Lo scioglimento dal contratto preliminare nel fallimento

23 Gennaio 2017

Secondo l'orientamento stabilito da S.U. 12505 del 2004, e confermato, all'esito di un lungo processo elaborativo, da S.U. 18131 del 2015, se la domanda ex art. 2932 c.c. è stata trascritta anteriormente alla sentenza dichiarativa di fallimento si determina ex art. 2652 c.c. l'effetto dell'opponibilità della trascrizione anteriore (art. 45 l.fall.) al fallimento.
Massima

Secondo l'orientamento stabilito da S.U. 12505 del 2004, e confermato, all'esito di un lungo processo elaborativo, da S.U. 18131 del 2015, se la domanda ex art. 2932 c.c. è stata trascritta anteriormente alla sentenza dichiarativa di fallimento si determina ex art. 2652 c.c. l'effetto dell'opponibilità della trascrizione anteriore (art. 45 l.fall.) al fallimento.

La portata del principio non può essere vanificata dalla sentenza di rigetto della domanda ex art. 2932 c.c. che si fondi sul riconosciuto diritto del curatore di manifestare la volontà di sciogliersi dal preliminare così vanificando l'opponibilità della predetta trascrizione, dovendo essere verificato il diritto dei promissari acquirenti secondo la disciplina generale applicabile e non postulandone l'impedimento a causa dell'esercizio della facoltà ex art. 72 l.fall.

Il caso

Una coppia sottoscriveva un preliminare di acquisto di un immobile in data 7.11.1992; il promittente venditore si rendeva però inadempiente all'obbligo di stipulare il conseguente contratto definitivo e pertanto i promissari acquirenti introducevano un'azione ex art. 2932 c.c.. La domanda giudiziale veniva trascritta nel 1994 e nel gennaio 1995 il venditore falliva; il processo veniva così interrotto e riassunto dagli attori.

Il curatore si costituiva in giudizio e dichiarava la volontà di sciogliersi dal contratto preliminare ex art. 72 l.fall. Il Tribunale prendeva atto della scelta del curatore, respingeva la domanda degli attori e dichiarava lo scioglimento del preliminare.

La Corte d'Appello confermava la decisione di primae curae e così i promissari acquirenti ricorrevano in Cassazione.

La questione

Fulcro della vicenda è la facoltà del curatore di sciogliersi da un contratto preliminare di compravendita immobiliare sottoscritto dal promittente venditore all'epoca in bonis. Nel caso di specie il curatore ha invocato la disciplina prevista dall'art. 72 l.fall. dettata per i contratti pendenti alla data del fallimento o non interamente eseguiti da entrambe le parti.

La regola generale stabilita dalla norma è la sospensione dei contratti pendenti fino a quando l'organo della procedura non abbia deciso se subentrare nei medesimi o sciogliersi. Come indicato nel terzo comma dell'art. 72 l.fall. tale "meccanismo" vale anche per il contratto preliminare.

Secondo il comma 7 la facoltà di scioglimento è accordata anche se il promissario acquirente ha trascritto il preliminare di vendita immobiliare ex art. 2645-bis c.c.

In tale ipotesi, tuttavia, l'acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno e gode del privilegio di cui all'art. 2775-bis del codice civile a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento.

La possibilità di scioglimento non è però concessa al curatore se il preliminare di vendita trascritto ai sensi dell'art. 2645-bis del codice civile ha ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell'attività di impresa dell'acquirente (comma 8).

Si consideri infine che l'azione di risoluzione del contratto promossa prima del fallimento nei confronti della parte inadempiente spiega i suoi effetti nei confronti del curatore, salva l'efficacia della trascrizione della domanda (comma 5).

Come si evince da questo breve riepilogo, nessuna previsione è dettata nel caso in cui il promissario acquirente non abbia trascritto il preliminare di compravendita, ma abbia agito ex art. 2932 c.c. per ottenere una pronuncia che stabilisca l'obbligo di contrarre e abbia trascritto la domanda giudiziale stessa presso i competenti registri immobiliari prima del fallimento del venditore.

Le soluzioni giuridiche

1) La tesi favorevole allo scioglimento

La giurisprudenza di legittimità e di merito ha fornito differenti soluzioni alla questione sopra evidenziata.

Secondo un primo orientamento, al curatore sarebbe sempre consentita la facoltà di sciogliersi dal contratto preliminare indipendentemente dalla trascrizione della domanda giudiziale ex art. 2932 c.c. svolta dal promissario acquirente nei confronti del promittente venditore in bonis.

Le motivazioni a sostegno di tale orientamento sono state di due tipi differenti.

