Il pagamento parziale delle ritenute nel concordato preventivo

06 Marzo 2017

Mentre, per effetto della modifica apportata dalla legge 11 dicembre 2016, n. 232 all'art. 182-ter legge fall., a partire dal 1° gennaio 2017 il ricorso alla transazione fiscale diverrà obbligatorio per l'ipotesi in cui il debitore voglia proporre un pagamento parziale dei tributi previsti in detta norma, nel regime anteriore alla citata modifica normativa continuerà ad operare un “doppio binario” alternativo, con facoltà per il debitore di accedere alla transazione fiscale, restando tuttavia vincolato al pagamento integrale di I.V.A. e ritenute, oppure di non avvalersi della transazione, procedendo alla falcidia anche di tali voci di debito.
Massima

Mentre, per effetto della modifica apportata dalla L. n. 232/2016 all'art. 182-ter l.fall., a partire dal 1° gennaio 2017 il ricorso alla transazione fiscale diverrà obbligatorio per l'ipotesi in cui il debitore voglia proporre un pagamento parziale dei tributi previsti in detta norma, nel regime anteriore alla citata modifica normativa continuerà ad operare un “doppio binario” alternativo, con facoltà per il debitore di accedere alla transazione fiscale, restando tuttavia vincolato al pagamento integrale di IVA e ritenute, oppure di non avvalersi della transazione, procedendo alla falcidia anche di tali voci di debito

La specialità della regola contenuta nell'art. 182-ter l.fall. in relazione alla falcidiabilità dell'IVA, e la conseguente inapplicabilità dei vincoli in essa contenuti al concordato senza transazione fiscale, depongono nel senso dell'affermazione della piena falcidiabilità – al di fuori della transazione fiscale – anche del debito per ritenute, operando nella specie la stessa ratio che è alla base della decisione delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione 27 dicembre 2016, n. 26988.

Il caso

Il Tribunale di Milano recependo il principio di diritto espresso dalla precedente (di due giorni) Cassazione a Sezioni Unite n. 26988 del 27 dicembre 2016 (e poi confermato successivamente dalla Cassazione a Sezioni Unite n. 760 del 13 gennaio 2017) ha ammesso un concordato preventivo nel cui piano era prevista la possibilità di falcidia delle ritenute operate e non versate.

La questione giuridica

Nell'ambito dei concordati preventivi, una delle problematiche più discusse si riferisce alla possibilità o meno da parte del debitore di effettuare un pagamento parziale dell'IVA dovuta e delle ritenute operate e non versate, anche nel caso in cui non si ricorra all'istituto della transazione fiscale ex art. 182-ter della Legge Fallimentare. Tale norma, nella versione precedente a quella prevista dalla legge dell'11 dicembre 2016, n. 232 (c.d. Legge di Bilancio 2017), prevede solamente la possibilità di dilazionare il pagamento dell'imposta, senza alcuna riduzione del relativo debito.

Il decreto del Tribunale di Milano qui in commento ripercorre tale problematica, alla luce della giurisprudenza, nazionale e comunitaria, succedutasi nel tempo, e, sulla scorta della sentenza della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 27 dicembre 2016 (quindi precedente di due giorni) ammette ai sensi dell'art. 162 l.fall. una proposta concordataria che prevede la falcidiabilità delle ritenute operate e non versate.

L'intangibilità dell'IVA e delle ritenute nei concordati preventivi

Il Tribunale meneghino prende abbrivio dai ripetuti interventi della Suprema Corte, che hanno stabilito l'inderogabilità dell'art. 182-ter l.fall. anche nell'ambito della pura e semplice proposta di concordato preventivo (senza transazione fiscale), così stabilendo l'intangibilità dell'IVA e delle ritenute.

Tra le altre, tale principio è stato stabilito dalle sentenze n. 7667 del 16 maggio 2012, n. 9541 del 30 aprile 2014, n. 14447 del 25 giugno 2014 e, da ultimo, n. 2560 depositata il 9 febbraio 2016. Secondo i Giudici di legittimità, anche in presenza di una proposta di concordato presentata in assenza di transazione fiscale di cui all'art. 182-ter l.fall., le previsioni di cui all'art. 182-ter l.fall. avrebbero avuto carattere sostanziale e di generale applicazione e, pertanto, i debiti per IVA e ritenute operate e non versate non potevano essere falcidiate.

