Procedure fallimentari e gestione note di credito

24 Aprile 2017

L'art. 26 , comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, prevede la possibilità di emettere note di credito portando in detrazione la relativa imposta in conseguenza del mancato pagamento, in tutto od in parte, a causa di procedure concorsuali rimaste infruttuose ovvero a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'art. 182-bis l.fall. o di un piano attestato ai sensi dell'art. 67, comma 3, lett.d) l.fall. pubblicato nel registro delle imprese. Il contributo offre un quadro sistematico degli adempimenti a carico delle imprese, da un lato, e del curatore fallimentare, dall'altro, alla luce delle modifiche intervenute nella Legge Fallimentare, senza trascurare di far cenno al concordato preventivo.
Premessa

L'art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, prevede la possibilità di emettere note di credito portando in detrazione la relativa imposta in conseguenza del mancato pagamento, in tutto o in parte, a causa di procedure concorsuali rimaste infruttuose ovvero a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'art. 182-bis l.fall. o di un piano attestato ai sensi dell'art. 67, comma 3, lett. d) l.fall. pubblicato nel registro delle imprese.

Il contributo offre un quadro sistematico degli adempimenti a carico delle imprese, da un lato, e del curatore fallimentare, dall'altro, alla luce delle modifiche intervenute nella Legge Fallimentare, senza trascurare di far cenno al concordato preventivo.

Il quadro normativo
La possibilità di recuperare l'IVA in caso di mancato pagamento della fattura discende da una esplicita previsione dell'art. 90 della direttiva 2006/112/CE, al fine di evitare che il soggetto passivo si trovi di fatto ad essere inciso dal tributo non avendo potuto percepire l'IVA addebitata in rivalsa , pur avendola dovuta versare all'Erario. Tale facoltà è disciplinata dall'art. 26 , comma 2, D.P.R. n. 633/1972, il cui attuale testo è il frutto di un duplice intervento operato dal legislatore prima con la Legge di Stabilità per il 2016 (L. n. 208/2015) e poi con la Legge di Bilancio per il 2017 (L. n. 232/2016). L' introduzione nel testo degli accordi di ristrutturazione e dei piani attestati, non considerati vere e proprie procedure concorsuali, era invece già avvenuta per effetto dell'art. 31, comma 1, D.Lgs. n. 175/2014 con effetto dal 13 dicembre 2014. L'art. 1, comma 126, della L. n. 208/2015, nell'innovare il testo previgente, aveva previsto la possibilità di anticipare l'emissione della nota di credito in presenza di procedure concorsuali al momento del loro avvio attraverso l'introduzione nell'art.26 di due commi:
  • il comma 4, lett. a), che individuava nella data di assoggettamento alla procedura concorsuale l'evento legittimante l' emissione della nota di credito ;
  • il comma 5, secondo periodo, che per le procedure concorsuali escludeva, in funzione di ciò, l'obbligo della annotazione a debito della nota pervenuta.
Il comma 127 precisava però che le due disposizioni erano applicabili esclusivamente alle procedure concorsuali cui il committente o cessionario fosse stato assoggettato successivamente al 31 dicembre 2016.Il successivo art. 1, comma 567, della L. n. 232/2016 ha azzerato, in tema di procedure concorsuali, le novità introdotte nell'art. 26 del decreto IVA dalla L. n. 208/2015, abrogando non solo le due disposizioni di cui sopra, mai entrate in vigore, ma l'intero comma 4 (oltre al 6 ed 11), e ripristinando al comma 2 la previsione secondo la quale la variazione in diminuzione è ancorata alla accertata infruttuosità della procedura concorsuale.
