La domanda erariale di ammissione al passivo

14 Marzo 2017

Ogni questione circa l'an ed il quantum dell'obbligazione tributaria ricade nella esclusiva competenza del giudice tributario ai sensi dell'art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992. Appartengono, in particolare, alla giurisdizione tributaria, le controversie aventi ad oggetto i tributi d'ogni genere, compresi quelli di titolarità degli enti territoriali, nonché le sanzioni, gli interessi ed ogni altro accessorio.
Premessa

Ogni questione circa l'an ed il quantum dell'obbligazione tributaria ricade nella esclusiva competenza del giudice tributario ai sensi dell'art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992.

Appartengono, in particolare, alla giurisdizione tributaria, le controversie aventi ad oggetto i tributi d'ogni genere, compresi quelli di titolarità degli enti territoriali, nonché le sanzioni, gli interessi ed ogni altro accessorio (le iscrizioni a ruolo di carichi diversi dai crediti tributari ricadono, peraltro, nella giurisdizione esclusiva del giudice ordinario).

Ricadono nella competenza esclusiva del giudice delegato le decisioni in ordine ai seguenti profili:

  • accertamento circa la sussistenza del principio di concorsualità del credito erariale (anteriorità al fallimento del presupposto di legge);
  • accertamento in ordine alla sussistenza e/o legittimità del titolo (prova del credito tributario);
  • determinazione circa la collocazione del credito (sussistenza ed estensione del privilegio erariale).
Obbligazione tributaria e concorso

L'obbligazione tributaria nasce quando si verifichi il presupposto di fatto cui la legge collega il sorgere del tributo.

È la teoria cd. “dichiarativa” dell'obbligazione tributaria: essa sorge ex lege e non in base ad esercizio di un determinato potere amministrativo; vi si contrappone la teoria cd. “costitutiva”, secondo cui l'accertamento è elemento costitutivo – o presupposto integrativo – dell'obbligazione tributaria.

Secondo la Cassazione, l'obbligazione tributaria sorge al verificarsi del presupposto materiale previsto dalla norma, configurandosi, l'accertamento, come condizione di esigibilità del credito: “con l'accertamento, l'Amministrazione finanziaria si limita ad evidenziare l'esistenza di presupposti già verificatisi, al solo fine di precisare, in termini quantitativi, gli effetti giuridici, scaturiti da quei presupposti e da essa non modificabili, trattandosi di materia sottratta alla sua disponibilità” (Cass., 14 dicembre 1983, n. 1868).

Il credito erariale assume, pertanto, natura concorsuale quando l'obbligazione sia sorta per effetto di una norma di legge ante sentenza di fallimento – e ciò indipendentemente dal fatto che, a tale data, l'Amministrazione abbia posto in essere attività di controllo.

Ruolo e periculum

La domanda erariale di ammissione al passivo si fonda sul “ruolo” (il ruolo, per i tributi diretti e per l'IVA è stato peraltro sostituito dal cd. “avviso di accertamento esecutivo” per effetto dell'art. 29 del D.L. n. 78/2010).

I ruoli si distinguono in ruoli ordinari e ruoli straordinari; i primi attengono alla fase “fisiologica” del rapporto tributario (il contribuente è ancora solvibile); i secondi attengono alla fase “patologica” (quando vi sia pericolo per la riscossione).

Ci si chiede se il fallimento costituisca un rischio per la riscossione – e se pertanto, con l'apertura del concorso, sia necessaria l'iscrizione nei ruoli straordinari del carico erariale.

Sotto un profilo generale, si dubita sull'utilità della iscrizione a ruolo nell'ambito di una procedura che, per legge, è proprio finalizzata alla miglior tutela dei creditori, determinando – per effetto dello spossessamento –, l'impossibilità, per il fallito, di continuare a disporre del proprio patrimonio; la procedura, d'altra parte, ben garantisce che i beni del debitore non vadano distratti né alienati in modo illegittimo.

Tutela che appare, poi, rafforzata dall'art. 51 l.fall., per il quale, a seguito del fallimento, nessuna azione può essere iniziata o proseguita sui beni del fallito.