Le conclusioni della Corte di Cassazione erano coerenti con quelle dell'Agenzia delle Entrate, contenute nel paragrafo 2 della Circolare del 6 maggio 2015, n. 19/E, secondo la quale la previsione legislativa della sola modalità dilatoria in riferimento al trattamento del credito IVA costituirebbe condizione di ammissibilità della proposta di concordato preventivo, a prescindere dalla presentazione o meno della domanda di transazione fiscale ai sensi dell'art. 182-ter l.fall.

In aderenza all'indirizzo espresso dalla S. Corte in sede civile, nel 2013 si è pronunziata anche la Corte di Cassazione penale, secondo la quale “costituisce diritto vivente” il principio secondo cui la proposta possa prevedere solo la dilazione del pagamentodell'IVAma non la sua falcidiabilità (Cass. Pen., 31 ottobre 2013, n. 44283) .

La stessa Corte Costituzionale, con sentenza n. 225 del 15 luglio 2014 , sulla scorta dell'interpretazione dei principi comunitari fornita dalla Corte Europea, così almeno secondo il Giudice delle Leggi (Cfr. Corte di Giustizia UE, 28 settembre 2006, causa C-128/05; 11 dicembre 2008, causa C-174/07; 17 novembre 2008, causa C-132/06), ha ritenuto che gli Stati membri fossero sempre vincolati a riscuotere per intero gli importi relativi all'IVA (e che solo la dilazione dei tempi di pagamento di tale tributo potesse essere oggetto di transazione).

Conformemente a tale orientamento, molti tribunali di merito si sono espressi in senso conforme alla Suprema Corte (Cfr. Trib. Firenze 10 giugno 2014; Trib. Brescia 11 giugno 2013; App. Brescia 13 settembre 2013; Trib. Rossano 31 gennaio 2012; Trib. Roma 1 febbraio 2012; Trib. Vicenza 27 dicembre 2012; Trib. Padova 30 maggio 2013; Trib. Monza 2 ottobre 2013), rigettando i ricorsi per concordato che prevedevano la falcidia del credito IVA (e delle ritenute operate e non versate (3)), mutando finanche il proprio (iniziale) pensiero.

Le ragioni per sostenere l'intangibilità dell'IVA (e, quindi, anche delle ritenute) erano le seguenti: l'IVA costituisce una risorsa propria dell'Unione europea, sicchè non può essere oggetto di rinunzia da parte dello Stato; la norma di cui all'art. 182-ter, comma 1, l.fall. ha natura eccezionale e attribuisce al credito un trattamento peculiare ed inderogabile, con la conseguenza che tale norma, di portata sostanziale, si applica ad ogni forma di concordato, ancorché proposto senza ricorrere all'istituto della transazione fiscale; con l'introduzione della procedura di sovraindebitamento (art. 18 del D.L. n. 179/2012) il legislatore ha confermato il regime preferenziale per i crediti relativi ad IVA (e ritenute operate e non versate), a detrimento di tutti gli altri crediti privilegiati, anche di grado precedente: non si potrebbe così ammettere alcuna disomogeneità nel trattamento del debitore non fallibile che può ricorrere unicamente alla procedura di sovraindebitamento (perché non in possesso dei requisiti menzionati nell'art. 1 l.fall.) rispetto all'imprenditore che possa accedere al concordato in quanto fallibile.

La tesi a favore della falcidiabilità dell'IVA e delle ritenute

Di avviso contrario gran parte della dottrina e molti tribunali di merito, che hanno quindi affermato il principio della falcidiabilità dell'IVA e delle ritenute (Cfr. Trib. Ascoli Piceno 14 marzo 2014; App. Venezia 7 maggio 2013, App. Venezia 23 dicembre 2013; Trib. Campobasso, 29 luglio 2013; Trib. Varese, 30 giugno 2012; Trib. Perugia 16 luglio 2012; Trib. Cosenza 29 maggio 2013; Trib. di Como 29 gennaio 2013; Trib. Como 22 ottobre 2013; Trib. Cosenza 29 maggio 2013; Trib. di Sondrio 12 ottobre 2013; App. Genova 27 luglio 2013; Trib. Busto Arsizio 7 ottobre 2013, nonché la stessa Fondazione Nazionale dei Commercialisti, con il documento del 31 gennaio 2016, che ha ritenuto opportuno individuare un rimedio normativo rispettoso dei principi comunitari sanciti dalla Corte di Giustizia Ue ed ha così proposto una soluzione che avrebbe premesso di transigere l'IVA nazionale, pur corrispondendo all'Unione la totalità della quota di tributo a quest'ultima dovuta.

