L'accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari sotto la lente del CNDCEC

Riccardo Ranalli
17 Gennaio 2017

Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili ha pubblicato in data 28 novembre 2016 il documento sugli accordi di ristrutturazione con gli intermediari finanziari (speciali) e convenzioni di moratoria, recante indicazioni ai professionisti coinvolti a vario titolo nelle operazioni di cui all'art. 182-septies l.fall.
Premessa

Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili ha pubblicato in data 28 novembre 2016 il documento sugli accordi di ristrutturazione con gli intermediari finanziari (speciali) e convenzioni di moratoria, recante indicazioni ai professionisti coinvolti a vario titolo nelle operazioni di cui all'art. 182-septies l.fall.

Tale Documento contiene alcune importanti indicazioni sugli elementi più delicati prendendo espressa posizione su di essi. Trattasi de:

  • le modalità di avvio e conduzione delle trattative;
  • il tema dell'omogeneità delle categorie;
  • la soddisfazione non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili, in particolare in caso di convenzione di moratoria;
  • il contenuto delle relative attestazioni;
  • la coercibilità del mantenimento delle linee autoliquidanti.

Vediamo in appresso le conclusioni alle quali è pervenuto il CNDCEC, ancorché in via solo interpretativa.

Avvio e conduzione delle trattative

La norma pone quali requisiti per l'estensione degli effetti ai creditori bancari non aderenti la condivisione della notizia dell'avvio delle trattative (è un requisito specificamente previsto; dice infatti la norma: “se questi sono stati informati dell'avvio delle trattative”), nonché la buona fede nella conduzione delle trattative e la possibilità di parteciparvi in via informata da parte delle banche coartate.

Il Documento precisa che la comunicazione di avvio delle trattative deve essere tale da rendere consapevoli tutte le banche e gli intermediari finanziari dell'apertura del tavolo di negoziazione.

A tal riguardo, è opportuno che il debitore sia in grado di provare il rispetto degli oneri posti a suo carico.

Il CNDCEC suggerisce che la comunicazione dell'inizio delle trattative possa essere provata per iscritto (a mezzo di Posta Elettronica Certificata, email, fax o anche mediante altri mezzi che possano garantire la prova dell'avvenuta trasmissione, ovvero mediante annotazione sull'eventuale verbale della riunione con gli istituti bancari, purché esso sia sottoscritto da tutte le banche coinvolte e sia stato trasmesso alle banche coinvolte attraverso un mezzo che garantisca la prova dell'avvenuta trasmissione).

Osserva il Documento che la comunicazione dell'inizio delle trattative deve essere effettuata nei confronti delle banche e degli intermediari finanziari ai quali si intendono estendere gli effetti dell'accordo ex art. 182-septies. La comunicazione effettuata nei confronti del c.d. legale “lato banche”, qualora questi abbia ricevuto mandato professionale dal debitore, è efficace solo nel momento in cui questi ne metta a conoscenza tutti gli istituti coinvolti; è pertanto opportuno che quest'ultimo fornisca prova dell'avvenuta comunicazione a tutti gli istituti coinvolti.

Occorre osservare che all'inizio delle trattative il debitore ancora non sa se l'accordo si porrà a valle di un piano di risanamento attestato o se dovrà essere sottoposto ad omologa od ancora se si renderà opportuno ricorrere alla coercizione di cui all'art. 182-septies. La decisione di ricorrere all'accordo di ristrutturazione omologato potrà essere assunta molto più avanti, nel momento in cui i creditori subordinano l'erogazione di nuova finanza all'ottenimento della prededuzione prevista dall'art. 182-bis. Quest'ultima norma invero nulla dice sullo sviluppo delle trattative che conducono ad un accordo di ristrutturazione omologato. Solo nell'art. 182-septies vengono introdotti alcuni principi che debbono essere rispettati nella negoziazione con i creditori finanziari. Si tratta di requisiti richiesti per la coercizione delle banche riottose ad aderire all'accordo, ma che, a ben vedere, sarebbero propri di una corretta conduzione della negoziazione di tutti gli accordi.

Nel caso di ricorso all'estensione degli effetti di cui all'art. 182-septies, la mancata comunicazione dell'inizio delle trattative, quando impedisca una partecipazione informata di uno o più intermediari o banche, può rendere inopponibile l'accordo ex art. 182-septies nei confronti di costoro, impedendone l'estensione degli effetti in capo ad essi. Allo stesso modo, carenze informative in termini di completezza e aggiornamento possono rendere inopponibile l'accordo.