Secondo alcuni, l'intervenuto fallimento determinerebbe in radice l'improcedibilità della domanda nel giudizio ordinario ex art. 2932 c.c. e la scelta di scioglimento effettuata dal curatore sarebbe finalizzata alla conservazione del bene oggetto del contratto all'attivo fallimentare.

Il curatore quindi non troverebbe ostacoli all'apprensione del bene promesso in vendita attraverso il meccanismo dello scioglimento del preliminare impedendo l'effetto traslativo (in tal senso Cass. 5287/2000; Cass. 239/1999; Cass. 436/1966).

Chiara in questi termini proprio la motivazione di Cassazione 239/1999: "È da tenere presente che l'art. 2932 c.c. prevede l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere un contratto soltanto "qualora sia possibile". Orbene, il fallimento del promissario venditore segna una fase di arresto nel processo di formazione del negozio, perché fa venire meno nel fallito il potere di disposizione e di amministrazione del patrimonio. La dichiarazione di fallimento immobilizza la situazione patrimoniale quale era alla data in cui fu pronunziata ed impedisce perciò che possa integrarsi una fattispecie suscettibile di produrre un mutamento della situazione stessa e soprattutto una diminuzione della massa attiva esistente ai sensi dell'art. 42 l. fall. Durante il fallimento rimane impedita l'esecuzione specifica della promessa di vendita di un bene del fallito, perché tale esecuzione creerebbe un effetto traslativo, nonostante lo spossessamento prodotto dalla sentenza dichiarativa. Nè la trascrizione della citazione diretta ad ottenere l'esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto, avvenuta ai sensi dell'art. 2652 n. 2 c.c. prima del fallimento, può avere l'efficacia di risolvere l'apprensione del curatore sul bene promesso in vendita; in quanto esso spiega i suoi effetti condizionatamente alla trascrizione della sentenza che accoglie la domanda e tale sentenza non può essere pronunciata (così, testualmente, in motivazione, Cass. 10 maggio 1958 n. 1542)".

In pratica, anche a prescindere dalla dichiarazione di scioglimento, l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere un contratto in caso di fallimento del promittente venditore sarebbe inammissibile.

L'opzione del curatore ha quindi un contenuto ulteriore e ancora più ampio, di fatto essa "ha valore sostanziale, assoluto, definitivo e opera con effetto retroattivo - con efficacia non solamente endofallimentare, ma con effetti anche qualora il fallito sia ritornato in bonis, restando insensibile all'eventuale revoca del fallimento - facendo venire meno, fin dall'origine, la promessa di vendere, non esistendo alcun argomento logico o testuale che consenta di ammettere che lo scioglimento non incida sulla volontà inizialmente manifestata. Il fallimento, cioè, impedisce l'emanazione della sentenza ex art. 2932 c.c., ma lascia inalterato il contratto - con la conseguenza che lo stesso può essere fatto valere una volta che il promissario venditore sia tornato in bonis e sempre che il bene sia nella sua disponibilità - la dichiarazione di scioglimento del curatore, che consente allo stesso di disporre del bene acquisito alla massa, agisce sulla manifestazione di volontà che ha dato luogo al preliminare caducandola fin dall'origine".

Secondo una tesi differente, invece, la domanda del promissario acquirente non "cadrebbe" in rito per inammissibilità o improcedibilità, ma, al contrario verrebbe rigettata proprio nel merito.

In questi termini Cassazione 13.5.1982, n. 3001 spiega testualmente che "la sopravvenienza del fallimento del promittente non determina una situazione di improcedibilità, nè legittima il curatore a contestare la opponibilità dell'emananda sentenza per il solo fatto della sua posteriorità rispetto al fallimento, tenuto conto degli effetti della suddetta trascrizione in caso di accoglimento della domanda (art. 2652 c.c.), ma il curatore medesimo può conseguire il rigetto di tale domanda avvalendosi - in via di eccezione in senso stretto - della facoltà di scioglimento del contratto conferitogli dall'art. 72 comma 4 del r.d. 16 marzo 1942 n. 267".

Il curatore conserverebbe il "privilegio" (così Cass. 10436/2005) di sciogliersi dal contratto preliminare fino al passaggio in giudicato della sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. e la scelta relativa sarebbe mero esercizio di un diritto potestativo di carattere sostanziale, senza termini decadenziali, esercitabile in giudizio, anche in gradi successivi al primo, senza limitazioni ex art. 345 c.p.c., oppure al di fuori del giudizio, in forma espressa o anche tacita per fatti concludenti (ex multis Cass. 33/2008; Cass. 7070/2004; Cass. 4105/1997).