Le ragioni a favore della falcidiabilità dell'IVA (e, per analogia ed a maggior ragione, non essendo tributi armonizzati, delle ritenute) erano le seguenti: l'impossibilità di considerare l'IVA una risorsa finanziaria propria dell'UE, atteso che, da un lato, erano le stesse Istituzioni europee ad escluderlo (nella “Relazione esplicativa della convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee” del 26 maggio 1997, nella “Risoluzione del Parlamento europeo del 29 marzo 2007 sul futuro delle risorse proprie dell'Unione europea”; nel “Documento di lavoro sulla risorsa propria basata sull'imposta sul valore aggiunto” del 19 giugno 2012 elaborato dalla Commissione per i bilanci del Parlamento europeo; la natura processuale (e non sostanziale) dell'art. 182-ter l.fall., che è anche norma speciale, non generale; la mancanza di un principio di omogeneità di trattamento dell'IVA nelle varie procedure concorsuali, perché mentre, da un lato, era pacifica l'infalcidiabilità dell'IVA nella crisi da sovraindebitamento e nel concordato preventivo assistito da transazione fiscale, dall'altro lato era altrettanto pacifica la falcidiabilità dell'IVA nel fallimento, nella liquidazione coatta amministrativa e nell'amministrazione straordinaria e nel concordato fallimentare.

Come ricordato dal Tribunale meneghino, il panorama è stato profondamente mutato dalla sentenza della Corte di Giustizia del 7 aprile 2016, che ha dichiarato compatibile con le norme europee la normativa italiana, “interpretata nel senso che un imprenditore in stato di insolvenza può presentare a un giudice una domanda di apertura di una procedura di concordato preventivo, al fine di saldare i propri debiti mediante la liquidazione del suo patrimonio, con la quale proponga di pagare solo parzialmente un debito IVA attestando, sulla base dell'accertamento di un esperto indipendente, che tale debito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di proprio fallimento”.

Successivamente, ma in relazione alle ritenute, il Tribunale di Livorno in data 13 aprile 2016 (in questo portale) ha decretato l'omologazione di un concordato preventivo che prevedeva il pagamento parziale delle ritenute IRPEF operate e non versate. Sul tema della falcidiabilità delle ritenute operate e non versate, si segnala anche un decreto di omologazione del Tribunale di Rovigo, che, già in data 26 maggio 2015 (in questo portale), si è espresso sull'opposizione all'omologazione richiesta da Agenzia delle Entrate (in ordine alla fattibilità giuridica del concordato) a causa dell'ipotizzata falcidia delle ritenute in sede concordataria, affermando che l'obbligo dell'integrale pagamento delle ritenute operate e non versate vige esclusivamente in sede di transazione fiscale (per cui detto credito avrebbe potuto essere oggetto di falcidia in un concordato preventivo che non facesse ricorso alle previsioni di cui all'art. 182-ter l.fall.); la stessa tesi è stata condivisa dal Tribunale di Cosenza in un decreto di omologazione del 22 luglio 2015 (in questo portale). Di questo avviso anche il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che, con decreto del 17 febbraio 2016 (in questo portale), ha sancito che il divieto di falcidia dell'IVA e delle ritenute, in assenza di transazione fiscale, è del tutto privo di giustificazione a livello comunitario, non essendovi al riguardo alcun vincolo di matrice sovranazionale

La sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 26988 del 27 dicembre 2016 e il recepimento del principio di diritto da parte del Tribunale di Milano

Ebbene, il Tribunale di Milano con il decreto in commento ricorda come “risolutiva” della questione sia la sentenza n. 26988 del 27 dicembre 2016 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (in funzione nomofilattica), che ha statuito come “la previsione dell'infalcidiabilità del credito IVA di cui all'art. 182 ter legge fall. trova applicazione solo nell'ipotesi di proposta di concordato accompagnata da una transazione fiscale". Decisum poi ripreso dalla recentissima sentenza delle Sezioni Unite n. 760 del 13 gennaio 2017.

Tuttavia le predette sentenze delle Sezioni Unite della Suprema Corte non hanno posto la parola fine alla questione, atteso che il Legislatore ha “superato” la Corte di legittimità con la modifica apportata dalla L. 11 dicembre 2016, n. 232 all'art. 182-ter l.fall., in vigore a partire dal 1° gennaio 2017: con tale novella il ricorso alla transazione fiscale diviene obbligatorio per l'ipotesi in cui il debitore voglia proporre un pagamento parziale dei tributi previsti in detta norma, qualora il piano proposto dal debitore preveda una soddisfazione dell'IVA e delle ritenute “in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato nella relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d)» della Legge fallimentare”, con obbligo di inserire in un'apposita classe la quota di credito degradata al chirografo.

