La revocatoria transfrontaliera nel panorama europeo

21 Marzo 2017

È trascorso poco più di un anno da quando la Corte di Giustizia UE ha ribadito il principio secondo cui il beneficiario di un atto pregiudizievole per la massa dei creditori - compiuto prima che il suo autore fosse dichiarato insolvente e, dunque, sottoposto a procedura concorsuale - può vittoriosamente opporsi all'azione revocatoria esperita dal curatore della suddetta procedura, provando...
Premessa

È trascorso poco più di un anno da quando la Corte di Giustizia UE ha ribadito il principio secondo cui il beneficiario di un atto pregiudizievole per la massa dei creditori - compiuto prima che il suo autore fosse dichiarato insolvente e, dunque, sottoposto a procedura concorsuale - può vittoriosamente opporsi all'azione revocatoria esperita dal curatore della suddetta procedura, provando, ai sensi dell'art. 13 Reg. CE n. 1346/2000, che l'atto in questione è retto non già dalla lex fori concursus vigente nello Stato di apertura della procedura medesima, bensì dalla lex fori contractus di un diverso Stato membro UE che, nella fattispecie, non ne consente l'impugnativa con alcun mezzo (sentenza del 15 ottobre 2015, pronunciata all'esito della causa C-310/14).

Lo scorso 29 gennaio 2016, tuttavia, il Tribunale di Venezia, ritenendo che neppure le affermazioni contenute nella “recente sentenza della I Sezione del 16 aprile 2015, nella causa C-557/13” consentissero di definire la controversia sottoposta al suo esame, ha nuovamente interpellato i Giudici lussemburghesi, chiedendo loro di precisare, tra l'altro:

  • la portata dell'eccezione alla regola dell'operatività della lex fori concursus prevista dal summenzionato art. 13 con specifico riguardo a quelle ipotesi in cui la fattispecie negoziale concretamente analizzata non presenti alcun elemento di estraneità e, ciononostante, i contraenti, avvalendosi della facoltà concessa dall'art. 3, par. 1, Reg. CE n. 593/2008, abbiano optato per l'applicabilità alla stessa della lex fori contractus di un diverso Stato membro UE;
  • se il rinvio alla lex fori contractus, operato dal medesimo art. 13, implichi altresì un'integrale sostituzione di quest'ultima alle regole e, dunque, ai presupposti cui la lex fori concursus subordina l'accoglimento dell'azione revocatoria.
Il caso e le questioni rimesse al giudizio della C.G.U.E.

Il Commissario Straordinario della Alfa S.p.A. agiva, ai sensi dell'art. 67, comma 2, l.fall. e dell'art. 49, D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, nei confronti della Beta S.p.A. anch'essa di diritto italiano con sede legale in Italia, per ottenere la revoca di due pagamenti eseguiti in favore di quest'ultima in un periodo in cui, alla stregua di plurimi elementi significativi di pubblico dominio(così testualmente l'ordinanza in commento), era noto lo stato di insolvenza in cui già da tempo versava la Società debitrice.

La Beta S.p.A. si opponeva all'azione revocatoria esperita nei propri confronti, invocando, a sostegno dell'inoppugnabilità dei corrispettivi ricevuti, la causa di esonero prevista dall'art. 13, Reg. CE, n. 1346/2000.

Tale norma, infatti, prevede che l'art. 4, par. 2, lett. m), a mente del quale la lex fori concursus (vale a dire, la legge vigente nello Stato che ha aperto la procedura concorsuale a carico del soggetto insolvente) determina anche “le disposizioni relative alla nullità, all'annullamento o all'inopponibilità degli atti pregiudizievoli per la massa dei creditori”, non si applica se “chi ha beneficiato di un atto pregiudizievole per la massa [stessa] prova che:

  • tale atto è soggetto alla legge di uno Stato contraente diverso dallo Stato di apertura, e che
  • tale legge non consente, nella fattispecie, di impugnare tale atto con alcun mezzo”.

