12 Aprile 2017

La figura del liquidatore giudiziale ha introduzione, nella legge fallimentare, con l'articolo 182, rubricato "Cessioni". La norma testualmente recita: “I. Se il concordato consiste nella cessione dei beni e non dispone diversamente, il tribunale nomina nel decreto di omologazione uno o più liquidatori e un comitato di tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione e determina le altre modalità della liquidazione. In tal caso, il tribunale dispone che il liquidatore effettui la pubblicità prevista dall'articolo 490, primo comma, del codice di procedura civile e fissa il termine entro cui la stessa deve essere eseguita..

Inquadramento

La figura del liquidatore giudiziale (O più brevemente, nel testo, il liquidatore, da intendersi anche in forma collegiale) ha introduzione, nella legge fallimentare, con l'art. 182, rubricato "Cessioni" (Rubrica così modificata dal D.L. 27 giugno 2015, n. 83. In precedenza la stessa era “Provvedimenti in caso di cessione di beni”).

La norma testualmente recita:

“I. Se il concordato consiste nella cessione dei beni e non dispone diversamente, il tribunale nomina nel decreto di omologazione uno o più liquidatori e un comitato di tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione e determina le altre modalità della liquidazione. In tal caso, il tribunale dispone che il liquidatore effettui la pubblicità prevista dall'articolo 490, primo comma, del codice di procedura civile e fissa il termine entro cui la stessa deve essere eseguita.

II. Si applicano ai liquidatori gli articoli 28, 29,37, 38, 39 e 116 in quanto compatibili.

III. Si applicano al comitato dei creditori gli articoli 40 e 41 in quanto compatibili. Alla sostituzione dei membri del comitato provvede in ogni caso il tribunale.

IV. Le vendite di aziende e rami di aziende, beni immobili e altri beni iscritti nei pubblici registri, nonché le cessioni di attività e passività dell'azienda e di beni o rapporti giuridici individuali in blocco devono essere autorizzate dal comitato dei creditori.

V. Alle vendite, alle cessioni e ai trasferimenti legalmente posti in essere dopo il deposito della domanda di concordato o in esecuzione di questo, si applicano gli articoli da 105 a 108-ter in quanto compatibili. La cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo, sono effettuati su ordine del giudice, salvo diversa disposizione contenuta nel decreto di omologazione per gli atti a questa successivi.

Si applica l'articolo 33, quinto comma, primo, secondo e terzo periodo, sostituendo al curatore il liquidatore, che provvede con periodicità semestrale dalla nomina. Quest'ultimo comunica a mezzo di posta elettronica certificata altra copia del rapporto al commissario giudiziale, che a sua volta lo comunica ai creditori a norma dell'articolo 171, secondo comma."

Profili controversi in tema di nomina

L'ambito di nomina, stando alla rubrica della norma (sostituita dall'art. 2 D.L. 83/15) è quello delle "cessioni", e quindi (parrebbe) in tutti i casi in cui la proposta concordataria preveda la cessione a terzi di beni, il cui ricavato sia destinato al soddisfacimento dei creditori concorsuali.

Tuttavia, l'incipit del testo normativo non ha raccolto la modifica della rubrica, ma pare limitare la nomina alla proposta di concordato liquidatorio "puro", ossia di concordato che "consiste nella cessione dei beni" e non quindi, ad esempio, ad una prospettiva di concordato misto, cioè di continuità aziendale cui affiancare la liquidazione di attivi non strategici.

In evidenza: liquidatore giudiziale e concordato in continuità secondo la giurisprudenza

In giurisprudenza, ancorchè non univocamente, si ammette nel concordato in continuità la nomina del liquidatore giudiziale. Secondo il Tribunale di Roma, 31 luglio 2015, può “coesistere, accanto al proponente che continua a condurre l'azienda, la figura di un liquidatore designato dal Tribunale con il compito ben definito e circoscritto di procedere alla vendita dei beni il cui controvalore è stato messo a disposizione dei creditori” (contra, Tribunale di Chieti, 15 ottobre 2013).

Le regole applicabili

Il profilo tracciato dalla legge individua alcuni aspetti (significativi) per espresso richiamo mutuati direttamente dalle regole dettate per il curatore dalla legge fallimentare. Trattasi in particolare:

  • dei requisiti per la nomina;
  • delle ipotesi di revoca;
  • del compenso;
  • del ruolo e del funzionamento del Comitato dei creditori;
  • delle modalità di vendita;
  • del rendiconto finale;
  • delle relazioni periodiche, con cadenza semestrale.

