Legittimazione e poteri del pubblico ministero nel fallimento
31 Gennaio 2017
Il pubblico ministero è legittimato a chiedere il fallimento dell'imprenditore anche se la notitia decoctionis sia stata da lui appresa nel corso di indagini svolte nei confronti di soggetti diversi dall'imprenditore medesimo, sia esso individuale o collettivo. Questo è quanto affermato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 2228 depositata ieri.
Il caso. La Corte d'appello di Milano revocava il fallimento di una Srl dichiarato dal Tribunale su iniziativa del pubblico ministero. La Corte osservava che alla data della presentazione della richiesta di fallimento nessun procedimento penale era stato promosso nei confronti della società, e che la notitia decoctionis era stata appresa nell'ambito di un procedimento instaurato contro soggetti diversi. Avverso tale provvedimento il Procuratore generale della Repubblica proponeva ricorso per cassazione e la suddetta società a responsabilità limitata replicava con controricorso.
L'art. 7, comma 1, l. fall. amplia la legittimazione del pubblico ministero. La volontà legislativa che emerge dalla lettura delle ipotesi alternative previste dall'art. 7, comma 1, l. fall., una volta venuta meno la possibilità di dichiarare il fallimento d'ufficio, è, infatti, nel senso di ampliare la legittimazione del pubblico ministero a tutti i casi nei quali egli abbia comunque istituzionalmente appreso la notizia.
La notitia decoctionis deve essere appresa nel corso di indagini legittimamente svolte. In relazione alla legittimazione del pubblico ministero, l'unico profilo rilevante è che la notitia decoctionis sia stata appresa nel corso di indagini comunque legittimamente svolte, finanche nei confronti di soggetti diversi o collegati all'imprenditore medesimo e a prescindere dai tempi di approfondimento investigativo direttamente incidenti sulla società insolvente. |