Presupposti per l'emissione delle note di credito ex art. 26 D.P.R. n. 633/1972
La C.M. n. 77 del 17 aprile 2000 aveva a suo tempo chiarito che l'applicazione della disposizione legittimante la variazione in diminuzione postula innanzitutto che per l'originaria operazione fosse stata emessa e registrata la relativa fattura. Essa pertanto non opera in presenza di operazioni non documentate da fattura annotate nel registro dei corrispettivi ex art. 22, D.P.R. n. 633/1972. Secondo presupposto è che il mancato pagamento derivi dalla acclarata infruttuosità della procedura concorsuale, con il corollario che il creditore deve aver partecipato al concorso insinuandosi al passivo . Applicando rigidamente detto principio , ne consegue che chi abbia presentato domanda di ammissione al passivo, ma se la sia vista respinta, avrebbe l'onere di presentare opposizione ricorrendone i presupposti. Occorre però soffermarsi sulla fattispecie prevista dall'art. 102 l.fall., rubricato “Previsione di insufficiente realizzo”, ove si consente di evitare la formazione dello stato passivo, se non sussistono prospettive di pagamento dei crediti concorsuali, ma delle sole spese di procedura. Detta disposizione, posteriore alla C.M. n. 77/2000, si distingue da quella dell'art. 118, comma 1, punto n. 4), l.fall. ove si fa riferimento all'impossibilità di soddisfacimento sia dei creditori concorsuali che delle spese di procedura, e che costituisce causa di immediata chiusura. Nel caso disciplinato dall'art. 102 l.fall., omessa la formazione dello stato passivo, la procedura proseguirebbe al limitato fine di accertare ed estinguere le spese in prededuzione. Tuttavia , sebbene non si dia corso all'udienza di verifica, i creditori interessati avranno presumibilmente già fatto pervenire le loro domande, e dunque apparirebbe penalizzante applicare rigidamente il presupposto enunciato dalla citata circolare, discriminando i creditori solo per una decisione del Tribunale. Sul punto sarebbe quindi opportuna una più aggiornata presa di posizione dell'Amministrazione finanziaria. Per quanto riguarda il concordato preventivo, il presupposto legittimante sarebbe la inclusione del creditore nell'elenco formato dal Commissario giudiziale ai sensi dell'art. 171 l.fall. Va anche ricordato che ai soggetti i quali abbiano optato per il c.d. regime dell'IVA “per cassa” (introdotto dall'art. 32-bis del D.L. n. 83/2012, convertito nella L. n. 134/2012), l'avvenuto assoggettamento del cliente ad una procedura concorsuale prima che sia decorso un anno dalla emissione della fattura consente automaticamente di mantenere il regime di sospensione dell'esigibilità del tributo, rendendo quindi non onerosa l'attesa della conclusione della procedura, ed in definitiva nemmeno necessaria la partecipazione al concorso.
Momento a partire dal quale può essere emessa la nota di credito
Anche in questo caso si ricavano utili indicazioni dalla C.M. n. 77/2000, che tuttavia deve essere adattata alle intervenute modifiche alla Legge Fallimentare. 1) Procedure fallimentari con presenza di fondi da ripartireL'art. 110 l.fall. prevede attualmente che il curatore comunichi a mezzo Pec il piano di riparto ai creditori, che hanno 15 giorni di tempo per proporre reclamo, decorsi i quali il curatore chiede al Giudice Delegato che ne sia dichiarata la esecutività. Dunque la definitività del piano di riparto consegue al decorso di tale termine senza che siano intervenuti reclami. Da tale momento può essere emessa la nota. 2) Procedure fallimentari senza fondi da ripartireQuesto caso può essere ravvisato nell'art. 118, comma 1, punto n. 4), l.fall.. Ove vi siano fondi sufficienti a pagare in parte le sole spese prededucibili vi è invero un piano di riparto, anche se non interessa i creditori concorsuali, per cui tale fattispecie potrebbe essere proceduralmente assimilata al punto 1). Nell'ipotesi di mancanza assoluta di piano di riparto, il curatore presenterà direttamente istanza di chiusura ai sensi dell'art. 119 l.fall. ed il Tribunale emetterà un decreto reclamabile nel termine di giorni 10 dalla comunicazione del provvedimento (art. 26 l.fall.). In mancanza di reclamo il decreto diviene definitivo e da tale momento potranno essere emesse le note di credito. 