Di fatto a nulla rileva la trascrizione della domanda ex art. 2932 c.c., perché l'effetto prenotativo della trascrizione previsto dall'art. 2652 c.c. vale solo per le sentenze dichiarative e non per quelle costitutive, in relazione alle quali - come appunto è la sentenza ex art. 2932 c.c. – gli effetti si producono ex nunc e la facoltà di scelta del curatore incontra solo il limite del giudicato (in questi termini ex multis Cass. 9076/2014 e Trib. Treviso 25.7.2014)

2) La tesi contraria allo scioglimento. La pronuncia delle Sezioni Unite del 2004

Tale orientamento (nella duplice variante ricordata) è stato rivisto e riconsiderato dalla sentenza n. 12505 del 7 luglio 2004 delle Sezioni Unite della Cassazione.

In tale precedente (relativo invero ad una permuta) la S. Corte ha stabilito che il curatore del fallimento del promittente venditore non può sciogliersi dal contratto preliminare cui non abbia ancora fatto seguito la stipula del definitivo se il promissario acquirente ha svolto domanda ex art. 2932 c.c. nei riguardi dell'altro contraente in bonis e ha trascritto la relativa domanda.

Le Sezioni Unite sono giunte a tale revirement sulla base di tre ragioni fondamentali.

- In primo luogo si è analizzato nel dettaglio il sistema pubblicitario previsto dall'art. 2652 c.c.

Tale meccanismo si articola in due fasi: la prima costituita dalla trascrizione della domanda giudiziale e la seconda relativa alla trascrizione della sentenza che accoglie la domanda.

Ora, se è vero che ciò che "conta" in definitiva è la trascrizione della sentenza che accoglie la domanda, essendo la trascrizione della medesima subordinata al successivo accoglimento della pretesa, è altrettanto evidente che "gli effetti della sentenza retroagiscono alla data della trascrizione della domanda".

E' quindi indubbio che la trascrizione della domanda (e non della sentenza) è decisiva ai fini dell'opponibilità ai terzi del trasferimento attuato poi con la sentenza che produce gli effetti del contratto non concluso.

- Sotto altro profilo la Corte instaura un parallelismo tra l'art. 2915 c.c. dettato in tema di esecuzione individuale e l'art. 45 l.fall. relativo all'esecuzione "collettiva" fallimentare.

Il secondo comma dell'art. 2915 c.c. risolve i conflitti tra creditore pignorante e terzi in base alla priorità della trascrizione del pignoramento o della domanda giudiziale dei terzi accolta in epoca successiva al pignoramento.

Anche in questo caso la trascrizione della domanda giudiziale dei terzi "prenota" gli effetti della successiva sentenza che saranno opponibili al creditore procedente se il pignoramento è stato trascritto successivamente alla domanda giudiziale dei terzi stessi.

Bene, in ambito fallimentare l'art. 45 L.F. è analogo nel prevedere che le formalità necessarie per rendere opponibili gli atti a terzi sono senza effetti rispetto ai creditori solo se compiute dopo la data del fallimento.

A contrario, se le formalità sono eseguite prima sono senz'altro opponibili alla massa creditoria.

Di conseguenza sono opponibili ai creditori fallimentari le sentenze pronunciate dopo tale data se relative a domande precedentemente trascritte (così Cass. 322/1966; Cass. 2529/1967; Cass. 12396/1998).

In questi termini già la giurisprudenza dell'epoca (prima dell'introduzione del comma 5 dell'art. 72 l.fall. con la riforma del 2006) tutelava il contraente che avesse agito in giudizio per la risoluzione di un contratto trascrivendo la relativa domanda giudiziale (così Cass. 12396/1998 e Cass. 4045/1983).

Secondo le Sezioni Unite analoga tutela deve essere accordata al promissario acquirente che abbia trascritto la domanda ex art. 2932 c.c.

- Da ultimo, la S. Corte osserva che l'interpretazione sopra ricordata, che privilegia le norme sulla trascrizione delle domande giudiziali, mira in ultimo ad evitare che la durata del giudizio finisca per penalizzare la parte che ha ragione. Rappresenta quindi l'attuazione pratica del principio di ragionevole durata del processo ormai riconosciuto espressamente nell'art. 111, comma 2, Cost.

Sempre nella scia della sentenza delle sezioni Unite, in una successiva pronuncia del 2010 (n. 15218) la Cassazione ebbe a soffermarsi ulteriormente sul tema da ultimo richiamato spiegando che proprio dai principi del giusto processo e della sua ragionevole durata discende il corollario per cui "il tempo di trattazione necessario per la sua definizione non può determinare riflessi negativi sulle posizioni delle parti e sui diritti da esse inizialmente fatti valere".