La conseguenza è quella che i creditori non aderenti, nei confronti dei quali non è opponibile l'accordo omologato, dovranno essere oggetto di integrale pagamento nei termini previsti dall'art. 182-bis.

È un ulteriore onere del debitore assicurare alle banche e agli intermediari finanziari interessati la completezza, l'aggiornamento e la simmetria informativi. Si tratta, in caso di accordo speciale di ristrutturazione, della seguente documentazione:

  • Situazione patrimoniale aggiornata;
  • Informativa aggiornata sul current trading;
  • Piano di risanamento;
  • Manovra finanziaria;
  • Piano di tesoreria;
  • Bozza dell'accordo di ristrutturazione dei debiti e rappresentazione dei suoi effetti, con la precisazione che è opportuno che l'informativa sugli effetti dell'accordo contempli anche la convenienza dell'accordo medesimo rispetto alle alternative concretamente praticabili.

Per la negoziazione dell'accordo è fondamentale la conoscenza, da parte dei creditori interessati, del fabbisogno finanziario prospettico e delle sue fonti di copertura. Si tratta del c.d. piano di tesoreria che costituisce parte del piano di risanamento e dà contezza dei dati previsionali aventi natura finanziaria, unitamente alle relative assunzioni quali il cennato cash convertion cycle e le sue componenti dei tempi di incasso dei crediti commerciali, di quelli del pagamento dei debiti di fornitura e di quelli di rigiro del magazzino. L'esigenza del piano di tesoreria è tanto sentita da avere indotto il legislatore, laddove ha affrontato il contenuto del piano in continuità (art. 186-bis), a precisare che esso deve contenere, oltre ai costi ed ai ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività, anche l'indicazione “delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura”. Il piano di tesoreria è, infatti, lo strumento indispensabile per rispondere efficacemente a tale dettato normativo ed è ragionevole ritenere che ad esso abbia fatto riferimento il legislatore anche nell'art. 182-septies.

L'informativa richiesta al debitore attiene però, come si è appena visto, anche agli effetti dell'accordo. Ad una prima analisi si potrebbe essere tentati di ritenere che si tratti degli effetti sul solo debitore; invero, se così fosse, l'informativa, che costituisce uno dei momenti focali della attestazione di fattibilità del piano, dovrebbe necessariamente già essere contenuta nella relazione del professionista e risulterebbe già affrontata, sviluppata e approfondita in quella sede; sicché la previsione normativa potrebbe apparire pleonastica. Per dare un significato al portato normativo si deve ritenere che si tratti principalmente degli effetti in capo ai creditori. La loro rappresentazione costituirebbe così un onere informativo del debitore per ottenere il riconoscimento della estensione dell'accordo ai creditori che si intendono coartare. In particolare, il passaggio della norma sarebbe in funzione della successiva lettera c) (in punto di assenza di non convenienza per i creditori in questione rispetto alle alternative concretamente praticabili). L'accordo comporta indubbiamente effetti sul debitore, sulla sua situazione patrimoniale, economica e finanziaria e, di conseguenza, per i creditori. Se si ritiene che gli effetti in questione debbano essere rappresentati in termini differenziali tra la conclusione e la mancata conclusione dell'accordo, ecco che è lo stesso debitore che dovrebbe rappresentare ai suoi creditori la convenienza di aderire all'accordo stesso. Il che permetterebbe al tribunale un percorso più snello in sede di omologa, in particolare in caso di opposizioni: avvalendosi, se del caso, anche dell'opera dell'ausiliario, il tribunale, nell'eventuale giudizio di cram down, potrebbe limitarsi a verificare la congruità di quanto rappresentato dal debitore; da parte loro i creditori che si vedono coinvolti in via forzosa potrebbero cogliere dalla stessa informativa resa la presenza di uno svantaggio rispetto alle alternative concretamente praticabili proponendo un'opposizione adeguatamente motivata. Ed invero, in uno dei pochi casi al momento affrontati dalla giurisprudenza è alla misura di soddisfacimento nell'alternativa concretamente praticabile rappresentata dal debitore nel piano che il tribunale ha fatto riferimento per accertare la sussistenza dei presupposti di ammissibilità (Trib. di Milano, 11 febbraio 2016, in Fall., 2016).

Gli effetti si circostanzierebbero così nelle conseguenze differenziali dell'accordo sulla copertura del fabbisogno finanziario che deriva dal piano. Se si pone mente al fatto che l'accordo incide sul fabbisogno finanziario (per effetto della rimodulazione delle scadenze del debito bancario) e sulla sua copertura (attraverso la messa a disposizione di nuove linee di credito), si comprende come dalla rappresentazione degli effetti sia agevole per il lettore trarre elementi per una valutazione di convenienza. Con la considerazione che, nella più parte dei casi, in assenza dell'accordo il fabbisogno finanziario della continuità risulterebbe privo di copertura e si dischiuderebbero alternative liquidatorie.