3) Concordato fallimentareIl citato documento di prassi àancora il momento iniziale per l'effettuazione della variazione in diminuzione al passaggio in giudicato della sentenza (rectius: decreto) che omologa il concordato (artt. 130 e 131 l.fall.), e pertanto decorsi 30 giorni dalla notificazione del decreto medesimo. Come si vede non viene richiesto di attendere l'effettivo adempimento del concordato. 4) Concordato preventivo La C.M. n.77/2000 al riguardo non è allineata con le intervenute modifiche alla Legge Fallimentare, in quanto è attualmente possibile che il concordato preventivo comporti una parziale falcidia anche per i creditori privilegiati. Il documento di prassi collega l'accertamento della infruttuosità non solo alla omologa del concordato (con la quale, ai sensi dell'art. 181 l.fall., si chiude la procedura) , ma anche all'effettivo adempimento degli obblighi assunti. La formulazione dell'art. 26 introdotta dalla L. n. 208/2015 richiamava semplicemente la omologa, ma il restyling operato dalla Legge di Bilancio 2017 sembra restituire vigore all'interpretazione della citata circolare (in tal senso la risposta dell'Agenzia nell'incontro con la stampa specializzata). La C.M. n. 77/2000, inoltre, rileva che, in caso di dichiarazione di fallimento successiva alla ammissione al concordato preventivo, il termine iniziale per l'emissione della nota di credito coincide con quello previsto per le procedure fallimentari. Attualmente l'art. 186 l.fall. prevede che la risoluzione del concordato per inadempimento può proporsi entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento, per cui, seguendo la circolare, apparirebbe essere il termine così stabilito il momento a partire dal quale emettere la nota di credito, con una evidente discrasia rispetto a quanto richiesto per il concordato fallimentare, sebbene l'art. 137 l.fall. preveda anche per esso un' analoga procedura di risoluzione.
Termine finale per l'emissione della nota di credito
Sul punto torna utile il chiarimento offerto dalla risoluzione n. 89/E del 18 marzo 2002, la quale rileva che il diritto alla detrazione, disciplinato dall'art. 19 del D.P.R. n. 633/1972, può essere esercitato "al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo”. In conseguenza di ciò, ipotizzando un fallimento con piano di riparto resosi definitivo nel 2015, è necessario che la nota venga emessa e registrata entro il 31 dicembre 2017, in modo da confluire nella dichiarazione IVA da presentare nel 2018. Se però nell'anno 2015 il soggetto aveva un pro rata di detraibilità, anche la detrazione dell'IVA risultante dalla nota non deve eccedere quella che sarebbe stata operata nel medesimo anno. Va da sé che in caso di ipotetico successivo recupero parziale del credito dal fallito tornato in bonis, si dovrebbe emettere una fattura integrativa o nota di debito in riferimento all'importo riscosso, nonostante la abrogazione del comma 6 dell'art. 26 effettuata dalla L. n. 232/2016.
Soggetto legittimato all'emissione della nota di credito
Soggetto legittimato all'emissione del documento è il soggetto passivo, ovvero l'emittente della originaria fattura, ma è stato posto il dubbio su come comportarsi in caso di cessione pro-soluto del credito in presenza di procedura fallimentare , aspetto, questo, affrontato dalla risoluzione n. 120/E del 5 maggio 2009, la quale ha messo alcuni punti fermi:
  • il cedente è legittimato alla emissione della nota solo se si è insinuato al passivo prima di aver ceduto il credito;
  • il cedente deve rimanere “parte processuale” del fallimento, ossia non deve risultare “estromesso” a favore del cessionario;
  • l'importo della nota non dipende dal prezzo ottenuto per la cessione, ma solo dallo scarto fra valore nominale del credito e somma complessiva incassata in fase di riparto.
Unico punto da chiarire è quello della “estromissione” del cedente. Infatti l'art. 115 l.fall. prevede che il curatore, dietro presentazione di idonea documentazione attestante la cessione, annoti il cessionario del credito al posto del cedente provvedendo a formale rettifica dello stato passivo; l'eventuale pagamento sarà effettuato al cessionario , risultando il cedente a questo punto “estromesso”, e quindi non più legittimato alla emissione della nota di credito. Dal contesto pare potersi arguire che la mancata “estromissione “ si verifichi solo quando il contratto di cessione esplichi la sua efficacia fra le parti, ma senza che venga richiesta agli organi della procedura una formale rettifica dello stato passivo.