Eccepiva, pertanto, che i compensi contestati erano stati corrisposti dalla S.p.A successivamente sottoposta ad Amministrazione Straordinaria in forza di un contratto di noleggio che, sebbene avente ad oggetto un'imbarcazione battente bandiera italiana, risultava tuttavia regolato, per espressa volontà delle parti, dalla normativa inglese.

Dunque, a dire di parte convenuta, anche i versamenti percepiti in quell'arco di tempo che la lex fori concursus italiana definisce “sospetto” dovevano considerarsi retti, nella loro sostanza, dalla lex fori contractus britannica.

Concludeva, quindi, per il rigetto della domanda attorea, rilevando come la normativa straniera applicabile al caso in oggetto non consentisse, nella fattispecie, di impugnare i suddetti pagamenti con alcun mezzo.

Il Tribunale di Venezia, tuttavia, ritenendo che le peculiarità della controversia sottoposta al suo esame fossero tali da non permetterne la risoluzione sulla scorta né del solo dato letterale dell'art. 13, né, tanto meno, degli arresti giurisprudenziali fino allora disponibili, decideva di sospendere il giudizio pendente dinanzi a sé, per dare modo alla C.G.U.E. di rispondere ai seguenti quesiti:

  • “il regime derogatorio previsto dall'articolo 13 ... [può] trovare applicazione anche quando le parti di un contratto abbiano sede in uno stesso Stato contraente, la cui legge sia quindi prevedibilmente destinata a diventare lex fori concursus nel caso di insolvenza di una di loro [?]”;
  • “il richiamo alla disciplina della lex [fori contractus] disposto dall'articolo 13 reg. 1346/2000 … [è] da interpretare nel senso che la parte onerata debba dare prova che nella fattispecie concreta la lex [fori contractus] non prevede in via generale e astratta nessun mezzo di impugnazione di un atto … ritenuto ... pregiudizievole [?] … oppure nel senso che la parte onerata debba dare prova che, ove la lex [fori contractus] ammetta l'impugnazione di un atto di quel genere, non sussistano in concreto i presupposti – differenti da quelli della lex fori concursus – richiesti perché l'impugnazione possa essere accolta [?]”.
Prima questione

In prima battuta, il Giudice remittente chiede di conoscere, in buona sostanza, se, in forza del combinato disposto dell'art. 13, Reg. CE n. 1346/2000 e dell'art. 3, par. 1, Reg. CE n. 593/2008, sia legittimo derogare alle regole della lex fori concursus per opporsi vittoriosamente ad un'azione volta a conseguire la restituzione di un pagamento effettuato prima della data d'apertura della procedura di insolvenza a carico del suo autore (siccome asseritamente pregiudizievole per il ceto creditorio, ma che, tuttavia, tale non è secondo le regole della lex fori contractus) anche qualora il contratto da cui esso trae origine non presenti alcun profilo di transnazionalità e, ciononostante, le parti, spinte dall'unico fine di prevenire il rischio di subire gli effetti di una probabile azione revocatoria, abbiano, per mezzo di un'electio legis, optato per l'applicabilità allo stesso non già della lex fori concursus, bensì della lex fori contractus di un altro Stato membro (che, ad esempio, prevede un regime revocatorio più blando), al solo scopo di rendere inoppugnabili (o più difficilmente impugnabili) i versamenti compiuti in esecuzione del contratto medesimo.

Ebbene, l'esigenza di non tradire la ratio dell'art. 13 Reg. CE n. 1346/2000 e la necessità di arginare il fenomeno del c.d. “law shopping” potrebbero, già di per sé, contribuire a rispondere in maniera più o meno plausibile al suddetto interrogativo.

Per un verso, infatti, come non manca di ricordare anche il Giudice lagunare, la norma di cui sopra non vuole altro se non “tutelare l'affidamento incolpevole riposto dalle parti sulla stabilità dell'atto secondo la lex [fori contractus].