Tuttavia,come ricorda il Tribunale meneghino,nel regime anteriore alla citata modifica normativa continuerà ad operare un “doppio binario” alternativo, con facoltà per il debitore (i) di accedere alla transazione fiscale, restando tuttavia vincolato al pagamento integrale di IVA e ritenute, (ii) oppure di non avvalersi della transazione, procedendo alla falcidia anche di tali voci di debito.

Conclusioni

La pronunzia in commento risulta di sicuro interesse laddove specificamente riferita alle ritenute operate e non versate, confermando che “La ribadita specialità della regola contenuta nell'art. 182-ter l.fall., e la conseguente inapplicabilità dei vincoli in essa contenuti al concordato senza transazione fiscale, sembra quindi deporre nel senso dell'affermazione della piena falcidiabilità – al di fuori della transazione fiscale – anche del debito per ritenute, operando la stessa ratio che è alla base della decisione delle Sezioni Unite.”

Resterà ora da capire se per i concordati presentati successivamente al 1° gennaio 2017, e dunque nel pieno vigore della novella del primo comma dell'art. 182-ter l.fall., vi sia: (i) un contrasto tra il diritto comunitario, come interpretato dalla Corte di Giustizia (le cui sentenze sono vincolanti per il diritto interno), e quello interno, considerato che ai sensi della novella legislativa la falcidia è possibile solo per il caso di incapienza dei beni mobili sui cui insiste il privilegio, attestata da un professionista, mentre la Corte di Giustizia con la sentenza del 7 aprile 2016 l'aveva agganciata al giudizio di miglior realizzo concordatario e dunque - verosimilmente - all'intervento di finanza esterna; (ii) un problema di costituzionalità dell'art. 7 della L. n. 3/2012 sul sovraindebitamento, nella parte in cui stabilisce che il credito per IVA e ritenute può essere oggetto solo di dilazione e non di falcidia, in violazione dell'art. 3 comma primo della Costituzione (in materia di eguaglianza formale), perchè tratta in modo diverso situazioni eguali. Da un lato, infatti, l'imprenditore commerciale sopra la soglia di fallibilità (di cui all'art. 1 l.fall.) con un concordato preventivo con transazione fiscale (a seguito della modifica, appunto, dell'art. 182-ter l.fall.) può falcidiare l'IVA e le ritenute; dall'altro un imprenditore commerciale sotto soglia con un accordo di composizione della crisi non può falcidiare l'IVA e le ritenute, incapienti nella liquidazione del patrimonio, potendo solo proporre al creditore tributario o contributivo la dilazione di pagamento.

Relativamente all'IVA, infine, è opportuno sottolineare che l'indirizzo giurisprudenziale a favore della falcidia e la nuova normativa sopracitata dovranno trovare coordinamento con quanto sancito recentemente dalla Corte di Cassazione (ordinanza del 17 gennaio 2017, n. 103415) in termini di rivalsa IVA, laddove è stato sostenuto che il credito di rivalsa IVA per prestazioni professionali, effettuate anteriormente alla procedura concorsuale, non sarebbe qualificabile come credito da soddisfare in prededuzione ex art. 111, comma 1, l.fall.; al contrario, potrebbe giovarsi del solo privilegio speciale di cui all'art. 2758, comma 2, del codice civile. In merito si ricorda che la stessa Corte di Cassazione (sentenza del 6 novembre 2013, n. 24970), con altra pronuncia, ha stabilito che al credito di rivalsa dell'IVA spettante al cedente di beni e servizi deve essere riconosciuto il suddetto privilegio sui beni mobili che hanno formato oggetto di cessione o ai quali si riferisce il servizio, anche qualora il bene gravato dal privilegio non sia presente nel patrimonio del debitore, salvo che sia diversamente previsto come espresso patto di concordato, in base all'art. 160, comma 2, l.fall.

La Cassazione ha di fatto stabilito che la regola generale del concordato rimane quella dell'integrale pagamento dei creditori privilegiati, a meno che il piano non disponga la soddisfazione parziale secondo quanto previsto dall'art 160, comma 2, l.fall.

La soddisfazione parziale, quindi, è configurata dalla legge come l'effetto di un patto concordatario, in mancanza del quale, va applicata la regola generale.