Ove non previsto espressamente, la norma dispone un rinvio al decreto di omologazione, che "determina le altre modalità della liquidazione".

Laddove poi non intervengano né la legge fallimentare, né il decreto di omologazione, è opinione dello scrivente che debbano soccorrere le indicazioni civilistiche in tema di liquidazione di impresa e, ovviamente, la prassi.

Il quadro che ne scaturisce è dunque quello di un incastro di regole e indicazioni, che il liquidatore giudiziale dovrà ricostruire ed al quale cercare di attenersi, ferma la diligenza professionale cui in ogni caso dovrà tendere l'operato.

In un tracciato così poliedrico, gli aspetti su cui si ritiene di focalizzare l'attenzione sono:

  • l'inventario;
  • il programma di liquidazione;
  • la verifica del passivo;
  • la vendita dei beni;
  • l'incasso dei crediti;
  • i piani di riparto;
  • gli aspetti fiscali;
  • la chiusura della procedura.

L'inventario

La normativa fallimentare nulla dispone in tema di inventario, invece espressamente indicato tra le incombenze del commissario giudiziale.

Peraltro, l'inventario costituisce nella prassi una primissima incombenza del liquidatore di impresa, collocandosi al momento del passaggio di consegne con gli amministratori ex art. 2487-bis cod. civ., e si pone quale premessa logica ed operativa di ogni successiva attività del liquidatore.

Quest'ultimo, infatti, prende in consegna un complesso di attivi, con l'onere di monetizzarli. È quindi prerequisito indispensabile quello della inventariazione di beni materiali e immateriali, crediti, diritti.

Né potrà farsi riferimento all'inventario predisposto dal commissario giudiziale, per l'evidente considerazione che l'attivo preso in consegna dal liquidatore alla data della propria nomina non sarà il medesimo oggetto di esame da parte del commissario, e che viene effettuato con riferimento alla data di apertura della procedura concordataria. Molteplici saranno stati i cambiamenti intervenuti, per effetto di incassi di crediti, cessioni di beni, pagamento di costi correnti eccetera.

Certamente il liquidatore giudiziale potrà farsi coadiuvare da tecnici e, in virtù del rimando all' art. 107 l.fall., i beni oggetto di liquidazione dovranno essere valutati da uno stimatore.

Si potrà fare riferimento alle perizie disposte ante omologa su incarico del commissario giudiziale o, in assenza, a quelle predisposte dal debitore a supporto della proposta, ove ritenute ancora attuali.

Nulla vieta peraltro che il liquidatore giudiziale disponga nuove perizie o una revisione di quelle precedenti. Si pensi, ad esempio, all'ipotesi di una variazione significativa dei prezzi o della consistenza di alcuni attivi, intervenute dopo l'apertura della procedura o anche nel corso della liquidazione giudiziale.

Nelle operazioni inventariali è bene che venga coinvolto il debitore (come in un normale avvicendamento dell'attività di impresa), e che partecipi anche il commissario giudiziale, in ragione dei propri doveri di vigilanza.

Dell'inventario va ovviamente redatto verbale, sottoscritto dal liquidatore giudiziale, dal debitore e se presente dal commissario giudiziale, opportunamente sottoposto al visto del comitato dei creditori e depositato in tribunale con i relativi allegati.

Il programma di liquidazione

L'art. 182 l.fall. non richiama espressamente gli obblighi fissati in capo al curatore dalla legge fallimentare in tema di programma di liquidazione, e di cui all'art. 104-ter l.fall..

In evidenza: prassi in tema di programma di liquidazione

Si richiamano le linee di condotta del Tribunale di Bergamo (cfr. ad esempio decreto di omologazione del 31/03/2016), il quale di norma dispone che il liquidatore, entro 45 giorni dalla pubblicazione del decreto, trasmetta al commissario giudiziale e al comitato dei creditori “un piano delle attività di liquidazione (con indicazione delle relative modalità) e dei tempi previsti per ciascuna di esse, che, unitamente al relativo parere del commissario giudiziale, sarà trasmesso al giudice delegato”.

In effetti, la prassi crescente dei tribunali richiama tale incombenza nei decreti di omologazione.