Del resto, già il c.d. “Report Virgos - Schmit” del 1996, aveva cura di precisare che l'art. 13 dell'allora Convenzione sulle procedure di insolvenza (mai entrata in vigore, sebbene i suoi dettami abbiano poi ispirato il testo dell'attuale Reg. CE n. 1346/2000) “uphold legitimate expectations of creditors or third parties of the validity of the act in accordance to the normally applicable national law, against interference from a different lex concursus”.

Dal canto suo, nemmeno la Corte di Giustizia UE ha mai negato che solamente la necessità di salvaguardare il legittimo affidamento e la certezza giuridica delle transazioni in Stati membri diversi da quello di apertura della procedura d'insolvenza può legittimare una limitazione della portata tendenzialmente universale attribuita alla lex fori concursus dall'art. 4 e, prima ancora, dal considerando n. 23 del sopracitato Reg.

Non a caso, immediatamente dopo il considerando da ultimo citato, segue il considerando n. 24 che così recita: a tutela delle aspettative legittime e della certezza delle transazioni negli Stati membri diversi da quello in cui la procedura è stata aperta, si dovrebbe prevedere una serie di deroghe alla regola generale” sancita all'art. 4, par. 1.

Deroghe che, a dire degli stessi Giudici europei, sono, come tali, di stretta interpretazione e, pertanto, la loro portata non può mai andare al di là di quanto strettamente necessario al conseguimento del suddetto obiettivo (cfr. C.G.U.E., sent. 15 ottobre 2015, causa C-310/14, punto 18 e giurisprudenza ivi richiamata).

Ebbene, ciò premesso, v'è da chiedersi: l'esigenza di tutelare il legittimo affidamento di chi non avrebbe potuto neppure pronosticare la revocabilità dell'atto compiuto in suo favore sussiste realmente anche laddove i contraenti - ben consapevoli che uno di essi è prossimo alla dichiarazione d'insolvenza - abusando dell'opportunità offertagli dai Regolamenti europei, decidessero di assoggettare il rapporto negoziale che li lega alla normativa di un determinato Stato al solo fine di evitare che gli atti eseguiti in forza del contratto possano essere revocati in quanto lesivi della par condicio creditorum ai sensi della lex fori concursus all'uopo astrattamente applicabile?

Per una migliore comprensione della problematica in oggetto, si ipotizzi che la legge di uno Stato membro dell'UE non ammetta, in via di principio, la revoca dei pagamenti effettuati mediante datio in solutum.

Ebbene, in una siffatta circostanza, laddove, ad esempio, Tizio (italiano), creditore di Caio (anch'egli italiano), fosse consapevole che questi è prossimo ad essere dichiarato insolvente in Italia, giovandosi dell'opportunità offertagli dall'art. 13, Regolamento CE, n. 1346/2000 (il quale, è bene evidenziarlo, non richiede tra i presupposti della propria applicazione né che il soggetto contro cui è intentata l'azione revocatoria sia un soggetto straniero, né tanto meno che la legge regolatrice dell'atto sia tale non per una scelta convenzionale delle parti), potrebbe accordarsi (sempre in Italia) con il proprio debitore nel senso di ricevere il pagamento di quanto dovutogli mediante una siffatta datio e convenire, al contempo, in un'ottica squisitamente antirevocatoria, che tale operazione sia regolata non già dalla normativa italiana, bensì da quello del suddetto Stato membro.

In tal modo, il pagamento ricevuto da Tizio, sebbene lesivo della par condicio creditorum, sarerrbe, a rigore, immune dall'altrimenti ovvia revoca conformemente alle previsioni dell'art. 67, comma 1, n. 2), l.fall. (l'esempio è tratto da G. Montella: “Revocatoria fallimentare, Regolamento CE n. 1346/2000 e law shopping”, in questo portale, 20 luglio 2012).

Una risposta a tale interrogativo potrebbe desumersi già analizzando il testo della sentenza con la quale, il 15 ottobre 2015, i Giudici europei hanno deciso la causa C-310/14.