Modalità di formazione della nota di credito
La nota di credito deve recare il riferimento alla/alle fattura/fatture oggetto di rettifica, e precisare la procedura cui si riferisce con i relativi estremi legittimanti la emissione (ad esempio data di definitività del piano di riparto). Inoltre dovrà riferirsi alle aliquote vigenti al tempo della fattura originaria, anche se successivamente modificatesi. Questione spesso posta è se sia possibile emettere una nota di credito di sola IVA ,o si debba rettificare anche l'imponibile. Sul punto era intervenuta la risoluzione n. 127/E del 3 aprile 2008, la quale aveva sbrigativamente risolto la questione richiedendo sempre e comunque lo storno sia dell'imponibile che dell'IVA, facendo leva su un presunto "indissolubile collegamento esistente tra imposta ed operazione imponibile” non rilevabile però nell'art. 26, tant'è che nella prassi operativa note di variazione di sola IVA possono ben essere emesse. Sebbene l'art. 90 della direttiva 2006/112/CE si esprima in termini di riduzione della base imponibile, si rende evidente come il mancato pagamento faccia in realtà venir meno l'operazione ai soli fini IVA, al fine di consentire al soggetto passivo di recuperare il tributo anticipato all'Erario e non più incassabile mediante la rivalsa: nell'emettere la nota il creditore però non rinuncia affatto al recupero del credito nell'eventualità che il fallito torni in bonis, per cui la variazione in diminuzione ha la sola funzione di garantire per il soggetto passivo la neutralità del tributo. Appare in realtà più corretto tener conto per quanto possibile della collocazione del credito nello stato passivo e della natura delle somme ottenute in sede di riparto. Si possono dare tre casi: 1-fattura ammessa in chirografo;2-fattura ammessa in privilegio solo per l'imponibile (ad esempio privilegio artigiano ex art. 2751-bis c.c. n.5));3-fattura ammessa in chirografo per l'imponibile ma con IVA in privilegio ex art. 2758 c.c. E' evidente che in caso di integrale mancato pagamento non vi è nessuna differenza sostanziale fra l'emissione di una nota di credito di sola IVA o comprensiva di imponibile ed IVA. E lo stesso avviene in caso di pagamento parziale nel caso 1). In detti casi quindi è possibile aderire senz'altro alla posizione espressa dall'Agenzia delle Entrate. Nel caso 2), ipotizzando che il piano di riparto consenta il pagamento integrale della parte in privilegio, la nota di credito dovrebbe rettificare la sola IVA in chirografo, per non porsi in palese contrasto con le risultanze dello stato passivo, garantendo al tempo stesso la neutralità del tributo per il soggetto passivo. Sebbene la soluzione proposta dalla citata risoluzione sia finanziariamente indifferente per il soggetto passivo, non lo è per l'Erario, che ne esce sensibilmente avvantaggiato, vista l'estrema aleatorietà del recupero del tributo nei confronti del fallito se tornato in bonis. Se anche la parte in privilegio dovesse subire una falcidia, appare comunque preferibile emettere un documento rettificativo di sola IVA, anziché scorporare quest'ultima dalla parte di credito insoluta, operazione che non avrebbe alcun nesso con le somme riscosse. Nel caso 3), se il piano di riparto prevedesse solo il pagamento parziale di somme a valere sull'IvaIVA addebitata in sede di rivalsa, il comportamento più corretto apparirebbe anche in questo caso quello di stornare con una nota di credito di sola IVA la parte di tributo non riscossa (o financo di non emettere alcuna nota se la parte in privilegio ex art. 2758 c.c. venisse integralmente soddisfatta).