In tale quadro si pone il suggerimento del CNDCEC che, in un'ottica di best practises, richiede che la rappresentazione degli effetti si spinga sino a prospettare le alternative per il debitore e per i suoi creditori in caso di mancata conclusione dell'accordo. Qualora tale percorso non venisse intrapreso, sia la decisione del singolo creditore di non aderire, sia l'eventuale conseguente decisione di opporsi all'estensione coattiva dell'accordo presenterebbero un grado di genericità che potrebbe fuorviare le valutazioni dell'ausiliario e lo stesso giudizio del tribunale. È questo un motivo che dovrebbe sempre indurre il debitore, nel proprio interesse, a rappresentare in modo compiuto a tutti i creditori interessati le conseguenze dell'alternativa concretamente praticabile, anche se, nei casi più complessi, per assicurare la necessaria affidabilità delle valutazioni rese sarebbe opportuno integrare il patrimonio informativo con valutazioni ad hoc rese da esperti indipendenti (quali valutazioni degli immobili in ipotesi c.d. quick sale o di vendita fallimentare).

In caso di convenzione di moratoria, la documentazione occorrente è diversa. Il Documento indica la seguente:

  • Indebitamento complessivo con separata indicazione dello scaduto;
  • indebitamento bancario;
  • situazione patrimoniale;
  • budget e piano di tesoreria che copra l'intero orizzonte temporale sino al termine della moratoria;
  • effetti della convenzione rappresentati in modo tale da consentire ai creditori bancari e finanziari interessati di valutare anche la convenienza rispetto alle alternative concretamente praticabili.
L'omogeneità delle categorie

Il requisito della omogeneità delle categorie in relazione alla posizione giuridica e all'interesse economico costituisce il punto maggiormente critico della norma. Si è già opinato che l'omogeneità sia una condizione per la deroga al principio di relatività del contratto espresso dall'art. 1372 c.c. (M. Fabiani, La convenzione di moratoria diretta a disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi, in Fall.). Chi scrive aveva inoltre già avuto modo di osservare che l'elemento soggettivo del creditore va ricercato in relazione alla natura del rapporto derivante dal titolo sottostante (creditore, garante, cessionario di crediti, concedente di beni in leasing), mentre l'interesse economico discende invece dalle conseguenze lato creditore del comportamento del debitore (interesse del creditore alla continuità aziendale ovvero alla liquidazione dei beni). L'elemento della omogeneità resta però critico ed espone al rischio di letture variegate da parte delle banche coartate per cercare di chiamarsi fuori dall'estensione dell'accordo.

Il CNDCEC sul punto suggerisce che la valutazione dell'omogeneità della posizione giuridica e dell'interesse economico non possa trascurare l'esito delle trattative condotte, nel presupposto che una pattuizione uniforme con riferimento a situazioni soggettive diverse, se effettivamente rilevanti, non avrebbe consentito il raggiungimento dell'accordo. Il solo fatto che creditori con posizioni giuridiche e interessi economici apparentemente dissimili abbiano accettato un trattamento uniforme comporta che essi si debbano considerare tra loro omogenei ai fini delle categorie di cui all'art. 182-septies. I creditori non aderenti che presentino posizione giuridica e interessi economici simili a taluni di essi debbono considerarsi omogenei all'intera categoria che ha accettato il trattamento uniforme.

D'altronde all'interno di una categoria vi deve essere un unico contenuto delle pattuizioni nei confronti di tutti i creditori che ne fanno parte (principio ribadito dal CNDCEC). Sarà di conseguenza la negoziazione a stabilire quali sono le categorie e, in fase di omologa, sarà sufficiente che il tribunale accerti l'omogeneità della posizione dei creditori che il debitore intende coartare con quella di uno o più creditori aderenti per verificare se vadano imputati ad una, ad un'altra o a nessuna delle categorie risultanti dalla negoziazione, rendendo superfluo indagare se tutti i partecipanti alla categoria siano o meno tra di loro omogenei. Nel corso della fase di contraddittorio propria della negoziazione dell'accordo, i creditori in questione, avendo accettato uniformità di trattamento, hanno, di fatto, riconosciuto l'omogeneità delle rispettive posizioni; e tanto dovrebbe essere sufficiente.