Tuttavia, con riferimento al creditore erariale, si ritiene che il fallimento possa rappresentare un concreto pericolo per la riscossione, e ciò – come diremo – sotto il profilo della rilevanza in ordine alla sussistenza d'un valido titolo ai fini dell'ammissione al passivo.

Legittimazione ed ammissione

L'art. 87 del D.P.R. n. 602/1973, dispone che, in caso di apertura del concorso, sia l'agente della riscossione a richiedere l'ammissione al passivo del credito erariale, sulla base del ruolo, per conto dell'Amministrazione finanziaria.

Questa è la regola generale – tale articolo è l'unica norma che faccia espresso riferimento al soggetto legittimato a presentare la domanda d'ammissione al passivo del credito erariale.

La ratio della necessità del ruolo è quella di disciplinare, in ambito concorsuale, la potestà esecutiva di cui gode l'Amministrazione e, dunque, di “procedimentalizzare” tale potere al fine di evitare contrasti con le regole del concorso.

Ci si chiede se l'agente debba – prima di presentare la domanda d'ammissione al passivo – notificare alla curatela la cartella di pagamento.

Nella fase “fisiologica” del rapporto, il ruolo è portato a conoscenza del contribuente tramite la notifica della cartella, che è, da un lato, atto esecutivo, dall'altro, atto impugnabile avanti al giudice tributario ex art. 19 D.Lgs. n. 546/1992.

Secondo la Cassazione, l'agente, intervenuto il fallimento, può presentare la domanda d'ammissione unitamente al ruolo, senza dover prima notificare la cartella: “i crediti iscritti a ruolo ed azionati da società concessionarie per la riscossione seguono, nel caso di avvenuta dichiarazione di fallimento del debitore, l'iter procedurale prescritto per gli altri crediti dagli art. 92 ss. l.fall., legittimandosi la domanda di ammissione al passivo, se del caso con riserva (ove vi siano contestazioni), sulla base del solo ruolo, senza che occorra la previa notifica della cartella esattoriale al curatore fallimentare" (Cass., 26 febbraio 2008, n. 5063).

Secondo la Corte, la lettera dell'art. 87, comma 2, D.P.R. n. 602/1973 non lascia alcun dubbio sul fatto che “il titolo in base al quale il concessionario è legittimato all'insinuazione è costituito dal solo ruolo, mentre nessun accenno è fatto alla necessità che l'insinuazione debba essere preceduta dalla notifica della cartella di pagamento” (Cass., 31 maggio 2011, n. 12019).

D'altra parte, non essendovi, per l'agente, alcun onere di notificare la cartella, ove la stessa sia notificata – attività che sarebbe, dunque, “superflua” (Cass., 15 marzo 2013, n. 6646) –, eventuali vizi propri non sarebbero idonei ad “incidere in alcun modo sull'ammissione al passivo del credito tributario” (Cass., 5 marzo 2015, n. 4483).

Del resto, la cartella non potrebbe essere azionata sotto il profilo esecutivo, stante la preclusione ex art. 51 l.fall.: “la procedura fallimentare, infatti, non appare finalizzata alla diretta realizzazione dell'adempimento dell'obbligazione di pagamento, ma risulta piuttosto volta ad assicurare il conseguimento della par condicio creditorum nel rispetto della disciplina specificamente indicata a tal fine” (Cass., 15 marzo 2012, n. 4126).

Scarsa rilevanza, poi, la cartella avrebbe sotto il profilo della impugnabilità: “il curatore che intenda contestare la pretesa tributaria è legittimato all'autonoma impugnazione del ruolo medesimo, secondo quanto previsto dall'art. 19, lett. d) del D.Lgs. n. 465/92, e non ha alcuna necessità di attendere la previa notifica della cartella” (Cass., 9 dicembre 2014, n. 25863).