Modalità di registrazione della nota di credito
Comportamento dell'emittente la nota di creditoL'art. 26 prevede al comma 2 che l'annotazione debba essere fatta dall'emittente nel registro di cui all'art. 25, D.P.R n.633/1972 (registro IVA acquisti), mentre al comma 5 si richiede che il cessionario/committente operi la annotazione a suo debito nel registro di cui all'art. 23 (registro IVA vendite) o 24 (corrispettivi), salvo successivamente legittimare al comma 8 la diversa procedura consistente nell'effettuare la annotazione da parte dell'emittente col segno “meno” nel registro IVA vendite: stessa considerazione, a parti scambiate, vale ovviamente per il soggetto che riceve la nota. Nonostante una diversa numerazione dei commi, le procedure contabili sono rimaste invariate rispetto al testo dell'art. 26 vigente al 31 dicembre 2015. Comportamento del curatore fallimentareLa risoluzione n. 89/E del 18 marzo 2002, la n. 155/E del 12 ottobre 2001, e la C.M. n. 77 del 17 aprile 2000 affermano l'obbligo del curatore di annotare la nota di credito ricevuta nel registro di cui all'art. 23 o 24 (oppure, come abbiamo appena visto, anche col segno “meno” nel registro ex art. 25). Trattasi di obbligo privo in realtà di effettivo supporto normativo ed in concreto spesso nemmeno attuabile. La stessa risoluzione n. 155/E, peraltro, conferma che comunque la annotazione non dà luogo ad un debito della procedura concorsuale, avendo il solo fine di evidenziare l'entità del credito che l'Erario potrebbe azionare verso il fallito ipoteticamente tornato “in bonis”, ed inoltre che al curatore non incombe alcun ulteriore adempimento in termini di dichiarazioni periodiche ed annuali. In questo senso l'Amministrazione è sempre stata costante nel considerare applicabile, in mancanza di diversa indicazione normativa, il disposto dell'art. 185, comma 2, della Direttiva 2006/112/CE, il quale non prevede la rettifica in caso di operazioni in tutto od in parte non pagate, fermo restando il potere degli Stati di derogare a detta regola. In concreto, inoltre, effettuata la ripartizione finale , segue di regola a stretto giro la chiusura della procedura fallimentare e la cessazione della partita IVA , mentre decadono dalle funzioni gli organi della procedura, in primis il curatore. Anzi , la chiusura della partita IVA potrebbe anche essere anteriore se fossero esaurite le operazioni rilevanti al fine di tale tributo, per accelerare i tempi della richiesta di rimborso IVA (R.M. n. 3 del 28 gennaio 1992). Dunque il curatore riceverà di regola le note di credito a procedura chiusa, ed essendo cessato dal suo incarico non sarà tenuto ad alcuna annotazione, ma solo ad una ordinata conservazione dei documenti pervenuti (che, si ricorda, potrebbero essere emessi anche a distanza di più di due anni dalla chiusura del fallimento). Inoltre, anche per eventuali documenti pervenuti prima della chiusura della partita IVA, la eventuale annotazione dovrebbe avvenire in una apposita sezione del registro IVA, trattandosi di una mera annotazione “per memoria” che non deve inquinare le operazioni poste in essere dalla procedura concorsuale. In ogni caso non è dato capire in qual modo l'Erario possa venire a conoscenza dell'importo dell'IVA relativa alle note di credito, visto che non sussiste alcun obbligo dichiarativo nei confronti all'Agenzia delle Entrate, a meno che non si intenda trasmettere alla medesima copia delle note pervenute su basi del tutto volontaristiche. La realtà è che il credito dell'Erario è destinato ad andare perduto, per cui, mentre viene garantita la neutralità del tributo a beneficio del cedente/prestatore, il relativo onere rimane a carico della finanza pubblica. Questo contribuisce a spiegare l'orientamento espresso dalla risoluzione n. 127/E del 03 aprile 2008 di cui si è dato conto al precedente paragrafo, verosimilmente ispirato anche da ragioni di gettito. Risulta comunque destituita di fondamento l' opinione espressa da chi ha ravvisato nella modifica apportata all'art. 26 dalla Legge di Bilancio 2017 mediante la soppressione del secondo periodo del comma 5 (mai entrato in vigore), il possibile insorgere di un debito a carico della massa fallimentare, che non è mai esistito, né potrebbe sussistere. In realtà l'introduzione del suddetto periodo era motivata , con finalità chiarificatrici, esclusivamente dalla previsione della possibilità di emettere le note di variazione all'inizio e non alla fine delle procedure concorsuali, e detta sua funzione è venuta meno per effetto del “revirement” del legislatore. Comportamento della società in concordato preventivoLa posizione della impresa in concordato a fronte della emissione di note di credito da parte dei creditori “falcidiati” è stata esaminata dalla risoluzione n. 161/E del 17 ottobre 2001. Anche in questo caso è prevista la registrazione delle note ricevute (anzi a maggior ragione rispetto al fallimento, visto che l'impresa in concordato può ben continuare ad esistere ed operare), ma senza che ciò dia luogo ad un debito d'imposta da versare: trattandosi di IVA non riscossa dal creditore per una operazione imponibile effettuata prima dell'apertura del concordato, anche per essa valgono gli effetti estintivi propri di detta procedura concorsuale, poiché diversamente opinando si avrebbe una ingiustificata deroga all'efficacia liberatoria del concordato. In altri termini il credito concorsuale oggetto di falcidia era comprensivo dell'IVA esposta nelle fatture che lo documentavano, per cui, una volta verificatisi gli effetti estintivi del concordato , il credito non può rinascere sotto diverse spoglie.