3) Il contrasto tra le Sezioni Semplici

La soluzione prospettata dalla pronuncia del 2004 non ha comunque pienamente "convinto" le sezioni semplici, che si sono dimostrate negli anni successivi "ondivaghe".

In particolare, hanno confermato l'arresto del 2004 (tra le altre) la già citata Cassazione 23.6.2010, n. 15218, nonché Cassazione 27.12.2011, n. 27093; Cassazione 17.7.2012, n. 12202 e Cassazione 27.12.2013, n. 28668.

Diametralmente opposte (tra le tante) Cassazione 25.8.2004, n. 16860; Cassazione 21.10.2005, n. 20452; Cassazione, 22.12.2005; Cassazione 18.4.2014, n. 9076.

Nello specifico, l'invocazione del principio di ragionevole durata del processo è stata criticata perché con la tutela della posizione del promissario acquirente verrebbe minacciato l'interesse analogo della massa creditoria ad una definizione veloce della procedura fallimentare senza dover attendere la decisione del giudizio ex art. 2932 (vedi Montanari, Fallimento del promittente venditore e ragionevole durata del processo, in Fall. 2010).

Infatti, anche il meccanismo dettato dall'art. 72 l.fall. è ispirato alla necessità di una celere conclusione del processo (fallimentare) consentendo al curatore di apprendere immediatamente il bene promesso in vendita senza attendere l'esito di altre cause individuali.

Anche la motivazione inerente la retroattività della pronuncia che accoglie la richiesta ex art. 2932 c.c. non trova sostegno in quella giurisprudenza (già citata) che ritiene possibile tale effetto solo nel caso di sentenze dichiarative (Trib. Treviso, 25.7.2014 e Cass. 9076/2014).

Secondo altri, invece, tale questione sarebbe un “falso” problema, poiché sorge solo ove si considerasse possibile giungere ad una valida sentenza di accoglimento.

In realtà il dubbio non si porrebbe neppure se si ritenesse che la sentenza non può essere pronunciata per l'improcedibilità/inammissibilità della domanda stante l'intervenuto fallimento (come sostenuto dalle menzionate Cass. 4747/1999 e Cass. 239/1999) o se si affermasse che la domanda giudiziale può essere rigettata direttamente nel merito (con una sentenza conclusiva di non accoglimento della pretesa ex art. 2932 c.c.) proprio in ragione dell'intervenuto recesso operato dal curatore (sempre Montanari, op. cit., 1252; anche nell'ordinanza 4.12.2013 di rimessione alle Sezioni Unite la Prima Sezione osserva che l'argomento decisivo delle Sezioni Unite del 2004 “si risolve in una tautologia: infatti quand'anche dovesse darsi per scontato (il che non è) che gli effetti della sentenza di accoglimento, ancorché successiva alla data del fallimento, debbano farsi retroagire alla data della trascrizione della domanda, andrebbe ancora spiegato per quali ragioni, a fronte della volontà manifestata in giudizio dal curatore di sciogliersi dal contratto, la domanda dovrebbe essere accolta”).

Osservazioni

Su questo sfondo si è innestata la pronuncia delle Sezioni Unite del 2015 le cui argomentazioni e conclusioni sono state espressamente richiamate nella sentenza in commento e vengono qui brevemente riepilogate.

Le SSUU hanno percorso una via mediana tra i due orientamenti ricordati, giungendo, in termini pratici, a risultati analoghi alla pronuncia del 2004.

Con l'arresto n. 12505/2004, infatti, le Sezioni Unite avevano sostenuto l'impossibilità per il curatore di sciogliersi dal contratto preliminare di compravendita nell'ipotesi in cui il promissario acquirente avesse trascritto la domanda ex art. 2932 c.c. prima del fallimento.

Nella decisione del 2015, invece, i Giudici spiegano che il potere del curatore ex art. 72 rimane integro e può essere esercitato in ogni caso, sia in giudizio, sia stragiudizialmente, sia in forma espressa, sia tacita.

La differenza consiste negli effetti che può produrre (o non produrre) nei riguardi del promissario acquirente.

Se questi, infatti, ha trascritto la domanda ex art. 2932 c.c. in epoca anteriore al fallimento, la scelta del curatore non è a lui opponibile. Tale “non opponibilità” può cessare solo se la domanda viene respinta nel merito, ma non in virtù dello scioglimento ex art. 72 l.fall., pena l'indebita vanificazione del principio citato.