In particolare, al punto 21 si legge che l'obbligo di interpretare in maniera restrittiva l'eccezione stabilita dall'articolo 13 … osta ad una interpretazione estensiva della portata di tale articolo, che consenta a colui che ha beneficiato di un atto pregiudizievole per la massa dei creditori di sottrarsi all'applicazione della lex fori concursus eccependo solo in maniera meramente astratta il carattere non impugnabile dell'atto interessato sulla base di una disposizione della lex [fori contractus].

Infatti, al successivo punto 33, la C.G.U.E. prosegue il suo ragionamento ribadendo che “l'applicazione dell'articolo 13 … esige che si tenga conto di tutte le circostanze della fattispecie” e, dunque, verrebbe da dire, anche dell'effettiva esigenza di tutelare il legittimo affidamento di chi ha beneficiato di un atto pregiudizievole per la massa dei creditori.

Pertanto, logica conseguenza di quanto finora detto dovrebbe essere la seguente: tutte le volte in cui difetti la necessità di garantire un siffatto affidamento, essendo certo che i contraenti hanno voluto unicamente piegare l'opportunità offertagli dall'art. 3, par. 1, Reg. CE n. 593/2008, al perseguimento di un fine meramente antirevocatorio, il Giudice chiamato a decidere l'azione revocatoria promossa dal curatore della procedura concorsuale, secondo le regole vigenti nello Stato membro in cui la procedura medesima è stata aperta, non dovrebbe (o almeno non potrebbe) accogliere l'eccezione sollevata da colui che ha beneficiato di un atto pregiudizievole per la massa dei creditori, semplicemente richiamando la deroga all'operatività della lex fori concursus prevista dall'art. 13, Reg. CE n. 1346/2000 ed “eccependo solo in maniera meramente astratta il carattere non impugnabile dell'atto interessato sulla base di una disposizione della lex [fori contractus]” (così, testualmente, C.G.U.E., sent. 15 ottobre 2015, causa C-310/14, punto 21).

Diversamente opinando, infatti, la norma in questione, in aperto contrasto con la sua stessa ratio ispiratrice, rischierebbe di essere agevolmente sfruttata per conseguire uno scopo diverso da quello voluto dal Legislatore, offrendo così il destro a “fughe preordinate dalle azioni revocatorie” (M. Fabiani: “La revocatoria fallimentare fra lex concursus e lex contractus nel reg. ce 1346/2000” in Corr. Giur. 2007).

Non a caso, anche INSOL Europe, ha ritenuto che le deroghe alle regole della lex fori concursus sull'impugnabilità dell'atto lesivo della par condicio creditorum dovessero essere sottratte al mero arbitrio delle parti, essendo inaccettabile che un atto potesse divenire “avoidance proof” grazie ad una semplice “choice of law clause” inserita all'interno del contratto che ne è all'origine.

Tant'è che, già nell'estate 2012, proponeva di riscrivere il testo dell'art. 13 di modo tale che l'operatività dell'art. 4, par. 2, lett. m) fosse esclusa non già per il fatto che le parti avessero deciso di assoggettare il suddetto atto “alla legge di uno Stato contraente diverso dallo Stato di apertura … che … non consente, nella fattispecie, di impugnar[lo] … con alcun mezzo”, ma, piuttosto, perché è la legge dello Stato membro nel cui territorio si trova, al momento del compimento dell'atto, il c.d. “center of main interest” del suo autore a precluderne ogni impugnativa (cfr: “Revision of the European Insolvency Regulation Proposals by INSOL Europe”. Con specifico riferimento all'art. 13 si legge: “INSOL Europe considers it to be undesirable that a legal act can be made "avoidance proof" by selecting the law applicable to the contract. However, it should also be observed that a relocation of the centre of main interests may be detrimental to the other party to an agreement if under the law of the new centre of main interests an avoidance action may be easier to institute. Therefore, the following amendment of the text is proposed: "Article 4 (2) (m) shall not apply if the law of the Member State where the centre of main interests of the debtor was situated at the time of the legal act does not allow any means of challenging that legal act in the relevant case".)