L' impostazione, tuttavia, pone alcuni problemi di coordinamento, quali:

a) i tempi di redazione;

b) i tempi di esecuzione;

c) le prospettive delle azioni revocatorie e risarcitorie;

d) il ruolo del comitato dei creditori.

a) in assenza di indicazioni nel decreto, si ritiene che possano essere richiamati i contenuti dell'articolo 104-ter l.fall., a mente del quale il programma deve essere predisposto entro sessanta giorni dalla redazione dell'inventario e comunque non oltre 180 giorni dalla sentenza di fallimento (qui da intendersi dal decreto di omologazione).

Al mancato rispetto di tali termini non potrà tuttavia conseguire in via immediata la sanzione di cui al primo comma dell'art. 104-ter, ossia la revoca del liquidatore, in quanto extra legem.

Certo, il tribunale potrà tenerne conto per l'eventuale sostituzione dell'organo nominato, eventualmente su indicazione del commissario giudiziale nell'ambito della propria attività di vigilanza;

b) i tempi di esecuzione non dovranno essere contenuti nel periodo di due anni di recente introdotto con il terzo comma dell'articolo 104-ter.

Gli stessi infatti andranno coordinati con la proposta concordataria, che dà indicazione del termine di esecuzione.

In evidenza: i tempi dettati dalla proposta

Si dia il caso, ad esempio, in cui la proposta preveda la cessione di un immobile al termine di un contratto di locazione in corso, tanto più in quanto i canoni di locazione introitati si pongano di fondamentale importanza per il rispetto della procedura concordataria. È pacifico che il liquidatore giudiziale non potrà anticipare i tempi di liquidazione del bene.

In assenza di indicazioni, nella proposta e/o nel decreto, l'ipotesi biennale di cui all'art. 107 l.fall. potrà costituire un principio di riferimento. Tuttavia, non potranno operare in automatico le sanzioni previste per il mancato rispetto del termine, ferme le valutazioni che di caso in caso il tribunale potrà esperire;

c) quanto alle azioni revocatorie, pur in assenza di indicazioni specifiche nella proposta si ritiene che le stesse (in uno, ad esempio, con le azioni di nullità, annullabilità, simulazione eccetera) facciano sicuramente parte del patrimonio affidato alla gestione del liquidatore nel concordato con cessione di tutti i beni, essendo già in precedenza comprese nel patrimonio dell'imprenditore, patrimonio oggetto di integrale cessione ai creditori.

Analogamente, si ritiene siano ricomprese le azioni risarcitorie, fatta salva una digressione per quanto concerne le azioni verso gli organi sociali.

Per questi ultimi, laddove l'azione di responsabilità non sia compresa espressamente nella proposta concordataria o comunque non vi sia una delibera assembleare che autorizzi l'azione, recente giurisprudenza ha escluso la legittimazione del liquidatore giudiziale (cfr. Tribunale di Bologna, 16 agosto 2016; analogamente, Tribunale di Milano, 19 luglio 2011).

d) il comitato dei creditori, in assenza di prescrizioni di legge, non ha alcun potere di approvazione o di diritto. L'art. 182 l.fall. individua un solo nucleo di ipotesi in cui è necessaria l'autorizzazione dei creditori, come di seguito analizzato.

È pur vero che alcuni tribunali, nel decreto di omologazione, prevedono poteri autorizzativi o comunque necessarie approvazioni da parte del comitato, in via più ampia rispetto a quelli di legge.

Tuttavia, trattasi di attribuzioni di potere ultra legem, che pongono problemi nel caso in cui il comitato esprima valutazioni differenti da quelle del liquidatore, e tali organi non trovino un punto d'intesa.

Tenuto conto che il primo comma dell'articolo 182 l.fall. attribuisce al tribunale in sede di omologazione la facoltà di determinare "le altre modalità di liquidazione", si può immaginare che sia il tribunale stesso a dirimere la questione, esprimendo in un decreto linee di indirizzo cui gli organi dovranno attenersi (salvo dimissioni).

La verifica del passivo

Una delle attività più delicate per il liquidatore giudiziale è quella della verifica e definizione del passivo.

In sede di fallimento vige una procedura codificata, che pone l'onere della richiesta di partecipazione al concorso in capo al creditore, e che ha il beneficio di cristallizzare i creditori che beneficeranno dei riparti, con relativi importi ed eventuali prelazioni.