In conclusione, nell'accordo di ristrutturazione, diversamente rispetto alle classi del concordato preventivo, le categorie sono una scelta di fatto necessaria, in quanto dipendono da proposte che non possono che essere formulate in maniera diversificata. Non sarebbe, ad esempio, negozialmente accettabile se venisse formulata al titolare di crediti autoliquidanti la stessa proposta di stralcio rivolta alle banche che hanno concesso linee di cassa chirografarie prive di garanzie collaterali.

Diventa allora comprensibile la scelta del legislatore di utilizzare una formula potestativa (“…può individuare una o più categorie…”), tenuto altresì conto del fatto che la tutela del creditore coartato passa attraverso il giudizio di convenienza di cram down, al quale il non aderente ha diritto, diversamente rispetto al concordato preventivo, indipendentemente dalla presenza o meno di più di una categoria e da quanti creditori si oppongano all'interno della stessa.

La “non sconvenienza” rispetto alle alternative concretamente praticabile in caso di convenzione di moratoria

Come nel caso di accordo speciale di ristrutturazione, anche in una convenzione di moratoria, per effetto del rinvio del sesto comma al terzo periodo del quarto comma (“il tribunale, con decreto motivato, (…) decide sulle opposizioni, verificando la sussistenza delle condizioni di cui al quarto comma, terzo periodo”), i creditori coartati debbono risultare soddisfatti in misura non inferiore alle alternative concretamente praticabili.

Non si può sottacere che il riferimento ai profili satisfattivi potrebbe apparire in astratto incoerente con una moratoria che non comporta alcun pagamento durante la stessa. La mancanza di un momento di soddisfazione nel corso della moratoria cagiona, infatti, perplessità sulla valutazione della convenienza rispetto alle alternative concretamente praticabili. Al punto che, da parte di taluni (Aiello, Art. 182-septies. Accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzioni di moratoria, in Codice del fallimento a cura di Ambrosini-Trapuzzano in corso di pubblicazione), si è ritenuto che il tema sia il frutto di un involontario incidente di percorso derivante dal richiamo operato alla disciplina dell'accordo speciale. L'esigenza di attribuire comunque un significato alla norma, nonché la disposta deroga al principio della relatività del contratto, giustificano l'esigenza di valutare la convenienza della convenzione. Si tratta di una valutazione da compiersi in termini di impatto differenziale sui creditori coartati, rispetto all'ipotesi alternativa di assenza della stessa. Il momento delicato è indubbiamente costituito da quei creditori coartati che vantano crediti il cui termine di scadenza cade nel corso della moratoria. Essi, se non venissero coinvolti nella moratoria, troverebbero soddisfazione nel corso della stessa. Vi è comunque un iter logico che consentirebbe di ravvisare, ciò nonostante, la convenienza della adesione coatta rispetto al soddisfacimento entro i termini contrattuali. È sufficiente assumere come riferimento di comparazione quello della assenza in toto della convenzione di moratoria. Si tratterebbe solo di comprendere come incide sulle ragioni dell'universo dei creditori il decorso temporale tra la data di apertura della moratoria e il suo spirare. Sotto questo profilo le valutazioni di convenienza non sono dissimili da quelle che è chiamato a compiere l'attestatore per effetto del primo comma dell'art. 182-quinquies, in caso di finanza interinale richiesta nel corso di un prenotativo di cui al sesto comma dell'art. 161 o a valle di un preaccordo di ristrutturazione di cui al sesto comma dell'art. 182-bis.

Quanto sopra è stato recepito nel Documento, il quale ritiene che la valutazione della convenienza dovrebbe essere effettuata svolgendo la comparazione tra l'ipotesi in cui la convenzione di moratoria sia stata conclusa e quella in cui, al contrario, essa non lo sia. L'assenza della convenzione potrebbe, infatti, comportare uno stato di totale incapacità di adempiere da parte del debitore, che andrebbe a ricadere negativamente su tutto il ceto creditorio. Il che impone la predisposizione di un piano di tesoreria che ne dia evidenza.

Il contenuto delle relative attestazioni

La norma nulla dice in ordine al contenuto dell'attestazione di un accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari, ma si limita a richiamare l'art. 182-bis, al quale rinvia.

Il Documento ritiene che, con riferimento alla specifica disciplina ex art. 182-septies, il contenuto dell'attestazione non possa prescindere da approfondimenti relativi alla verifica della sussistenza dei requisiti giuridici che permettono l'estensione forzosa degli accordi. Appare, pertanto, opportuno che l'attestatore formuli un giudizio, ancorché solo in termini di negative assurance, anche sulla sussistenza del requisito della corretta conduzione delle trattative in trasparenza e buona fede, verificando la completezza e il progressivo aggiornamento dei flussi informativi resi ai creditori che si intendono coartare.