A parere di chi scrive, una soluzione di tal fatta avrebbe soddisfatto un duplice ordine di esigenze:

  • prevenire scelte opportunistiche dei contraenti, evitando, così che questi, a ridosso dell'insolvenza, avvalendosi dello strumento messogli a disposizione dall'art. 3, par. 2, Regolamento CE n. 593/2008 - che consente, in qualsiasi momento, di “sottoporre il contratto ad una legge diversa da quella che lo disciplinava in precedenza” – sottraggano fraudolentemente i pagamenti effettuati in periodo c.d. “sospetto” ad una possibile azione revocatoria intentata ai sensi della lex fori concursus all'uopo applicabile;
  • consentire alle parti di un contratto di prevedere esattamente, fin dal momento della sua stipula, a quale disciplina concorsuale potrebbero andare incontro gli atti compiuti in esecuzione del contratto medesimo in caso di sopravvenuta insolvenza di una di esse, così garantendo quella certezza dei rapporti giuridici che, è bene ricordarlo, rappresenta una delle finalità ispiratrici dell'intero Reg. CE n. 1346/2000 (sul punto, è stato notato che laddove si volesse individuare la lex fori concursus concretamente applicabile avendo riguardo al COMI che il soggetto insolvente avrà allorché sarà sottoposto a procedura concorsuale e non già al COMI che lo stesso aveva nel momento della stipula del contratto, verrebbe comunque leso il diritto di conoscere in anticipo le conseguenze e i rischi connessi al compimento di quel determinato negozio. È evidente, infatti, che nell'ipotesi in cui un soggetto, dopo aver concluso il contratto, si trasferisca realmente in un altro Stato, la lex fori concursus astrattamente applicabile agli atti ritenuti lesivi della par condicio creditorum non sarà affatto preventivabile fintantoché il concursus stesso non sarà stato aperto (cfr. G. Montella: “Revocatoria fallimentare, Regolamento CE n. 1346/2000 e law shopping”, in questo portale).
  • Ciononostante, nel promulgare il nuovo Reg. UE n. 848/2015, il Legislatore europeo non ha affatto tenuto conto di tutte le perplessità appena esposte.

Difatti, non solo l'art. 13 non ha subito variazione alcuna ma, anzi, il suo testo è stato interamente rifuso nell'art. 16 del nuovo Reg. sulle procedure d'insolvenza.

Seconda questione

Chiarita quella che, almeno teoricamente, dovrebbe essere la portata applicativa della deroga all'operatività della lex fori concursus sancita dall'art. 13, Reg. CE n. 1346/2000 con specifico riguardo alle fattispecie negoziali che non presentano connotati transnazionali, resta da verificare se il successo dell'azione revocatoria esperita dal curatore della procedura concorsuale aperta in Italia sia, in ogni caso, condizionato dal ricorrere, nell'ipotesi concretamente esaminata, dei presupposti (di fatto e di diritto) all'uopo espressamente richiesti non già dalla lex fori concursus, bensì dalla lex fori contractus.

Il Tribunale di Venezia, infatti, ritenendo che “la pur recente sentenza della I Sezione del 16 aprile 2015, nella causa C-557/13 … abbia chiarito dubbi interpretativi differenti”, ha sollecitato un nuovo pronunciamento della C.G.U.E. volto a stabilire, una volta per tutte, se il rinvio alla lex fori contractus, operato dal summenzionato art. 13, implichi, altresì, un'integrale sostituzione della sua disciplina alle regole proprie della lex fori concursus (con conseguente disapplicazione delle stesse) al punto che l'azione revocatoria esperita avverso il beneficiario dell'atto lesivo della par condicio creditorum non possa che essere respinta ogniqualvolta la lex fori contractus ne condizioni la rimozione al verificarsi di presupposti diversi da quelli richiesti dalla lex fori concursus ed assenti nella fattispecie concretamente considerata.