Tale procedura non è prevista in sede concordataria, cosicché la definizione del passivo viene lasciata al liquidatore, in confronto con i creditori (sul ruolo attivo del liquidatore dopo l'omologazione, ex pluris, Tribunale di Bergamo, decreto del 12 febbraio 2015; in chiave critica, in questo portale, Leozappa, Ruolo del debitore e competenza del liquidatore nella revisione dei crediti).

Ciò comporta una serie di corollari, e induce ad assumere accorgimenti pratici.

In primo luogo, il liquidatore dovrà tenere conto di tutti i creditori risultanti dalla contabilità, per quanto silenti e disinteressati alla procedura. In sede di riparto, oltretutto, l'eventuale irreperibilità degli stessi (si pensi ai creditori stranieri, con le conseguenti difficoltà di verifica delle sedi) dovrà prudentemente portare ad accantonamenti delle somme ad essi spettanti (così, anche, l'art. 180 l.fall.).

Le scritture contabili tuttavia non sono l'unico ambito di verifica: il liquidatore dovrà infatti svolgere una indagine articolata, mutuando le regole della revisione contabile. Al riguardo, si ipotizzano richieste all'Agenzia delle entrate, agli Enti previdenziali e assicurativi, ai Comuni e via di seguito. Sarà buona norma la richiesta di accesso ai dati registrati nell'archivio alla Centrale dei Rischi. Anche il vaglio dei contratti sarà necessario per stabilire eventuali diritti di credito dei terzi contraenti maturati in procedura o comunque spettanze di natura risarcitoria.

La formazione del passivo potrà poi avvalersi di alcune regole operative del fallimento, e venire impostata tramite una serie di comunicazioni tra il liquidatore e i creditori.

Si ipotizza il seguente iter:

  • il liquidatore trasmette ai creditori un invito ad inoltrare l'entità e i giustificativi delle proprie spettanze e di eventuali prelazioni (salvo avvalersi di analoga iniziativa posta in essere dal commissario giudiziale);
  • una volta esaminato il materiale ricevuto dai creditori, le risultanze complessive possono confluire in uno "stato passivo" depositato in Cancelleria fallimentare e comunicato a tutti i creditori, per eventuali osservazioni in un termine prefissato;
  • scaduto il termine per le osservazioni, lo stesso liquidatore può depositare lo “stato passivo” aggiornato e inoltrare ai creditori una comunicazione in cui siano indicati gli importi che ritiene di riconoscere, con le eventuali prelazioni. Contestualmente, il liquidatore può invitare i creditori a far pervenire una lettera di accettazione delle loro spettanze, eventualmente fornendo già una dichiarazione precompilata, solo da sottoscrivere. In questo modo, almeno per le posizioni accettate espressamente dai creditori, si avrà la definizione consensuale di importi e titoli di prelazione.

Il percorso proposto, pur non portando il grado di protezione del fallimento, ha il beneficio di consentire (sulla base di un dato di esperienza) la cristallizzazione condivisa della maggior parte degli importi, mettendo altresì in grado i creditori di conoscere l'intero passivo riconosciuto.

Laddove peraltro non vi siano risposte, o queste siano in dissenso con la proposta del liquidatore, si aprono alcuni aspetti problematici.

Infatti, l'iniziativa per la definizione giudiziale di importi e prelazioni spetta ai creditori. In assenza di essa, il liquidatore dovrà comunque procedere secondo le proprie valutazioni, poggiando anche sul principio di intangibilità dei riparti. In caso di azione giudiziale, si disporranno accantonamenti.

Sostanzialmente inesplorata, infine, è la divergenza tra debitore e liquidatore giudiziale circa il riconoscimento di un credito o di una prelazione (si immagini riconoscimento di un privilegio, tale da compromettere la tenuta della proposta concordataria). Anche in questo caso, si ritiene che debbano prevalere le valutazioni del liquidatore giudiziale.

La vendita dei beni

Come si è avuto modo di richiamare, alla liquidazione giudiziale (o meglio, alle vendite poste in essere “dopo il deposito della domanda di concordato preventivo o in esecuzione di questo”) si applicano "in quanto compatibili" gli artt. da 105 a 108-ter l.fall..

Ciò comporta, con certezza, che il liquidatore debba:

  • fare riferimento a stime dei beni;
  • ricorrere a "adeguate forme di pubblicità" con la tempistica di cui all'articolo 107, primo comma l.f.;
  • dare corso a procedure competitive.