Guida all'approfondimento

La sentenza n. 7667 del 16 maggio 2012 ha ad oggetto un ricorso presentato dall'Agenzia delle Entrate per la cassazione di un decreto della Corte di Appello di Brescia, che aveva confermato la legittimità del decreto di omologazione del concordato preventivo, senza transazione fiscale e con falcidia del credito iva, emesso dal Tribunale di Mantova (ordinanza del 13 settembre 2013).

La sentenza della Corte Costituzionale n. 225 del 15 luglio 2014 origina dalla rimessione operata dal Trib. Verona, ord. 5 aprile 2013, che aveva evidenziato come quale conseguenza dell'orientamento espresso dalla Cassazione, in tutti i casi in cui l'attivo di un'impresa fosse insufficiente a soddisfare integralmente i crediti assistiti da privilegio, si sarebbe determinata l'inammissibilità della proposta concordataria, nonostante il suo esito prevedesse un trattamento migliore rispetto a quello che i creditori riceverebbero a seguito della liquidazione fallimentare, così violando l'art. 97 Cost. (in quanto per tale via si precludeva alla Pubblica Amministrazione di valutare in concreto la convenienza del piano e della proposta dell'imprenditore che prospettasse una soluzione più vantaggiosa rispetto alla liquidazione fallimentare), nonché l'art. 3, nella parte in cui non consente all'Erario, a differenza degli altri creditori, di accettare un pagamento inferiore al proprio credito ma superiore a quello prospettato nell'ipotesi liquidatoria.

Il Tribunale di Rimini con sentenza dell' 8 ottobre 2014 (in Ilcaso) estende tale principio di intangibilità espressamente anche alle ritenute operate e non versate, così come il Tribunale di Pordenone con sentenza del 27 novembre 2014 (in Ilcaso) che estende tale divieto in ragione di evidenti ragioni di carattere sistematico e dalla lettura stessa dell'art. 182-ter l.fall., la quale equipara il trattamento delle due tipologie di credito ed impedisce di considerare falcidiabile il solo credito per ritenute in assenza di transazione fiscale.

Cfr. App. Venezia 30 ottobre 2014, in Unijuris: “alla luce della sentenza della Corte Cost. n. 225/2014 si deve aderire al principio di generale non falcidiabilità dei crediti dell'erario per IVA, principio accreditato dalla Suprema Corte e che rappresenta oramai diritto vivente conforme alla Costituzione”; da ultimo cfr. Trib. di Massa, 4 febbraio 2016, (in Ilcaso): “il soddisfacimento integrale dell'I.V.A. e delle ritenute d'acconto operate e non versate costituisce implicazione immanente allo statuto eccezionale configurato dalla valenza sostanziale dell'art. 182 ter l. fall.” e “non comporta alcuna alterazione dell'ordine delle cause legittime di prelazione nè viene in rilievo per l'applicazione del principio che impone la formazione delle classi secondo posizione giuridiche ed interessi economici omogenei”.

Cfr. G. Andreani, La falcidiabilità dell'IVA nel concordato preventivo senza transazione fiscale: tesi a confronto, dopo la sentenza della Corte Costituzionale, in questo portale, 2014, p. 6; G. Bozza, Il trattamento dei crediti privilegiati nel concordato preventivo, in Fall., 2012, 377 ss.; P. Vella, La problematica scissione tra facoltatività procedimentale e obbligatorietà sostanziale dell'art. 182-ter, l. fall., in Fall., 2012, 172 ss; A. Penta, Obbligatorietà o facoltatività nel “classamento” dei creditori e carattere autonomo o dipendente della transazione fiscale, in Fall., 2010, 233 ss.; F. Marengo, Giurisprudenza civile di merito in tema di remissione dell'IVA nell'ambito del concordato preventivo con o senza transazione fiscale, in Ilcaso, documento n. 192/2010; G. Lo Cascio, Osservazioni alla modifica dell'art. 182-ter L.F., in Fall., 2009, 5 e 6.

