Il piano del consumatore: natura del procedimento e conseguenze del suo inquadramento sistematico
08 Marzo 2017
Dei tre procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento, il piano del consumatore ha delle peculiarità che inducono a porsi il problema della sua natura giuridica, e ciò non soltanto perchè è riservato esclusivamente al soggetto il cui sovraindebitamento sia ricollegabile unicamente ad obbligazioni contratte per necessità personali, ma altresì perchè non v'è dubbio che, con l'introduzione dell'istituto, il legislatore abbia inteso dare una risposta ad un diffuso problema sociale, quello della persona fisica che, gravata da debiti che verosimilmente non avrà mai la possibilità di pagare, subisce l'emarginazione conseguente alla sfiducia del mondo creditizio e non solo.
Una situazione, quella in discorso, che oltretutto priva il sovraindebitato di ogni possibile capacità di consumo prospettica, con una inevitabile ricaduta negativa sul mercato del sistema imprenditoriale.
La valorizzazione delle finalità sociali che il legislatore ha inteso perseguire ha indotto ed induce parte della giurisprudenza ad imperniare le proprie valutazioni interpretative sull'esigenza di offrire la più ampia tutela possibile al consumatore, anche a detrimento dell'interesse che da sempre costituisce il bene giuridico supremo nelle procedure concorsuali: quello al miglior soddisfacimento possibile della massa dei creditori.
Tale scuola di pensiero diverge da quella, opposta, che pur prendendo atto delle esigenze di tutela del consumatore e della loro rilevanza sociale, specie nella attuale e perdurante congiuntura economica, non prescinde dalla necessità di offrire ai creditori del consumatore una protezione quale quella dovuta in presenza di ogni situazione caratterizzata dalla concorsualità, così ritenendo necessaria l'applicazione anche al piano del consumatore dei principi cardine che governano le procedure concorsuali.
Si tratta quindi di stabilire se nel procedimento del piano del consumatore sia prevalente l'esigenza di tutelare il debitore (se meritevole, s'intende) o piuttosto la necessità di assicurare ai suoi creditori il miglior soddisfacimento possibile, in termini di entità e tempistica. Non si tratta, ovviamente, di una questione meramente teorica. La sua soluzione è infatti destinata a condizionare le risposte a numerosi problemi interpretativi e, conseguentemente, a determinare l'ambito della possibile estensione dell'istituto. Detto ciò, è ovvio che il dato di partenza non possa che essere quello dell'analisi normativa e che da quest'ultimo debba discendere l'adesione all'approccio “sociale” o a quello concorsuale. L'operazione inversa, che partisse da uno dei due visti approcci per poi piegare la norma alle esigenze ritenute prevalenti, si porterebbe con sè un vizio di origine che il giurista non può permettersi. Il tema da cui partire è quindi l'inquadramento sistematico del procedimento del piano del consumatore, al fine di stabilire, in successione logica, in primis se si sia in presenza di una procedura concorsuale o piuttosto di un procedimento atipico, solo parzialmente riconducibile ai modelli preesistenti, in secondo luogo, ove la risposta iniziale dovesse privilegiare la natura concorsuale del piano del consumatore, se sia possibile parlare di una procedura riconducibile al modello concordatario. La risposta alla prima questione deve ritenersi scontata: troppe sono le chiare indicazioni normative ampiamente conclusive su punto.
L'art. 7, comma 2, della L. n. 3/2012, come modificata dalla L. n. 221/2012, prescrivendo l'inammissibilità della proposta di piano quando il consumatore sia soggetto a procedure concorsuali diverse da quella, appunto del piano, non lascia spazio a dubbi di sorta. L'esplicita previsione di un momento di apertura del concorso dei creditori e della protezione del patrimonio del debitore da azioni esecutive o cautelari, integrano ulteriori elementi univoci e decisivi per affermare che il piano del consumatore sia una procedura concorsuale, priva di alcun elemento distonico rispetto alle regole sue tipiche. Va inoltre evidenziata la pressocchè completa assimilazione delle discipline giuridiche dell'accordo di composizione della crisi e del piano del consumatore e della significativa e cospicua "importazione" di una serie di norme dettate dalla legge fallimentare per il concordato preventivo (solo per citarne alcune: quelle relative all'istituto delle classi, alla disciplina della prededuzione, ai presupposti della falcidia dei creditori assistiti da una causa di prelazione generale o speciale, alla tempistica del pagamento dei creditori privilegiati quando il loro soddisfacimento non segue la liquidazione del bene o dei beni sui quali insiste il privilegio). In presenza di un così ricco novero di elementi normativi imprescindibili, pare davvero ardito considerare il piano del consumatore quale un procedimento atipico riconducibile soltanto in parte al modello concorsuale, come pure qualcuno ritiene di poter fare. Già questa posizione induce ad applicare al piano, in via analogica, il principio per cui i debiti debbano intendersi interamente scaduti al momento dell'apertura del concorso dei creditori, momento che nel piano del consumatore coincide con l'omologazione.