Analogamente, potranno valere:

  • l'obbligo di notificare la possibile vendita "a ciascuno dei creditori ipotecari o comunque muniti di privilegio" (articolo 106, terzo comma l.f.);
  • la facoltà di sospendere la vendita nel caso "pervenga offerta irrevocabile di acquisto migliorativa per un importo non inferiore al 10% del prezzo offerto" (articolo 106, quarto comma l.f.), avendo l'accortezza di darne indicazione nel bando, fissando anche un termine entro cui trasmettere offerte migliorative;
  • la cancellazione su ordine del giudice "delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo" (articolo 108, secondo comma l.f.). Peraltro, è lo stesso articolo 182, quinto comma, che ne ripercorre il contenuto.

E' ormai pacifica la ascrivibilità delle operazioni liquidatorie al novero delle vendite pubblicistiche (sul tema, in questo portale, Farolfi, Esecuzione del concordato).

Le procedure di vendita potranno essere seguite direttamente dal liquidatore giudiziale, o affidate in tutto o in parte ad un notaio, anche secondo le disposizioni del codice di procedura civile, ovvero a istituti specializzati.

Non si ritiene invece che le stesse possano essere effettuate ex art. 107, comma 2, l.fall. avanti al giudice delegato, tenuto conto che il concordato è chiuso e che le funzioni di giudice delegato in linea di principio vengono meno. Ciò, per quanto il tema sia controverso, e la recente prassi stia evolvendo verso un ruolo attivo del giudice delegato anche dopo l'omologazione. D'altro canto, l'art. 182 prevede l'intervento del giudice delegato per le cancellazioni delle trascrizioni, e l'art. 185 l.fall. dispone che il commissario giudiziale riferisca “al giudice” ogni fatto pregiudizievole (sebbene dottrina risalente escudesse che “il giudice” fosse il delegato, dovendosi intendere il Tribunale; così Bavetta, Il liquidatore dei beni ceduti con il concordato preventivo, Milano, 1996, 68 e ss.)

Per le medesime ragioni, i beni immobili e i beni mobili registrati non potranno essere trasferiti con decreto del giudice, ma dovrà intervenire atto notarile (o equivalente).

In linea di principio, non è necessaria come detto l'autorizzazione del comitato dei creditori, fatte salve ex art. 182, comma 4, l.fall. "le vendite di aziende e rami di aziende, beni immobili e altri beni iscritti in pubblici registri, nonché le cessioni di attività e passività dell'azienda e di beni o rapporti giuridici individuati in blocco".

Talvolta, si ribadisce, la necessità di autorizzazione al di fuori delle richiamate ipotesi di legge è prevista dal decreto di omologazione, dando luogo alle problematiche già evidenziate.

Resta il fatto che, mentre nel fallimento l'attività liquidatoria è sottoposta necessariamente alla redazione preventiva di un programma di liquidazione che deve essere approvato dal comitato dei creditori ed alle successive autorizzazioni del giudice delegato per quanto riguarda gli atti ad esso conformi, tale griglia operativa e di controllo non è prevista per l'operato del liquidatore.

In evidenza: chi firma gli atti di cessione

Con particolare riferimento al trasferimento di attivi per atto pubblico, scrittura privata autenticata o comunque intesa contrattuale formalizzata, si pone il tema della legittimazione alla "firma", ossia se il documento contrattuale di compravendita debba essere sottoscritto, per conto dell'impresa, dal liquidatore giudiziale o dal legale rappresentante dell'impresa stessa. Il tema è particolarmente controverso, sebbene ormai in dottrina e giurisprudenza prevalga l'orientamento per cui il soggetto stipulante debba essere il liquidatore giudiziale.

In ogni caso, è prassi consolidata e condivisibile, a superare ogni possibile contestazione, quella di far sottoscrivere i documenti sia al liquidatore giudiziale che al legale rappresentante, quest'ultimo eventualmente con la locuzione "per quanto occorrer possa" o simili. Per un ampio excursus in tema di legittimazione si veda, in questo portale, Rasile e Zanotti, Il liquidatore giudiziale nel concordato con cessione dei beni: poteri, legittimazione attiva e passiva, casi pratici.

L'incasso dei crediti

Tra le attività demandate all'operato del liquidatore giudiziale di norma vi è anche quella del recupero dei crediti.

È dunque il liquidatore che deve vagliare le poste attive di natura creditizia, muovendo in primo luogo dalla contabilità, ma estendendo l'analisi anche a poste scaturenti da rapporti intercorsi, ed eventualmente non contabilizzate (anche correttamente, in ossequio al principio di prudenza, laddove si tratti di voci non ragionevolmente certe, quali un diritto risarcitorio, un rimborso fiscale controverso e simili).

