Nel fallimento il credito dell’amministratore delegato ha natura chirografaria

Alessandro Corrado
24 Marzo 2017

In caso di fallimento i crediti vantati dall'amministratore delegato non sono riconducibili alla categoria dei crediti privilegiati, ma a quella dei chirografari. Questo è quanto ha ribadito la Corte di Cassazione nella recente sentenza del 21 febbraio 2017 n. 4406.

In caso di fallimento i crediti vantati dall'amministratore delegato non sono riconducibili alla categoria dei crediti privilegiati, ma a quella dei chirografari. Questo è quanto ha ribadito la Corte di Cassazione nella recente sentenza del 21 febbraio 2017 n. 4406.

In conseguenza del fallimento, l'amministratore delegato di una Srl italiana, controllata da una multinazionale estera, aveva proposto ricorso in Cassazione avverso una pronuncia con cui il Tribunale di Ivrea aveva rigettato l'opposizione allo stato passivo dallo stesso promossa. Il ricorrente, ai fini dell'ammissione al passivo dei propri crediti in via privilegiata, aveva, infatti, richiesto in via principale la natura subordinata del rapporto di lavoro che lo aveva legato alla controllante e in via subordinata la qualificazione dell'attività svolta all'interno del contratto di prestazione d'opera intellettuale.

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente aveva dedotto la violazione dell'art. 2094 c.c. per aver il Tribunale ritenuto che le attività svolte dallo stesso fossero tutte riconducibili all'interno della funzione gestoria. L'amministratore delegato aveva precisato di aver rivestito la carica con assoggettamento agli altri membri del consiglio di amministrazione operanti in Francia e sottolineato che il proprio compenso annuo era elevabile al raggiungimento di target aziendali e, inoltre, godeva dell'utilizzo di auto aziendale, rimborso spese e diritto all'indennità di fine mandato.

Nel secondo motivo la medesima censura si concentrava sulla critica della selezione e valutazione delle deposizioni testimoniali svolte nel provvedimento impugnato.

La Corte ha ritenuto entrambe le censure inammissibili, in quanto con esse si intendeva sottoporre nuovamente, dinanzi ai Giudici di legittimità, l'accertamento e la valutazione insindacabili del Tribunale. Quest'ultimo, infatti, aveva fondato la propria decisione su un'ampia e completa giustificazione dei fatti acquisiti in giudizio, ed in particolare delle deposizioni testimoniali (dalle quali non era emerso alcun assoggettamento dell'amministratore delegato ai membri del consiglio di amministrazione della controllante), arrivando inoltre ad escludere il privilegio per una ragione di equità: secondo il Tribunale di Ivrea, chi ha concorso a provocare la crisi d'impresa non può essere privilegiato rispetto agli altri creditori.

La Cassazione ha, inoltre, rigettato l'ulteriore motivo relativo all'asserita omessa pronuncia in ordine alla violazione dell'art. 61 del D.lgs n. 276/2003 per non aver il Tribunale affrontato la questione avente ad oggetto la qualificazione dell'attività svolta quale collaboratore coordinato e continuativo.
Il ricorrente non aveva neppure dedotto che il rapporto tra la società italiana e quella francese fosse riconducibile a quella tra controllante e controllata.
In correlazione a tale carenza, doveva riscontrarsi l'omessa deduzione e allegazione dell'esistenza di un rapporto di lavoro con la società controllante.

Dall'accertamento svolto, dunque, risultava esclusa l'inquadrabilità dell'attività svolta nello schema della collaborazione continuata e continuativa o di qualsiasi altra forma di rapporto lavorativo anche di natura autonoma.

Il provvedimento impugnato aveva insindacabilmente accertato che l'attività dell'amministratore delegato, così come emersa dalle risultanze istruttorie, era pienamente ed esclusivamente riconducibile a quella gestoria. In relazione a tale conclusione, veniva fornita una risposta anche al profilo di censura di cui si lamenta l'omissione.
Inoltre, alla luce dell'indirizzo del tutto consolidato della stessa Corte di Cassazione ribadito anche di recente: “il giudice di appello non è tenuto ad esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione così da doversi ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse” (Cass. 2 dicembre 2014 n. 25509).

La Corte ha escluso anche la violazione dell'art. 2751-bis n. 2 c.c., come lamentato dal ricorrente nel quarto motivo di ricorso, per non essere stato riconosciuto il privilegio conseguente all'inquadramento dell'attività svolta come prestazione d'opera intellettuale.
Come ribadito costantemente dalla Corte, la valutazione concreta ed effettiva dell'attività svolta è necessaria al fine della corretta qualificazione giuridica della stessa.
A tal proposito, infatti, il Tribunale di Ivrea aveva ricondotto l'attività svolta dal ricorrente esclusivamente a quella gestoria, coerentemente con la funzione di amministratore delegato.

La sentenza in commento si segnala per aver illustrato gli indici necessari per il riconoscimento del privilegio ex art. 2571-bis nn. 1 e 2 c.c. ai soggetti apicali, tra i quali non può rientrare l'amministratore delegato.

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