Sul punto, è bene evidenziare come, già da diversi anni, la dottrina più autorevole ha avuto occasione di esprimere, in maniera piuttosto netta ed incisiva, la propria opinione al riguardo.

In particolare, è stato affermato che “The law governing the act in question intervenes solely to determine whether or not the act is challengeable. If the beneficiary of the act proves that, according to this law, there are no specific means allowing the act in question to be challenged, the application of the lex concursus is discarded and the validity of the act is respected. Otherwise, Article 4 operates normally and the lex fori concursus applies; the regime of the challenge and its consequences are solely those which are provided for by this law” (M. Virgos e F. Garcimartin: “The European Insolvency Regulation: Law and Practice” Kluwer Law International, 2004).

Impostazione che, d'altra parte, essendo certamente nota anche alla difesa di parte attrice nella vicenda che ha dato luogo all'ordinanza in commento, è stata opportunamente portata all'attenzione del Giudice remittente il quale, dal canto suo, ha ritenuto doveroso darvi il meritato risalto.

Nella suddetta ordinanza, infatti, si legge che “l'articolo 13 reg. 1346/2000 … [andrebbe] interpretato nel senso che il rinvio alla lex [fori contractus]non implica la sostituzione della sua disciplina a quella della lex fori concursus, bensì dà rilievo alla circostanza che la legge richiamata non ammetta l'impugnazione di quel tipo di atti, in qualsiasi modo e con qualunque mezzo … con la conseguenza che tale circostanza non sussisterebbe ove anche la lex [fori contractus]ammettesse l'impugnazione di quel tipo di atti, sia pure su presupposti diversi da quelli propri della lex concursus e non soddisfatti nel caso concreto sottoposto a giudizio”.

Del resto, già il fatto che il summenzionato art. 13 faccia esclusivo riferimento alla sola lett. m) dell'art. 4, dovrebbe indurre l'interprete a ritenere che il Legislatore europeo non ha di certo inteso derogare, tout court,ai criteri che, in forza della c.d. “vis attractiva” riconosciuta alla lex fori concursus, dovrebbero regolare la sostanza dell'azione volta ad ottenere la revoca degli atti che anche la lex fori contractus considera lesivi della par condicio creditorum.

Pertanto, laddove il convenuto intendesse avvalersi dell'eccezione prevista dall'art. 13, Reg. CE n. 1346/2000, il Giudice dovrebbe senz'altro volgere lo sguardo alla lex fori contractus ma al solo fine di accertare se anch'essa, sia pure sulla scorta di presupposti differenti, consideri comunque quel determinato tipo di atto impugnabile siccome lesivo della par condicio creditorum.

Dunque, egli non potrebbe (o almeno non dovrebbe) affatto decidere la controversia sottoposta al suo esame facendo applicazione del diritto straniero (in tal senso, vedi anche P. Bosticco: Revocatoria contro lo straniero ed esenzione ai sensi dell'art. 13 Reg. UE 1346/2000, in questo portale, secondo il quale “l'esenzione da revocatoria non implic[a] una vera e propria prevalenza della lex contractus sulla lex concursus, bensì una verifica preventiva circa l'impugnabilità dell'atto nell'ordinamento straniero, cui non segue peraltro un giudizio retto di per sé dalle norme estere”).

Si potrebbe pertanto affermare che l'astratta revocabilità dell'atto ai sensi della lex fori contractus andrebbe considerata alla stregua di un mero presupposto condizionante l'applicabilità dell'intera disciplina sostanziale e processuale prevista dalla lex fori concursus (così G. Montella, Revocatoria fallimentare, Regolamento CE n. 1346/2000 e law shopping, in questo portale).