Il recupero potrà conoscere le fasi del sollecito a firma del liquidatore, l'affidamento dell'attività ad istituti specializzati, la cessione singola o in blocco dei crediti, iniziative giudiziali con l'assistenza di un legale.

I piani di riparto

Altro ambito delicato di operatività del liquidatore giudiziale è quello dell'effettuazione dei riparti.

Valgono innanzitutto, per effetto dei richiami contenuti nell'art. 169 l.fall., le regole in tema di interessi a favore dei creditori contenuti nella legge fallimentare, e quindi in particolare (dalla data di presentazione della domanda di concordato preventivo):

  • la sospensione degli interessi, a meno che i crediti non siano garantiti da pegno, ipoteca, privilegio;
  • l'estensione del diritto di prelazione agli interessi in base agli artt. 2749,2788 e 2855 del codice civile;
  • la sospensione, per i crediti assistiti da privilegio generale, del decorso degli interessi alla data di deposito del progetto di riparto nel quale il credito sia soddisfatto anche parzialmente;
  • la riduzione degli interessi in via proporzionale alle vendite/agli incassi;
  • la distinzione tra le masse liquide mobiliare e immobiliare, nonché il conto autonomo delle vendite dei singoli beni immobili e mobili oggetto di privilegio speciale, ipoteca, pegno (cfr. art. 111-ter l.fall.);
  • la distinta imputazione delle uscite di carattere specifico e l'imputazione proporzionale di quelle di carattere generale.

Saranno inoltre applicabili le regole di ripartizione delle spese tra quelle specifiche e quelle generali, tra massa mobiliare e massa immobiliare.

Due temi paiono particolarmente delicati, cosicché si ritiene di darne evidenza:

1) il ricavato della liquidazione dei beni oggetto di ipoteca (o pegno) deve essere destinato esclusivamente al soddisfacimento dei creditori garantiti, fatta eccezione per le spese specifiche direttamente imputabili al realizzo di beni e ad una quota di compenso del liquidatore giudiziale.

Per principio pacifico (cfr. Cass. 9 maggio 2013, n. 11025), la prelazione si estende ai frutti del bene (si pensi, in particolare, agli affitti degli immobili).

Ciò significa, in particolare, che i creditori prededucibili non potranno essere soddisfatti sul ricavato che perviene dalla liquidazione dei beni gravati da prelazione, né dai frutti. Si pensi, ad esempio, alle spese per adempimenti amministrativi (consulente fiscale, consulente del lavoro) o iniziative legali per azioni recuperatorie o risarcitorie, od ancora alle spese professionali per la redazione e la attestazione della proposta concordataria.

Fanno eccezione, come richiamato, le spese di imputazione specifica, quali le spese di perizia, assicurazione, custodia e simili correlate strettamente al bene oggetto di prelazione;

2) la proposta concordataria può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno e ipoteca non vengano soddisfatti integralmente "purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzata, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione" (così art. 160, comma 2, l.fall.).

Laddove non vi sia questa specifica indicazione, nel concordato si dovranno soddisfare integralmente queste categorie di creditori con il ricavato dei beni gravati da prelazione.

Può peraltro accadere che l'importo ricavato dalla liquidazione dell'attivo gravato non sia sufficiente a soddisfare integralmente le spettanze del creditore prelatizio (si immagini, quale esempio ricorrente nella prassi, ad un creditore con garanzia ipotecaria su un immobile venduto ad un prezzo inferiore al credito residuo garantito).

Si prospettano due ipotesi:

  • il creditore deve comunque essere soddisfatto integralmente;
  • lo stesso, per la parte insoddisfatta, retrocede al chirografo, e potrà eventualmente agire per la risoluzione del concordato.

Si propende per la seconda linea interpretativa tenuto conto che, diversamente, il soddisfacimento del creditore andrebbe a gravare indistintamente sulla massa mobiliare, al di fuori di ogni graduazione di legge ed a danno degli altri creditori. Il creditore privilegiato, eventualmente, potrà agire per la risoluzione della procedura.

Aspetti fiscali

L'esame degli adempimenti fiscali in procedura involge due temi, ossia quello del soggetto deputato ad essi e quello delle regole da applicare.