Si tratta di un principio immanente alla necessità di pagare i crediti concorsuali secondo la regola della par condicio, affermato dagli artt. 55, comma 1 e dall'art. 169 l. fall., che in quanto tale non può non applicarsi, con la conseguenza che un piano che prevedesse la prosecuzione delle pattuizioni inerenti alla pregressa conclusione di un mutuo o di un finanziamento erogato dietro cessione del quinto dello stipendio, previa elisione della norma in discorso, sarebbe inammissibile, risolvendosi in una chiara lesione della par condicio. Più delicata è la risposta da offrire alla questione successiva, quella della riconducibilità del piano del consumatore al modello concordatario. Dalla soluzione al problema dipendono infatti alcune opzioni, in tema di ammissibilità giuridica del piano, che possono definirsi cruciali e decisive nel condizionare le possibilità di accesso alla procedura, e quindi la diffusione dell'istituto. Non si allude qui alla ammissibilità di una cessione parziale dei beni facenti parte del patrimonio del debitore non compensata da risorse esterne di valore pari o superiore, ipotesi che va considerata sempre ed in ogni caso impraticabile in quanto integrante una manifesta violazione del generalissimo principio della garanzia patrimoniale dei creditori (art. 2740 c.c.), quanto invece alla applicabilità al piano del consumatore dei principi affermati dalla Suprema Corte di Cassazione a proposito della causa, o funzione economica, del concordato preventivo: la gestione della crisi con il soddisfacimento di tutti i crediti in un lasso di tempo ragionevolmente breve (S.U. Cass. n. 1521/13).
Un'assimilazione del procedimento riservato al consumatore al modello concordatario non lascerebbe spazio a piani che prevedessero un orizzonte temporale superiore ai tre - cinque anni o che non dovessero assicurare il soddisfacimento di tutti i crediti chirografari, ivi compresi quelli degradati al chirografo, in una qualche, sia pur minima, percentuale. Viceversa, ritenere che il piano del consumatore sia una procedura concorsuale non riconducibile al modello del concordato preventivo, lascerebbe spazio a soluzioni che, a condizione che rappresentino una corretta declinazione dell'art. 2740 c.c., possano anche scaturire da un piano di pagamento a lungo termine e sfociare nel mancato soddisfacimento di alcuni crediti. Anche in questo caso, tuttavia, le norme non sembrano lasciare spazio a soluzioni diverse da quella della piena assimilazione del piano al modello concordatario, da cui la disciplina della L n. 3/2012 e successive modifiche si discosta soltanto per la mancata previsione del voto della massa dei creditori. Come noto, peraltro, nel nostro ordinamento esistono altre ipotesi di concordato in cui la comunicazione della proposta ai creditori ha l'esclusivo scopo di metterli in condizione di opporsi all'omologazione (cd. concordato non concordato o concordato coattivo), senza che per questo possa dubitarsi della riconducibilità di tali ipotesi al modello concordatario.
Ne consegue che sostenere che il piano del consumatore possa avere una durata spalmata lungo un considerevole lasso di tempo (venti o anche trent'anni, secondo pronunce di alcuni tribunali) o non prevedere il soddisfacimento di tutti i crediti concorsuali, valorizzando la superiore esigenza di intensificare la tutela del consumatore sovraindebitato, è una operazione ermeneutica che, per quanto possa apparire apprezzabile sotto il profilo sociale ed economico, va giudicata incoerente rispetto alle norme che compongono la complessiva disciplina dell'istituto. |