratto di anticipazione bancaria, così solo “neutralizza(ndosi) gli effetti dei contratti in essere ritenuti pregiudizievoli, con conseguente effetto caducatorio dei patti (principali ed accessori) assunti precedentemente”, in linea con la volontà del debitore di “paralizzare l'incasso delle somme da parte della banca, al fine di non alterare la parcondicio ed il principio di cristallizzazione del passivo alla data di deposito del ricorso” (Cfr. Tribunale di Monza, 27 novembre 2013, n.12609, cit.; analogamente Tribunale di Treviso, 18 luglio 2014, in FallimentieSocietà.it). In tal senso, “l'acquisizione diretta da parte dell'imprenditore della liquidità riveniente dall'incasso dei crediti anticipati dalla banca viene giustificata in quanto funzionale a costituire le disponibilità necessarie per l'attuazione del piano concordatario, secondo i dettami della par condicio creditorum” (Cederle V., Concordato con riserva: applicabilità dell'art. 169 bis L.F. ai contratti bancari autoliquidanti, in Il Fallimento, 2014, 7, 800).

Ed infatti, ai sensi degli artt. 167, 169 e 169-bis l.fall., dalla data di pubblicazione o di deposito della domanda di concordato, l'imprenditore conserva l'amministrazione del suo patrimonio, fermo il divieto di porre in essere pagamenti di crediti concorsuali - sorti precedentemente all'ammissione alla procedura - operando il citato principio di cristallizzazione della massa passiva. Così, l'esclusione della compensazione tra un credito precedente l'apertura della procedura e un debito ad essa successivo trova ratio nell'esigenza di tutela della par condicio, “violata non solo dai pagamenti eseguiti dal debitore successivamente alla dichiarazione di fallimento o nel c.d. periodo sospetto, ma da qualsiasi atto estintivo di un debito a lui riferibile, sia pure indirettamente, in quanto effettuato con suo denaro o per suo incarico (…) o in suo luogo. A quest'ultima categoria va ricondotto il pagamento eseguito dal terzo debitore in favore del creditore del fallito” (Cfr. Cass., 20 agosto 2014, n. 18051). Il pagamento fatto dal debitore dell'imprenditore in concordato preventivo tramite accredito sul suo conto corrente con saldo passivo si sostanzia cioè in un pagamento a favore della banca, che trattiene l'accredito compensandolo contabilmente con il saldo passivo dell'imprenditore.

Allo stesso modo, e contrariamente a quanto sostenuto nel caso di specie dagli istituti di credito reclamanti, l'operatività del patto di compensazione si porrebbe in contrasto con l'art. 56 l.fall. così come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., 7 maggio 2009, n. 10548; Cass., S.U., 16 novembre 1999, n. 775, secondo cui la compensazione non può operare quando i fatti genetici dei rispettivi crediti che vogliono portarsi in compensazione non siano entrambi preesistenti all'apertura della procedura concorsuale). Tale anteriorità manca nei casi in cui l'incasso del credito da parte della banca avvenga dopo la presentazione della domanda di concordato.

A differenza dell'ipotesi di cessione del credito regolarmente notificata al debitore ceduto, il mandato all'incasso non determina il trasferimento del credito in favore del mandatario, ma l'obbligo di quest'ultimo di restituire al mandante la somma riscossa. Obbligo che non sorge al momento del conferimento del mandato, ma soltanto all'atto della riscossione del credito (che nel caso di specie sarebbe avvenuto successivamente alla presentazione della domanda di concordato).

Di conseguenza, in tali ipotesi, non sussistendone i presupposti, la compensazione, pur se convenzionalmente pattuita, non può operare.