Chiusura del fallimento in pendenza di giudizi ex art. 118. comma 2, l.fall.
L'art. 7, comma 1, lett.a) del D.L. n. 83/2015 convertito nella L. n. 132 /2015, ha introdotto, come noto, nell'art. 118, comma 2, l.fall., la previsione di c.d. “chiusura del fallimento in pendenza di giudizi”, consistente nella possibilità di chiudere un fallimento ai sensi dell'art. 118, comma 1, punto n. 3), anche ove vi siano giudizi in corso. In questa sede ci limiteremo ad esaminare i riflessi di natura fiscale nell'ambito impositivo IVA, sia dal punto di vista del curatore che dei creditori interessati al recupero del tributo attraverso l'emissione di una nota di credito ex art. 26, comma 2, D.P.R. n. 633/1972. In riferimento a detti aspetti non è stata dettata alcuna disciplina da parte del legislatore, né è stato emanato da parte dell'Agenzia delle Entrate alcun documento di prassi. Risultano solo una Nota della D.R.E. Veneto del marzo 2016 ed una della D.R.E Puglia (la n. 954-654/2016) del novembre 2016 in risposta ad altrettanti interpelli. E' evidente che con la “chiusura in pendenza di giudizi” in concreto non si esauriscono affatto le attività rilevanti ai fini del tributo IVA della procedura: ad esempio, il pagamento del legale che ha patrocinato la curatela (nei confronti del quale la procedura è anche sostituto d'imposta), la liquidazione dell'ulteriore compenso del curatore in caso di recupero di ulteriore attivo, la possibile ricezione di fatture in sede di riparto supplementare qualora vengano pagati compensi a lavoratori autonomi insinuati al passivo. La prassi dei Tribunali pare attualmente orientarsi nella indicazione delle seguenti linee guida per i curatori : 1- se trattasi di società, non procedere alla cancellazione della stessa in pendenza del giudizio, ma attenderne il definitivo esito; 2- mantenere aperta la partita IVA (che funge di norma anche da codice fiscale per le società); 3- mantenere aperto il c/c bancario e la pec del fallimento. La nota della D.R.E Puglia 954-654/2016 appare proprio valorizzare quanto deciso dal Tribunale: quindi, se viene chiesto al curatore di non cancellare la società e di tenere aperta la posizione IVA, si dovrà proseguire ad assolvere ai normali adempimenti fiscali (e ciò implica la necessità di continuare a presentare la dichiarazione IVA e le altre comunicazioni previste dalla normativa vigente, nonchè ad adempiere agli altri obblighi previsti). Nel caso opposto, ove si sia proceduto alla cancellazione dal Registro imprese ed alla cessazione della partita IVA (e questo appare essere il caso oggetto di interpello), sarebbe poi necessario riaprirla. Ipotizzando di seguire l'impostazione prevalente dei Tribunali, vediamo di conseguenza come affrontare la gestione delle note di variazione ex art. 26, D.P.R. n.633/1972. A) La posizione dei creditoriIn base alle risultanze del piano di riparto “finale”, i creditori rimasti insoddisfatti appaiono senz'altro legittimati alla emissione della nota di variazione ex art. 26, secondo le modalità già trattate dianzi . Opinare diversamente, e rinviare detto momento ad un ipotetico riparto supplementare, non appare conforme all'art. 118 l.fall., che considera il fallimento chiuso per compiuta ripartizione finale , integrando quindi i presupposti chiesti dall'art. 26 del decreto IVA e dai documenti di prassi per l'emissione della nota di credito. Appare altrettanto ovvio che i medesimi creditori saranno poi tenuti ad emettere delle fatture integrative qualora vi sia un riparto supplementare all'esito delle cause pendenti, il quale non comporta comunque la riapertura della procedura. In parallelo si pone poi il dubbio se il termine di cui all'art. 19 per l'esercizio della detrazione decorra dalla data di