Da ultimo cfr. Tribunale di Santa Maria Capua Vetere 17 febbraio 2016, (in Ilcaso) per il quale “il pagamento parziale del debito IVA da parte di un imprenditore in difficoltà finanziaria, nel corso di un concordato preventivo basato sulla liquidazione del suo patrimonio, è possibile a condizione che un esperto indipendente concluda che non si otterrebbe un pagamento maggiore di tale credito in caso di fallimento”, essendo “il divieto di falcidia dell'Iva e delle ritenute, in assenza di transazione fiscale, è del tutto privo di giustificazione a livello comunitario, non essendovi al riguardo alcun vincolo di matrice sovranazionale”; Tribunale di Rovigo decr. 26.5.2015, G. est. Martinelli, in Ilcaso, per il quale “l'obbligo dell'integrale pagamento delle ritenute operate e non versate vige esclusivamente in sede di transazione fiscale, per cui questo credito può essere oggetto di falcidia in un concordato preventivo che non faccia ricorso alla transazione fiscale, visto che pure la relazione ministeriale di accompagnamento al D.L. n. 78/2012 limita l'obbligo dell'integrale pagamento delle ritenute operate e non versate all'interno della transazione fiscale

In tale Relazione l'attuale Consiglio dell'UE escluse dalle predette risorse “le entrate provenienti dall'applicazione di un'aliquota uniforme alla base imponibile IVA negli Stati membri, non essendo l'IVA una risorsa propria riscossa direttamente per conto della Comunità” (il documento è consultabile sul sito http://eur-lex.europa.eu).

Nella “Risoluzione del Parlamento europeo del 29 marzo 2007 sul futuro delle risorse proprie dell'Unione europea”si legge che l'IVA “non può considerarsi a tutti gli effetti una risorsa propria dell'Unione” trattandosi, piuttosto, di “uno strumento puramente statistico per calcolare il contributo di uno Stato membro” che, pertanto, non ha alcun legame con quanto riscosso da ciascun Paese presso il contribuente e, anzi, opera a prescindere dall'effettiva esazione dell'imposta da parte dei singoli Stati (il documento è consultabile sul sito http://eur-lex.europa.eu).

La Commissione per i bilanci del Parlamento europeo ha chiarito che “L'IVA non è più una risorsa propria autentica. Concepita inizialmente come fonte di una vera e propria entrata del bilancio dell'UE, attualmente la risorsa propria IVA sembra essere un'altra forma di contributo nazionale. Inoltre, il gettito IVA non è destinato direttamente al bilancio dell'UE, bensì costituisce un trasferimento dalle tesorerie degli Stati membri” (il documento è consultabile sul sito http://eur-lex.europa.eu).

In tal senso M. Fabiani, Dai principi generali alla falcidiabilità di tutti i creditori tributari, in Ilcaso. Peraltro, come conferma anche il Tribunale di Benevento, “Non può dubitarsi della sua natura eccezionale, dalla quale deriva non solo il divieto di applicazione in via analogica, ma anche il divieto di interpretazione estensiva in assenza di una eadem ratio” (cfr. Trib. Benevento decr. 25.9.2014).

Il documento della Fondazione, conclusivamente, riassume le posizioni del CNDCEC in ordine alla proposta di modifiche all'art. 182-ter l. fall.: a) abrogazione del decreto ministeriale che prevede preclusioni alla falcidia dei contributi previdenziali ed assistenziali; b) prevedere la falcidia delle ritenute operate e non versate, per un ammontare non inferiore allo 0,20% della retribuzione imponibile, elevato allo 0,40% nel caso di debiti per contributi su retribuzioni di dirigenti di aziende industriali (ratio volta alla tutela dei lavoratori); c) in tema di IVA, garantire il versamento integrale della quota parte destinata al finanziamento dell'UE (lo 0,3%, ossia l'aliquota media ponderata oggi in vigore), consentendo la falcidia del residuo credito; d) estendere l'obbligo di depositare la domanda di transazione fiscale anche agli uffici fiscali presso gli enti locali (comuni, province e regioni), con allargamento della falcidia a tutti i tributi; e) attribuire all'espressione “consolidamento del debito tributario” il significato di cristallizzazione della pretesa erariale e locale alle annualità oggetto della transazione, come quantificata dall'Agenzia delle entrate, dall'Agente della riscossione o dagli enti locali; f) prevedere il c.d. “silenzio-assenso” laddove l'Amministrazione finanziaria o gli Enti Locali, entro 60 giorni dalla proposta di transazione, non esplicitino la risposta.

Ex pluribus cfr. App. Milano 20.11.2014, in Ilcaso, che ha ritenuto di poter considerare falcidiabile l'IVA nel concordato fallimentare.

Art. 4, paragrafo 3, TUE nonché gli artt. 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva IVA.

Cfr. G. Limitone, La falcidia del credito IVA dopo le Sezioni Unite e il nuovo art. 182-ter l.f., pubblicato il 12 gennaio 2017 in Ilcaso.

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