Più recenti arresti tuttavia si muovono in senso contrario, riprendendo gli insegnamenti della Cassazione (ci si riferisce a Cass., 1 settembre 2011, n. 17999 , invero anteriore all'introduzione dell'art. 169-bis; in dottrina Tarzia G., Riscossione di crediti ‘‘anticipati'' dalla banca, ed efficacia del patto di compensazione nel concordato preventivo, in Il Fallimento, 2012, 586, ove altri riferimenti): in tal senso, nonostante il contratto di anticipazione rientri nel perimetro applicativo dell'art. 169-bis l.fall., in presenza del c.d. “patto di compensazione” la banca avrebbe comunque diritto di invocarne l'operatività, a nulla rilevando l'anteriorità del credito, né a ciò ostando il principio di cristallizzazione dei crediti.

Parte della dottrina inoltre si è spinta sino a qualificare l'istanza ex art. 169-bis l.fall. (sempre in riferimento ai contratti di anticipazione bancaria) come una sorta di “revocatoria per vie brevi” (Cfr. Ambrosini S., Gli effetti dell'ammissione al concordato e i contratti in corso di esecuzione, in FallimentieSocietà.it, 2014, 23).

Secondo questa tesi, il rimedio concesso dalla norma permetterebbe di far cessare l'operatività del vincolo contrattuale per il futuro, ma non sarebbe passibile di applicazioni retroattive. Il debitore istante avrebbe come scopo non già la tutela della par condicio creditorum, ma la restituzione degli importi trattenuti dalla banca (cfr. Tribunale di Cuneo, 14 novembre 2013, in Ilcaso.it, 9902 ed anche Tribunale Terni, 12 ottobre 2012, ivi, 8036). In tal caso, in seno al rapporto contrattuale, si produrrebbe un evidente squilibrio, dovuto al fatto che il debitore concordatario, prima dell'apertura della procedura concorsuale, attinge al credito bancario facendosi anticipare crediti di cui poi chiede l'incasso. Così rischiando appunto di “convertire” l'art. 169-bis L.F. in una sorta di surrogato dell'azione revocatoria fallimentare, che, come noto, non trova applicazione nel contesto concordatario.

La Corte di Appello bresciana, sul punto, afferma inequivocabilmente l'inefficacia del c.d. “patto di compensazione”, al pari di tutti gli altri patti accessori, a seguito di scioglimento del rapporto principale di credito bancario, con obbligo per la banca di riversare alla procedura le somme incassate dopo lo scioglimento, non producendosi alcun risultato contra legem (come asserito dalle reclamanti banche) dalla mancata applicazione nel concordato dell'art. 56 l.fall..

Definito come precede il perimetro di applicazione della disciplina, resta da affrontare la questione relativa ai criteri che il Tribunale (ovvero il G.D.) deve seguire nell'autorizzare tale scioglimento. Al riguardo, per la Corte d'Appello di Brescia, a conferma di quanto già argomentato dal provvedimento di primo grado, l'accertamento si risolve nella verifica di “coerenza tra lo scioglimento dei contratti ed il contenuto del piano” (nel caso di specie non imperniato sulla prosecuzione di tali contratti, ma sull'intervento di un terzo assuntore).Coerenza, per l'appunto, ravvisata nella circostanza che “l'autorizzazione risulta pienamente rispondente all'interesse della massa dei creditori alla tenuta del piano stesso”, non essendo cioè detti contratti “più funzionali né necessari alla pianificata prosecuzione dell'attività di impresa (…) e pertanto lo scioglimento contrattuale necessario e strumentale rispetto al contenuto del progetto di superamento della crisi”.

Una conclusione, questa, condivisibile però solo in parte ove si ritenga che il Tribunale debba considerare non solo gli interessi del debitore in concordato e della massa dei creditori concorsuali, ma anche quelli della controparte contrattuale in bonis.

Al riguardo, si rileva che, come sottolineato da parte della dottrina, i contratti pendenti investono tre interessi potenzialmente contrastanti tra loro: a) l'interesse del contraente in bonis alla corretta esecuzione del rapporto contrattuale; b) l'interesse dei creditori concorsuali a non subire i costi della prosecuzione di contratti non funzionali alla loro soddisfazione c) l'interesse dell'imprenditore in concordato a realizzare il piano senza il vincolo dei contratti pendenti non funzionali al fine del risanamento.