Con la conseguenza che, se lex fori contractus, al pari della lex fori concursus, conosce l'azione revocatoria o altro strumento idoneo a rendere inopponibili i negozi lesivi della par condicio creditorum, allora anche il computo del periodo c.d. “sospetto” dovrebbe, a rigore, essere regolato non già dalla normativa straniera, ma sempre e solo dalla lex fori con cursus medesima.

Non a caso c'è stato chi, già all'indomani del Reg. CE n. 1346/2000, partendo dalla premessa secondo cui “the only function of Article 13 … is to reject the application of [lex fori concursus]” (cfr. Anche: M. Virgos e E. Schmit: Report on the Convention on Insolvency Proceedings ) che, come noto, regola anche i presupposti soggettivi, oggettivi e cronologici dell'azione revocatoria, è giunto ad affermare, correttamente, che “if the act in question can be challenged according to the law which governs it, the veto does not operate and the Article 4.2.m applies without exception (M. Virgos e F. Garcimartin: The European Insolvency Regulation: Law and Practice” Kluwer Law International, 2004, 137).

Eppure, nelle pieghe dei precedenti giurisprudenziali ad oggi offerti dalla stessa C.G.U.E., sembrerebbe celarsi una soluzione che potrebbe porsi in radicale antitesi rispetto a quella sin qui esposta.

In particolare, nella sentenza dello scorso 15 ottobre 2015 – che ha deciso la causa C-310/14 e risolto una questione pregiudiziale vertente proprio sull'interpretazione degli articoli 4, par. 2, lett. m), e 13, Reg. CE n. 1346/2000 - è stato affermato che “nell'ipotesi in cui il resistente in un'azione di nullità, annullamento o inopponibilità sollevi una disposizione della lex [fori contractus]secondo cui tale atto è impugnabile unicamente nelle circostanze previste da tale disposizione, incombe a tale resistente eccepire l'assenza di tali circostanze e produrne la prova”.

Sembrerebbe, cioè, che, a dire dei Giudici di Strasburgo, ov'anche la lex fori contractus non escluda, in linea di principio, la possibilità di caducare l'atto che la lex fori concursus considera lesivo della par condicio cretitorum, il successo dell'azione revocatoria, nel caso in cui il convenuto alleghi che l'atto oggetto di contestazione è retto nella sua sostanza dalla legge di un altro Stato membro, sarebbe in ogni caso subordinata alla sussistenza, nel caso di specie, di quelle circostanze soggettive, oggettive e cronologiche all'uopo espressamente richieste dalla normativa vigente nell'ordinamento straniero.

Pertanto, il Giudice dello Stato membro che ha decretato l'apertura della procedura concorsuale potrebbe accogliere la domanda del curatore diretta ad ottenere il ripristino della par condicio creditorum lesa da un atto compiuto quando il suo autore già era (o doveva presumersi essere) in stato d'insolvenza solamente qualora l'atto in questione sia suscettibile di essere impugnato con successo dinanzi alle Corti del diverso Stato membro ove vige la normativa sostanziale che lo regola. Viceversa, l'azione andrebbe respinta ogniqualvolta la lex fori contractus ne condizioni l'impugnabilità al ricorrere di presupposti diversi da quelli propri della lex concursus e non soddisfatti nel caso concreto sottoposto a giudizio”.

Inoltre, sebbene il Tribunale di Venezia abbia affermato che “i dubbi sull'esatta interpretazione da dare alle disposizioni dell'Unione sopra richiamate … non siano superabili sulla base della giurisprudenza della Corte di giustizia”, a ben vedere, già con la sentenza del 16 aprile 2015, pronunciata all'esito della causa C-557/2013 ed espressamente richiamata nell'ordinanza dello stesso Giudice rimettente, proprio la C.G.U.E. aveva avuto modo di sancire il principio secondo cui anche “le regole formali che presiedono all'esercizio di un'azione revocatoria sono determinate, ai fini dell'applicazione dell'articolo 13 del regolamento n. 1346/2000, dalla lex [fori contractus].