Questa impostazione, cioè che il curatore possa impugnare il ruolo a prescindere dalla notifica della cartella, si basa – a parer di chi scrive - su un'apparente forzatura, attribuendo rilevanza ad un atto – la domanda d'ammissione al passivo, per quanto corredata dal ruolo – idoneo ad espletare i propri effetti all'interno del solo ambito fallimentare: potrebbe esservi, pertanto, una compromissione del diritto di difesa della curatela, costituzionalmente garantito, ed è per questo che tale impostazione appare non del tutto condivisibile.

In effetti, in mancanza della notifica della cartella, diventa difficile per il curatore la (pur doverosa) verifica in ordine alla legittimità del procedimento adottato dall'ente impositore e, dunque, il controllo circa la legittimità della pretesa erariale.

Si pensi, in particolare, ai profili legati ai termini di decadenza dell'azione tributaria e/o di prescrizione del credito erariale, ovvero alla individuazione del dies a quo ai fini della impugnabilità del ruolo, sotto l'aspetto della conoscenza legale dell'atto.

Quanto, infine, alla sorte del credito per aggi e diritti d'esecuzione, essi non pare possano costituire crediti erariali, dal momento che, ex art. 11 del D.P.R. 602/1973, sono iscritte a ruolo le sole imposte, sanzioni ed interessi e non anche gli oneri “cartellizzati”, che non avrebbero il carattere della accessorietà.

La Cassazione riconosce che a presentare la domanda di ammissione al passivo possa essere non solo l'agente della riscossione, che opererebbe, infatti, quale mero “sostituto processuale ex art. 81 c.p.c.” (Cass., 8 febbraio 2012, n. 1776), ma anche, in via concorrente – e per la più rapida partecipazione al concorso –, l'ente impositore, il quale potrebbe agire anche senza preventiva iscrizione a ruolo del carico tributario (Cass., 15 marzo 2012, n. 4126).

Siamo di fronte ad una doppia deroga: l'ente impositore può procedere a presentare la domanda d'ammissione al passivo, in proprio, senza il patrocinio dell'agente della riscossione, e può farlo anche senza allegare il ruolo.

Deroghe, invero, non previste da alcuna norma di legge, bensì frutto dell'elaborazione giurisprudenziale, che è giunta, con il tempo, ad avallare la prassi amministrativa tributaria in ordine a tale possibilità (esempio di contrasto fra sistema concorsuale e sistema fiscale, che la Corte risolve con atteggiamento di favor verso l'interesse erariale).

Che l'Amministrazione proceda in proprio e senza ruolo è peraltro possibile per i soli casi in cui il debito risulti dalla dichiarazione presentata dal contribuente e nei limiti della sola imposta, mentre, per le sanzioni e gli interessi, sarebbe sempre necessaria la preventiva iscrizione a ruolo (Cass., 14 luglio 2004, n. 13027).

Secondo la Corte, infatti, la dichiarazione del contribuente assume rilevanza ai soli fini dell'"accertamento definitivo del tributo e costituisce titolo per la sua riscossione”; mentre, per gli accessori del tributo: “senza la iscrizione a ruolo manca qualsiasi atto in virtù del quale l'Amministrazione finanziaria potrebbe procedere alla sua riscossione” (Cass., 10 febbraio 2009, n. 5165).

Ove la curatela intendesse contestare la domanda presentata dall'ente impositore senza produzione di ruolo – e, dunque, di titolo –, dovrebbe proporne l'esclusione dal passivo, per mancanza di prova (Cass., 4 giugno 2007, n. 16120).

L'Amministrazione farebbe poi certo opposizione e produrrebbe versomilmente il ruolo nel corso del giudizio, fatta salva la possibilità per il curatore di eccepire a quel punto – ma non si sa bene con quale possibile esito - la carenza e/o la tardività del titolo.

Al contrario, ove la domanda fosse accompagnata dal ruolo, la curatela, per contestarne la legittimità, dovrebbe impugnarlo avanti al giudice tributario e il credito potrebbe (e dovrebbe) essere ammesso con riserva ex art. 88 D.P.R. n. 902/1973, in attesa della definizione del procedimento tributario (Cass., 23 agosto 2012, n. 14617).

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