Quanto al primo aspetto, in assenza di differenti indicazioni di legge (come invece avviene nel fallimento) il soggetto deputato al rispetto delle incombenze fiscali sarà l'imprenditore (intendendosi ovviamente, nelle società, il legale rappresentante). Così, anche, la Suprema Corte (Cass., 5 settembre 2014, n. 18755).

Quest'ultimo, dunque, dovrà coordinarsi con il liquidatore giudiziale e recepire contabilmente e fiscalmente gli esiti dell'attività liquidatoria.

Quanto alle regole da applicare, vi sono solo due norme che derogano alle regole ordinarie, ossia l'art. 86 e l'art. 88 del testo unico delle imposte sui redditi, in tema di plusvalenze/minusvalenze relative alla cessione di beni e di sopravvenienze attive conseguenti alla riduzione dei debiti per effetto della omologazione del concordato. Per il resto, valgono le ordinarie regole di determinazione del reddito fiscale e di effettuazione di tutti gli adempimenti correlati (dichiarazioni, certificazioni uniche, liquidazioni IVA, sostituzione di imposta, spesometro eccetera), alle scadenze di legge.

Un breve approfondimento meritano le richiamate norme derogatorie.

L'articolo 86 statuisce che "la cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento".

La disposizione comporta che l'imprenditore, in sede di dichiarazione dei redditi, debba recepire gli effetti fiscali delle vendite disposte dal liquidatore giudiziale, apportando variazioni del reddito rispettivamente in diminuzione e aumento per le plusvalenze e le minusvalenze realizzate in conseguenza della liquidazione degli attivi richiamati dalla norma. Da rimarcare, in particolare, le riprese in aumento per effetto delle minusvalenze, che sono tutt'altro che infrequenti (si pensi, ad esempio, alle rimanenze di magazzino realizzate a stock).

Fonte di incertezza è invece l'applicazione della norma in sede di concordato in continuità con aspetti liquidatori (cd. concordato preventivo misto), con riferimento alle cessioni di beni il cui ricavato è destinato al soddisfacimento dei creditori concorsuali.

La norma fiscale è nata allorché il concordato preventivo in continuità non era codificato, e quindi con espresso riferimento al concordato preventivo puramente liquidatorio.

Tuttavia, il testo di legge fa riferimento alla "cessione dei beni ai creditori", e non al concordato preventivo con cessione dei beni. Per tale via, si potrebbe ritenere che l'articolo 86 del testo unico delle imposte sui redditi sia applicabile anche nelle richiamate ipotesi di concordato misto.

Quanto all'art. 88, lo stesso sterilizza la quota (di norma rilevante) di sopravvenienze che si genera in capo all'imprenditore conseguentemente alla riduzione del passivo per effetto della omologazione del concordato preventivo. Diversamente, proprio la ristrutturazione dei debiti in sede concordataria genererebbe materia imponibile le cui imposte sarebbero tali da vanificare, nella normalità dei casi, la sostenibilità del piano.

Da rilevare che, sovente, l'entità delle sopravvenienze è tale da consentire il ritorno ad un patrimonio netto positivo, laddove l'impresa avesse perso il proprio capitale.

La chiusura della procedura

Una volta liquidato tutto l'attivo e definiti i contenziosi in essere, il liquidatore può volgere al termine il proprio operato.

L'art. 182 l.fall., secondo comma, richiama l'art. 116 l.fall. tra quelli applicabili all'operato del liquidatore giudiziale "in quanto compatibili".

Ne deriva che quest'ultimo, prima del riparto finale, dovrà redigere un rendiconto della propria attività, con "l'esposizione analitica delle operazioni contabili e dell'attività di gestione della procedura".

Incerti sono i passaggi successivi.

L'articolo 116 l.fall., infatti, prevede che il giudice ordini il deposito del rendiconto in Cancelleria e fissi un'udienza dinanzi a sé. Nell'incertezza circa il ruolo del giudice delegato post omologazione, è prassi crescente dei tribunali quella del coinvolgimento del giudice delegato sulla base di regole di comportamento espressamente individuate dal decreto di omologazione. E' pertanto ipotizzabile che l'udienza si tenga davanti al giudice delegato, o comunque da questi (o dal tribunale) venga disposta una interlocuzione diretta dei creditori con il liquidatore giudiziale.