Pertanto, il controllo giudiziale dovrà essere sia di merito sia di opportunità, al fine di scongiurare possibili abusi dello strumento de quo, previa, a parere di chi scrive, comparazione (e ponderazione) tra il costo della prosecuzione dello specifico contratto ed i benefici che la prosecuzione sarebbe in grado di produrre sull'economia del piano (in particolare, in caso di concordato con continuità, sul recupero di redditività e competitività dell'impresa e sull'ampliamento delle possibilità di soddisfazione dei creditori).

Così, il pregiudizio al terzo contraente sarà giustificabile solo nell'ottica di tutela della generalità del ceto creditorio e di accesso regolare alla procedura.

Dall'altro lato, proseguendo nella valutazione “di programma” della meritevolezza dell'istanza, i decreti in commento sottolineano espressamente come la continuazione dei rapporti contrattuali con gli istituti di credito si ponga in contrasto col piano dell'imprenditore proposto ai creditori, pregiudicandone sin dall'origine l'attuazione ed incidendo negativamente sulle capacità economiche della procedura e quindi sull'interesse generale dei creditori.

Osservazioni

La soluzione interpretativa adottata dal decreto del Tribunale di Bergamo e confermata dalla Corte di Appello di Brescia è condivisibile là dove, valutando la meritevolezza della richiesta di autorizzazione allo scioglimento dei contratti bancari autoliquidanti, ha riguardo al complesso delle situazioni pendenti, previa verifica della sussistenza dei requisiti di opponibilità del contratto stesso alla procedura e solo dopo dei presupposti per lo scioglimento.

Altrettanto può dirsi per la conclusione cui la stessa Corte giunge in merito all'operatività del patto di compensazione. Le somme confluite sul conto corrente dell'imprenditore che sia ammesso (ovvero presenti una domanda di ammissione) al concordato preventivo devono essere retrocesse al cliente/debitore, anche se derivanti dall'esecuzione di un mandato irrevocabile all'incasso. In tali casi, infatti, non può operare alcuna compensazione.

Ciò, anche considerato che l'utilizzo da parte della banca delle somme riscosse presso i terzi, in esecuzione del mandato all'incasso, per il rientro del credito restitutorio derivante da precedenti anticipazioni, non avviene in forza di un meccanismo di compensazione in senso tecnico o legale ex art. 1833 c.c., ma sulla base di un mero conguaglio contabile.

Difatti, la compensazione in senso tecnico opera solo quando tra la banca ed il cliente insistano più rapporti o conti, poiché presuppone l'alterità delle contrapposti ragioni di credito e debito. Qui, invece, le variazioni del saldo conseguenti a versamenti o prelevamenti operati su un unico conto corrente non derivano da due differenti rapporti, ma da un medesimo ed unico rapporto bilaterale (cfr. Martinelli M., L'art. 169 bis dopo la novella del D.L. 83/2015, cit., 17).

Sul punto, infine, si segnala un provvedimento del Tribunale di Ravenna (14 novembre 2014, decr., in Ilcaso.it), che giunge alle medesime conclusioni della Corte bresciana, adducendone a sostegno un ulteriore argomento: il divieto di azioni esecutive e cautelari da parte dei creditori concorsuali dopo la pubblicazione della domanda di concordato preventivo, di cui all'art. 168 l.fall., impedisce la proposizione di qualsiasi azione satisfattiva in corso di procedura, dovendosi ricomprendere in esse anche quella derivante da una compensazione pattizia.

Diversamente opinando, si consentirebbe al creditore concorsuale di ottenere, tramite un meccanismo per l'appunto convenzionale e derogatorio, ciò che non gli sarebbe possibile conseguire mediante un ordinario procedimento esecutivo.

Guida all'approfondimento

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