Dal punto di vista sistematico tale soluzione è frutto della lettura combinata degli artt. 2652, 2653, 2915 c.c. e 45 L.F. già ricordati.

Come per l'esecuzione individuale, infatti, anche nel fallimento il conflitto tra promissario acquirente e curatore deve essere deciso con le regole delle priorità delle trascrizioni.

Di conseguenza la trascrizione della domanda ex art. 2932 c.c. potrà "prenotare", e quindi far prevalere sulla dichiarazione di fallimento successiva, la trascrizione della sentenza che accoglie la domanda ex art. 2932 c.c.

Saranno così opponibili ai creditori fallimentari non solo gli atti posti in essere e trascritti dal fallito prima della dichiarazione di fallimento (art. 45 l.fall.), ma anche le sentenze pronunciate dopo tale data se relative a domande precedentemente trascritte.

In altre parole, il curatore potrà anche sciogliersi dal contratto preliminare nelle more del giudizio, ma tale scelta produrrà effetti nei riguardi del promissario acquirente solo se la domanda ex art. 2932 c.c. verrà rigettata nel merito per ragioni diverse dal recesso del curatore.

Nel caso in cui la domanda venisse accolta, la trascrizione della sentenza ai sensi dell'art. 2652, comma 2 prevarrà sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite contro il convenuto dopo la trascrizione della domanda, compresa l'iscrizione nel registro delle imprese della sentenza di fallimento ai sensi degli artt. 16 e 17 l.fall.

L'art. 16 l.fall., infatti, stabilisce oggi chiaramente (a seguito della riforma del 2006) che la sentenza dichiarativa di fallimento produce effetti nei riguardi dei terzi solo dalla data della sua iscrizione nel registro imprese.

Anche il problema dell'effetto retroattivo viene risolto.

Nei rapporti tra promissario acquirente e promittente venditore la sentenza ex art. 2932 c.c. sarà sempre di natura costitutiva e produrrà effetti ex nunc dalla data della sua emanazione, mentre nei riguardi dei terzi - e tra questi vi è senz'altro la massa creditoria rappresentata dal curatore - il promissario acquirente potrà "prenotare" gli effetti della sentenza di accoglimento mediante la previa trascrizione della domanda ex art. 2932 c.c.

Così pure le tesi dell'intangibilità e della cristallizzazione del patrimonio del debitore a seguito del fallimento sono confutate osservando che al momento della dichiarazione di insolvenza nella sfera giuridica del fallimento è cristallizzata anche una pretesa giuridica del promissario acquirente previamente trascritta

Dal punto di vista invece della ratio legis le Sezioni Unite richiamano nuovamente il principio della ragionevole durata del processo invocato dalla pronuncia del 2004 nel senso "chiovendiano" del termine, cioè che il tempo del giudizio (con buona pace dei creditori in questo caso) non può andare a detrimento della parte che ha ragione, cioè del promissario acquirente.

Scopo delle regole della trascrizione è infatti quello di evitare che i tempi del processo pregiudichino i diritti di chi ha ragione facendo sì che "il tempo giuridico azzeri il tempo storico".

La soluzione prospettata, infine, è conforme anche alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo che prevede tra i diritti fondamentali dell'individuo quello di avere un processo di ragionevole durata (art. 6.1).

Al contrario la soluzione opposta sarebbe in contrasto con l'art. 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione (“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale…”) come rilevato in fattispecie analoga dalla Corte Europea di Strasburgo (Seconda sezione, Ceni c. Italia - Ricorso n. 25376/06, sentenza 4 febbraio 2014, su questo Portale con commento di Antonio Didone, 15.7.2014).

Da ultimo, si segnala che la Corte non si è soffermata, né nella pronuncia in commento, né negli arresti delle Sezioni Unite del 2004 e del 2015, sulla tesi diffusa in dottrina che risolve in “radice” il problema dello scioglimento spiegando che in realtà l'art. 72 l.fall. non sarebbe applicabile alla fattispecie discussa.

Secondo questa tesi, nell'ipotesi in esame non ci troveremmo di fronte a contratti “pendenti” o “non interamente eseguiti da entrambe le parti” dato che il promissario acquirente avrebbe già svolto tutto quanto di sua competenza (Colesanti, Durata del processo e tutela del promissario di vendita immobiliare, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2009 e Fallimento e trascrizione delle domande giudiziali, Milano, 1972), pertanto ciò che penderebbe non sarebbe il contratto, ma semmai il processo (Pagni, Lo scioglimento del contratto preliminare ad opera del curatore dopo le Sezioni Unite, in Fall. 2015).

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