In via propedeutica a ciò, e comunque seguendo una linea logica, il liquidatore dovrà comunicare ai creditori il rendiconto e le successive indicazioni, dando un termine per la trasmissione di osservazioni e contestazioni secondo tempi e formalità che potranno essere mutuati dall'art. 116 l.fall., previo confronto con il giudice delegato e secondo le linee eventualmente disposte con il decreto di cui all'art. 180 l.fall..

A seguito delle fasi concernenti il rendiconto, il liquidatore potrà dare corso al riparto finale.

Al riguardo, si pongono alcuni temi:

  • il liquidatore ordinario non potrà procedere tout court al riparto finale in presenza di contenziosi pendenti e inerenti l'entità o la qualificazione delle spettanze dei creditori.

L'articolo 180 l.fall. (peraltro con riferimento al momento dell'omologazione), al sesto comma, dispone che "le somme spettanti creditori contestati, condizionali o irreperibili sono depositate nei modi stabiliti dal tribunale, che fissa altresì le condizioni e le modalità per lo svincolo". Si ritiene che il disposto sia pacificamente applicabile anche alla chiusura della liquidazione.

Potrà configurarsi un accantonamento delle somme su conto corrente dedicato, in attesa della definizione delle vertenze. All'esito, le somme saranno nuovamente distribuite, in base al contenuto della sentenza. Tale modus operandi potrebbe essere tracciato nel riparto finale, in cui fornire indicazione delle possibili differenti ipotesi di ripartizione futura delle somme accantonate. In tale modo, ad avviso di chi scrive, si potrà procedere alla successiva distribuzione senza necessità di darne nuovamente conto a tutti i creditori;

  • quanto ai creditori irreperibili, analogamente, il liquidatore dovrà tenerne conto (previa verifica di sussistenza del credito), ancorché non abbiano mai interloquito con la procedura.

Le somme ad essi potenzialmente destinate dovranno essere accantonate su un conto corrente dedicato, in uno con quelle eventualmente destinate ai creditori con i quali vi siano contestazioni in essere.

In assenza di specifico richiamo di legge, non si ritiene che si possa applicare l'art. 117, terzo comma l.fall., a mente del quale "decorsi 5 anni dal deposito, le somme non riscosse dagli aventi diritto e i relativi interessi, se non richieste da altri creditori, rimasti insoddisfatti, sono versate cura del depositario all'entrata del bilancio dello Stato".

Semmai, una volta prescritto il diritto dei creditori irreperibili, le somme potranno essere distribuite agli altri creditori concorrenti;

  • la normativa non prescrive un provvedimento formale di chiusura della fase della liquidazione giudiziale. È peraltro prassi dei tribunali emettere un decreto di chiusura della fase giudiziale della liquidazione, su impulso del liquidatore giudiziale.

Conclusioni

Il breve excursus sviluppato evidenzia come il liquidatore giudiziale debba muoversi tra confini giuridici scarni e di non puntuale demarcazione, da completarsi con le indicazioni del decreto di omologazione e ampie iniziative dettate dalla prassi (e dal buonsenso).

In questo quadro, si ritiene opportuno che le valutazioni del liquidatore vengano per quanto possibile condivise tramite informative scritte da sottoporre al parere del comitato dei creditori e del commissario giudiziale, depositando di seguito in cancelleria fallimentare le informative stesse con i relativi pareri, per l'auspicabile visto del giudice delegato.

Riferimenti

Riferimenti normativi

  • Art. 180 l. fall.
  • Art. 182 l. fall.
  • Art. 185 l. fall.
  • Art. 2487-bis cod. civ.

Bibliografia

  • Leozappa, Ruolo del debitore e competenza del liquidatore nella revisione dei crediti, in questo portale
  • Farolfi, Esecuzione del concordato, in questo portale
  • Bavetta, Il liquidatore dei beni ceduti con il concordato preventivo, Milano, 1996, 68 e ss.
  • Rasile e Zanotti, Il liquidatore giudiziale nel concordato con cessione dei beni: poteri, legittimazione attiva e passiva, casi pratici, in questo portale

Giurisprudenza

  • Tribunale di Roma, 31 luglio 2015
  • Tribunale di Chieti, 15 ottobre 2013
  • Tribunale di Bergamo, 31 marzo 2016
  • Tribunale di Bologna, 16 agosto 2016
  • Tribunale di Milano, 19 luglio 2011
  • Tribunale di Bergamo, 12 febbraio 2015
  • Cassazione, 9 maggio 2013, n. 11025
  • Cassazione, 5 settembre 2014, n. 18755
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