Conclusioni

Alla luce delle superiori considerazioni, dunque, è certamente lecito, oltre che auspicabile, propendere per una risposta alla prima questione fondata sulla necessità di arginare possibili condotte strumentali dei contraenti dirette al conseguimento di fini meramente antirevocatori.

Assai più problematica, invece, si rivela la possibilità di caducare l'atto ritenuto pregiudizievole della par condicio creditorum ogniqualvolta la lex fori contractus condizioni un siffatto esito al sussistere di presupposti diversi da quelli specificamente previsti dalla lex fori concursus ed assenti nella fattispecie concretamente considerata.

In effetti, se l'atto oggetto di contestazione fosse regolato, senza possibilità di equivoco, dal diritto sostanziale di un diverso Stato membro e, ciononostante, il Giudice dello Stato che ha decretato l'apertura della procedura concorsuale ne disponesse comunque la revoca per il solo fatto che anche la lex fori contractus, al pari della lex fori concursus, conosce, in via di principio e del tutto “astratta”, l'actio pauliana, o altro strumento analogo, senza tener conto, però, dei presupposti espressamente previsti dalla legge regolatrice del negozio, allora il sintagma “nella fattispecie” di cui all'art. 13, Reg. CE n. 1346/2000 rimarrebbe, verosimilmente, privo di qualsivoglia significato.

Ebbene, per evitare che ciò accada, laddove il convenuto alleghi l'applicabilità all'atto oggetto di contestazione di una lex contractus diversa rispetto a quella che regola la procedura concorsuale, provando altresì che tale atto “è impugnabile unicamente nelle circostanze previste da tale disposizione”, sarebbe quanto mai opportuno subordinare l'esito dell'azione revocatoria esperita dal curatore al ricorrere o meno, nella fattispecie concretamente esaminata, dei citati presupposti (di fatto e di diritto), purché, naturalmente, l'applicazione della norma sostanziale regolatrice della fattispecie sia invocata, in via d'eccezione, dal convenuto stesso.

Del resto, poiché è proprio la C.G.U.E. ad affermare che “l'articolo 13 del regolamento n. 1346/2000 non opera alcuna distinzione tra le disposizioni di ordine sostanziale e quelle di ordine procedurale” (così, testualmente, C.G.U.E., sent. 16 aprile 2015, causa C-557/2013, punto 47) non vi è ragione per negare la natura di limite sostanziale all'applicazione tout court della lex fori concursus insita nell'anzidetta previsione regolamentare la quale, è bene ribadirlo, allo scopo di garantire il legittimo affidamento che i terzi ripongono in ordine alla validità dell'atto in conformità a quanto previsto dalla lex fori contractus, opera, di fatto, quale circostanza impeditiva al conseguimento di un risultato (la revoca dell'atto) altrimenti raggiungibile in base alla lex fori concursus medesima (L. Fumagalli, Atti pregiudizievoli tra sostanza e processo: quale legge regolatrice per la revocatoria fallimentare?, in “Int'l Lis”, 2007).

Da ultimo, l'impostazione secondo cui la revoca di un dato atto è da considerarsi regolata in via di azione da una certa legge nazionale, mentre in via di eccezione, e solo se la relativa eccezione è sollevata, da un'altra e diversa legge (così si esprime G. Montella, Revocatoria fallimentare, Regolamento CE n. 1346/2000 e law shopping, in questo portale), sembra peraltro condivisa anche dalla più recente giurisprudenza di merito.

Nel 2011, ad esempio, il Tribunale di Roma, ha respinto l'azione revocatoria promossa dall'Ufficio Commissariale di un'importante Società in Amministrazione Straordinaria nei confronti di una G.m.b.h. con sede legale in Germania proprio in virtù del fatto che la normativa tedesca invocata dal convenuto e concretamente applicabile ai pagamenti oggetto di contestazione prevedeva un periodo c.d. “sospetto” più breve di quello contemplato dalla lex fori concursus italiana (cfr. Trib. Roma, Sez. Fall., sent. 2 febbraio 2011).

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