L'attestatore dovrà esprimersi anche sull'omogeneità delle categorie e verificare il raggiungimento della soglia del 75% dei consensi per ogni singola categoria.

L'attestatore dovrebbe infine esprimersi sulla convenienza dell'accordo in capo ai soggetti coartati e così al fatto che essi possano risultare, in base all'accordo, soddisfatti in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili.

Si tratta degli stessi requisiti che il tribunale, come già detto, accerterà in sede di omologa, in difetto dei quali non potrebbe omologare l'estensione degli effetti ai non aderenti che l'attestatore è chiamato ad affrontare, in quanto dall'estensione del perimetro della coercizione può dipendere l'attuabilità dell'accordo e segnatamente l'idoneità dello stesso ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori estranei nei termini di legge, tenuto conto che i creditori non aderenti che non è possibile coartare debbono essere trattati al pari degli estranei e pertanto pagati nei 120 giorni di legge.

In caso di convenzione di moratoria il ruolo dell'attestatore appare diverso. All'attestatore è richiesto solo il giudizio sull'omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici fra i creditori interessati alla manovra e suddivisi in categorie.

Per quanto non sia espressamente richiesto dalla legge, è opportuno che il professionista verifichi anche la sussistenza dei restanti requisiti previsti dalla norma (rispetto delle regole di buona fede, completezza informativa e convenienza). L'assenza del vaglio da parte del tribunale, che è attivato unicamente dall'opposizione di uno dei creditori, impone al professionista, al di là della laconicità del dettato normativo, di ampliare quanto più possibile l'ambito del proprio operato, rispondendo in via anticipata alle questioni che potrebbero porre i creditori coartati. Solo se egli è stato persuasivo, solo se il documento che rilascia è argomentato e motivato, diventa remoto il rischio di opposizione da parte dei creditori a vantaggio della speditezza del processo di negoziazione dell'accordo e, quel che più conta, dell'allineamento del sistema bancario nella fase di ricerca della soluzione della crisi. È forse proprio questa la differenza più marcata tra due strumenti, quello dell'accordo speciale di ristrutturazione e quello della convenzione di moratoria, che, pur se presentano molti punti di contatto, operano in un quadro normativo e con finalità significativamente dissimili.

La coercibilità del mantenimento delle linee autoliquidanti

La norma nega l'estensione coattiva del mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti “esistenti”. È opportuno ricordare al riguardo che, con lo stesso decreto legge che ha introdotto l'istituto, è stata prevista la nuova “finanza urgente” di cui al terzo comma dell'art. 182-quinquies. Ebbene, quest'ultima norma prevede che la relativa autorizzazione della prededuzione può riguardare anche il mantenimento di linee autoliquidanti “in essere” al momento del deposito della domanda. Che cosa succede in caso di rientro parziale per effetto di accrediti sul rapporto di conto corrente ovvero di incasso delle partite anticipate?

Sul punto sono state proposte diverse letture. Una prima lettura, che circoscrive maggiormente gli atti coercibili e, sotto un profilo di concreto impiego dello strumento, ne sottrae gran parte della sua concreta utilità, pretenderebbe di impedire l'utilizzo delle linee che si siano scaricate successivamente alla stipula dell'accordo (o della convenzione di moratoria) senza possibilità di nuove anticipazioni, anche se non eccedenti il limite di quelle già utilizzate. Una seconda lettura, più prossima alla disciplina propria degli accordi di standstill e maggiormente in linea con le finalità della norma, che vuole impedire in via forzosa un aggravamento del rischio del prestatore non aderente, consente di mantenere operative le linee autoliquidanti, per l'ammontare effettivamente utilizzato al momento di riferimento, con possibilità di accedere a nuove anticipazioni in via simmetrica rispetto agli scarichi intervenuti (per così dire, revolving).

Il Documento fa propria questa seconda lettura, precisando che è ragionevole ritenere che il legislatore abbia inteso negare la coercizione degli affidamenti concessi ed esistenti solo se non utilizzati, siano essi relativi a linee di cassa o siano essi relativi a linee autoliquidanti.

Il che pare in linea con quanto riportato nella relazione illustrativa del decreto, che motiva le limitazioni alla coercibilità delle pattuizioni e precisamente l'esclusione della coercibilità delle pattuizioni con l'incremento dell'esposizione al rischio delle banche coartate.

Osserva però il Documento che è opportuno che ii debiti riferibili a linee di credito autoliquidanti siano inseriti in una categoria a sé stante, caratterizzata da specifiche pattuizioni.

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