definitività del primo piano di riparto (quello relativo alla “chiusura anticipata”) o dal successivo (eventuale) riparto supplementare. Appare interpretazione più logica ancorare il termine al primo piano di riparto, essendo quello supplementare evento del tutto incerto, oltre che verosimilmente non realizzabile in tempi brevi. Sarebbe ovviamente del tutto contraddittoria la pretesa di rinviare l'a emissione delle note al riparto supplementare, ma far decorrere il termine iniziale per la loro emissione dalla data del primo riparto. Pur in assenza di istruzioni ufficiali , la soluzione qui proposta appare preferibile e prudenziale. Ovviamente in caso di cessazione della partita IVA del fallimento tale conclusione risulterebbe a maggior ragione confermata. B) La posizione del curatore Ove si sia tenuta aperta la posizione IVA, nulla in teoria osterebbe alla annotazione nei registri delle note ricevute: rimane tuttavia fermo il fatto che esse , come evidenziato nella risoluzione n. 155/E, sebbene registrate, non danno luogo ad una posizione a debito della massa. Le medesime dovrebbero essere quindi annotate solo “per memoria” in una apposita sezione dei registri IVA, senza che possano mescolarsi con le eventuali operazioni IVA “finali” , proprie della massa, da porsi in essere all'esito dei giudizi pendenti. Va ricordato che in riferimento alle sopravvenienze attive derivanti dai procedimenti pendenti si dà luogo esclusivamente ad un riparto supplementare fra i creditori ammessi a suo tempo al passivo: non essendo più possibile insinuare in questa fase nuovi crediti, l'Erario, per il credito derivante a suo favore dalle note pervenute al curatore, non vede affatto modificata la propria posizione rispetto alle procedure in cui si perviene immediatamente alla “chiusura definitiva”. In questo caso però il curatore , rimanendo aperta la posizione IVA, potrebbe essere teoricamente chiamato a dichiarare le note pervenute all'Erario: allo stato nessuna norma prevede però l'inclusione di detti documenti in dichiarazioni IVA annuali o periodiche da presentarsi in riferimento al periodo intercorrente fra la “chiusura anticipata” e la “chiusura finale”, ed in tal senso depone anche la risoluzione n. 155/E, anche se può essere prudente trasmetterne copia all'Agenzia delle Entrate. Va da sé che una volta definiti i giudizi pendenti e chiusa la posizione IVA, il curatore dovrà ordinatamente conservare, e nulla più, eventuali ulteriori note o fatture integrative (salvo non intenda volontariamente trasmetterle all'Agenzia). Seguendo la opposta procedura della chiusura/riapertura della partita IVA, sarebbe invece del tutto indubbio che nessun obbligo di registrazione e dichiarazione sussista in capo al curatore in riferimento alle note di credito pervenuteogli dopo la “chiusura anticipata”, proprio perché la partita IVA risulta momentaneamente cessata, e con essa i relativi obblighi strumentali, che riprenderebbero solo per le eventuali operazioni IVA conseguenti all'esito dei giudizi pendenti, salvo cessare immediatamente dopo per la definitiva chiusura della posizione IVA.
Conclusioni

Il quadro che risulta dalla disamina fin qui svolta è, come si vede, piuttosto complesso, e non privo di incertezze, dovendosi muovere fra i bruschi ripensamenti del legislatore in ambito tributario, da un lato, ed i continui aggiornamenti apportati negli ultimi anni alla Legge Fallimentare, dall'altro.

In particolare l'introduzione nell'art. 118 l.fall. della "chiusura del fallimento in pendenza di giudizi" senza preoccuparsi di disciplinarne sul piano normativo le ricadute sugli adempimenti tributari rende senz'altro urgente quantomeno un intervento di prassi.

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